Ci sarebbe ancora molto da approfondire sui temi di SIP 1, ma preferisco prendere l’argomento da altri punti di vista.
Nei lontani anni del liceo, ricordo le mie lettura dei racconti di fantascienza, quando questo era un genere fatto non solo di mostrini e astronavi, ma ricco di suggestioni sociologiche, che ne costituivano la parte più interessante – citiamo, a braccio e solo come esempio, Clark, Ballard, Asimov, Heinlein.
Mi colpì in particolare non so se un racconto o un commento, nel quale c’erano accenni assai poco fantasy, ma molto reality allo spreco di risorse, e una forte critica ad un fenomeno ancora poco alla ribalta, qual’era il consumismo.
Per la cronaca, un’immagine mi è rimasta chiara nella memoria, tra quelle che venivano portate dall’autore per esemplificare i concetti: quella dei tubetti del rossetto femminile, fatti fin’allora di alluminio, che sottraevano una risorsa importante per una produzione obiettivamente futile ma di grande profitto commerciale.
Negli anni successivi quest’immagine mi è spesso tornata alla mente, anche dopo l’avvento della plastica, che non ha però cancellato il problema, ma l’ha soltanto spostato e reso più complesso.
Fatto questo flashback strettamente autobiografico, veniamo al tema che periodicamente si affaccia nelle nostre società, da qualche decennio a questa parte: lo stile di vita.
Le angolazioni con le quali il tema è affrontato sono innumerevoli, dal moralismo religioso a quello etico-politico, da quello ambientalista a quello aziendalista, dal piano economico a quello psicologico, antropologico, sistemico, industriale, globalistico, localistico …
Non so a quale di queste angolazioni appartiene il punto di vista che mi ha accompagnato negli anni, ammesso che sia possibile (e interessante) trovargli un’etichetta.
Estremizzando un po’, provo a spiegarlo.
A me sembra un miracolo già il solo fatto che esista il treno.
Un miracolo che esistano l’elettricità, la radio, la televisione, il telefono, l’acqua corrente in casa.
Un miracolo anche il telefonino cellulare e il computer. E gli aerei per arrivare senza tanta fatica a NY o a Buenos Aires in poche ore.
Ma. Ad un certo punto c’è un “ma”.
Un cellulare che pesa 160 grammi e ha i tasti più o meno proporzionati ai polpastrelli umani, mi sembra un ottimo punto d’equilibrio tra lo sviluppo tecnologico e le necessità reali di una persona.
Un viaggio di dieci ore per arrivare in aereo, o in treno, da qui a lì mi sembra un bel risultato: serve davvero comprimere questo tempo per fare lo stesso viaggio in sei, cinque, quattro ore?
Qualcuno che modificasse l’impianto di casa per far arrivare l’acqua corrente in tutte le stanze, e anche nel corridoio, per potersi lavare le mani senza andare in bagno, come sarebbe considerato?
Probabilmente uno ricco sarebbe considerato solo un eccentrico, ma uno che per farlo accendesse un mutuo certamente un cretino, o un nevrotico all’ultimo stadio.
Io non mi sento più libero o più felice, da quando esistono tante aziende fornitrici di energia elettrica – e nemmno più ricco. Non ho notato miglioramenti nel livello d’illuminazione di casa mia.
Non ho aumentato le mie capacità di trasmissione di pensieri e parole da quando la Telecom è diventata privata.
Sulla televisione è meglio stendere un velo pietoso.
Quando la pubblicità era un quadratino a fondo pagina, o un carosello che compariva un paio di volte al giorno, era divertente e non dava fastidio. Diecimila spot al giorno sono come una piaga d’Egitto.
Da quando i servizi pubblici, il suolo pubblico, i beni pubblici, e molte tecnologie a larga diffusione sono diventate teatro di guerra del profitto aziendale (detto in bella copia, “privatizzati”) non è minimamente migliorata né la mia vita, né la condizione dell’economia nazionale, e nemmeno la libertà dei cittadini o il loro benessere.
Se qualche vantaggio c’è stato, è un vantaggio assolutamente sproporzionato per difetto all’enorme impiego di risorse necessario per ottenerlo – risorse finanziarie, umane, sociali.
Tutto ciò, limitandoci a valutare gli eventuali vantaggi nei diversi settori presi in esame.
Quello che rende il sistema assolutamente demenziale – se appena si riesce a svincolarsi dai paraocchi ideologici – è il fatto che le tecnologie e lo sviluppo hanno prodotto il discutibilissimo miracolo di far diventare i tastini dei cellulari microscopici, ma hanno lasciato invariato il fenomeno di milioni di persone che ogni anno muoiono di fame, di sete, di malattie, di violenza urbana, in varie ed estese parti del mondo, comprese le stesse città dove hanno sede le aziende telefoniche, elettriche, aeroportuali e radiotelevisive in allegra competizione tra loro per spartirsi i soldi dei cittadini-clienti.
Prevengo l’obiezione “ le miserie e le disgrazie del mondo sono sì presenti, ma sono diminuite rispetto a cinquanta o cento anni fa, grazie allo sviluppo, etc “.
Non a caso ho fatto la premessa, che si tratta di una questione di equilibrio: benissimo lo sviluppo, fino a quando ci fornisce certe facoltà e soddisfa certi bisogni, ma quando diventa un fenomeno incontrollato, che produce bisogni indotti o gadget ridicoli, che serve solo ad arricchire gli speculatori, che genera fenomeni grotteschi come l’alluvione pubblicitario che assorbe enormi energie, etc, mentre altri bisogni o vere e proprie tragedie lasciano il tempo che trovano, allora il discorso dei cinquanta o cento anni non è più accettabile. Anzi, suona come certi discorsi sulla mafia, che “comunque offre lavoro ai picciotti e sostituisce un governo che non c’è”.
Dobbiamo rivedere profondamente lo stile di vita: così si dice da qualche tempo, a voce più o meno sommessa.
Bene. Aridatece er puzzone. Aridatece la cabina telefonica e gli apparecchi a gettone: ci bastavano.
Se poi li vogliamo costruire meglio, che non si guastano tanto facilmente, e le centraline non s’incriccano alla prima goccia di pioggia, saremo ancora più contenti.