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Giannino: I numeri che non tornano nel DEF “vero”

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Giannino: I numeri che non tornano nel DEF “vero”

Messaggioda franz il 12/04/2015, 17:15

I numeri che non tornano nel DEF “vero”, rispetto agli annunci: fisco, sanità, Enti Locali

di Oscar Giannino, su LeoniBlog

Ora che disponiamo della versione integrale e ufficiale del Documento di economia e Finanza del governo e degli allegati, si può farne un esame non più basato sulle illazioni. Con una premessa, purtroppo inevitabile. Non aiuta a nutrire fiducia la pessima figura rimediata ieri dall’esecutivo, quando si è scoperto che nel decreto legislativo sulla decontribuzione dei contratti a tempo indeterminato si prevedeva una clausola di salvaguardia alla Totò-truffa per la quale, visto che 1,8 miliardi potrebbero non bastare, raggiunta quella cifra sarebbero state le imprese e i lavoratori a vedersi aumentare i contributi. Gli sgravi pagati da coloro ai quali il governo li dispone mancavano, nella variopinta serie delle trovate circensi della politica. Il governo è stato costretto a una precipitosa marcia indietro, sorpreso con le dita nella marmellata su un aspetto paradossale, che aveva sempre nascosto. Non è una buona premessa per far saltare le clausole di salvaguardia fiscale per 2 punti di Pil previste nei prossimi 3 anni, ma tant’è. Sul DEF, procediamo per punti.

Il tesoretto. Renzi è stato abile, ha timbrato il DEF come la prima disponibilità di un tesoretto da spendere subito, dopo anni di strette. Viene naturale associare l’idea di un tesoretto a risultati virtuosi intanto conseguiti. Peccato che quel miliardo e seicento milioni che Renzi deciderà di usare vedremo come, se estendendo il bonus 80 euro o se in misure a sostegno della povertà, e guarda caso lo deciderà pochi giorni prima delle elezioni regionali in arrivo, sia di maggior deficit pubblico per il 2015, che passerà dal 2,5% del Pil al 2,6%. Deficit, non virtù. Ed è è l’intero DEF, in realtà, a essere molto diluente sugli obiettivi di perseguire fino al 2018. La scelta è di non accelerare energicamente gli interventi sulla spesa per adottare subito energici sgravi fiscali aggiuntivi e consolidare così l’esile ripresa in corso. Peccato: a fine 2016 finisce il QE della BCE, il grande regalo di cui stiamo beneficiando e che abbatte anche il valore dell’euro trainando l’export. Diluendo gli obiettivi rischiamo di perdere la grande occasione.

Il vero merito. C’è una grande scelta positiva, nel DEF. L’impegno a far saltare la clausola di salvaguardia fiscale che lo stesso governo aveva assunto nel 2016 per 1 punto di PIL, con aggravi di IVA e accise (più due altre clausole minori previste dai governi precedenti). Sarebbe stata una batosta. Viene annullata per lo 0,4% del Pil grazie ai minori interessi sul debito regalataci da Draghi, e per lo 0,6% con tagli di spesa che rappresentano tutto il nuovo sforzo sulla spesa del DEF, rispetto a quanto già stabilito per i prossimi anni nell’ultima legge di stabilità. Ma fu un demerito dell’attuale governo prevedere le clausole perché non abbracciò i tagli di Cottarelli un anno fa (che dovevano essere di 7 miliardi nello stesso 2014, poi di 16 nel 2015 e di 34 nel 2017). Dunque il demerito di allora si pareggia rimediando con la cancellazione: ma sempre errore di questo governo era stato.

La crescita
. Il governo è prudente sul 2015, limitandosi a una attesa di crescita dello 0,7%. Ma fin dal 2016 si scommette su una crescita reale doppia e su una componente di inflazione che risale rapidamente verso il 2% tra 2015 e a 2016: dunque una crescita nominale che dovrebbe essere più vicina al 3% che al 2%. E’ questo quadro, a reggere tutte le stime di finanza pubblica. A fronte del poco che si fa su spesa e tasse, è molto ottimistico. Perché – tranne che per il Jobs Act – dipende in realtà da un commercio mondiale che torni ad aumentare del 4% e ben oltre il 5% tra 2016-2018 , e da un petrolio che non salga per tutti i prossimi anni sopra i 57 dollari al barile. Incrociate le dita.

