Immoralità della morale

Sarà forse una sindrome tutta mia personale, ma mi sento sempre a disagio, quando si parla di “questione morale”.
Mi somiglia molto ai “cinque minuti della cultura”, ai tempi in cui polemizzavo con un mio caro amico, uno di quelli che avevano fatto per una vita il mestiere di direttore di giornale.
Un direttore vecchio stile – il padre era stato uno dei fondatori dell’agenzia Stefani, precorritrice dell’ANSA, e lui stesso giovanissimo inviato speciale del Popolo nell’Argentina di Peron – uno di quelli che i giornali li dividono in “pastone politico”, cronaca bianca, cronaca nera, sport e appunto “angolo della cultura” – vale a dire mostre di pittura, recensioni teatrali e letterarie.
Che significa, in questo sistema sociale ed economico, “questione morale”?
Mi sentirei probabilmente meno a disagio se si parlasse di “questione giudiziaria”, o di questione di trasparenza, di rispetto della legge: non che sarebbe una questione più semplice, o di più facile determinazione, visto che anche le leggi e le inchieste giudiziarie sono ampiamente discutibili, ma almeno rappresentano una linea di demarcazione convenzionale abbastanza chiara tra lecito e illecito.
Mettendo in mezzo la “morale”, invece, si apre una specie di vaso di Pandora, dalle emanazioni imprevedibili.
La prima domanda che viene in mente è: perché mai dovrebbe esistere una questione morale così pungente solo per la politica? Come si fa a chiedere solo alla politica di essere “morale”, in un sistema sociale ed economico che rifugge – non solo in pratica, ma anche nelle sue teorizzazioni – da qualunque vincolo morale?
E’ “morale” l’ingiustizia sociale programmatica e sistematica?
E’ morale considerare la povertà, la dipendenza servile, la sofferenza esistenziale, come un normale fall-out dello “sviluppo”?
E’ morale considerare il lavoro come una merce?
E’ morale il “mercato”?
E’ morale l’impiego di risorse economiche, intellettuali e produttive enormi per sfornare e diffondere milioni di spot pubblicitari, mentre si deve ricorrere ai Telethon per racimolare uno o due milioncini per la ricerca sul cancro, o per costruire quattro pozzi nel Sudan?
E’ morale che la Chiesa alzi le barricate per le proprie scuole destinate ad accogliere i rampollini della borghesia milanese, mentre i missionari e i volontari cattolici stanno con le pezze al culo?
Io credo che, se questione morale dev’essere, questa cominci molto prima e molto al di là delle eventuali malefatte di un assessore o di un candidato sindaco.
So bene che, a questo punto e anzi dopo le prime quattro righe, qualcuno ha la tentazione irresistibile di ricordare Enrico Berlinguer.
Giusta tentazione, ma probabilmente per ragioni diverse da quelle di qualche amico del forum.
Il momento – l’epoca, sarebbe meglio dire – in cui Berlinguer pose la famosa “questione morale” era l’ultima occasione utile, l’ultima fase di un tempo in cui la politica ancora prevedeva un contenuto, un fine “morale” – era ancora lecito discutere delle cose che ho evocato prima, e farne un caso politico.
Non fu un caso che ad opporsi, anzi a irridere sottilmente, a Berlinguer furono proprio quelle correnti di pensiero, quei personaggi che si sarebbero poi distinti negli anni successivi nella mutazione della nostra politica, nella Milano-da-bere, nella degenerazione tangentizia.
Intendiamoci, la trasformazione in senso affaristico, aziendalistico e programmaticamente immoralistico della società italiana e occidentale, non è da ascivere ai Pillitteri o ai De Michelis, e nemmeno a Craxi, i quali ne cavalcarono con intuito solo l’onda di piena.
Ma questa ormai è storia. La battaglia è stata persa, ed è inutile tornarci sopra, se non per capire meglio la genesi e la natura di quello che viviamo attualmente.
Non importano tanto i possibili “reati” di Berlusconi, e nemmeno se questi reati impressionano o no gl’italiani che partecipano ai sondaggi, se vediamo la vicenda italiana sotto il profilo “morale”.
E’ Berlusconi stesso, ma anche certe teorizzazioni confindustriali, certe politiche del lavoro varate con il consenso attivo della “sinistra”, sono tutte queste cose insieme ad essere immorali, e la società alla quale danno luogo.
Se non è concesso che entri nell’agenda politica la discussione su questa gigantesca immoralità, non ha senso rispolverare il concetto solo per le miserie di sindaci e assessori: meglio limitarci a parlare di reati, e basta – ché già non è poco da queste parti.
