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Trattato di Scenghen

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Trattato di Scenghen

Messaggioda Robyn il 02/09/2015, 0:12

E' difficile esprimere un sentimento di fronte alle posizioni dell'uk per quel che riguarda lil tratato di scenghen
che in Europa è dato per acquisito.Gli inglesi sono un popolo solidarista anche quelli di destra dalla gentilezza per natura amanti della liberaldemocrazia ma non sono tutti uguali,esistono anche quelli particolamente egoisti e dalla durezza d'animo probabilmente il governo inglese insegue questi
Locke la democrazia è fatta di molte persone
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Re: Trattato di Schengen

Messaggioda franz il 02/09/2015, 7:41

Bisogna considerare che Regno Unito ed Irlanda NON hanno (mai) aderito all'area di Schengen
https://it.wikipedia.org/wiki/Accordi_di_Schengen
https://it.wikisource.org/wiki/Accordo_ ... iugno_1985
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Re: Trattato di Scenghen

Messaggioda flaviomob il 04/09/2015, 13:14

Si parla di sospendere Schengen per l'emergenza migranti. Al contrario, si può fare una scelta civile e solidale: sostenere chi aiuta i migranti e i più deboli in maniera seria, sobria, efficace.

http://www.casadellacarita.org/flex/cm/ ... IDPagina/1


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Re: Trattato di Scenghen

Messaggioda franz il 04/09/2015, 17:57

flaviomob ha scritto:Si parla di sospendere Schengen per l'emergenza migranti. Al contrario, si può fare una scelta civile e solidale: sostenere chi aiuta i migranti e i più deboli in maniera seria, sobria, efficace.

http://www.casadellacarita.org/flex/cm/ ... IDPagina/1

Schengen riguarda la libera circolazione dei cittadini UE.
Non mi pare che i migranti c'entrino con Schengen.
Caso mai è Dublino, il luogo di riferimento. È il trattato che implica che la periferia si prenda carico dei richiedenti d'asilo e che il paese in cui si fa la domanda sia anche quello in cui il richiedente è "confinato". Un accordo sicuramente da rivedere in favore di una ripartizione equa dei richiedenti tra le varie nazioni UE. Schengen o non Shengen. Naturalmente il problema dei richiedenti Asilo è a parte rispetto a quello dei migranti in genere. Ma oggi le regole dicono che è il paese di ingresso a dover fare le pratiche per distinguere tra rifugiato politico e rifugiato economico. La Germania ha scompaginato le acque aprendo a tutti i siriani, indipendentemente. Perché è chiaro che fuggono da una guerra. Una guerra che l'occidente non ha saputo/voluto bloccare (per l'immancabile veto dell'alleato russo).

Vorrei pero' provare a innescare una riflessione.
Le immagini dei profughi dall'africa e dal medio oriente non riguardano questi casi:

Immagine

Questi non li vedete sulle navi e sui gommoni. Questi non hanno 3'000 dollari per il viaggio. E si legge che piu' uno è ricco e piu' puo' permettersi viaggi lunghi ed alternativi. Da Nord. L'ingresso dalla Svezia costa fino a 10'000 dollari.

Dovremmo ragionare sul tipo di fuga che avviene, non dico dalla siria, che è chiaro, ma da altri paesi.
Probabilmente stiamo di fatto aiutando chi ha abbastanza soldi per fuggire ma non chi ha ancora drammaticamente piu' bisogno.
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Re: Trattato di Scenghen

Messaggioda pianogrande il 04/09/2015, 23:56

Giusta riflessione.

Guardando queste immagini, l'invito ad "aiutarli a casa loro" suona molto meno retorico e ipocrita.

Suona anzi come una urgenza.

