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Macché egoista e avido Il mercato ha un'anima

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Macché egoista e avido Il mercato ha un'anima

Messaggioda franz il 08/08/2014, 9:00

Al di là dei luoghi comuni, il capitalismo non è un sistema violento e immorale
Da Smith a Putnam, ecco chi ha dimostrato i fondamenti etici del liberismo
Carlo Lottieri - Gio, 07/08/2014 - 07:00

Da più parti si guarda al mercato come a un meccanismo impersonale: un sistema che è tanto più efficace quanto più ignora ogni riferimento di ordine etico. Tale rappresentazione è il risultato di vari fattori: in particolare, essa nasce dall'incontro tra il prevalere della prospettiva utilitaristica in economia e l'identificazione (erronea) di egoismo assoluto e comportamento imprenditoriale.

Nel '700 vi fu anche chi, come Bernard de Mandeville nella sua Favola delle api , arrivò a sostenere che una certa tenuta sociale può derivare solo da comportamenti immorali, poiché solo i «vizi privati» si convertono in «pubbliche virtù». È l'egoismo dei singoli a produrre l'armonia sociale, mentre la generosità genera disordine e inefficienze.

In verità, non si dà mercato senza fondamenti di ordine etico. Non è un caso se a fondare l'economia moderna è stato un filosofo morale, Adam Smith, che per tutta la vita ha scritto e riscritto due opere: la ben nota Ricchezza delle nazioni , in cui indaga le logiche dell'interazione spontanea di mercato, e La teoria dei sentimenti morali , in cui l'attenzione è in primo luogo sulla «simpatia» quale naturale disposizione a riconoscersi nell'altro e a condividerne le esperienze interiori. Morale ed economia si muovono assieme fin dall'inizio e una società di mercato non può prescindere da taluni valori.

In questo senso, va ricordato che gli autori che con più determinazione hanno difeso la società liberale in contrapposizione con ogni forma di interventismo pubblico abbiano, in primo luogo, usato argomenti di ordine etico. L'economista e filosofo libertario Murray Rothbard prende dalla romanziera russo-americana Ayn Rand una nozione cardinale per la sua intera riflessione: quello che egli definisce «assioma di non aggressione». In una società libera nessuno può aggredire il prossimo: non può farlo un privato, non può farlo un politico o un burocrate. In questo senso, ad esempio, la tassazione è assimilabile a un furto perché viola regole morali elementari: essa è la pretesa di «vendere» servizi (protezione, welfare o altro) anche a chi questi servizi non ha chiesto e non vuole.

In quanto ordine di rapporti volontari che muovono dal rispetto dell'altro e delle sue proprietà, il mercato è quindi nella sua essenza un ordine che antepone il diritto alla violenza, il riconoscimento dell'altro alla sua negazione.

Molti tra gli autori (da Franz Oppenheimer ad Albert J. Nock, per fare due nomi) che hanno esaminato la cosiddetta «lotta di classe liberale» tra produttori e parassiti, tra quanti ricevono dallo Stato più di quanto danno e chi invece dà più di quanto riceva, hanno aiutato a comprendere come lo statalismo sia cinico e violento, mentre l'ordine degli scambi è basato sul rispetto di limiti ben precisi. Chi utilizza i «mezzi politici» ricorre alla violenza; chi utilizza i «mezzi economici», no. Un capitalista che vive di mercato e solo di mercato può essere egoista, ma non aggredisce il prossimo, mentre ogni struttura di carattere dirigista favorisce l'imporsi di comportamenti opportunisti.

La società liberale esige moralità e, per giunta, finisce per produrre una cultura del rispetto reciproco. Quando Montesquieu, nella sua Bordeaux portuale e aperta al mondo, parlava del doux commerce («dolce commercio») intendeva proprio evidenziare come le relazioni di mercato conducano a migliorare l'animo. Di norma, un commerciante è più cortese di un impiegato delle poste. Un secolo dopo riprenderà questo tema Frédéric Bastiat quando rileverà che in una società di scambi ci si mette al servizio del prossimo: chi si offre sul mercato è a disposizione dell'altro e il suo successo è proprio legato a questa capacità di soddisfare le attese del suo interlocutore.

In questo senso, il mercato è impensabile senza il rispetto di precise regole morali (tenere fede agli impegni, non aggredire l'altro, agire correttamente) e al tempo stesso favorisce il radicarsi di comportamenti responsabili. Per giunta, ogni società libera implica che agli scambi si affianchino ordini comunitari (la famiglia, in primo luogo) in cui vige la regola della condivisione e della gratuità. Mentre lo Stato invade ogni ambito e ci deresponsabilizza, il mercato esige due pilastri: la società estesa degli contratti e dei commerci, che favorisce un'integrazione economica globale, e la società ristretta del «faccia-a-faccia», della generosità, dei rapporti disinteressati. Il mercato connette individui e anche comunità, ed è impensabile una società libera senza questa dimensione cruciale.

