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L’agenda sbagliata del premier

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

L’agenda sbagliata del premier

Messaggioda franz il 14/09/2014, 10:47

luca ricolfi

Dice il nostro premier che il suo governo va giudicato fra 1000 giorni, anziché dopo i primi 200, quanti ne sono passati dal suo insediamento a Palazzo Chigi. Ha ovviamente ragione, se si riferisce al corpo elettorale, che potrà esprimersi solo al momento del voto (a proposito: quando si voterà? La legislatura non scade fra 1000 giorni, bensì un anno più in là…). Ma non ha ragione se si riferisce all’opinione pubblica, che ha tutto il diritto di discutere e giudicare il suo governo «passo dopo passo». Un governo si promuove o si boccia con le elezioni politiche, ma si discute e si giudica giorno per giorno.

Sette mesi non sono tanti, ma non sono neppure pochissimi per valutare l’azione di un governo. Dopotutto, la domanda che quasi tutti ci facciamo è una sola: Renzi ce la farà a «cambiare verso» all’Italia, interrompendo un regime di stagnazione e recessione che dura da troppo tempo?

è il caso di notare, per cominciare, che un successo di Renzi se lo augurano non solo i renziani, ma anche buona parte degli italiani che non hanno votato Pd nel 2013 (alle Politiche), o non hanno votato Renzi nel 2014 (alle Europee). Nessun governo precedente, della prima o della seconda Repubblica, ha mai goduto di aspettative così diffuse e trasversali agli schieramenti. Nessun premier ha beneficiato di un’apertura di credito così ampia e convinta. Nessun governo, tranne forse il governo di solidarietà nazionale ai tempi del terrorismo, ha mai goduto di un appoggio esterno benevolo come quello che Forza Italia sta fornendo al governo Renzi. Altroché gufi, nessun premier ha avuto mai così tanti tifosi!

Dunque le possibilità di Renzi, sulla carta, sono decisamente buone.

Nonostante tutte queste condizioni favorevoli, nelle ultime settimane è cominciato a serpeggiare il dubbio che Renzi possa non farcela o, stando ai critici più severi, che la sua volontà di cambiare l’Italia sia più gattopardesca di quel che era sembrata all’inizio.

Come mai?

Alcune ragioni sono evidenti: l’inflazione degli annunci (la cosiddetta «annuncite»), il mancato rispetto delle scadenze spavaldamente fissate per le varie riforme epocali (legge elettorale, lavoro, fisco, giustizia, pubblica amministrazione), la litigiosità dei parlamentari del Pd, la natura pasticciata di alcuni provvedimenti, l’incertezza in materia di tasse, compreso il tormentone del rinnovo del bonus di 80 euro, per il quale ancora oggi nessuna legge stabilisce le coperture nel 2015.

C’è una ragione, tuttavia, che a me pare più influente di tutte le altre. Da qualche settimana anche gli osservatori più benevoli cominciano a sospettare che Renzi abbia completamente sbagliato le priorità e, soprattutto, che ormai sia troppo tardi per recuperare. Il ragionamento, in breve, è questo: se vuoi far ripartire la crescita, come tutti i politici affermano di voler fare, devi prendere alcune decisioni impopolari in campo economico-sociale (tagli di spesa pubblica, liberalizzazione del mercato del lavoro); ma quelle decisioni le puoi prendere solo quando il tuo consenso è al massimo, ovvero durante i primi mesi di governo (la cosiddetta luna di miele); e se lasci passare quella finestra di opportunità, tutto diventa più difficile, se non impossibile.

Ora il punto è che la luna di miele pare stia già tramontando. Secondo l’ultimo sondaggio pubblicato, condotto da Demos & Pi e presentato da Ilvo Diamanti su Repubblica, fra giugno e settembre il Pd ha perso 4 punti, ma la popolarità di Renzi è scesa di ben 14 punti, ossia 10 punti di più. E’ vero che la rilevazione di giugno era drogata dal successo alle Europee, ma resta il fatto che il consenso di Renzi risulta in diminuzione anche rispetto a marzo e a maggio.

