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Zelig

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: Zelig

Messaggioda pierodm il 12/11/2008, 1:45

La storia come malattia - ucci ucci sento odor di popperinucci.

C'è una differenza, tra il corpo sociale e quello fisico individuale, che è appunto "curato" dalla scienza medica (quando ci riesce).
La cosiddetta "salute", sia pure con tutto il relativismo individuale del caso, è determinabile in gran parte per tabulas, ossia per parametri abbastanza misurabili e definiti: ne so qualcosa, personalemnte, da quando ho subito l'asportazione della tiroide, e da quel momento ho cominciato una continua analisi dei valori tiroidei indotti dai farmaci, allo scopo di mantenere un supposto equilibrio ottimale.
E' vero che ho un amichevole contenzioso aperto col mio amico endocrinologo, perché ritengo di essere stato abituato per decenni a valori meno ottimali, ma che con un leggero ipertiroidismo mi davano una reattività che mi piaceva di più.
Però, tutto sommato, me la cavo, e spero di vivere abbastanza a lungo da crearmi un'abitudine consolidata anche a quelli ottimali.

Sulla "salute" della società il discorso è infinitamente tumultuoso e incerto.
Tutti coloro che hanno creduto di individuare uno stato ottimale - qualche volta solo a livello teorico, altre volte in via pratica - sono caduti in un burrone più o meno profondo e pieno di rovi.
Nel mio post precedente ho già accennato all'eugenetica nazista e alla "rieducazione" maoista, e credo sia sufficiente per chiarire il concetto.
Un filosofo spagnolo, per altro, ha ipotizzato un mondo liberato dai Vizi Capitali, che risulterebbe assolutamente invivibile.
Per altri versi, non è difficile constatare che la pura e assoluta razionalità porta a conseguenze tanto sorprendenti, quanto contraddittorie con le eventuali, anzi probabili buone intenzioni iniziali: tanto per dirne una, un mio personale dilemma razionalistico mi segue da gran tempo, e mi porta a concludere sistematicamente che non è affatto la democrazia, né la libertà individuale, a creare un sistema efficiente. Molto meglio una rigida organizzazione di tipo nazi-soviet-spartano.
Certo, bisogna decidere che cosa s'intende con "efficienza", e più in generale che cosa si vuole ottenere dall'organizzazione sociale.
La storia occidentale (Popper permettendo), in relazione ad altre civiltà e altri grandi imperi, è uno spot eccellente a favore del caos, della diversità: un vero e proprio elogio della follia.
Direi che la scienza stessa nasce dal caos, e che ha il suo più alto significato nella negazione dell'ordine e del concetto stesso di "norma", sia pure intesa come "dogma provvisorio": non è un caso che il pensiero scientifico nasca in Grecia, ossia nella nazione più frammentata e caotica storicamente conosciuta, fatta di piccole città-stato in perenne lotta reciproca.

Tutto questo non significa disprezzare o minimizzare l'importanza della scienza, o di una buona dose di cultura, di mentalità scientifica, o di un'applicazione delle conoscenze scientifiche ai problemi della nostra vita.
Il fatto è che si è creata, nel tempo, una specie di discrasia, se non proprio di contrapposizione, tra scienza e filosofia, quando in realtà non può esistere una scienza senza filosofia. La scienza stessa "è" filosofia.
Un fisico, un biologo, un matematico non credo che sia un governante migliore di un avvocato o di un laureato in scienze politiche, e nemmeno peggiore.
Può portare dentro la politica qualche conoscenza in più, di tipo pratico, e un modo di affrontare i problemi più ordinato, questo sì: soprattutto se la cultura giuridica e quella "umanistica" sono, nel raffronto, di scarsa qualità, ossia accademiche, approssimative e trombonesche.
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Messaggioda franz il 12/11/2008, 9:40

pierodm ha scritto:La cosiddetta "salute", sia pure con tutto il relativismo individuale del caso, è determinabile in gran parte per tabulas, ossia per parametri abbastanza misurabili e definiti: ne so qualcosa, personalemnte, da quando ho subito l'asportazione della tiroide, e da quel momento ho cominciato una continua analisi dei valori tiroidei indotti dai farmaci, allo scopo di mantenere un supposto equilibrio ottimale.
[...]
Sulla "salute" della società il discorso è infinitamente tumultuoso e incerto.
Tutti coloro che hanno creduto di individuare uno stato ottimale - qualche volta solo a livello teorico, altre volte in via pratica - sono caduti in un burrone più o meno profondo e pieno di rovi.

