5 buoni motivi per abolire gli ordini professionali in Itali

5 buoni motivi per abolire gli ordini professionali in Italia
10 marzo 2015 · di Valentina Magri · 11 Commenti
Così il premier Matteo Renzi definisce il disegno di legge sulla concorrenza, che introduce alcune liberalizzazioni per avvocati, notai e farmacisti, ed è stato approvato dal Consiglio dei ministri del 20 febbraio 2015.
Un disegno di legge contestato sia dagli ordini, sia da associazioni dei consumatori: il 9 marzo 2015 Altroconsumo ha inviato una lettera al presidente del Consiglio Matteo Renzi, al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e ai presidenti della X Commissione di Camera e Senato, chiedendo la possibilità di vendere i farmaci di fascia C (quelli a totale carico del cittadino) anche nei canali alternativi alle farmacie. Per lavoce.info, la riforma di Renzi sarebbe “un piccolo colpo alla fortezza delle professioni“, definite delle gilde medievali dall’economista dell’OCSE Thomas Manfredi proprio su questo blog. ( http://www.lavoce.info/archives/33358/l ... e-sporche/ )
Ernesto Galli della Loggia ha accusato gli ordini professionali di non essere stati capaci di “vedere i propri errori, di discuterli e magari di correggerli” (da Chi non si guarda allo specchio, Corriere della Sera, 26 febbraio 2015).
Io voglio andare oltre e mi domando e dico: perché non abolirli? Sapete quanti ordini professionali ci sono in Italia?
Ordini e collegi professionali italiani
L’ordine professionale è un ente organizzato e istituito per legge al fine di garantire la qualità delle prestazioni svolte, definire i limiti minimi e massimi dei prezzi, coordinare attività formative in quel determinato ambito disciplinare, gestire l’albo professionale. Spesso gli ordini hanno anche una loro cassa di previdenza.
I collegi professionali hanno gli stessi compiti e funzioni . L’unica differenza è che gli ordini raggruppano quelle professioni per cui è solitamente necessaria una laurea, mentre per far parte di un collegio professionale basta il diploma.
Stando al DM del 20 dicembre 2012, esistono 19 ordini e 8 collegi professionali, per un totale di 27 professioni che richiedono l’iscrizione all’albo. Le vediamo tutte in questo “album di famiglia”.
Clicca per ingrandire l’infografica: http://it.adviseonly.com/blog/wp-conten ... ordini.png
Nota: su segnalazione di un lettore, precisiamo che i maestri di sci possono anche essere riconosciuti a livello europeo, previo superamento dell’apposito Eurotest.
Qual è l’impatto degli ordini professionali sull’economia italiana?
È una domanda cui hanno cercato di rispondere dei recenti studi economici.
Uno studio coordinato da Pellizzari per la Fondazione Rodolfo Debenedetti nel 2011 rileva che mediamente il 38% dei figli svolge lo stesso lavoro dei padri. ( http://www.frdb.org/upload/file/family_ ... 050711.pdf )
La probabilità di svolgere una professione per cui occorre l’iscrizione a un ordine professionale è bassissima per un giovane che non ha un genitore iscritto all’ordine: da un minimo dell’1,67% per il figlio di un operaio a un massimo del 14,30% per il figlio di un insegnante.
Inoltre, lo studio dimostra che maggiore è la frequenza di un cognome in un albo professionale, maggiore è la velocità con cui si passa l’esame per entrare a far parte di un ordine professionale.
Medico, avvocato, farmacista e giornalista sono le professioni per le quali avere un familiare già iscritto all’ordine facilita maggiormente l’accesso.
Da ultimo, la ricerca valuta anche la qualità delle prestazioni dei membri di alcuni ordini professionali (commercialisti, avvocati, ostetriche, consulenti del lavoro, medici e geologi) e rileva che nelle due professioni con maggior nepotismo (commercialisti e consulenti del lavoro), le prestazioni erogate sono effettivamente peggiori.
Secondo gli autori dello studio, la ragione è molto semplice: i “figli d’arte” riescono ad accedere alle professioni a costi inferiori, e la mancanza di competizione permette anche ai meno capaci di iscriversi agli ordini professionali.
Infine, uno studio della Banca d’Italia sui farmacisti italiani del 2015 nota che i figli di questa categoria hanno una propensione maggiore a iscriversi alla facoltà di Farmacia. Secondo gli studiosi, le rendite di posizione legate alle farmacie – che aumentano con la diminuzione del numero di farmacie per abitanti – hanno un impatto significativo sulla scelta dei figli dei farmacisti di seguire le orme dei genitori. Contribuisce ad aumentare le probabilità di queste scelte dei figli anche una regolamentazione che permette loro di subentrare ai padri nella gestione delle farmacie.
