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La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Messaggioda gi.bo. il 11/11/2014, 16:28

La fine del lavoro
La fine del lavoro e’ un bel libro scritto da Jeremy Rikklin cica 10 anni orsono e sembra quasi una profezia visto la situazione attuale.
Il sottotitolo era :Il declino della forza lavoro globale e l’avvento dell’era post mercato.

Inserisco sole alcune pagine su cui riflettere anche se mi rendo conto che e' un malloppo.
Abbiate pazienza.
Questa sara' la madre di tutte le battagle.
iMi scuso anticipatamente con Ranvit e altri per aver ecceduto. Non sono riuscito a fare una sintesi.


Pagina 23
1. La fine del lavoro
Fin dai suoi albori, la civiltà umana si è strutturata in gran parte intorno al concetto di lavoro. Dai cacciatori-raccoglitori paleolitici agli agricoltori del Neolitico, all'artigiano medievale, all'addetto alla catena di montaggio dell'età contemporanea, il lavoro è stato una parte integrante della vita quotidiana.
Oggi, per la prima volta, il lavoro umano viene sistematicamente eliminato dal processo di produzione; entro il prossimo secolo, il lavoro «di massa» nell'economìa di mercato verrà probabilmente cancellato in quasi tutte le nazioni industrializzate del mondo. Una nuova generazione di sofisticati computer e di tecnologie informatiche viene introdotta in un'ampia gamma di attività lavorative: macchine intelligenti stanno sostituendo gli esseri umani in infinite mansioni, costringendo milioni di operai e impiegati a fare la coda negli uffici di collocamento o, peggio ancora, in quelli della pubblica assistenza.
I dirigenti delle grandi imprese e gli economisti ortodossi ci assicurano che l'aumento del tasso di disoccupazione rappresenta un «aggiustamento» di breve termine alle potenti forze create dal mercato che stanno spingendo l'economia mondiale verso la Terza rivoluzione industriale, con le sue promesse di un nuovo, eccitante mondo di produzioni automatizzate ad alta tecnologia, di intensi scambi internazionali e di abbondanza senza precedenti di beni materiali.

Pagina 36
Un mondo senza lavoratori
Quando la prima ondata di automazione colpì il settore industriale, a cavallo tra gli anni Cinquanta e Sessanta, i leader sindacali, gli attivisti dei diritti civili e molti sociologi furono rapidi nel suonare l'allarme. Le loro preoccupazioni, comunque, non erano molto condivise dagli uomini d'impresa dell'epoca, che continuavano a credere che l'aumento della produttività generato dalle nuove tecnologie di automazione avrebbe stimolato la crescita economica e favorito l'occupazione e la crescita del potere d'acquisto. Oggi, al contrario, un numero ridotto ma crescente di manager inizia a preoccuparsi di dove ci porterà la rivoluzione tecnologica. Percy Barnevik è il chief executive officer della Asea Brown Boveri, un colosso svizzero-svedese da 40.000 miliardi che produce generatori elettrici e sistemi di trasporto, oltre che una delle maggiori società di engineering del mondo. Come altre imprese globali, ABB ha recentemente re-engineerizzato le proprie attività, tagliando 50.000 posti di lavoro, pur riuscendo ad aumentare il fatturato del 60% nello stesso periodo di tempo. Barnevik si domanda: «Dove andrà a finire tutta questa gente?» Secondo le sue previsioni, la quota di forza lavoro impegnata nell'industria in Europa è destinata a diminuire dall'attuale 35 al 25% entro i prossimi dieci anni, con un'ulteriore discesa al 15% nei vent'anni seguenti. Barnevik è profondamente pessimista sul futuro dell'Europa: «Se qualcuno mi dice: "Aspetta due o tre anni e vedrai esplodere la domanda di lavoro", gli domando: "Dimmi dove? Quali lavori? In quali città? In quali aziende?" Se mi metto a tirare le somme, scopro che esiste il rischio che l'attuale 10% di disoccupati e sottoccupati diventi il 20 o 25%».