Non c'è bisogno di essere cosi' drammatici.
Tu parli di "tabulas" io parlo di "benchmarks" ma il concetto è simile.
Ogni sistema è misurabile su alcuni parametri.
Che sia il corpo umano o una nazione o la società intera il concetto è simile, se non identico.
I parametri delle persone sono confrontabili tra loro (ma mia glicemia con la tua) cosi' come tra nazione diverse possiamo comparare il numero di laureati, i libri venduti in un anno (procapite), i disoccupati, il salario medio e mediano, l'imposizione fiscale, i lavoratori maschi e femmine, i pensionati, la spesa sanitaria e via discorrendo.
Alcuni dati possono indicare lacune, altri eccellenze.
Nel caso di tante lacune, invece di cullarsi sulla propria "diversità" è il caso di intervenire per migliorare.
E se le lacune sono tante e gravi, anche con "cure da cavallo".

Ritengo che sia quindi utilissimo diffondere un po' di dati comparativi europei per vedere come siamo oggetivamente messi, dove sono i nostri punti deboli e punti forti.
Per questo vi indico il link di un ottimo prodotto della nostra ISTAT:
100 statistiche per il Paese / Indicatori per conoscere e valutare

Buona lettura!

Franz
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Re: Zelig

Messaggioda Paolo65 il 12/11/2008, 10:01

In fondo potremmo avere un ragione un pò tutti di fronte al perchè siamo così, sul perchè non cambiamo e sul fatto che un Berlusconi solo da noi è potuto uscire fuori.

Io rimarco e difendo l'idea di non piangerci addosso e continuare a lottare perchè si attui un cambiamento, non ritenendo questo un fine impossibile da raggiungere.

Il "yes we can", seppur portato avanti in modo retorico e contraddittorio dal PD, dovrebbe diventare la missione del partito e degli elettori di CS.

Le mafie si possono sconfiggere e non è la popolazione del sud il vero ostacolo.

La DX(meglio ancora questa destra )si può sconfiggere e non è il retroterra culturale degli italiani o le TV di Berlusconi i veri ostacoli da superare.

Comunque, noi dobbiamo fare la nostra parte sia che si raggiunga l'obiettivo oppure no, e finora il CS ed i suoi leader non lo hanno fatto pienamente: i primi a cambiare debbono essere loro per guidarci in questa che è la vera missione per chi crede che questo paese possa essere migliore.

Paolo
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Re: Zelig

Messaggioda pierodm il 12/11/2008, 14:20

Non c’è bisogno di essere drammatici, dice Franz: vero, la storia e la nostra stessa vita è una commedia che si trasforma in tragedia, spesso senza preavvisi e senza la serietà del dramma.

La polemica sulla validità degli “indicatori” non dovrebbe avere motivo di esistere.
Gl’indicatori e le statististiche sono utili, e anzi sono spesso l’unico modo per conoscere un territorio e una popolazione: conoscere nel senso di “misurare” il misurabile, e per farsi un’idea “indiziaria” di ciò che non è misurabile.
Ma gl’indicatori non sono né una medicina, né di per sé significano che la vita, la società e la storia siano una malattia – che era l’argomento in discussione.

La valutazione e l’interpretazione dei risultati di queste “misure” appartengono alla politica e alla filosofia, anche se – come dicevo – ciò non significa che la scienza in senso stretto debba essere estromessa da questa fase della riflessione: scienza in quanto essa stessa “filosofia”.

C’è, per esempio, un tema sul quale si sta riflettendo molto, proprio da quando si è sviluppata la civiltà tecno-industriale.
Lo possiamo sintetizzare così: quanto dello sviluppo (quello misurabile attraverso gl’indicatori) dev’essere considerato necessario o almeno utile sulla via della “felicità”, e quanto invece non solo superfluo ma forse perfino controproducente?
Nella discussione in materia entrano molti elementi, dalla situazione delle grandi metropoli al degrado ambientale, dal condizionamento economico alla perdita di alcune facoltà legate ad un tasso minimo di contatto con la natura.
Non esiste una risposta né una sola verità inoppugnabile a queste domande, nemmeno nel pensiero di una singola persona: dipende da che cosa decidiamo di essere, quale tipo di “uomo” abbiamo in mente e proiettato in quale ambiente, e tutto sommato da che cosa una cultura individua come “felicità”.
Fermo restando, ovviamente, che cibo, calore, casa e movimento sono elementi essenziali per vivere: non so se la loro mancanza comporti inesorabilmente l’infelicità.
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Re: Zelig