La riflessione contemporanea appare sempre più consapevole del rapporto tra moralità e mercato, tra principi etici e autoregolazione sociale. Gli studi sul cosiddetto «capitale sociale» sono una sostanziale ripresa di tale tema: e quando nel 1997 Robert Putnam - nel suo lavoro sulla tradizione civica delle regioni italiane - esamina i presupposti culturali del diverso sviluppo di Nord e Sud è proprio sul rapporto tra economia, morale e società che egli vuole richiamare l'attenzione.

In fondo, bisogna sempre tenere alla mente che quello che chiamiamo «mercato» è solo l'ordine naturale dei rapporti economici che emergono in una società libera. Non può quindi stupirci il fatto che esso dipenda dalla qualità (anche etica) degli attori che a esso prendono parte.

http://www.ilgiornale.it/news/cultura/m ... 43363.html
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Re: Macché egoista e avido Il mercato ha un'anima

Messaggioda pianogrande il 08/08/2014, 9:40

Questa dicotomia pubblico-privato; stato-mercato è uno storico falso problema.

Perché è falsa la dicotomia?
Perché ha come fattore comune l'uomo.
Lo stato non è una entità estranea (e magari contrapposta) al mercato e viceversa.
Entrambi sono mezzi usati dall'uomo per raggiungere i suoi fini.
E questo al dilà delle chiacchiere, della retorica, del fumo negli occhi e perfino della buona fede di qualcuno.

Quale è l'unico mezzo per avere un mercato buono o uno stato buono?
Sempre lui, l'homo più o meno sapiens.
Le intenzioni, insomma.

Stato e mercato sono quindi niente altro che due diversi mestieri di cui l'uomo si incarica e nessuno si è mai sognato di creare la dicotomia idraulico - elettricista.

Sia l'idraulico che l'elettricista hanno come scopo comune il benessere dell'abitazione (lo scopo ufficiale) quello un po' più nascosto ma neanche tanto è quello di fare soldi anche frodando in vari modi.
Hanno sicuramente contrasti tra di loro nelle aree comuni ma possono anche mettersi d'accordo su come fregare il cliente.

L'Italia è un esempio meraviglioso di come stato e mercato (imprenditore e politico) possono mettersi d'accordo per fregare il cliente.

Ufficialmente, è chiaro, anzi deve essere chiarissimo e viene ribadito fino alla noia, che essi (stato, elettricista, mercato, idraulico) sono nati solo ed esclusivamente per il suo benessere (del cliente).

P.S. Quanto sopra vale mutatis .... anche per "il cliente" e così il quadro è completo o (per chi preferisce) il cerchio si chiude.
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Re: Macché egoista e avido Il mercato ha un'anima

Messaggioda franz il 08/08/2014, 12:42

Il tuo approccio al problema mi piace.
Mi pare il piu' razionale e deideologizzato. Pragmatico.

Il mio commento, direttamente all'autore su FB, è stato simile. Sotto sotto c'è l'uomo e la sua cultura locale.
Ottime considerazioni. Mi fa pensare tuttavia alla differenza tra quello che puo' essere un mercato in germania o inghilterra, e quello che c'è in Italia.
I caratteri nazionali (quindi i caratteri morali ed etici di un popolo) inflenzano il modo in cui un mercato si sviluppa. Nel caso dell'Italia abbiamo truffe, corruzione, malversazioni, mafie, clentelismo, ... insomma diverse cose che poi i più additano come colpa al "mercato". Ma si tratta di una sorta di trasferimento proiettivo. Si proietta la proria immoralità o quella circostante ed ambientale e di dà la colpa a qualcosa di estrerno: è colpa - a scelta - della società, del mercato, della scuola, della famiglia. Come uscirne?
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Re: Macché egoista e avido Il mercato ha un'anima

Messaggioda pianogrande il 08/08/2014, 13:07

Infatti Franz la colpa, sempre, di qualcun altro si chiama populismo.
Il popolo è buono e bravo etc.
La colpa dei guai è sempre della Merk.... be' non lo rifaccio il solito elenco.
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Re: Macché egoista e avido Il mercato ha un'anima

Messaggioda pianogrande il 08/08/2014, 16:10

Ah! Come uscirne.
Il primo passo è sempre lo stesso la vecchia ma sempre buona "presa di coscienza".

Lavorare, innanzitutto, perché si diffonda questa idea della responsabilità diretta del "popolo" che normalmente è "sovrano" solo per fare la vittima.
Il popolo è sovrano anche per rispondere di quello che succede.

Mi associo alla tua affermazione.
I furti sono colpa dei ladri e non del mercato.

Questo si estende automaticamente alla politica, alla violenza nel calcio, all'uso di quell'efficacissima macchina culturale che è la televisione etc. etc.

Diffondere idee è un modo molto efficace (e temuto e combattuto) di "fare politica".
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