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SIP 2 - Lo stile di vita

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

SIP 2 - Lo stile di vita

Messaggioda pierodm il 29/10/2008, 7:42

Ci sarebbe ancora molto da approfondire sui temi di SIP 1, ma preferisco prendere l’argomento da altri punti di vista.

Nei lontani anni del liceo, ricordo le mie lettura dei racconti di fantascienza, quando questo era un genere fatto non solo di mostrini e astronavi, ma ricco di suggestioni sociologiche, che ne costituivano la parte più interessante – citiamo, a braccio e solo come esempio, Clark, Ballard, Asimov, Heinlein.
Mi colpì in particolare non so se un racconto o un commento, nel quale c’erano accenni assai poco fantasy, ma molto reality allo spreco di risorse, e una forte critica ad un fenomeno ancora poco alla ribalta, qual’era il consumismo.
Per la cronaca, un’immagine mi è rimasta chiara nella memoria, tra quelle che venivano portate dall’autore per esemplificare i concetti: quella dei tubetti del rossetto femminile, fatti fin’allora di alluminio, che sottraevano una risorsa importante per una produzione obiettivamente futile ma di grande profitto commerciale.
Negli anni successivi quest’immagine mi è spesso tornata alla mente, anche dopo l’avvento della plastica, che non ha però cancellato il problema, ma l’ha soltanto spostato e reso più complesso.

Fatto questo flashback strettamente autobiografico, veniamo al tema che periodicamente si affaccia nelle nostre società, da qualche decennio a questa parte: lo stile di vita.
Le angolazioni con le quali il tema è affrontato sono innumerevoli, dal moralismo religioso a quello etico-politico, da quello ambientalista a quello aziendalista, dal piano economico a quello psicologico, antropologico, sistemico, industriale, globalistico, localistico …
Non so a quale di queste angolazioni appartiene il punto di vista che mi ha accompagnato negli anni, ammesso che sia possibile (e interessante) trovargli un’etichetta.
Estremizzando un po’, provo a spiegarlo.

A me sembra un miracolo già il solo fatto che esista il treno.
Un miracolo che esistano l’elettricità, la radio, la televisione, il telefono, l’acqua corrente in casa.
Un miracolo anche il telefonino cellulare e il computer. E gli aerei per arrivare senza tanta fatica a NY o a Buenos Aires in poche ore.
Ma. Ad un certo punto c’è un “ma”.

Un cellulare che pesa 160 grammi e ha i tasti più o meno proporzionati ai polpastrelli umani, mi sembra un ottimo punto d’equilibrio tra lo sviluppo tecnologico e le necessità reali di una persona.

Un viaggio di dieci ore per arrivare in aereo, o in treno, da qui a lì mi sembra un bel risultato: serve davvero comprimere questo tempo per fare lo stesso viaggio in sei, cinque, quattro ore?

Qualcuno che modificasse l’impianto di casa per far arrivare l’acqua corrente in tutte le stanze, e anche nel corridoio, per potersi lavare le mani senza andare in bagno, come sarebbe considerato?
Probabilmente uno ricco sarebbe considerato solo un eccentrico, ma uno che per farlo accendesse un mutuo certamente un cretino, o un nevrotico all’ultimo stadio.

Io non mi sento più libero o più felice, da quando esistono tante aziende fornitrici di energia elettrica – e nemmno più ricco. Non ho notato miglioramenti nel livello d’illuminazione di casa mia.
Non ho aumentato le mie capacità di trasmissione di pensieri e parole da quando la Telecom è diventata privata.
Sulla televisione è meglio stendere un velo pietoso.
Quando la pubblicità era un quadratino a fondo pagina, o un carosello che compariva un paio di volte al giorno, era divertente e non dava fastidio. Diecimila spot al giorno sono come una piaga d’Egitto.

Da quando i servizi pubblici, il suolo pubblico, i beni pubblici, e molte tecnologie a larga diffusione sono diventate teatro di guerra del profitto aziendale (detto in bella copia, “privatizzati”) non è minimamente migliorata né la mia vita, né la condizione dell’economia nazionale, e nemmeno la libertà dei cittadini o il loro benessere.
Se qualche vantaggio c’è stato, è un vantaggio assolutamente sproporzionato per difetto all’enorme impiego di risorse necessario per ottenerlo – risorse finanziarie, umane, sociali.

