pianogrande ha scritto:Ecco un'altra notiziona frutto di raffinata ed approfondita analisi.
E' chiaro che chi ha opinioni diverse dalle nostre non può che avere una "provenienza politica" più che sospetta.
Eccola la novità.
Il marchio di infamia su chi non la pensa come noi.
Se questi sono i rivoluzionari innovatori siamo a posto.
Dare dell'ex democristiano al sottoscritto e con tanta sicumera è l'indice più evidente della incapacità di entrare nel merito delle questioni.
Se non si entra nel merito, non si fa politica, si fanno solo chiacchiere a vuoto.
Se Gibo risolve il problema delle mie osservazioni dandomi del democristiano, beato lui.
Non si fa mica tanta fatica a fare politica con questi sistemi.
Sempre appassionato di discussioni produttive, aspetto la prossima rivelazione.
Io non ho detto quale fosse la tua provenienza politica. Ti ho fatto solo una domanda da dove "provieni" poiche sono piu' che evidenti le differenze fra noi due. Differenze che non avrebbero mai potuto fondersi. Coalizzarsi forse si, ma non oltre. Tutto qui. La mia provenienza io, l'ho espressa senza alcuna vergogna.
Quindi, caro amico, non sono da trascurare queste mie domande sulla provenienza politica all'interno del PD. Sono domande che aspettano risposte anche per il fatto che un'analisi su questo credo sia molto interessante e puo' essere proficua
Purtroppo analisi del genere sono state volutamente disattese(fusione a freddo) per molti anni dalla nomenclatura dei ns. politici....e son sicuro che prima o poi su questo si pagherà dazio molto alto.
A tale proposito c'e' un articolo del corriere che cade proprio a pennello, leggilo attentamente:Corriere 11.9.14La crisi irreversibile del vecchio apparato e c’è il terrore dei gazebo desertidi Marco Imarisio
BOLOGNA — «
Siamo sempre qui, a metà strada tra camicia bianca e colbacco».
La signora Marisa del ristorante Bertoldo è un’anima divisa tra fornelli e disincanto, con prevalenza della seconda. I volontari della Festa dell’Unità sono abituati alla loro funzione di termometro, in qualche modo sono ormai una categoria dello spirito, l’incarnazione degli umori della sempre citata e poco ascoltata base democratica. «
Meglio stare a casa, così le primarie non servono a nulla.
Ci vuole un partito che decide».
Alla fine la presunta giustizia a orologeria potrebbe diventare il grande alibi.
Tana libera tutti, dalle colpe di un pasticcio che è sabbia in un motore che vale il 12 per cento del Pil nazionale e maneggia più fondi europei di qualunque altra Regione. La crisi politica è arrivata ben prima di quella giudiziaria. Il Pd emiliano è un corpaccione che ha compiuto la sua transizione attraverso le varie sigle, in assoluta continuità di uomini e idee.
Le dimissioni di Vasco Errani e la chiusura forzata di un’epoca hanno proiettato il pezzo di Pd più immobile e pesante d’Italia nell’era di Renzi e del suo cambiare verso con gli uomini di sempre, fino a quel momento abbracciati in un matrimonio di convenienza.
La mutazione non è ancora compiuta.
L’addio di Errani ha reso inevitabile la resa dei conti.Ancora pochi giorni fa, tra gli stand del Parco Nord, uno degli amministratori locali più in vista aveva avvisato il premier. «
Matteo, se lasci fare a noi qui succede un casino epocale».
Come non detto. Qui le primarie sono sempre state una liturgia molto partecipata ma senza sorprese. Ma ora l’anomalia di una superiorità senza concorrenti rischia di diventare un’arma a doppio taglio. «
Qualcuno vorrebbe far credere che sono le primarie la causa della divisione, quando invece sono soltanto l’unica soluzione».
Arturo Parisi, ex ministro, ma soprattutto inventore delle primarie, vede fortemente a rischio la sua creatura. «
Questo è un Pd strano», dice.
«Il solido primato del quale ha goduto nella società emiliana, lo obbliga a trasferire al suo interno sia la funzione di governo che quella di opposizione. Una dialettica compressa, se non occultata. Ma senza primarie, è destinata a tramutarsi in conflitto permanente».
L’infermeria della politica emiliana è piena di feriti sul campo di questa battaglia a bassa intensità.
Non è passato il candidato degli amministratori locali, quel Daniele Manca sindaco di Imola stimato da tutti ma troppo bersaniano per passare senza lasciare il segno di una vittoria netta del vecchio apparato della ditta. All’ultimo chilometro prima del traguardo è caduto anche Matteo Richetti, per le stesse ragioni di cui sopra, il suo renzismo spinto e il profilo ipercattolico erano boccone indigeribile per una classe dirigente figlia del vecchio partito.
L’unico prodotto di una sintesi precaria tra l’anima di un Pd che si sente ancora Pds e un renzismo solo di facciata era il placido Stefano Bonaccini, il segretario regionale nato come uomo della ditta e divenuto sostenitore dell’attuale premier dopo i rovesci del 2013. Alla fine doveva rimanere soltanto lui, ultimo Highlander sotto mentite spoglie della centralità di una classe dirigente che si sente in via d’estinzione. La selezione non è stata indolore. Ne sono prova i molti silenzi dei parlamentari d’area e le poche parole di Virginio Merola, sindaco di una Bologna sempre più marginale nel potere locale e vano sponsor della candidatura di Manca. «
È possibile risolvere la situazione solo se c’è una volontà vera. Quel che avevo da dire, l’ho già detto a chi di dovere».
Matteo Renzi ha preso nota ma forse non ha capito che quell’Emilia Romagna a lui quasi sconosciuta, poteva diventare la prima, vera grana della sua carriera da segretario nazionale. «
Da queste parti» dice Paolo Pombeni, politologo e docente universitario, ex socialista, «
permane ancora il vecchio riflesso condizionato della perpetuazione della specie a scapito delle infiltrazioni esterne».
La prova vivente della teoria sarebbe Roberto Balzani, l’ex sindaco di Forlì che combatte una battaglia tutta sua contro il presunto consociativismo eletto a sistema di Errani e al momento rimane l’unico candidato senza ammaccature evidenti di questa corsa surreale. «
Non gli perdonano il fatto di essere contro l’apparato».
Anche Gianfranco Pasquino, politologo di area Mulino, si associa ai timori. «
Le primarie si devono fare, perché un partito che vuole essere democratico non deve mai stravolgere le sue regole a scapito di un candidato indesiderato come Balzani. Tutto il resto è vecchia politica e bruttissima politica».
A questo porta il vicolo cieco emiliano. A primarie da salvaguardare come Panda ma che rischiano di avere così poca gente da sembrare ridicole. La logica e il sapere degli studiosi della politica, che a Bologna non sono mai mancati, spinge per il salvataggio della «creatura».
Il nostro sondaggio personale alla Festa dell’Unità si conclude con dodici volontari su 12 intenzionati a disertare gli eventuali gazebo.hola