Al contrario, una maggiore concorrenza tra farmacie diminuisce la probabilità che i figli dei titolari si iscrivano a una facoltà di Farmacia. Vediamo ora l’altro lato della medaglia: i benefici che recano con sé gli ordini professionali.
I vantaggi degli ordini professionali
Gli ordini professionali sono lodati perché controllano la professionalità dei loro iscritti ed erogano loro formazione.
Per quanto riguarda il controllo, permettetemi di nutrire alcuni dubbi. Non poche volte giornali e TV hanno parlato di medici e dentisti falsi che esercitavano abusivamente la professione. Peccato che la maggior parte delle volte siano stati scoperti da pazienti solerti o dalla Guardia di Finanza.
La questione della formazione si può ovviare facilmente: come in ogni altro settore, può essere lasciata a carico delle aziende che potrebbero, così, offrire i corsi più in linea con le loro esigenze e con quelle della clientela. Considerato ciò e l’impatto economico degli ordini, forse sarebbe ora di abolirli.
5 motivi per abolire gli ordini professionali
1. Immobilità sociale
L’Italia è una delle patrie dell’immobilità sociale, in cui i redditi dei figli sono più legati a quelli dei padri (uno degli 8 motivi della fuga dei cervelli, a nostro avviso). Parte di questa immobilità è legata all’ereditarietà delle professioni.
2. Difficoltà di accesso per gli outsider
L’immobilismo legato (anche) agli ordini professionali è una delle fonti di guai per il nostro mercato del lavoro, dove i lavoratori membri degli ordini sono ben tutelati e gli outsider che vogliono entrarci devono affrontare un vero e proprio percorso a ostacoli, fatto di:
esami di Stato;
corsi di specializzazione;
praticantati obbligatori, pagati poco o nulla.
Il tutto in palese conflitto d’interesse, a parere degli economisti Orsini e Pellizzari in “Dinastie d’Italia. Gli ordini tutelano davvero i consumatori?” (Università Bocconi editore), che scrivono: “L’accesso all’ordine è infatti regolato da chi esercita la professione e non ha alcuna intenzione di dare il via libera a chi è potenzialmente più bravo di lui”. Inutile dire che questo meccanismo è uno sberleffo alla meritocrazia.
3. Peggiori servizi per i consumatori
Gli autori notano anche che gli ordini sono deleteri per gli utenti, in quanto le restrizioni alla concorrenza non sono compensate da una maggiore qualità e trasparenza dei servizi per i consumatori.
4. Migliore performance delle aziende
L’abolizione degli ordini professionali porterebbe a una maggiore efficienza e a una migliore performance delle aziende (vedi gli studi di Bandiera et al., 2009 e di Pèrez-Gonzàles, 2006). Gli ordini professionali sono anche un freno all’innovazione: se fossero aboliti, si eliminerebbe uno dei “brevetti generalizzati” dell’Italia.
5. Il lavoro si impara sul campo
Per essere giudicato un professionista esperto, non basta avere il proprio nome iscritto su un elenco, né aver superato un esame. Si diventa professionisti sul campo con impegno ed esperienza, non per merito di un registro.
Non a caso, un giovane che ha appena conseguito un MBA o una laurea a pieni voti in Economia o Ingegneria, se assunto da un’impresa come lavoratore dipendente, non è promosso automaticamente a direttore d’azienda, ma parte da una posizione junior.
Per tutti questi motivi, sarebbe ora di tornare a parlare di liberalizzazione delle professioni in Italia. Un tema vecchio quanto il mondo: ne parlava già Luigi Einaudi nel lontano 1955. In un libro dal titolo tuttora azzeccato e attuale: “Prediche inutili”.
L'autrice:
Laureata in Management presso l’Università Bocconi nel 2012, con una tesi sull’inattività giovanile in Italia. Da studentessa, ha collaborato con i media universitari Radio Bocconi e Tra i Leoni e al di fuori delle mura accademiche con Campus (Gruppo Class Editori) e Real World Magazine (Gruppo Potentialpark). In Saipem si è invece occupata di accertamenti giuridici nell’area Risorse Umane. Dopo la laurea, è stata assistente ai programmi di politica, economia e finanza a Radio 24 (Gruppo 24 Ore), nonché redattrice economica di Arcipelago Milano. I suoi principali interessi sono economia e comunicazione online. La distraggono da grafici e dati solo arte, cinema, teatro e buone letture.
http://it.adviseonly.com/blog/multimedi ... in-italia/
10 marzo 2015 · di Valentina Magri · 11 Commenti
Renzi ha scritto: È il tentativo di attaccare alcune rendite di posizione, perché riduciamo il gap tra chi gode di rendite e chi no
Così il premier Matteo Renzi definisce il disegno di legge sulla concorrenza, che introduce alcune liberalizzazioni per avvocati, notai e farmacisti, ed è stato approvato dal Consiglio dei ministri del 20 febbraio 2015.