Pagina 41
2. L'«effetto a cascata» della tecnologia e le realtà del mercato
Per più di un secolo, gli economisti hanno convenzionalmente accettato come un dato di fatto la teoria che afferma che le nuove tecnologie fanno esplodere la produttività, abbassano i costi di produzione e fanno aumentare l'offerta di beni a buon mercato; questo, in conseguenza, migliora il potere d'acquisto, espande i mercati e genera più occupazione. Tale assunto ha fornito il supporto razionale sul quale si sono fondate le politiche economiche di tutte le nazioni industrializzate. Questa logica sta oggi conducendo a livelli mai registrati finora di disoccupazione tecnologica, a un declino apparentemente inarrestabile del potere d'acquisto e allo spettro di una recessione globale di incalcolabile grandezza e durata.
Il concetto che gli incommensurabili benefici indotti dall'avanzamento della tecnologia e dall'aumento della produttività riescano a diffondersi fino alla massa dei lavoratori in forma di prezzi inferiori, maggior potere d'acquisto e più occupazione costituisce essenzialmente una teoria dell'«effetto a cascata» della tecnologia. Mentre i tecnologi, gli economisti e gli uomini d'impresa usano raramente il termine «cascata» per descrivere l'impatto dell'innovazione sui mercati e sull'occupazione, i loro presupposti filosofici sono un chiaro segnale dell'implicita accettazione di questo principio.

Pagina 43
L'idea che l'innovazione tecnologica inneschi una spirale perpetua di crescita e occupazione ha incontrato, nel corso della sua storia, alcuni oppositori determinati. Nel primo volume del Capitale, pubblicato nel 1867, Karl Marx argomentava che i produttori tentano continuamente di ridurre il costo del lavoro e di guadagnare un maggior controllo sui mezzi di produzione attraverso la sostituzione dei lavoratori con le macchine in ogni situazione che lo consenta. Il capitalista trae profitto non solo dalla maggiore produttività, dal contenimento dei costi e dal maggior controllo sull'ambiente di lavoro, ma anche in via indiretta - dalla creazione di una numerosa armata di riserva di disoccupati, la cui forza lavoro sia immediatamente sfruttabile in altri compatti dell'economia.
Marx prevedeva che i progressi dell'automazione della produzione avrebbero potuto giungere alla completa eliminazione del lavoro come fattore di produzione. Il filosofo tedesco si riferiva a ciò che definiva eufemisticamente «la metamorfosi finale del lavoro», con la quale «un sistema automatizzato di macchinari» avrebbe alla fine sostituito gli esseri umani nel processo produttivo. Marx prevedeva una costante progressione della sofisticazione di macchine capaci di sostituire il lavoro umano e sosteneva che ogni innovazione tecnologica «scompone progressivamente l'attività del lavoratore in una sequenza di operazioni elementari, in modo che a un certo punto una macchina possa prenderne il posto.

Pagina 48
L'enfasi sulla produzione, che aveva occupato gli economisti fino ai primi anni del secolo, venne improvvisamente sostituita dal neonato interesse per il consumo. Negli anni Venti emerse un nuovo campo di analisi della teoria economica, l'«economia del consumo», e un numero crescente di economisti dedicò i propri sforzi intellettuale al comportamento del consumatore. Il marketing, che fino a quel momento aveva occupato un ruolo periferico nelle attività aziendali, assunse una nuova importanza. Nello spazio di una notte, la cultura della produzione venne sostituita dalla cultura del consumatore.