Messaggioda pinopic1 il 12/11/2008, 15:32

Adesso il discorso diventa complicato e OT. Forse immettere e iniettare non erano le espressioni più adatte. Però mi chiedo quando andavo a scuola cosa mi hanno fatto maestri e professori? Si diceva educare e insegnare e questi termini non evocavano operazioni naziste o maoiste.
Anche i miei genitori e i miei nonni mi dicevano continuamente "questo non si fa" "questo non è giusto" "fai questa cosa che è una bella cosa" e cose simili. E io al novanta percento li prendevo sul serio.
Leggendo i giornali già da bambino mi accorgevo che i fatti di cronaca venivano presentati e commentati con toni diversi tali da provocare in me piccolo lettore reazioni diverse.
Ho vissuto la nascita e i primi passi della TV ed ho avuto l'impressione che la televisione a sua volta contribuiva a fare lo stesso lavoro dei genitori, nonni, scuola, giornali.
Forse senza questi condizionamenti, se nessuno pretendesse di educarci saremmo più liberi. Ma siccome tanti, anche involontariamente, ci condizionano, non potrebbero condizionarci nel rispetto di alcuni principi, di alcuni valori, che almeno l'esperienza, la storia hanno dimostrato essere positivi o almeno più utili alla conservazione dell'individuo, della specie e della civiltà?
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Re: Zelig

Messaggioda franz il 12/11/2008, 15:46

pierodm ha scritto:Ma gl’indicatori non sono né una medicina, né di per sé significano che la vita, la società e la storia siano una malattia – che era l’argomento in discussione.

Gli indicatori non sono una medicina ma se la mia glicemia è sopra la soglia considerata accettabile è norma che un dottore serio mi prescriva tutta una serie di cose, sul piano della dieta, degli stili di vita e delle medicine, per fare in modo che l'anno prossimo ci possiamo ancora vedere.
Che poi siano prescrizioni che storicamente 100 anni fa non fossero storicamente fattibili (perché non c'erano i test e non c'erano le medicine) questo nulla toglia alla validità delle cure moderne.
Che poi io decida di continuare il mio stile di vita, riempiendomi di dolci ed ignirando ogni consiglio, fa parte di quella cosa che chiamiamo libero arbitrio ma che qui farei meglio a chiamare incoscenza o irresponsabilità.

Ciao,Franz
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Re: Zelig

Messaggioda franz il 12/11/2008, 15:51

pinopic1 ha scritto:Adesso il discorso diventa complicato e OT. Forse immettere e iniettare non erano le espressioni più adatte. Però mi chiedo quando andavo a scuola cosa mi hanno fatto maestri e professori? Si diceva educare e insegnare e questi termini non evocavano operazioni naziste o maoiste.
Anche i miei genitori e i miei nonni mi dicevano continuamente "questo non si fa" "questo non è giusto" "fai questa cosa che è una bella cosa" e cose simili. E io al novanta percento li prendevo sul serio.
Leggendo i giornali già da bambino mi accorgevo che i fatti di cronaca venivano presentati e commentati con toni diversi tali da provocare in me piccolo lettore reazioni diverse.
Ho vissuto la nascita e i primi passi della TV ed ho avuto l'impressione che la televisione a sua volta contribuiva a fare lo stesso lavoro dei genitori, nonni, scuola, giornali.
Forse senza questi condizionamenti, se nessuno pretendesse di educarci saremmo più liberi. Ma siccome tanti, anche involontariamente, ci condizionano, non potrebbero condizionarci nel rispetto di alcuni principi, di alcuni valori, che almeno l'esperienza, la storia hanno dimostrato essere positivi o almeno più utili alla conservazione dell'individuo, della specie e della civiltà?

Ottimo discorso, che varrebbe la pena approfondire.
Tra in-segnare (imporre il segno) e "ex-ducere", condurre fuori, pare evidente che siamo oggetto di operazioni altrui.
Tuttavia sono operazioni in cui noi invece siamo parte attiva, perché da esse dipende la qualità della nostra sopravvivenza.
Poi per il nostro cervello non vale la regola FIFO o LIFO (first in , forst out / last in, forst out) ma il piu' prosaico "MIMO" ed il primo che indovina avrà un gentile omaggio.