Un disegno di legge contestato sia dagli ordini, sia da associazioni dei consumatori: il 9 marzo 2015 Altroconsumo ha inviato una lettera al presidente del Consiglio Matteo Renzi, al ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi e ai presidenti della X Commissione di Camera e Senato, chiedendo la possibilità di vendere i farmaci di fascia C (quelli a totale carico del cittadino) anche nei canali alternativi alle farmacie. Per lavoce.info, la riforma di Renzi sarebbe “un piccolo colpo alla fortezza delle professioni“, definite delle gilde medievali dall’economista dell’OCSE Thomas Manfredi proprio su questo blog. ( http://www.lavoce.info/archives/33358/l ... e-sporche/ )
Ernesto Galli della Loggia ha accusato gli ordini professionali di non essere stati capaci di “vedere i propri errori, di discuterli e magari di correggerli” (da Chi non si guarda allo specchio, Corriere della Sera, 26 febbraio 2015).
Io voglio andare oltre e mi domando e dico: perché non abolirli? Sapete quanti ordini professionali ci sono in Italia?
Ordini e collegi professionali italiani
L’ordine professionale è un ente organizzato e istituito per legge al fine di garantire la qualità delle prestazioni svolte, definire i limiti minimi e massimi dei prezzi, coordinare attività formative in quel determinato ambito disciplinare, gestire l’albo professionale. Spesso gli ordini hanno anche una loro cassa di previdenza.
I collegi professionali hanno gli stessi compiti e funzioni . L’unica differenza è che gli ordini raggruppano quelle professioni per cui è solitamente necessaria una laurea, mentre per far parte di un collegio professionale basta il diploma.
Stando al DM del 20 dicembre 2012, esistono 19 ordini e 8 collegi professionali, per un totale di 27 professioni che richiedono l’iscrizione all’albo. Le vediamo tutte in questo “album di famiglia”.
Clicca per ingrandire l’infografica: http://it.adviseonly.com/blog/wp-conten ... ordini.png
Nota: su segnalazione di un lettore, precisiamo che i maestri di sci possono anche essere riconosciuti a livello europeo, previo superamento dell’apposito Eurotest.
Qual è l’impatto degli ordini professionali sull’economia italiana?
È una domanda cui hanno cercato di rispondere dei recenti studi economici.
Uno studio coordinato da Pellizzari per la Fondazione Rodolfo Debenedetti nel 2011 rileva che mediamente il 38% dei figli svolge lo stesso lavoro dei padri. ( http://www.frdb.org/upload/file/family_ ... 050711.pdf )
La probabilità di svolgere una professione per cui occorre l’iscrizione a un ordine professionale è bassissima per un giovane che non ha un genitore iscritto all’ordine: da un minimo dell’1,67% per il figlio di un operaio a un massimo del 14,30% per il figlio di un insegnante.
Inoltre, lo studio dimostra che maggiore è la frequenza di un cognome in un albo professionale, maggiore è la velocità con cui si passa l’esame per entrare a far parte di un ordine professionale.
Medico, avvocato, farmacista e giornalista sono le professioni per le quali avere un familiare già iscritto all’ordine facilita maggiormente l’accesso.
Da ultimo, la ricerca valuta anche la qualità delle prestazioni dei membri di alcuni ordini professionali (commercialisti, avvocati, ostetriche, consulenti del lavoro, medici e geologi) e rileva che nelle due professioni con maggior nepotismo (commercialisti e consulenti del lavoro), le prestazioni erogate sono effettivamente peggiori.
Secondo gli autori dello studio, la ragione è molto semplice: i “figli d’arte” riescono ad accedere alle professioni a costi inferiori, e la mancanza di competizione permette anche ai meno capaci di iscriversi agli ordini professionali.
Infine, uno studio della Banca d’Italia sui farmacisti italiani del 2015 nota che i figli di questa categoria hanno una propensione maggiore a iscriversi alla facoltà di Farmacia. Secondo gli studiosi, le rendite di posizione legate alle farmacie – che aumentano con la diminuzione del numero di farmacie per abitanti – hanno un impatto significativo sulla scelta dei figli dei farmacisti di seguire le orme dei genitori. Contribuisce ad aumentare le probabilità di queste scelte dei figli anche una regolamentazione che permette loro di subentrare ai padri nella gestione delle farmacie.
