da pierodm il 06/11/2008, 18:06
Ognuno di noi ha le sue proprie fissazioni, legittimamente, e pensa che ci sia un tema assolutamente predominante su tutti gli altri.
Ma credo che bisognerebbe starci attenti, perché si rischia di far diventare tutti gli argomenti uguali, ossia occasione per ripetere le stesse cose. Anzi, la stessa cosa.
Qui si parlava della società elitaria, ovvero delle ragioni per cui la nostra è una società bloccata, e in estensione di tutto ciò che è a monte della dimensione strettamente politica - centrodestra, centrosinistra, etc, che entrano in gioco semmai quando e come s'inseriscono nello sfruttamento o nell'incomprensione di questo stato di cose.
La nostra società non è tanto elitaria, quanto semmai familistica.
Noi non abbiamo una tradizione di elite - borghesi o aristocratiche - che, pur con i gravi vizi del classismo, abbiano saputo interpretare il ruolo di classe dirigente, assumendo allo stesso tempo i privilegi del ruolo e perpetuandoli di generazione in generazione.
Noi abbiamo le famiglie, che sono cosa diversa. Famiglie, alcune potenti e ricche, altre meno, fino ai livelli piccolo borghesi e popolari.
Essere "famiglia" significa avere lo sguardo rivolto all'interno di se stessa, laddove tutto ciò che "fuori" dalla famiglia è qualcosa da godere, da sfruttare, da vivere come cosa "altra", senza applicare a questo rapporto lo stesso parametro "etico" che vale invece all'interno della famiglia stessa.
Un'estensione della famiglia è, in seconda battuta, la filiera dell'appartenenza campanilistica, che si verifica quando per esempio dalla provincia si viene nelle città dove si esercita il potere: si arriva con la famosa "raccomandazione" da far valere presso il compaesano annidato nella burocrazia. Ma è robetta, a livello di impiegatucci ministeriali.
Nelle professioni l'appartenenza alla famiglia è un fattore determinante, che può coincidere con l'appartenenza di classe, specialmente nel sud: incide infinitamente di più questo genere di appartenenza che le relazioni sviluppate negli ambienti universitari, e non parliamo nemmeno della competenza e del merito guadagnati in questi stessi ambienti.
Il classismo, in questo tipo di società, esiste ed è forte, ma è mascherato da una cultura e una pratica populistica, fintamente democratica, che la DC seppe interpretare benissimo con il suo clientelismo "aperto": nessuna tessera di partito, ma anzi un circuito di raccomadazioni e di filtri gestito dai notabili - nelle forme sopra accennate - o dai parroci del paese.
Naturalmente, stiamo parlando soprattutto del sud dell'Italia, e in parte del centro, mentre il fenomeno è attenuato nel nord. O meglio, meno evidente, in quanto esiste una forte economia di piccola e media impresa che sembra sciogliere la società dai vincolo classisti e familistici: "sembra", però, perché anche qui l'impresa si tramanda spesso per vie familiari.
Una rete economica sicuramente più permeabile, ma che per tante ragioni non è molto meno bloccata del resto della società.