Tante volte basterebbe pochissimo.
Fotti il sistema. Studia.
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Open borders

Messaggioda franz il 07/09/2015, 7:34

Le idee libertarie sull’immigrazione alla prova della sfida politica, giuridica e culturale dell’Europa

di Carlo Lottieri | 05 Settembre 2015 ore 06:03

L’inchiesta del Foglio sul dibattito liberale e libertario in tema di apertura delle frontiere può favorire una seria riflessione anche all’interno del quadro europeo. In questi giorni la questione dei migranti ha una gravità tutta particolare, in ragione dei barconi nel Mediterraneo, ma nulla è davvero nuovo se si considera che già nel 2000 la Divisione sulla popolazione delle Nazioni Unite pubblicò proiezioni demografiche relative ad alcuni paesi particolarmente colpiti dall’invecchiamento e uno di questi scenari ipotizzava che nel 2050 proprio nel nostro paese ci saranno circa 40 milioni di immigrati. Per giunta la tesi secondo cui l’immigrazione va favorita al massimo non è, a ben guardare, confinabile al contesto americano. In particolare, quando l’economista Bryan Caplan associa aumento della popolazione e crescita economica egli non fa che riprendere argomenti ben noti che valgono – e da sempre – anche per gli europei. Pure senza risalire agli scritti di David Hume sulla populousness delle grandi civiltà antiche, l’idea secondo cui più persone vuol dire avere più possibilità di contratti, più ingegni “al lavoro”, più concorrenza, poggia su solide basi. E si può sostenere che quanti per decenni hanno demonizzato la “population bomb” avevano torto, mentre al contrario è chiaro che in linea di massima la crescita demografica favorisce la crescita tout court.

C’è insomma una solida correlazione tra l’ampiezza della popolazione e la piena espressione delle potenzialità umane, e questo risulta evidente quando si consideri l’arretratezza delle popolazioni dell’Africa e degli aborigeni dell’Australia. Se nei secoli scorsi gli esploratori europei s’imbatterono in società tecnologicamente arretrate questo si deve, in larga misura, a una demografia caratterizzata da piccole comunità spesso isolate.

In un volume ormai classico, Julian Simon ha attaccato il neo-malthusianesimo della cultura ecologista sostenendo che la risorsa definitiva (e “The Ultimate Resource” è proprio il titolo del suo lavoro più importante) è l’uomo. Più persone vuol dire più scambi e più capitale umano.

Questo è il mercato, quando gli si lascia libero corso. Ma che succede in una società di welfare e cioè nel mondo reale in cui viviamo?

La tesi che si debbano aprire le frontiere in modo indiscriminato è rigettata da quei liberali persuasi che in un contesto di welfare gli aspetti positivi dell’immigrazione sarebbero ampiamente controbilanciati da quelli negativi. In particolare, Hans-Hermann Hoppe pensa che in una società caratterizzata da un’ampia presenza di beni collettivi muoversi da uno stato all’altro comporta l’accesso a beni pubblici altrui e può stimolare politiche redistributive. I “nuovi poveri” bisognosi di lavoro, casa, assistenza, sanità e istruzione gratuite sono una notevole opportunità per i governanti democratici, che possono moltiplicare la redistribuzione ed estendere il loro potere grazie al consolidarsi di comportamenti parassitari. Per Hoppe la totale libertà di movimento è legittima in una società del tutto privatizzata e rispettando certi criteri (non emigrando, insomma, ma “traslocando”), mentre non lo è necessariamente in una società ad ampio intervento pubblico: dal momento che accedere a risorse collettive di un altro stato significa mettere le mani su beni non propri. Questo è vero, ma basta a condannare la tesi degli “open borders”? Difficile dirlo. Non è infatti agevole trovare una conferma rigorosa alla tesi secondo cui i sistemi di welfare prenderebbero ai ricchi per dare ai poveri, e di conseguenza l’arrivo di immigrati poveri preluderebbe a un’ulteriore crescita dei poteri pubblici. E se non siamo in grado di dire che i sistemi di welfare danno ai poveri più di quanto non prendano loro, alla fine l’obiezione agli “open borders” si fa più debole. E nonostante ciò sembra difficile immaginare che in Europa si possano agevolmente trapiantare le tesi libertarie più favorevoli a un’immigrazione senza limiti.