Al contrario, una maggiore concorrenza tra farmacie diminuisce la probabilità che i figli dei titolari si iscrivano a una facoltà di Farmacia. Vediamo ora l’altro lato della medaglia: i benefici che recano con sé gli ordini professionali.
I vantaggi degli ordini professionali
Gli ordini professionali sono lodati perché controllano la professionalità dei loro iscritti ed erogano loro formazione.
Per quanto riguarda il controllo, permettetemi di nutrire alcuni dubbi. Non poche volte giornali e TV hanno parlato di medici e dentisti falsi che esercitavano abusivamente la professione. Peccato che la maggior parte delle volte siano stati scoperti da pazienti solerti o dalla Guardia di Finanza.
La questione della formazione si può ovviare facilmente: come in ogni altro settore, può essere lasciata a carico delle aziende che potrebbero, così, offrire i corsi più in linea con le loro esigenze e con quelle della clientela. Considerato ciò e l’impatto economico degli ordini, forse sarebbe ora di abolirli.
5 motivi per abolire gli ordini professionali
1. Immobilità sociale
L’Italia è una delle patrie dell’immobilità sociale, in cui i redditi dei figli sono più legati a quelli dei padri (uno degli 8 motivi della fuga dei cervelli, a nostro avviso). Parte di questa immobilità è legata all’ereditarietà delle professioni.
2. Difficoltà di accesso per gli outsider
L’immobilismo legato (anche) agli ordini professionali è una delle fonti di guai per il nostro mercato del lavoro, dove i lavoratori membri degli ordini sono ben tutelati e gli outsider che vogliono entrarci devono affrontare un vero e proprio percorso a ostacoli, fatto di:
esami di Stato;
corsi di specializzazione;
praticantati obbligatori, pagati poco o nulla.
Il tutto in palese conflitto d’interesse, a parere degli economisti Orsini e Pellizzari in “Dinastie d’Italia. Gli ordini tutelano davvero i consumatori?” (Università Bocconi editore), che scrivono: “L’accesso all’ordine è infatti regolato da chi esercita la professione e non ha alcuna intenzione di dare il via libera a chi è potenzialmente più bravo di lui”. Inutile dire che questo meccanismo è uno sberleffo alla meritocrazia.
3. Peggiori servizi per i consumatori
Gli autori notano anche che gli ordini sono deleteri per gli utenti, in quanto le restrizioni alla concorrenza non sono compensate da una maggiore qualità e trasparenza dei servizi per i consumatori.
4. Migliore performance delle aziende
L’abolizione degli ordini professionali porterebbe a una maggiore efficienza e a una migliore performance delle aziende (vedi gli studi di Bandiera et al., 2009 e di Pèrez-Gonzàles, 2006). Gli ordini professionali sono anche un freno all’innovazione: se fossero aboliti, si eliminerebbe uno dei “brevetti generalizzati” dell’Italia.
5. Il lavoro si impara sul campo
Per essere giudicato un professionista esperto, non basta avere il proprio nome iscritto su un elenco, né aver superato un esame. Si diventa professionisti sul campo con impegno ed esperienza, non per merito di un registro.
Non a caso, un giovane che ha appena conseguito un MBA o una laurea a pieni voti in Economia o Ingegneria, se assunto da un’impresa come lavoratore dipendente, non è promosso automaticamente a direttore d’azienda, ma parte da una posizione junior.
Per tutti questi motivi, sarebbe ora di tornare a parlare di liberalizzazione delle professioni in Italia. Un tema vecchio quanto il mondo: ne parlava già Luigi Einaudi nel lontano 1955. In un libro dal titolo tuttora azzeccato e attuale: “Prediche inutili”.
L'autrice:
Laureata in Management presso l’Università Bocconi nel 2012, con una tesi sull’inattività giovanile in Italia. Da studentessa, ha collaborato con i media universitari Radio Bocconi e Tra i Leoni e al di fuori delle mura accademiche con Campus (Gruppo Class Editori) e Real World Magazine (Gruppo Potentialpark). In Saipem si è invece occupata di accertamenti giuridici nell’area Risorse Umane. Dopo la laurea, è stata assistente ai programmi di politica, economia e finanza a Radio 24 (Gruppo 24 Ore), nonché redattrice economica di Arcipelago Milano. I suoi principali interessi sono economia e comunicazione online. La distraggono da grafici e dati solo arte, cinema, teatro e buone letture.
http://it.adviseonly.com/blog/multimedi ... in-italia/