Tutto ciò, limitandoci a valutare gli eventuali vantaggi nei diversi settori presi in esame.
Quello che rende il sistema assolutamente demenziale – se appena si riesce a svincolarsi dai paraocchi ideologici – è il fatto che le tecnologie e lo sviluppo hanno prodotto il discutibilissimo miracolo di far diventare i tastini dei cellulari microscopici, ma hanno lasciato invariato il fenomeno di milioni di persone che ogni anno muoiono di fame, di sete, di malattie, di violenza urbana, in varie ed estese parti del mondo, comprese le stesse città dove hanno sede le aziende telefoniche, elettriche, aeroportuali e radiotelevisive in allegra competizione tra loro per spartirsi i soldi dei cittadini-clienti.

Prevengo l’obiezione “ le miserie e le disgrazie del mondo sono sì presenti, ma sono diminuite rispetto a cinquanta o cento anni fa, grazie allo sviluppo, etc “.
Non a caso ho fatto la premessa, che si tratta di una questione di equilibrio: benissimo lo sviluppo, fino a quando ci fornisce certe facoltà e soddisfa certi bisogni, ma quando diventa un fenomeno incontrollato, che produce bisogni indotti o gadget ridicoli, che serve solo ad arricchire gli speculatori, che genera fenomeni grotteschi come l’alluvione pubblicitario che assorbe enormi energie, etc, mentre altri bisogni o vere e proprie tragedie lasciano il tempo che trovano, allora il discorso dei cinquanta o cento anni non è più accettabile. Anzi, suona come certi discorsi sulla mafia, che “comunque offre lavoro ai picciotti e sostituisce un governo che non c’è”.

Dobbiamo rivedere profondamente lo stile di vita: così si dice da qualche tempo, a voce più o meno sommessa.
Bene. Aridatece er puzzone. Aridatece la cabina telefonica e gli apparecchi a gettone: ci bastavano.
Se poi li vogliamo costruire meglio, che non si guastano tanto facilmente, e le centraline non s’incriccano alla prima goccia di pioggia, saremo ancora più contenti.
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Re: SIP 2 - Lo stile di vita

Messaggioda franz il 29/10/2008, 8:51

pierodm ha scritto:Un viaggio di dieci ore per arrivare in aereo, o in treno, da qui a lì mi sembra un bel risultato: serve davvero comprimere questo tempo per fare lo stesso viaggio in sei, cinque, quattro ore?.

Se uno non ha un tubo da fare, metterci 10 ore è meglio. Si gode il viaggio ed il paesaggio.
Ma se uno ha tante cose da fare, sta tornando a casa dalla famiglia, sta viaggiando per lavoro, di solito meno ci mette e meglio è per lui. Oltre alle persone poi viaggiano le merci. Prima arrivano e meglio è sotto molti aspetti.

Molte delle cose che hai scritto sono anche condivisibili, sul piano individuale, nel senso che magari non le condivido ma so che ci sono persone che la pensano in quel modo e che per loro, va bene cosi'. Ma oltre a quello che hai scritto per me la società, va vista in tutte le sue facce. Che come nelle medaglie sono come minimo due. Nella società moderna le sfaccettature sono molteplici.

Non c'è dubbio che il progresso comporti vantaggi che alcuni reputano inutili (mia mamma non aveva la macchina e non aveva computer, il solo affrontare l'argomento comportava un discussione accesa su quelle "boiate che non servono a nulla") ma appunto non è obbligatorio che tutti le usino. Chi trova utile una cosa, la usa. Poi ci sono cose che uno non vorrebbe mai usare, come un cuore artificiale o anche solo una valvola cardica, ma poi quando arriva il momento il progresso mostra innegabili lati nascosti.