Nuovi arrivati, welfare e cultura
In primo luogo, c’è una questione sociale e politica. Se è vero che in senso stretto l’economia ha molto da guadagnare dall’arrivo di immigrati che possono offrire competenze nuove e rafforzare la concorrenza sul mercato del lavoro, al contempo non si può ignorare come la lotta tra poveri – specie nell’accesso ai servizi di welfare – può favorire il successo di fenomeni politici variamente estremisti, populisti, xenofobi. Oltre a ciò, lo spostamento di intere popolazioni è frequentemente associato a un aumento della criminalità. Gli italiani portarono la mafia in America e oggi non ci possiamo sorprendere di trovare molti stranieri nelle nostre carceri.

C’è poi una delicata questione culturale. Nel modello idealizzato di società libera delineato da Hoppe, tendenzialmente ognuno va a vivere in contesti culturali coerenti con i propri valori. In una città sottratta alle logiche della pianificazione urbanistica e sociale ogni individuo cerca di avere “concittadini” in sintonia con la propria idea di vita e società. Nel mercato noi scegliamo e, automaticamente, anche escludiamo. Nell’Europa odierna, invece, una massiccia immigrazione dal sud del mondo verrebbe avvertita da molti come inopportuna e sgradevole: come un venir meno di valori, forme di vita, princìpi, tradizioni culturali. Le cose sarebbero assai diverse in un’ipotetica Europa privatizzata, dove qualcuno accoglierebbe immigrati presso di sé e molti altri, però, assolutamente no. Anche per questo motivo non è sicuro che i benefici degli accresciuti scambi connessi all’arrivo di nuova popolazione compensino, agli occhi dei più, i costi che si accompagnano a tutto questo. La stessa tesi, molto popolare a sinistra, secondo cui l’immigrazione potrebbe salvare il sistema previdenziale pubblico non è di facile valutazione. L’idea è che quanti arrivano dall’Africa o dall’Asia permetterebbero di salvaguardare un ragionevole rapporto numerico tra giovani e anziani: perché in generale gli immigrati sono più giovani e si riproducono maggiormente. Ma in un recente convegno di ImpresaLavoro tenutosi a Roma la demografa Michela Pellicani dell’Università di Bari ha sottolineato come le cose non stiano proprio in questi termini o, meglio, solo parzialmente.

L’invecchiamento della popolazione è sempre in primo luogo connesso a bassa fertilità, ma rapidamente gli immigrati adottano comportamenti riproduttivi simili a quelli della popolazione originaria. Da questo discende che non si può contare neppure sugli immigrati per raddrizzare i conti della nostra previdenza collettivizzata: facendo arrivare nuovi giovani allo scopo di mantenere i “nostri” vecchi.

Oltre a ciò, la possibilità di vivere entro un contesto giuridico stabile viene meno quando non c’è sintonia di carattere culturale tra le persone che interagiscono quotidianamente. Al di là dei vantaggi “economici” associati alla concorrenza di mercato e ai costi “politici” legati alla redistribuzione del welfare, bisogna allora tenere in considerazione i problemi “giuridici” connessi alle tensioni di una società composta da persone troppo differenti, incapaci di dialogare, distanti. Perché la questione culturale è destinata presto ad avere conseguenze sull’ordine legale, dato che quello che per taluni è un crimine ad altri può apparire legittimo e anzi doveroso. Per giunta, l’Europa ha spesso adottato un’idea di cittadinanza e immigrazione che rende più difficile che non in America l’arrivo di milioni di immigrati. Irlandesi e polacchi, italiani ed ebrei, cinesi e coreani, e via dicendo, hanno potuto diventare americani senza dover del tutto abbandonare le proprie radici. Anzi, i figli dei siciliani arrivati nel New Jersey sono diventati americani facendosi “italo-americani”. In Europa le cose sono andate diversamente e vi è una tipica frustrazione di seconda e terza generazione ben nota, tra l’altro, a quanti si occupano di terrorismo.