Le tasse. La versione finale del DEF ha mutato la scansione della pressione fiscale, che dal 43,5 del PIL a cui era salita nel 2014 e restava nel 2015 cresceva ulteriormente al 44,1% nel 2016 e 2017. La nuova tabella è basata sull’assunto caparbio che gli 80 euro vanno contati come meno tasse e non più spese – come accade invece per criterio contabile europeo – e dunque in base a questo afferma che la pressione fiscale scenderà dal 43,5% del Pil al quale restava nel 2015 al 42,9% quest’anno, per poi decrescere nel 2016 al 42,6%, e via via fino al 41,1% nel 2019. La diminuzione rispetto al previsto ingloba per quest’anno il criterio degli 80 euro come meno tasse, ma se l’Europa non l’approva la pressione resterà al 43,5%. Per gli anni a venire, oltre il solito criterio sugli 80 euro si sommano le mancate clausole fiscali, che dovrebbero saltare a partire dal 2016. Ma attenzione, sono previsioni al netto di che cosa potrebbe avvenire ripetendo quanto accaduto dal 2008 ad oggi: quando i tagli alle Autonomie sono state compensati per oltre un terzo da aumenti della pressione fiscale locale. Fidarsi è bene, ma non fidarsi è meglio, finché un governo non deciderà sgravi universali per tutti abbassando questa o quella aliquota di questa o quella tassa.

Nessun taglio
. E’ l’annuncio del governo. Che va interpretato: si legge così: nessun taglio aggiuntivo a quelli già disposti per i prossimi anni dall’ultima legge di stabilità. Che sono puntualmente riportati nelle tabelle del DEF. Intendiamoci: poca roba. La spesa pubblica complessiva è stata del 51,1% del Pil nel 2014. Se levate gli interessi sul debito, la spesa primaria è del 46,5% del PIL. Dovrebbe scendere gradualissimamente al 43,3% del PIL solo entro il 2019, mentre gli interessi sul debito passerebbero dal 4,6% del 2014 fino al 3,7% fino al 2019, non si capisce in base a quale ottimismo sull’orizzonte successivo alla fine del QE della BCE. Se esaminate le tabelle programmatiche dei grandi aggregati della spesa pubblica a venire, troverete che un solo comparto scende significativamente, quello dei consumi intermedi cioè delle forniture, che dovrebbe passare dai 134 miliardi 2014 pari all’8,3% del PIL al 7,8% nel 2016 e via via fino al 7% in altri 3 anni. Nessun’altra grande voce, stipendi e pensioni, presenta diminuzioni comparabili, né superiori allo 0,3-0,4% del Pil in 5 anni.

Stato e Autonomie. Il più della non troppo rilevante riduzione della spesa pubblica complessiva – dal 50,5% del PIl in questo 2015 al 49,4% nel 2016 al 48,6% nel 2017 – ha però un andamento previsionale asimmetrico. La spesa corrente di cassa dello Stato centrale sale dal 26,6% del PIL nel 2014 al 28,1% nel 2015, al 29,1% nel 2016, e al 29,2% nel 2017. Quella degli Enti Locali scende dal 13,7% del Pil 2014 al 13,1% nel 2015, al 12,7% nel 2016, e continua a scendere fino all’11,9% nel 2018. Ecco l’allarme rosso: i tagli veri alle Autonomie restano, sono già disposti. E i contribuenti devono vivere questa prospettiva sapendo che, con la nuova local tax in arrivo sul mattine al posto di IMU-TASI o con sovrattasse come quelle ai passeggeri di porti e aeroporti, la pressione fiscale può risalire per compensare parte dei tagli veri che lo Stato non vuole per sé. ma dispone alle Autonomie locali.

La sanità. Indispettito per la protesta preventiva delle Regioni, Renzi alla conferenza stampa del DEF ha sparato contro le troppe ASL che restano in Italia. Abbia ragione o no, nel DEF però i numeri raccontano un’altra sttoria. La sanità nel 2014 è costata 111 miliardi, con un +0,9% sul 2013, ed era composta da spese per personale di 35,4 miliardi, forniture per 29,6mld, prestazioni per 39,6 miliardi. Nel 2015 costerà lo 0,2% in più poiché le spese di personale e forniture salgono, e scende a 38,8 la spesa per prestazioni. Nel 2016 è previsto che la sanità costi l’1,9% in più, per 113 miliardi. Nel 2017 la spesa diventa di 115,5, nel 2018 di 117,7 e nel 2019 di 120 miliardi, con tassi di aumento del 2% l’anno. Quella di Renzi era un’ottima battuta, peccato che i conti del governo dicano cose diverse.