La fine della luna di miele, un fatto fisiologico dopo 200 giorni di governo, sembra dare ragione a quanti, da mesi, non si stancano di ripetere che è stato un grandissimo errore dare la precedenza, mediatica e parlamentare, al cambiamento della legge elettorale della Costituzione, e rimandare tutte le riforme economico-sociali più importanti, a partire dal Jobs Act. Il cambiamento delle regole, infatti, produrrà effetti solo fra qualche anno, e comunque non incontra alcun serio ostacolo da parte dell’opinione pubblica, che ha ben altre priorità. Alcune riforme economico-sociali, invece, possono produrre effetti molto più rapidamente, ma richiedono il massimo di consenso dell’opinione pubblica, per vincere le inevitabili resistenze delle mille lobby che temono di perdere i loro privilegi. Secondo questi critici Renzi doveva dare assoluta priorità al mercato del lavoro, ai tagli di spesa e alla riduzione del costo del lavoro per le imprese, lasciando che le riforme delle regole elettorali e istituzionali facessero tranquillamente il loro corso parlamentare, senza ritardare le assai più urgenti e vitali riforme economico-sociali.

Il fatto curioso è che questa mancanza di coraggio (ma forse sarebbe meglio dire: questa mancanza di tempismo) in campo economico-sociale si sta già ritorcendo contro il governo. Renzi ha deciso da tempo di non rispettare l’obiettivo del 2.6% di deficit che egli stesso aveva imprudentemente fissato a primavera, e si appresta a negoziare con l’Europa un’interpretazione flessibile degli impegni assunti. Ma le sue possibilità di riuscire nell’intento, e soprattutto di evitare la reazione negativa dei mercati di fronte all’ennesimo ritardo nel percorso di risanamento dei conti pubblici, sono state enormemente ridotte precisamente dalla scelta, fatta a marzo, di posticipare le riforme difficili, che sono quelle economico-sociali, e di trastullarsi con quelle facili, legge elettorale e svuotamento del Senato, il cui percorso parlamentare è garantito dall’accordo con Silvio Berlusconi.

Si potrebbe pensare, o meglio sperare, che le «riforme strutturali», a partire da quella del mercato del lavoro (cui tuttora mancano i tre tasselli fondamentali: codice semplificato, contratto a tutele crescenti, ammortizzatori sociali universali), siano solo un’ossessione degli studiosi, i detestati «esperti» da cui il nostro suscettibile premier «non accetta lezioni». Sfortunatamente non è così. I mercati finanziari si sono già accorti della nostra lentezza, anche se i politici preferiscono non vedere il segnale che essi ci mandano. Eppure quel segnale è chiaro e forte: fra gennaio e oggi la diminuzione dello spread, che ha coinvolto un po’ tutti i Paesi dell’eurozona, è stata in Italia minore che negli altri Pigs, ossia Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna. Segno che i mercati percepiscono la differenza fra le velocità con cui i Paesi più indebitati ristrutturano le loro economie.

In concreto, tutto ciò significa che aver rimandato le riforme che contano potrebbe costarci caro. Subito, sotto forma di minore disponibilità dell’Europa a concedere sconti ai soliti inaffidabili italiani. In prospettiva, sotto forma di rischio sui mercati finanziari: se un’altra crisi dovesse scuotere l’euro, l’Italia non ne sarebbe al riparo, perché troppo poco ha fatto e sta facendo per fermare il proprio declino.

http://lastampa.it/2014/09/14/cultura/o ... agina.html
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Il sospetto ricorrente

Messaggioda franz il 14/09/2014, 12:20

di Sergio Romano
shadow

Fra i dati sull’Italia, elaborati periodicamente dall’Istat e da Eurostat, manca quello sulla fiducia. Se esistesse, scopriremmo che i nostri partner, indipendentemente dalle pubbliche dichiarazioni dei loro governi e dai comunicati ufficiali alla fine di un incontro bilaterale, non credono nel nostro Paese. Alcune ragioni sono storiche: le guerre fatte a metà, i cambiamenti di campo, il continuo divario fra il Nord e il Sud, gli impegni non rispettati, il familismo amorale, la giungla burocratica, la democrazia clientelare, il peso della criminalità organizzata sulla vita politica e sociale. Altre sono più recenti e più importanti. Come tutti i membri dell’Unione europea, l’Italia è passata attraverso le crisi della modernità, da quella sociale e generazionale del ‘68 a quella delle nuove tecnologie, dal ritorno ai mercati dopo il declino dello Stato assistenziale negli anni Ottanta alla crisi del credito nel primo decennio del nuovo secolo.