Sembra insomma, che non esista un algoritmo in grado di dirci se le frontiere vanno aperte e quanto. I libertari ragionano in modo corretto quando esaminano il loro modello di società privata (e hanno ragione a sostenere che ogni problema ora connesso all’immigrazione sarebbe meno grave se lo stato tassasse e spendesse meno), ma poi sono in ovvia difficoltà quando con i loro criteri di giustizia e le loro considerazioni di teoria economica si confrontano con questo mondo largamente socialista, collettivizzato, burocratizzato. Il dibattito resta aperto e, con ogni probabilità, conviene proprio navigare a vista. Senza mai abbandonare il buon senso.

http://www.ilfoglio.it/cronache/2015/09 ... e_c973.htm
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Re: Trattato di Scenghen

Messaggioda pianogrande il 07/09/2015, 11:23

Contiene un po' di tutto questo articolo e finisce per non dire molto.

No.
Credo anche io "che non esista un algoritmo".
Esistono però le società con le loro regole, tendenze, aspettative, comportamenti.
Giuste, sbagliate, superate, socialiste, liberiste, umanitarie, egoistiche... esistono.
Quando si affronta un problema politico, alla fine, è di regole che si parla.
Regole che dovrebbero tenere conto di tutti i fattori, le variabili, che caratterizzano una società.

Tra questi fattori c'è la ricerca di stabilità, di sicurezza e il timore generato da ciò che è precario, imprevedibile, incontrollabile...

Quindi un mondo senza regole o quasi, come l'articolo evoca parlando di emigrazione, non potrà mai esistere perché sarebbe un mondo di non umani.

Se vogliamo metterla dal punto di vista del mercato, la politica risponde a una fortissima domanda di regole.
Naturalmente di buone regole e quello è il problema e non la loro necessità.

Figuriamoci se si potrebbe ipotizzare una migrazione senza regole.

Una ideologia assolutamente da superare è che sia naturale solo ciò che è lasciato al caso, alla selezione (naturale, appunto).
Naturale solo ciò che è al di fuori del controllo degli umani.
Gli umani stessi non dovrebbero auto controllarsi e auto gestirsi pena la innaturalità.

E' questo concetto distorto e limitativo che va superato.
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Re: Open borders

Messaggioda trilogy il 07/09/2015, 12:08

franz ha scritto:Le idee libertarie sull’immigrazione alla prova della sfida politica, giuridica e culturale dell’Europa

di Carlo Lottieri | 05 Settembre 2015 ore 06:03

....C’è insomma una solida correlazione tra l’ampiezza della popolazione e la piena espressione delle potenzialità umane, e questo risulta evidente quando si consideri l’arretratezza delle popolazioni dell’Africa e degli aborigeni dell’Australia..


Il Rinascimento italiano fiorì in piccole comunità cittadine spesso in guerra tra loro...
Per prendere due paesi vicini: Egitto ed Eritrea quasi 100 milioni di abitanti ciascuno dovrebbero essere all'avangurdia della crescita e del benessere, invece chi può scappa...
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Re: Trattato di Scenghen

Messaggioda franz il 07/09/2015, 12:53

In effetti la correlazione non è molto solida come l'autore sostiene. Forse andrebbe rettificata considerando la densità di popolazione (altissima quella olandese e di singapore) e pur sempre considerando gli stati occidentali, ma alla fine cosi' facendo non si fa che definire correlazioni che si autosostengono escludendo tutto cio' che non soddisfa i requisiti di chi vuole farla quadrare. Va comunque detto che per avere un sistema economico che funzioni occorrono persone, tante e qualificate.
Piu' sono e meglio è? Forse ma non credo. Qualche limite deve pur esserci. Io a Singapore (6700 abitanti per km2) non ci vivrei.
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Re: Trattato di Scenghen

Messaggioda trilogy il 07/09/2015, 14:53

franz ha scritto:Piu' sono e meglio è? Forse ma non credo. Qualche limite deve pur esserci. Io a Singapore (6700 abitanti per km2) non ci vivrei.


A gaza sono quasi 10 mila abitanti per km2, situazione pressochè invivibile
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