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Re: Giannino: I numeri che non tornano nel DEF “vero”

Messaggioda franz il 13/04/2015, 7:33

Continua l'alanisi del DEF pubblicato il 10 di Aprile.

Fisco: Unimpresa, stangata da 100 miliardi nei prossimi 5 anni

Immagine

Comunicato stampa di Unimpresa:

L’analisi del Centro studi dell’associazione sul Def appena approvato dal governo: dal 2015 al 2019 le entrate tributarie e previdenziali in costante aumento, fino a 881 miliardi. Pressione fiscale sopra il 44%. Su Irpef, Ires e Iva giro di vite da quasi 80 miliardi. Niente spending review: la spesa della pa salirà nel quinquennio di quasi 38 miliardi. Tesoretto spread da 7,8 miliardi bruciato dagli sprechi. Sterilizzati gli investimenti pubblici: le uscite in conto capitale ferme a 60 miliardi l’anno. Il presidente Longobardi: “Così non si salva il nostro Paese, presi in giro”.
Una stangata fiscale da oltre 100 miliardi di euro nei prossimi 5 anni. Dal 2015 al 2019 le entrate tributarie dello Stato cresceranno costantemente e arriveranno fino agli 881 miliardi del 2019. Complessivamente nel prossimo quinquennio i contribuenti italiani dovranno versare nelle casse pubbliche 104,1 miliardi in più rispetto allo scorso anno (+13%). Sulle imposte dirette e indirette – principalmente Irpef, Ires e Iva – ci sarà una stretta da quasi 80 miliardi. E la pressione fiscale salirà oltre il 44%. Il bilancio statale non sarà sforbiciato: le uscite cresceranno di quasi 38 miliardi (+4%) e sono stati sterilizzati gli investimenti pubblici, che resteranno stabili attorno ai 60 miliardi l’anno. Questi i dati principali di un’analisi del Centro studi di Unimpresa che ha preso in esame le tabelle del Documento di economia e finanza (Def) approvato il 10 aprile scorso dal consiglio dei ministri.

GIRO DI VITE SU IRPEF, IRES E IVA DI 79,4 MILIARDI
Secondo l’analisi dell’associazione, nel 2015 le entrate tributarie e previdenziali saliranno a quota 785,9 miliardi dai 777,2 miliardi del 2014; nel 2016 cresceranno ancora a 818,6 miliardi e poi a 840,8 miliardi nel 2017; nel 2018 e nel 2019 arriveranno rispettivamente a 863,2 miliardi e a 881,2 miliardi. Complessivamente, nel quinquennio si registrerà un incremento di 104,01 miliardi (+13,38%). Aumenteranno sia le entrate tributarie sia quelle derivante dai cosiddetti contributi sociali (previdenza e assistenza). Per quanto riguarda le entrate tributarie l’aumento interesserà sia le imposte dirette (come quelle sui redditi di persone e società, a esempio Irpef e Ires) sia le imposte indirette (tra cui l’Iva): le imposte dirette cresceranno in totale di 34,2 miliardi (+14,43%) mentre le indirette subiranno un incremento di 45,5 miliardi (+18,43%). Il sostanziale giro di vite su Irpef, Ires e Iva sarà pari a 79,4 miliardi (+16,36%). I versamenti relativi alla previdenza e all’assistenza cresceranno dal 2015 al 2019 di 22,02 miliardi (+10,18%).

PRESSIONE FISCALE STABILE SOPRA IL 44%, PIL TIMIDO
L’incremento delle entrate tributarie e di quelle contributive farà inevitabilmente salire la pressione fiscale. Nello stesso Def, il peso delle tasse rispetto al pil è infatti previsto in aumento: quest’anno si attesterà al 43,5% (stesso livello del 2014), nel 2016 e nel 2017 salirà al 44,1%, nel 2018 si fermerà al 44% per poi calare leggermente al 43,7% nel 2019. Nello stesso arco di tempo, la crescita economia, stando alle previsioni del governo, sarà timida: il pil non farà scatti in avanti significativi ed è infatti dato in aumento dello 0,7% nel 2015, dell’1,4% nel 2016, dell’1,5% nel 2017, dell’1,4% nel 2018 e dell’1,3% nel 2019.