Pagina 54
(...), la Commissione presidenziale sui recenti cambiamenti economici, voluta da Herbert Hoover, pubblicò un rapporto rivelatore del profondo cambiamento nella psicologia umana intervenuto in meno di un decennio. Il rapporto terminava con una rosea previsione di ciò che attendeva l'America:
"Questa ricerca ha dimostrato, in maniera conclusiva, ciò che un tempo veniva considerato teoreticamente vero: i desideri sono insaziabili; ogni desiderio soddisfatto apre la strada a un nuovo desiderio. La conclusione è che, di fronte a noi, si aprono panorami economici sterminati, e che la soddisfazione di nuovi desideri creerà immediatamente desideri sempre nuovi da soddisfare... Attraverso la pubblicità e altre tecniche di promozione si è data una sensibile spinta alla produzione... Parrebbe che si possa procedere con un crescente attivismo... La nostra situazione è fortunata e il momento di inerzia notevole."
Solo pochi mesi dopo il mercato azionario crollò, gettando la nazione e il mondo in una delle più profonde depressioni dell'era moderna.
La Commissione Hoover, come molti politici e uomini d'impresa, era talmente fissata sull'idea che l'offerta creasse la propria domanda da essere incapace di prevedere la dinamica negativa che stava spingendo il sistema economico in una depressione di enormi proporzioni. Per compensare la crescente disoccupazione tecnologica generata dall'introduzione delle nuove tecnologie laborsaving, le imprese americane investirono milioni di dollari in campagne pubblicitarie, sperando di convincere chi aveva ancora un lavoro e un reddito a lasciarsi coinvolgere nell'orgia della spesa. Sfortunatamente, il reddito dei lavoratori dipendenti non cresceva abbastanza in fretta da tenere il passo con gli incrementi della produttività e della produzione. La maggior parte degli imprenditori preferiva intascare l'extraprofitto realizzato con la crescita della produttività, invece di trasferirne una parte ai lavoratori in forma di salari più alti. Henry Ford - bisogna dargliene merito - sosteneva che i lavoratori dovessero essere pagati abbastanza per riuscire ad acquistare i prodotti delle aziende per cui lavoravano; in caso contrario, si chiedeva, «chi comprerebbe le mie automobili?» I suoi colleghi decisero di ignorare il monito.
Il mondo delle imprese perseverava nella convinzione di potersi appropriare dei maggiori profitti, di poter deprimere i salari e continuare a pompare i consumatori per assorbire la sovrapproduzione. La pompa, invero, cominciava a lavorare a secco. Le nuove metodologie di marketing e pubblicità erano riuscite a stimolare il consumo di massa; comunque, non disponendo di un reddito sufficiente ad acquistare tutti i nuovi prodotti che sommergevano il mercato, il lavoratore americano continuava a ricorrere al credito. Qualcuno levò una voce di allarme, dicendo che «gli acquisti vengono finanziati più velocemente di quanto i beni vengano prodotti». Anche questo monito cadde inascoltato finché fu troppo tardi.

Pagina 57
Il movimento di condivisione del lavoro
Nell'ottobre 1929, meno di un milione di persone erano disoccupate. Nel dicembre 1931 il loro numero aveva superato i 10 milioni; sei mesi dopo, nel giugno 1932, il numero dei disoccupati era salito a 13 milioni. Al culmine delle depressione, nel marzo 1933, il numero degli americani senza lavoro raggiunse i 15 milioni.
Sempre più economisti attribuivano la responsabilità della depressione alla rivoluzione tecnologica degli anni Venti, che aveva fatto crescere la produttività e i volumi
Penso a questo punto che di riflessioni se ne possano fare a josa ma una cosa deve essere certa. Da questa situazione dobbiamo uscire e potremo e i ns. figli e nipoti continueranno a vivere altrimenti saremo costretti ad incontrare tempi che noi umani nemmeno avremo mai potuto pensare.
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Ora prendo in prestito da un mio amico alcune riflessioni che discutevano 10 anni fa e che a suo tempo condividevo e che ancor piuì oggi condivido :
””So per esperienza personale che il salario medio che percepisce l'operaio rumeno si aggira sui 60-70 euro mentre il costo della vita e' ormai paragonabile al nostro. Lo stato sociale che il comunismo garantiva e' stato spazzato via e gli affitti sono aumentati vertiginosamente. In questo inverno si sono verificati molti decessi dentro gli appartamenti della citta' di Brasov perche' non hanno i soldi per pagare il riscaldamento.

... chi puo' fugge dalla Romania e molte donne finiscono sui marciapiedi.
Se il comunismo non aveva saputo creare ricchezza il capitalismo ha distrutto anche quel minimo vitale oltre alla dignita' di un popolo.

Nel mondo occidentale non e' piu' questione di produttivita': vedo anche nella mia azienza che la robottizzazione e la informatizzazione produrranno in futuro sempre maggior disoccupazione. Questo varra' sempre di piu' per tutto l'occidente ed anche negli States la disoccupazione di massa sara' il tragico destino se non si ridurra' drasticamente l'orario di lavoro a parita' di salario.

... a che servirebbe infatti il progresso se non a liberare l'essere umano dal lavoro e restituirgli il tempo dedicato alla propria famiglia, al godimento della natura, ai propri interessi, alla propria elevazione culturale?

... il capitalismo come sistema economico non attuera' mai una tale riforma anche se a lungo andare lo portera' al suicidio perché si restringera' la massa di popolazione che non riuscira' piu' a consumare i suoi prodotti.

La riduzione DRASTICA dell'orario di lavoro non e' un'utopia ma l'alternativa del futuro.””