I progressi nella medicina sono appunto uno dei lati nascosti (anche se ben visibili) che sono legati alla rivoluzione tecnologica iniziata negli anni 70 ed 80 del secolo scorso. Partiti da un'altra cosa reputata dai piu' inutile: la conquista dello spazio nella competition tra sovietici ed americani per arrivare sulla Luna.
Da li' sono uscite, dalle università e dai laboratori di ricerca, tutte quelle innovazioni in campo elettronico e biomedico che hanno avuto le ricadute sulla comunicazione (PC, Internet, telefonino) e la biomedicina.

Ora, avviandomi alla conlcusione, va detto che se molti usano certe cose, significa che esse sono considerate utili dai piu', anche se non da tutti. Qui il mercato dimostra (almeno su questo punto) di funzionare. Gli scaffali sono pieni deglo oggetti che le persone vogliono. Diversamente non verrebbero prodotti. E tutto questo avviene senza alcuna programmazione centralizzata, senza alcun piano nazionale o continentale, annuale o quinquennale.

Il fatto che a qualcuno possa non interessare andare piu' veloce in treno o un telefonino in cui vedere la TV è ininfluente, se altre 100 persone invece sono interessate alla cosa. Quando il mercato propone cose inutili, esse non vengono accettate dai consumatori. E diventano dei flop. Difficile fare esempi, perché appunto nessuno conosce questi prodotti. Forse qualcuno ricorda i minidisk, una sorta di mini CD in custodia rigida. Ucciso prma che potesse prendere piede da altri oggetti (Mp3 in rete ed i vari lettori).

Sarebbe interessante poi approfondire il tuo accenno alla induzione di bisogni (fasulli) ma qui ci vorrebbe un intero thread a parte. La teoria dice che non esiste alcun bisogno fasullo indotto. Esistono invece esigenze inespresse che possono essere soddisfatte con beni e servizi. Il telefonino puo' essere un esempio. Era considerato una cosa inutile solo 15 anni fa. Cosa inutile, pesante, costosa, per pochi ricchi gasati e spandi-letame. In realtà il bisogno di comunicare nell'uomo è forte come e quanto quello di mangiare e quindi non ci si meraviglia se oggi si spende per comunicare tanto quanto si spende per il cibo. Invece di definire l'uomo "cio' che mangia" credo che sia piu' corretto pensare a "cio' che comunica" e nell'epoca della comunicazione globalizzata, parlo e chatto con mio figlio che sta a 900 km di distanza in modo totalmente gratuito (costo del PC e della ADSL a parte).

Vero che intanto mentre noi pigiamo tasti sui PC ci sono milioni di persone che muoiono di fame e sete, ma credimi, c'eano anche 20 anni, 50 anni, 100 anni fa, 1000 anni fa. Ma c'erano anche milioni di morti per il vaiolo (malattia che si stima che in 10'000 anni abbia fatto un miliardo di morti) ma oggi non piu' perché il vaiolo è stato debellato definitivamente. E credo che quindi la strada del progresso sia quella che puo' risolvere i problemi.
Fermarci e tornare indietro puo' solo aggravarli.

Per esempio tornare alla società preindustriale significa tornare a 500'000 milioni di abitanti sul pianeta.
Tornare alla società pre agricola significa tornare a 20 milioni al massimo su tutta la Terra.

Bello e molto romantico. Sicuramente piu' sostenibile per il pianeta.

Ma chi va a dire a chi verrà escluso (come essere e come discendenza) che non avrà posto nel mondo di domani?
E soprattutto: chi decide chi vive e chi no? Con che diritto?
Mi pare che il progresso quindi sia una sorta di benedizione/maledizione che ci costringe ad andare avanti, cercando e trovando ogni volte le soluzioni ai problemi che lo stesso progresso genera e prendendo pero' atto dei benefici che dà, anche se a qualcuno non servono tutti.

Chiudo qui questo angolo matutino di filosofia e vi saluto tutti!
Ciao
Franz
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Re: SIP 2 - Lo stile di vita

Messaggioda pierodm il 30/10/2008, 7:16

Cominciamo dai bisogni indotti.
Questi bisogni esistono, e non è poi così difficile vederlo.
Naturalmente non c’è un istituto o un cartello sotto il titolo Bisogno Indotto: tanto più è surrettizio, tanto più deve sembrare naturale.