Gli italiani, a tutta prima, sembrano consapevoli della necessità di cambiare, ma il loro sistema politico, a differenza di quelli dei partner maggiori, ritarda i mutamenti o finisce per annegarli in un diluvio di norme insufficienti e contraddittorie. Le Commissioni bicamerali per una nuova Costituzione muoiono senza avere prodotto alcun risultato. Berlusconi fa promesse che non verranno mantenute. Ogni riforma, da quella del lavoro a quella della giustizia, trova sulla sua strada un partito della contro-riforma, composto da corporazioni che difendono i loro privilegi chiamandoli ampollosamente «diritti acquisiti». Le leggi, quando vengono approvate, sono redatte in modo da produrre risultati parziali e mediocri. Da Tangentopoli a oggi sono passati ventidue anni: una generazione perduta.
Vi sono momenti in cui i nostri partner sarebbero felici di credere nell’Italia. Mario Monti è stato accolto entusiasticamente. Enrico Letta, agli inizi del suo governo, godeva di molte simpatie e di grande comprensione. Ma la rapidità con cui entrambi sono stati espulsi dal sistema politico trasforma il credito iniziale in nuovo pessimismo e in più radicale sfiducia. Matteo Renzi ha acceso qualche nuova speranza, ma il modo in cui saltella da un annuncio all’altro e sembra essere continuamente alla ricerca di un nuovo obiettivo, a maggiore portata di mano, comincia a creare diffidenza e scetticismo anche negli ambienti che lo avevano salutato come il Tony Blair italiano.

Niente è irreparabile. In un libro recente, apparso in Italia presso il Mulino e in Inghilterra presso la Oxford University Press, un economista, Gianni Toniolo, dimostra che l’Italia è quasi costantemente cresciuta dagli anni Novanta dell’Ottocento agli anni Novanta del Novecento. Ma non si cresce, nel mondo d’oggi, senza la fiducia dei mercati internazionali e i capitali degli investitori stranieri. E non si crea fiducia se il governo non riesce a sconfiggere con qualche cambiamento reale e immediatamente visibile, quei partiti della contro-riforma che sono da troppo tempo i veri padroni dell’Italia.

14 settembre 2014 | 09:18
http://www.corriere.it/editoriali/14_se ... b435.shtml
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Re: L’agenda sbagliata del premier

Messaggioda Iafran il 14/09/2014, 19:18

http://notizie.it.msn.com/economia/cgia ... o-di-tasse

Cgia: "Per famiglie oltre 15mila euro di tasse"

Ogni famiglia italiana paga in media 15.300 euro di tasse all'anno. I calcoli li ha fatti la Cgia di Mestre che tiene conto di tutte una serie di imposte che vanno dall'Irpef, relative addizionali locali, ritenute, accise, bollo auto, fino al canone Rai. Ogni nucleo, secondo l'ufficio studi dell'Associazione di artigiani veneta, versa all'Erario, alle Regioni e agli Enti locali in media 1277 euro al mese, in pratica uno stipendio medio di un impiegato.
Nel 2013, grazie all'abolizione dell'Imu sulla prima casa, il prelievo medio annuo è sceso a 15.329 euro: ben 325 euro in meno rispetto a quanto versato nel 2012. Per l'anno in corso, però, il gettito è destinato ad aumentare ancora a causa dell'introduzione della Tasi e dell'aumento dell'aliquota Iva avvenuto nell'ottobre scorso. Una buona notizia arriva invece dal responsabile economico del Pd Filippo Taddei: l'allargamento del tetto per beneficiare del bonus di 80 euro per le famiglie numerose è "l'ipotesi più probabile" di intervento nella legge di stabilità. Questo però "nel caso - ha precisato parlando al meeting della Confesercenti - riuscissimo ad attivare risorse aggiuntive" da destinare alla detrazione fiscale Irpef. Secondo Taddei inoltre l'Imu più la Tasi nel 2014 "avrà un gettito in media di circa il 10% inferiore rispetto all'Imu nel 2012".

. . . . . .

Però che soddisfazione mantenere una simile casta politica ... e tanti "imprenditori" pubblici (che non rispondono mai dei fallimenti delle aziende amministrate)

. . . . . .
http://www.affaritaliani.it/economia/st ... tml?ref=ig

Lo stipendio annuale di un manager? Vale 225 anni di lavoro di un dipendente

La diseguaglianza tra lavoratori e dirigenti non fa che aumentare. Lo denuncia la Fisac Cgil secondo cui un dipendente percepisce un salario mensile di 1.327 euro: 28.593 euro annui contro i 6,5 milioni di un manager. Ci vogliono quindi ben oltre due secoli per guadagnare quanto un top manager incassa in un anno. Non solo: impietoso il raffronto con un lavoratore tedesco, che in un anno guadagna 6mila euro in più
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Re: L’agenda sbagliata del premier

Messaggioda ranvit il 21/09/2014, 19:36

Tutti bravi a criticare....
Abbiamo forse mai avuto un gruppo dirigente che abbia risolto qualcuno dei problemi dell'italia?
Renzi ci sta provando....
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: L’agenda sbagliata del premier

Messaggioda gabriele il 21/09/2014, 20:00

ranvit ha scritto:Tutti bravi a criticare....
Abbiamo forse mai avuto un gruppo dirigente che abbia risolto qualcuno dei problemi dell'italia?
Renzi ci sta provando....