Su questo tema pure Domenico Mesi si e’ cimentato colò suo: Futuro del Lavoro!. Entranbi cmq da leggere e costano poco.

hola
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Re: La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Messaggioda franz il 11/11/2014, 18:32

Rifkin, non Rikkin
De Masi, non Mesi.
a parte questo ad un pistolotto del genere non so proprio come rispondere, come affrontarlo.
Mi dispiace per voi ma ci rinuncio. Le castronerie scritte da Rifkin sarebbero anche facilmente affrontabili ma c'è una nota legge che piu' o meno fa capire che se per confutare l'argomento y di 3 righe tu devi impiegarne 40 e se gli argomanti da confutare sono 100, il risultato sarebbe enorme, oltre ogni limite di sopportazione umana sia in chi scrive sia in chi legge.
Forse per questo alcuni logorroici, come rifkin, borghi, bagnai, innondano l'ascoltatore di parole fino a quando si arrende.
Il problema di messaggi cosi' lunghi è che è praticamente impossibile replicare in modo serio e completo in un forum.
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Re: La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Messaggioda trilogy il 11/11/2014, 18:44

C'è un problema "ecologico" che confuta queste teorie, "la competizione intraspecifica". In economia e finanza è la stessa cosa. C'è un limite relativo all'espansione di un singolo settore, alla riduzione dei redditi da lavoro ecc. :roll:


Esempio di competizione intraspecifica
Questi fenomeni sono facilmente studiabili analizzando le popolazioni di batteri in piastra. Un esempio, facilmente riproducibile in un qualsiasi laboratorio anche poco fornito, consiglia di utilizzare una specie di batterio eterotrofo, ponendolo in piastra sterile contenente un substrato nutritivo fortemente idoneo al suo sviluppo (momento 0), nel giro di poche ore si osserva una proliferazione delle colonie batteriche molto veloce. Questo perché tutti gli individui (che sono simili tra loro dal punto di vista morfo-fisiologico) trovano medesime condizioni ottimali al loro sviluppo.Questo sviluppo cresce esponenzialmente, sino a raggiungere un limite in cui si ha uno stallo nella crescita della popolazione.Questo è imputabile al fatto che il substrato o lo spazio "vitale" (o entrambi insieme) sono diminuiti dal momento 0, a tal punto che le condizioni non sono più idonee alla riproduzione (moltiplicazione in questo caso) a causa della sempre più forte competizione intraspecifica, dato che tutti gli organismi si cibano del medesimo substrato e necessitano del medesimo spazio dato che sono tutti di dimensioni simili. Si avrà così via via una inversione della curva di moltiplicazione a causa della morte degli organismi che in quel determinato spazio hanno poco substrato nutritivo a disposizione oppure lo spazio che occupano è eccessivamente saturo di metaboliti secondari frutto della respirazione/fermentazione oppure non si ha proprio lo spazio fisico per moltiplicare nuove colonie.
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Re: La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Messaggioda gi.bo. il 11/11/2014, 18:53

franz ha scritto:Rifkin, non Rikkin
De Masi, non Mesi.
a parte questo ad un pistolotto del genere non so proprio come rispondere, come affrontarlo.
Mi dispiace per voi ma ci rinuncio. Le castronerie scritte da Rifkin sarebbero anche facilmente affrontabili ma c'è una nota legge che piu' o meno fa capire che se per confutare l'argomento y di 3 righe tu devi impiegarne 40 e se gli argomanti da confutare sono 100, il risultato sarebbe enorme, oltre ogni limite di sopportazione umana sia in chi scrive sia in chi legge.
Forse per questo alcuni logorroici, come rifkin, borghi, bagnai, innondano l'ascoltatore di parole fino a quando si arrende.
Il problema di messaggi cosi' lunghi è che è praticamente impossibile replicare in modo serio e completo in un forum.

Rifkin, non Rikkin
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Ops, ...la fretta non e' mai rivoluzionaria ;)
Il problema di messaggi cosi' lunghi è che è praticamente impossibile replicare in modo serio e completo in un forum
Ho premesso che e' un pistolotto ma se questo e' il problema possiamo discuterne per punti.
Se invece anche questi son difficili da trattare, da parte nostra, lasciamo perdere.
Il problema pero ci si presenterà' e come risponderemo noi, allora, nel ns. piccolo?

hola
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Re: La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Messaggioda flaviomob il 11/11/2014, 19:03

In Italia ogni lavoratore è impiegato per un numero di ore/anno più elevato che in Germania. Eppure non brilliamo per produttività e se guardiamo il valore aggiunto, i tedeschi stanno davanti a noi di molte lunghezze.