Vale per questo fenomeno lo stesso meccanismo che presiede l’indottrinamento ideologico dei sistemi totalitari.
L’educazione, la scuola, l’insegnamento familiare, la pressione sociale sono certamente un condizionamento: educare significa, in fondo, che “io” ti porto dove voglio o dove “io” penso che tu debba andare, e ti trasmetto le cognizioni che “io” penso siano utili o migliori.
Una questione, questa, che giustamente – pur nella sua inevitabilità – ha dato luogo da sempre a infinite discussioni, perché ogni educazione ha in sé il rischio di coartare la libera espressione di una personalità, ed è comunque un’ipoteca attraverso la quale una cultura tende a riprodurre se stessa.
Tuttavia, salta immediatamente agli occhi la differenza che esiste tra un condizionamento educativo “ordinario” e l’indottrinamento vigente nei sistemi totalitari – nazismo, fascismo, stalinismo, maoismo, franchismo.
Anche nella Germania nazista o nella Cina maoista c’erano le scuole, i maestri, l’ora della merenda, e anche chi scriveva i libri non era un lupo mannaro, ma un professore, uno specialista, che forse credeva davvero a quello che scriveva.
Ma siamo tutti concordi nel dire che quel tipo di educazione travalicava i confini della soggettività e la quota di condizionamento inevitabile in una trasmissione culturale: il nazionalismo, il militarismo, l’odio verso razze ed etnie, il modo stesso di considerare se stessi, etc, non risultavano da un orientamento culturale, ma da una vera e propria coercizione della personalità intellettuale e del comportamento.

Non è un caso che la gran parte dei sociologi che studiano la società post-industriale parlano di “totalitarismo consumistico”.
La coercizione non avviene – o non avviene soltanto – attraverso la parola o i concetti trasmessi con le consuete forme di comunicazione verbale, ma attraverso una massa d’urto imponente di tipo iconografico, audiovisivo e simbolico. E avviene soprattutto attraverso l’immissione o dismissione di merci, prodotti, servizi, e attraverso la pubblicità, la quale è lontanissima da ciò che era in origine, ossia una “comunicazione commerciale” o – come dice un tizio bifronte con i baffi – un “consiglio per gli acquisti”.
Se vogliamo essere semplici e diretti, diciamo pure che Goebbles era un dilettante con pochi mezzi rudimentali rispetto a chi fa la campagna Vodafone o Mastro Lindo.
Del resto, basta ascoltare le madri – quelle che devono fare i conti per la spesa, s’intende, cioè la maggioranza – che devono combattere con la baionetta con le frustrazioni dei pargoletti, che vogliono lo zainetto, e il videofonino, e la scarpetta, e la giacchettiella, e la playstation, e … e… e…: non è solo la pubblicità (ché tuttavia la metà della metà basterebbe) ma una gara, una rincorsa che una volta avviata si autoalimenta.

Questo fenomeno ha la caratteristica di non mostrare alcun “autore” perseguibile – regime, governo, ministro del minculpop – e di essere assolutamente anonimo, lasciando la porta aperta per chi preferisce attribuirlo alle “naturali” forze del mercato, del commercio, dello sviluppo.
In alternativa, nel momento in cui si riesce ad individuare un “autore” si tratta di un meccanismo, e quindi si scivola nella sociologia, o nella filosofia: la qual cosa va benissimo, perché tanto della sociologia e della filosofia non gliene frega niente a nessuno, tanto che non è affatto raro ascoltare dotti discorsi che denunciano il totalitarismo consumistico sul piano etico e filosofico, subito prima o subito dopo uno spot pubblicitario o in una trasmissione sponsorizzata dalla Tim.

Se non ci accordiamo sul fatto che esistono i bisogni indotti (i persuasori occulti, come sono stati chiamati quando si è cominciato ad occuparsi del problema) se non concordiamo su questo, sono guai.

Per stamattina basta così. Sugli altri punti del messaggio di Franz ci aggiorniamo a più tardi.
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