Renzi incomincia a fare la vittima. Fare la vittima è più da politico navigato che da eroe della patria...
Chi sa, fa. Chi non sa, insegna. Chi non sa nemmeno insegnare, dirige. Chi non sa nemmeno dirigere, fa il politico. Chi non sa nemmeno fare il politico, lo elegge.
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Re: L’agenda sbagliata del premier

Messaggioda Iafran il 21/09/2014, 22:20

Per quelli che tutto va bene e/o che bisogna prendere ciò che passa il convento, coloro che vedono
le limitazioni e lo stravolgimento dei valori democratici da parte di una classe spadroneggiante vengono additati come incontentabili o persone lagnose.
Ma veramente vogliamo andare dietro le "berlusconate" di ieri e quelle di oggi?
Qui si invita a riflettere e di aspirare al più presto possibile a soluzioni politiche conciliabili con le esigenze di coloro che patiscono l'attuale situazione socio-economica (60 - 1 milioni = 59 milioni di cittadini) per evitare che il "renziberlusconismo" di oggi condizioni troppo anche il loro domani.
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Re: L’agenda sbagliata del premier

Messaggioda franz il 21/09/2014, 22:23

gabriele ha scritto:Renzi incomincia a fare la vittima.

Non mi pare. Con Camusso ha attacato ... ed ha attaccato bene, a fondo. Altro che vittima.
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Re: L’agenda sbagliata del premier

Messaggioda Iafran il 21/09/2014, 22:46

La "vittima" ... lui?
Un "pieno di sé" non baderà a rispettare né le persone né le regole.
Il personaggio si preoccupa di stare (solo apparentemente) nei valori democratici e nella legalità (come il capofamiglia che, sul Fatto di oggi, si apprende "10 aziende in 30 anni e un solo assunto: Matteo" per giunta "regolarizzato appena una settimana prima della candidatura alla poltrona sicura di presidente della Provincia di Firenze, così da vedersi versare i contributi previdenziali da Palazzo Medici Riccardi e, una volta diventato sindaco, da Palazzo Vecchio").
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Re: L’agenda sbagliata del premier

Messaggioda flaviomob il 21/09/2014, 23:39

Finora questo governo ha sbagliato le previsioni su crescita / ripresa, così come le hanno sbagliate nei tre anni precedenti. E si è arenato sulla pessima riforma del senato. Veramente poco, oltre alle chiacchiere.
L'articolo 18 viene applicato in pochissimi contenziosi: se l'Italia non attira gli investimenti e l'economia non riparte significa che il governo non sta lavorando bene, non che l'articolo 18 va abrogato. DIventerà automaticamente obsoleto quando ci saranno tutele forti ed universali per chi non ha lavoro o perde il lavoro. Finché saranno garantiti solo quelli che hanno la cassa integrazione (grazie alle battaglie dei sindacati, non alla politica) avremo un paese arretrato rispetto al resto d'Europa.
L'insicurezza sociale - è ampiamente dimostrato - genera timore e spinge a ridurre o a rimandare nel tempo i consumi, portando recessione. L'illegalità diffusa, la scarsa innovazione e la poca competitività spaventano e allontanano gli stranieri: chi investirebbe in un'azienda che non fa ricerca e di cui non si sa se il bilancio è frutto della fantasia di qualche socio che preferisce "fare nero"? Chi si mette a fare concorrenza ad un'azienda immanicata con i boss in un territorio controllato dalle cosche, o dove gli appalti vanno al ribasso a favore di chi paga in nero i muratori?


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
(Stephen Hawking)
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Re: L’agenda sbagliata del premier

Messaggioda ranvit il 22/09/2014, 7:53

Qui si invita a riflettere e di aspirare al più presto possibile a soluzioni politiche conciliabili con le esigenze di coloro che patiscono l'attuale situazione socio-economica (60 - 1 milioni = 59 milioni di cittadini) per evitare che il "renziberlusconismo" di oggi condizioni troppo anche il loro domani.



Appunto! Riflettiamo....chi ha ridotto l'Italia in queste condizioni???



Finché saranno garantiti solo quelli che hanno la cassa integrazione (grazie alle battaglie dei sindacati, non alla politica) avremo un paese arretrato rispetto al resto d'Europa.


Appunto! Chi ha operato perchè fossero garantiti solo quelli che vanno in cassa integrazione????
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