Ciao,
Franz
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Re: Zelig

Messaggioda pierodm il 12/11/2008, 16:55

Mi meraviglia un po' la reazione di Pinopic, che si sofferma - dicendo cose quasi tutte condivisibili - sull'educazione, e sul fattore-condizionamento di cui è in gran parte costituita.
"Iniettare", tuttavia, è un concetto diverso, sempre che le parole abbiano un senso.
Un concetto che - se vogliamo rimanere nell'ambito del discorso educativo - esaspera fino al grottesco sia la passività dell'educando, sia l'esercizio di potere dell'educatore.
Ed esaspera anche la riduzione della società ad una specie di metafora organica e individuale.
Insomma il termine - insieme al concetto che evoca - è veramente fuori luogo: cosa che può apparire poco grave, in tempi in cui il cazzeggio impera, questo lo ammetto.

La glicemia di Franz, come i miei FT, insistono sulla metafora biologica, alla quale mi sembra di aver contrapposto le mie ragioni: non sono in grado di aggiungere altro, né mi sembra opportuno ripetere le stesse cose con altre parole.

Tornando all'educazione di Pinopic, mi sembra necessaria qualche riflessione.
Per esempio, non credo che sia possibile eliminare i condizionamenti, anche nel caso che non esistessero le sedi e i mezzi canonici di educazione e trasmissione del pensiero - dalla scuola ai giornali, ai libri, etc.
La semplice e sola pressione sociale è già sufficiente per condizionare ampiamente una persona: forse la scuola e i libri contribuiscono a fornire qualche arma in più per difendersi dalla pressione, o almeno per saperla filtrare e non lasciarsi trasportare in modo assolutamente passivo.
Ma non è nemmeno questo il punto centrale del problema.
Il fatto è che io credo invece in un'educazione fortemente indirizzata, che senza infingimenti cerchi di conformare faziosamente la cultura dei govani allievi - tanto quanto credo in una politica dai contenuti esplicitamente ideologici.
La libertà di pensiero non è una concessione da parte dei soggetti educativi, o la conseguenza di una didattica illusoriamente mondata dai condizionamenti, e nemmeno una sorta di fall-out di posizioni bipartizan.
La libertà di pensiero - nei limiti del possibile - deriva dalla varietà delle fonti educative, che potremmo definire come "pluralismo delle faziosità" - ma non solo delle faziosità che insistono sugli stessi argomenti, ma anche pluralismo (varietà) delle prospettive, delle sensibilità, dei linguaggi che raccontano il mondo, del quale si sceglie di selezionare dettagli diversi da osservare.
E aggiungiamoci un elemento del quale si parla pochissimo, ma che è per me determinante: il silenzio, ossia lo spazio e il tempo per rimanere da soli, senza rumori di fondo e senza "messaggi" che non vengano dal proprio intimo.

Per la cronaca, io sono stato sempre un indiscilinato e un contestatore sistematico dei condizionamenti che riuscivo ad avvertire.
Aggiungo che uno dei maggiori lavori che ho fatto, in funzione della mia libertà di pensiero e di conoscenza, è stato quello di "rimanere ignorante", ossia di non gettarmi sui libri e sulle idee d'attualità. Tanto per fare un esempio, ho letto L'Uomo ad Una Dimensione vent'anni dopo il momento caldo.
Casualmente, ho appreso un pensiero di Pablo Picasso, che mi ha confortato nel mio istinto: "fino a vent'anni ho imparato a dipingere, da allora fino ai miei ottant'anni ho cercato di disimparare".
In fondo è un pensiero che viene incontro, a suo modo, anche a quello che dice Pino sul peso del condizionamento.
Senza dimenticare, però, che Picasso a dipingere ha imparato, e che prima di esercitare la sua libertà creativa era in grado di dipingere secondo accademia.
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Re: Zelig

Messaggioda franz il 12/11/2008, 19:25

pierodm ha scritto:"Iniettare", tuttavia, è un concetto diverso, sempre che le parole abbiano un senso.
Un concetto che - se vogliamo rimanere nell'ambito del discorso educativo - esaspera fino al grottesco sia la passività dell'educando, sia l'esercizio di potere dell'educatore.