Del resto in Romania o in Cina il costo orario del lavoro è una frazione del nostro. Magari la qualità sarà anche leggermente inferiore ma ad un certo punto c'è convenienza a produrre fuori dall'Italia: sia se si cerca alta/altissima qualità (e quindi elevato valore aggiunto), sia se si cerca quantità a basso prezzo.

I vantaggi di una elevata produttività in una società chiusa potrebbero essere redistribuiti tra tutti i lavoratori: riduzioni di orario e incremento del welfare. Le società però non sono chiuse, i sistemi paese (ormai inadeguati a governare politicamente la globalizzazione) vengono messi in concorrenza tra loro. Tra l'altro una concorrenza imperfetta perché noi non disponiamo più della valuta nazionale e della possibilità di svalutare per tornare competitivi su di un fronte (quello dei prezzi, non quello della qualità) e per avere la possibilità di difenderci dagli attacchi speculativi sul debito sovrano (potendo stampare lire a piacimento, saremmo sempre e comunque solventi).

La questione grossa, quindi, è trovare un sistema politico-sindacale che torni a lottare per la redistribuzione e i diritti a livello globale. Considerando che quella che in potenza ormai è la maggiore realtà socioeconomica mondiale, la Cina, è una dittatura che nega i diritti basilari, eppure viene festosamente accolta nella comunità globale che falsamente si definisce liberale, ma in realtà è solo cinica, opportunista ed avida, bisogna sostenere chi si batte per i diritti umani a qualsiasi latitudine, con forza ed impegno.

Quanto scrive Trilogy invece è estremamente affascinante e potrebbe spiegare come mai la crisi si sta avvitando così a lungo senza via d'uscita.


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Messaggioda gi.bo. il 11/11/2014, 19:41

trilogy ha scritto:C'è un problema "ecologico" che confuta queste teorie, "la competizione intraspecifica". In economia e finanza è la stessa cosa. C'è un limite relativo all'espansione di un singolo settore, alla riduzione dei redditi da lavoro ecc. :roll:
Esempio di competizione intraspecifica
Questi fenomeni sono facilmente studiabili analizzando le popolazioni di batteri in piastra. Un esempio, facilmente riproducibile in un qualsiasi laboratorio anche poco fornito, consiglia di utilizzare una specie di batterio eterotrofo, ponendolo in piastra sterile contenente un substrato nutritivo fortemente idoneo al suo sviluppo (momento 0), nel giro di poche ore si osserva una proliferazione delle colonie batteriche molto veloce. Questo perché tutti gli individui (che sono simili tra loro dal punto di vista morfo-fisiologico) trovano medesime condizioni ottimali al loro sviluppo.Questo sviluppo cresce esponenzialmente, sino a raggiungere un limite in cui si ha uno stallo nella crescita della popolazione.Questo è imputabile al fatto che il substrato o lo spazio "vitale" (o entrambi insieme) sono diminuiti dal momento 0, a tal punto che le condizioni non sono più idonee alla riproduzione (moltiplicazione in questo caso) a causa della sempre più forte competizione intraspecifica, dato che tutti gli organismi si cibano del medesimo substrato e necessitano del medesimo spazio dato che sono tutti di dimensioni simili. Si avrà così via via una inversione della curva di moltiplicazione a causa della morte degli organismi che in quel determinato spazio hanno poco substrato nutritivo a disposizione oppure lo spazio che occupano è eccessivamente saturo di metaboliti secondari frutto della respirazione/fermentazione oppure non si ha proprio lo spazio fisico per moltiplicare nuove colonie.
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Secondo la teoria di Gause questa si applica a popolazioni simili che competono per una medesima risorsa limitata (ovvero occupano la stessa nicchia ecologica):

esse, infatti, non possono coesistere nella stessa area e, in più, una delle due utilizzerà la risorsa più efficacemente riproducendosi più rapidamente.

Un vantaggio riproduttivo, anche minimo, comporterà l’eliminazione, a quel livello, del competitore più debole, ovvero quello che presenta un livello di adattamento inferiore
.http://89-97-218-226.ip19.fastwebnet.it ... /rela5.htm.

Quindi, se queste esclusioni per competitività (teoriche) avessero le loro fondamenta, inevitabilmente fra non molto le ns. prossime generazioni si troverebbero ad un bivio:
1-o ad accettare la situazione che si troveranno davanti e quindi soccombere
2-ribellarsi prima che questo avvenga

Nella prima ipotesi non saranno cmq solo le classi che al momento saranno vantaggiate da questa esclusione.
Prima o poi sara' la stessa società ad implodere su se stessa xchè cmq ci sarà sempre qualcuno che riuscirà a competere a qualsiasi livello fino all'esaurimento della stessa società.