Mi somiglia molto ai “cinque minuti della cultura”, ai tempi in cui polemizzavo con un mio caro amico, uno di quelli che avevano fatto per una vita il mestiere di direttore di giornale.
Un direttore vecchio stile – il padre era stato uno dei fondatori dell’agenzia Stefani, precorritrice dell’ANSA, e lui stesso giovanissimo inviato speciale del Popolo nell’Argentina di Peron – uno di quelli che i giornali li dividono in “pastone politico”, cronaca bianca, cronaca nera, sport e appunto “angolo della cultura” – vale a dire mostre di pittura, recensioni teatrali e letterarie.
Che significa, in questo sistema sociale ed economico, “questione morale”?
Mi sentirei probabilmente meno a disagio se si parlasse di “questione giudiziaria”, o di questione di trasparenza, di rispetto della legge: non che sarebbe una questione più semplice, o di più facile determinazione, visto che anche le leggi e le inchieste giudiziarie sono ampiamente discutibili, ma almeno rappresentano una linea di demarcazione convenzionale abbastanza chiara tra lecito e illecito.
Mettendo in mezzo la “morale”, invece, si apre una specie di vaso di Pandora, dalle emanazioni imprevedibili.
La prima domanda che viene in mente è: perché mai dovrebbe esistere una questione morale così pungente solo per la politica? Come si fa a chiedere solo alla politica di essere “morale”, in un sistema sociale ed economico che rifugge – non solo in pratica, ma anche nelle sue teorizzazioni – da qualunque vincolo morale?
E’ “morale” l’ingiustizia sociale programmatica e sistematica?
E’ morale considerare la povertà, la dipendenza servile, la sofferenza esistenziale, come un normale fall-out dello “sviluppo”?
E’ morale considerare il lavoro come una merce?
E’ morale il “mercato”?
E’ morale l’impiego di risorse economiche, intellettuali e produttive enormi per sfornare e diffondere milioni di spot pubblicitari, mentre si deve ricorrere ai Telethon per racimolare uno o due milioncini per la ricerca sul cancro, o per costruire quattro pozzi nel Sudan?
E’ morale che la Chiesa alzi le barricate per le proprie scuole destinate ad accogliere i rampollini della borghesia milanese, mentre i missionari e i volontari cattolici stanno con le pezze al culo?
Io credo che, se questione morale dev’essere, questa cominci molto prima e molto al di là delle eventuali malefatte di un assessore o di un candidato sindaco.
So bene che, a questo punto e anzi dopo le prime quattro righe, qualcuno ha la tentazione irresistibile di ricordare Enrico Berlinguer.
Giusta tentazione, ma probabilmente per ragioni diverse da quelle di qualche amico del forum.
Il momento – l’epoca, sarebbe meglio dire – in cui Berlinguer pose la famosa “questione morale” era l’ultima occasione utile, l’ultima fase di un tempo in cui la politica ancora prevedeva un contenuto, un fine “morale” – era ancora lecito discutere delle cose che ho evocato prima, e farne un caso politico.
Non fu un caso che ad opporsi, anzi a irridere sottilmente, a Berlinguer furono proprio quelle correnti di pensiero, quei personaggi che si sarebbero poi distinti negli anni successivi nella mutazione della nostra politica, nella Milano-da-bere, nella degenerazione tangentizia.
Intendiamoci, la trasformazione in senso affaristico, aziendalistico e programmaticamente immoralistico della società italiana e occidentale, non è da ascivere ai Pillitteri o ai De Michelis, e nemmeno a Craxi, i quali ne cavalcarono con intuito solo l’onda di piena.
Ma questa ormai è storia. La battaglia è stata persa, ed è inutile tornarci sopra, se non per capire meglio la genesi e la natura di quello che viviamo attualmente.
Non importano tanto i possibili “reati” di Berlusconi, e nemmeno se questi reati impressionano o no gl’italiani che partecipano ai sondaggi, se vediamo la vicenda italiana sotto il profilo “morale”.
E’ Berlusconi stesso, ma anche certe teorizzazioni confindustriali, certe politiche del lavoro varate con il consenso attivo della “sinistra”, sono tutte queste cose insieme ad essere immorali, e la società alla quale danno luogo.
Se non è concesso che entri nell’agenda politica la discussione su questa gigantesca immoralità, non ha senso rispolverare il concetto solo per le miserie di sindaci e assessori: meglio limitarci a parlare di reati, e basta – ché già non è poco da queste parti.