BILANCIO STATALE SU DI 37 MILIARDI: BRUCIATO IL TESORETTO SPREAD DA 7,5 MILIARDI
Nessun intervento rigoroso sul bilancio statale: le uscite saliranno costantemente rispetto agli 826,2 miliardi del consuntivo 2014. Nel 2015 saliranno a 827,1 miliardi, nel 2016 a 842,1 miliardi, nel 2017 a 844,6 miliardi, nel 2018 a 854,4 miliardi e nel 2019 a 864,1 miliardi. Complessivamente, nel quinquennio si registrerà un incremento della spesa pubblica pari a 37,8 miliardi (+4,58%). L’incremento è legato esclusivamente alle uscite correnti (acquisti, appalti, stipendi) che, nel quinquennio, aumenteranno di 44,6 miliardi (+6,45%). In diminuzione, invece, la spesa per interessi sul servizio del debito che beneficerà verosimilmente della riduzione del divario di rendimento tra i titoli di Stato italiani e quelli tedeschi: il tesoretto legato allo spread sarà pari a 7,5 miliardi tra il 2015 e il 2019 (-10,03%), ma verrà di fatto bruciato dagli aumenti delle altre voci di spesa, piene di sprechi non toccati. Resta invariata, invece, la voce “uscite in conto capitale”, che corrisponde agli investimenti pubblici, stabile attorno a circa 60 miliardi l’anno: nel quinquennio si registrerà un lievissimo incremento pari a 724 milioni (+1,23%).

LONGOBARDI: “LE TASSE AUMENTANO E GLI SPRECHI RESTANO INTATTI”
“Di fronte a questi numeri – commenta il presidente di Unimpresa, Paolo Longobardi – c’è poco da dire: come rappresentanti delle micro, piccole e medie imprese italiane ci sentiamo presi in giro, perché non possiamo ignorare lo spread esistente dagli annunci del governo ai provvedimenti e ai numeri messi nero su bianco dopo le sedute del consiglio dei ministri. Sta di fatto che le tasse aumentano e gli sprechi del bilancio pubblico restano intatti: non è questo il modo per salvare il nostro Paese”.

http://www.unimpresa.it/fisco-unimpresa ... anni/10608
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Re: Giannino: I numeri che non tornano nel DEF “vero”

Messaggioda trilogy il 13/04/2015, 7:43

franz ha scritto:I numeri che non tornano nel DEF “vero”, rispetto agli annunci: fisco, sanità, Enti Locali

di Oscar Giannino, su LeoniBlog

La sanità nel 2014 è costata 111 miliardi, con un +0,9% sul 2013, ed era composta da spese per personale di 35,4 miliardi, forniture per 29,6mld, prestazioni per 39,6 miliardi.

Nel 2015 costerà lo 0,2% in più poiché le spese di personale e forniture salgono, e scende a 38,8 la spesa per prestazioni. Nel 2016 è previsto che la sanità costi l’1,9% in più, per 113 miliardi. Nel 2017 la spesa diventa di 115,5, nel 2018 di 117,7 e nel 2019 di 120 miliardi, con tassi di aumento del 2% l’anno. Quella di Renzi era un’ottima battuta, peccato che i conti del governo dicano cose diverse.

http://www.leoniblog.it/2015/04/12/i-nu ... ti-locali/


L'equazione chiave dello Stato italiano: meno prestazioni a costi crescenti.
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Re: Giannino: I numeri che non tornano nel DEF “vero”

Messaggioda franz il 15/04/2015, 7:33

La ripresa di Renzi: salari più tassati e pil basso

L’Ocse: nel 2014 fisco al 48,2%. Il Fmi stima che il costo del lavoro salirà anche nel 2015

Salari sempre più tassati. Nel 2014 la pressione del fisco è salita dello 0,4% arrivando al livello record di 48,2%. Il peso maggiore è percepito dalle famiglie monoreddito e dai single. Nel primo caso e in presenza di due figli, è stato toccato il 39%, (0,5 punti percentuali in più del 2013) mentre per chi vive da solo, il cuneo è aumentato di 0,37 punti al 48,2%.