Ora il problema e' che difronte a queste previsioni abbstanza tristi nessuno riesce a guardare fuori dal proprio naso.

Ci si chiude nel proprio orticello magari difendendolo a spada tratta e non ci si accorge che sia ricco che povero faranno nel futuro la stessa fine.


hola
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Re: La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Messaggioda pianogrande il 11/11/2014, 20:44

Ma la elementarissima considerazione che in "un mondo senza lavoratori" per chi produci, non dovrebbe essere in testa a tutto il ragionamento?
Fotti il sistema. Studia.
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Re: La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Messaggioda franz il 11/11/2014, 21:49

flaviomob ha scritto:In Italia ogni lavoratore è impiegato per un numero di ore/anno più elevato che in Germania. Eppure non brilliamo per produttività e se guardiamo il valore aggiunto, i tedeschi stanno davanti a noi di molte lunghezze.

Santo cielo, è proprio perché siamo poco produttivi che dobbiamo lavorare piu' ore.
Se uno è molto produttivo, guadagna tanti soldi e puo' anche limitarsi a 4 ore al giorno, dedicandosi agli hobby nelle altre ore.
Nel database statistico delle PMI gestito dalla UE ci sono immensi fogli excel da cui è possibile calolare che relazione c'è tra il valore aggiunto prodotto, gli addetti impiegati, il dato procapite, il salario guadagnato. Questo è quello che conta.
Valore aggiunto per persona.
Le ore sono un extra che ci dice solo quante ore necessitano in un paese per fare cio' che si fa in un altro.
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Re: La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Messaggioda franz il 11/11/2014, 21:56

pianogrande ha scritto:Ma la elementarissima considerazione che in "un mondo senza lavoratori" per chi produci, non dovrebbe essere in testa a tutto il ragionamento?

Produci per i consumatori.
il problema è vedere come fanno questi a pagare.
In ogni caso alla fine ci sarà un solo lavoratore che sovraintende a tutte le fabbriche, anche solo per la manutenzione dei robot, e costui sarà cosi' strapagato (prova a sostituirlo!) che alimenterà con il suo reddito i consumi di tutti.
Sempre che crediate alla macroecoeconomia ed alla "domanda aggregata".

Se non ci credete, possiamo immaginare un futuro il cui il 2% del PIL è prodotto dall'agricoltura, il 5% dal secondario (fabbriche, operai) ed il 93% dal terziario: sanità, giochi, divertimenti, viaggi, cultura, Internet, viaggi spaziali e quello che oggi non possiamo immaginare cosi' come non potevamo immaginare 50 anni fa.
Il che dovrebbe farvi riflettere sul falso mito (bolscevico) che il lavoro (anzi il LAVORO) sia solo quello nei campi e nelle fabbriche. Anzi, officine.

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Re: La madre di tutte le battaglie:LA FINE DEL LAVORO

Messaggioda trilogy il 11/11/2014, 23:21

pianogrande ha scritto:Ma la elementarissima considerazione che in "un mondo senza lavoratori" per chi produci, non dovrebbe essere in testa a tutto il ragionamento?


Infatti il problema è questo, non c'è offerta senza domanda e viceversa. le teorie sulla fine del lavoro non stanno in piedi, a meno che non ipotizziamo una società ed una economia completamente diversa da quella che conosciamo.
Per il resto non c'è nulla di irreversibile. Un esempio è il settore dell'auto. Negli anni 80 era scomparso dal Regno Unito...oggi gli inglesi producono più auto dell'Italia..

Lieve aumento per la produzione nazionale di autoveicoli nei primi 9 mesi del 2014, il totale dei veicoli prodotti in
Italia è aumentato dell’1,1%, passando da quasi 506.000 veicoli prodotti nei primi nove mesi del 2013 a poco più di
511.000.

ANFIA – 5 Novembre 2014


Londra, 21 agosto 2014. Secondo i dati pubblicati oggi dalla Society of Motors Manifactures and Traders (SMMT) la produzione di auto nel Regno Unito è aumentata del 2,8% nel mese di luglio: il numero di auto prodotte, infatti, è pari a circa 130.000 unità. Guardando complessivamente questi dati è possibile notare che nei primi sette mesi del 2014 sono state prodotte 923.884 auto sul suolo britannico, registrando un notevole aumento della produzione del 3,4% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente.
http://investirelondra.it/news/aumenta- ... ito-luglio
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