Il senso va capito collegandolo al contesto in cui mi dichiaravo d'accordo con l'affermazione di Paolo65

paolo65 ha scritto:Per dare concretezza al tuo ragionamento per cui l'italiano è così per la sua storia e per la sua cultura, dovremmo immettere delle idee e dei valori positivi che invertano la rotta, cambiando sia la storia che la cultura di questo paese.

Immettere idee, valori e comportamenti. In quanto i comportamenti sono educativi. Nulla di stravolgente.
Io dicevo iniettare perché è un verbo che ricordavo nettamente (iniettare la soluzione) nell'ambito del libro "Change".
È evidente che per ottenere un cambiamento devi immettere/iniettare nel sistema un elemento di novità.
Che poi Watslawick identifica con una iniezione di azioni/comportamenti paradossali.
Ma questo è un altro fattore, che non riguarda solo il fatto che lui è un moderno psichiatra.
Pare abbia inizato a considerare l'uso del paradosso (l'iniezione di un paradosso nel sistema) proprio studiando i saggi comportamenti di alcuni migliaia di anni fa.

..................... L'esempio più antico a me noto della
costruzione di una realtà clinica positiva è riportato da Plutarco
nel suo Moralia (Goodwin, 1889) e tratta dello straordinario successo
delle "autorità di igiene mentale" dell'antica città di Milesia in Asia Minore:

Un certo terribile e mostruoso stato mentale afferrò le ragazze milesiane,
originando da qualche causa sconosciuta. Molto probabilmente l'aria aveva
acquisito qualche qualità esaltante e velenosa che le spingeva a questo
cambiamento e alienazione della mente; poiché all'improvviso furono attaccate
da un persistente desiderio di morire con tentativi furiosi di impiccarsi, e molte
ci riuscirono di nascosto. Le argomentazioni e le lacrime dei genitori e i tentativi
di persuasione degli amici non ottennero niente, ma esse ebbero la meglio sui
loro guardiani, nonostante tutti i loro espedienti e il loro impegno per prevenirle,
continuando a uccidersi. E la calamità sembrava essere una maledizione divina
straordinaria e al di là delle umane possibilità fino a che, col consiglio di un
saggio, fu emanata una legge del senato decretante che tutte le ragazze
che si fossero impiccate dovessero essere trasportate nude attraverso la piazza del
mercato.

L'approvazione di questa legge non solo inibì ma annullò completamente il loro
desiderio di uccidersi. Notate che grande argomento di buona natura e virtù è
questa paura del disonore; dal momento che coloro che non avevano paura
delle cose più terribili del mondo, dolore e morte, non potevano sopportare l'idea
del disonore e l'essere esposte a umiliazione anche dopo morte. (p. 354)

Forse quel saggio conosceva la massima altrettanto antica di Epitteto, che
diceva che non sono le cose in sé che ci preoccupano, ma le opinioni che
abbiamo delle cose.

Questo puo' essere un caso di immissione di una norma che, pur paradossale,
(anzi proprio perché lo è) induce il cambiamento desiderato (change).
Ci mostra che possiamo ottenere un cambiamento anche nei modi piu'
impensati e sbloccare una situazione che sembra disperata e compromessa.

C'è proprio da concludere ....yes, we can!
Scusate la divagazione classica.
Franz
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Re: Zelig

Messaggioda pinopic1 il 12/11/2008, 22:51

Essendo da qualche anno in pensione ho molto tempo libero per riflettere e ricordare quando non scrivo sciocchezze nel forum. Mi capita di ripensare così a episodi del passato, della mia educazione formazione. Si tratta di episodi apparentemente banali, insignificanti. Però mi chiedo: se erano insignificanti come mai mi sono rimasti impressi nella memoria? Forse non è soltanto nella memoria che mi sono rimasti impressi. E si tratta spesso di episodi il cui valore educativo (o diseducativo) non era chiaro neanche all'educatore che spesso a sua volta era involontariamente educatore. Probabilmente può essere anche questo l'iniettare di cui parlano Franz e Paolo.
Si tratta è vero di comportamenti individuali, i miei in questo caso.
Ma la società può essere considerata come un organismo capace di apprendere comportamenti, di perfezionarli e di trasmetterli da una generazione all'altra? Non come somma di comportamenti individuali però, ma come comportamenti dell'organismo società.
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