A fare lo screening dell’Italia è l’Ocse nel rapporto Taxing Wages 2015. La media dei Paesi aderenti all'organizzazione internazionale è stata pari, lo scorso anno, al 36%, con un aumento sul 2013 di 0,1 punti. Nel dettaglio, in Italia pesa per il 16,7% la tassazione sul reddito e per il 31,5% gli altri contributi, tra cui quelli per la sicurezza sociale. Il nostro Paese si colloca al sesto posto su 34 per il prelievo sui salari. Al primo posto c'è il Belgio, con il 55,6%, al secondo l'austria, con il 49,4%, e al terzo la Germania, con il 49,3%. Tutte realtà in cui l’alta tassazione è il corrispettivo di servizi di qualità. Seguono Ungheria (49%) e Francia (48,4%). La Spagna ha un livello di tassazione del 40,7%.

Sull’aumento del costo del lavoro in Italia insiste anche il Fondo Monetario internazionale che stima per il 2015 un aumento dell'1,0% e per il 2016 dell'1,1%, laddove in Spagna questo valore dovrebbe essere in calo nel 2015 per il settimo anno consecutivo (-0,4%).

Non solo. L’Istituto di Washington ridimensiona le previsioni ottimistiche del governo sulla crescita. Per gli economisti dell’Fmi il nostro Paese crescerà molto meno del resto d’Europa. Quest'anno il Pil salirà di un modesto 0,5% per poi accelerare all'1,1% nel 2015. Il governo nel Def (il Documento di economia e finanza) stima invece un +0,7% nel 2015 e +1,4% nel 2016. L'Eurozona invece salirà dell'1,5% quest'anno (più del doppio dell'Italia) e nel 2016 dell'1,6%. Ad esempio per la Germania la crescita è vista nel biennio rispettivamente a +1,6 e +1,7% (+0,3 e +0,2 punti), mentre la Francia registrerà un Pil +1,2 e +1,5% (+0,3 e +0,2 punti). L'accelerazione maggiore del Pil si avrà in Spagna, che crescerà del 2,5 e del 2% (+0,5 e +0,2 punti). Insomma l’Italia arranca in coda.

Mentre l’Europa comincia a risollevare la testa, Gli Stati Uniti corrono ad un ritmo di oltre il 3%.

La basse crescita in Italia si riflette negativamente sulle altre variabili. A cominciare dalla disoccupazione che resta molto alta nonostante la limatura dal 12,6% al 12,3% del 2016. Secondo il Fmi per invertire la tendenza, servono forti tagli di tasse e programmi di formazione più incisivi. Il debito resterà molto elevato: quest'anno al 133,8% e nel 2016 al 132,9%. Solo nel 2020 dovrebbe attestarsi al 122,4%.

Renzi, però, non ci sta. Sfrutta la platea del Salone del Mobile di Milano per dire che «l'Italia ha tutto ciò che serve per essere uno dei Paesi che nei prossimi anni crescerà più di tutti gli altri». Poi se l’è presa con i professionisti del lamento: «Smettiamo di piangerci addosso non si fa tutto dalla mattina alla sera. L'Italia ha un sacco di problemi, ma ce la facciamo».

Laura Della Pasqua
http://www.iltempo.it/politica/2015/04/ ... -1.1404286
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Re: Giannino: I numeri che non tornano nel DEF “vero”

Messaggioda franz il 15/04/2015, 8:53

E visto che ci siamo, un interessante confronto fiscale tra ITA, USA e DE dove si scopre che la germania è quella che tassa meno i redditi bassi, che siano dei dipendenti che degli imprenditori.
Ci sono tre tabelle che vi invito ad esaminare, direttamente nell'articolo linkato.

http://www.leoniblog.it/2015/04/13/renz ... ardellini/

Sta per essere varato il Documento di Economia e Finanza del 2015. Non è nostra intenzione entrare nel merito della questione, ma la dichiarazione soddisfatta “non ci sono tagli e non c’è un aumento delle tasse” sembra che non si addica a un premier che abbia intenzione di far cambiare verso a questo Paese; essa offre anzi lo spunto per alcune considerazioni critiche.

Anche ammesso che sia così, ci si può ancora accontentare di non aumentare le tasse?

E teniamo conto che quando un Governo italiano non aumenta le tasse, aumenta i contributi ( che possono a buon diritto essere considerati una tassa sociale: non comportano un servizio definito, non sono riscattabili, vengono erogati solo nel lungo periodo).

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