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Legge di stabilità

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Legge di stabilità

Messaggioda franz il 17/10/2013, 9:32

Legge di stabilità. Guglielmo Epifani media. Ma il guru renziano Yoram Gutgeld boccia: "Inesistente..."

Pubblicato: 16/10/2013 18:04 CEST | Aggiornato: 16/10/2013 18:04 CEST

“Apprezzabile ma da migliorare in Parlamento e l’anno prossimo”. In conferenza stampa al Nazareno, Guglielmo Epifani snocciola davanti ai giornalisti i suoi giudizi sulla legge di stabilità varata dal governo Letta e assume un approccio di mediazione, diciamo così. Perché nel Pd il clima generale sulla manovra non è di soddisfazione. Anzi. Su twitter scorrono i malumori dei cuperliani: “Dieci miliardi in tre anni sul cuneo fiscale non servono a niente. Usiamoli meglio, creiamo lavoro", dice per esempio Matteo Orfini. Soprattutto però della legge di stabilità non sono per niente contenti i renziani, cioè le truppe del (con tutta probabilità) prossimo segretario del Pd. I fedelissimi del sindaco di Firenze sono pronti a bocciare il testo licenziato dal consiglio dei ministri. “Talmente soffice che è come se non esistesse”, ci dice il guru renziano per l’economia Goram Gutgeld, esponente della commissione Bilancio della Camera.

Parole forti, destinate a pesare nel dibattito sulla legge di stabilità, ora che approderà in Parlamento. “Vedremo se sarà emendabile...”, azzarda Gutgeld. Ma il punto per lui, autore del programma economico di Renzi, è che nel decreto governativo “c’è una programmazione che lascia tutto così com’è, invece in Italia servirebbe una rivoluzione”. Dunque c’è poco da emendare. E c’è poco da stare allegri anche del mancato taglio alle spese sulla sanità, sbandierato a Palazzo Chigi come una vittoria. “Sembra una barzelletta – ci dice Gutgeld – può essere giusto non ridurre i costi ma bisogna lavorarci sulla sanità, mica si può lasciare tutto così com’è. Bisognerebbe scardinare il sistema delle nomine politiche, valorizzare i background manageriali, per fare solo qualche esempio. E in ogni caso, la sforbiciata mancata alla sanità ha prodotto un taglio al cuneo fiscale più ridotto e così non serve…”. Insomma, “i titoli sono buoni, ma sotto non c’è nulla. Invece dovremmo mettere in piedi norme di contrasto vero dell’evasione fiscale, di riduzione della spesa, di totale riforma degli investimenti: di tutto questo non c’è traccia”. Unica concessione a Letta: “Può anche darsi che questi problemi vengano affrontati in provvedimenti diversi dalla legge di stabilità. Vedremo. Il punto non sono le leggi ma un governo che faccia le cose e inizi cambiamenti che producano risultati nel tempo…”.

Perché, come spiega il veltronian-renziano Antonio Funiciello: “La legge di stabilità si scrive tutto l'anno, non solo in ottobre. Non avendo il governo avviato nei mesi scorsi un piano di recupero di risorse pubbliche da investire in driver di sviluppo, era ovvio che si arrivasse a una manovra del genere. Certo, non ci sono nuove tasse. E ci mancherebbe. Ma il merito del riequilibrio dei conti va ascritto ancora al governo Monti. Speriamo almeno non ci sia il solito assalto alla diligenza...". Per ora, dunque, non si annunciano rese dei conti in Parlamento. Ma, come dice Gutgeld, si vedrà e non è escluso che i renziani presentino emendamenti propri in sede di dibattito parlamentare. Gutgeld dice che presto avrà un confronto con lo stesso Renzi sul tema specifico della legge di stabilità. Per il momento, per i renziani, l’importante è tenere il punto, a meno di due mesi dall’elezione del sindaco di Firenze alla segreteria del Pd. Come sull’amnistia e poi la legge elettorale, ora la prossima sfida si chiama legge di stabilità.

http://www.huffingtonpost.it/2013/10/16 ... _ref=italy
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Finanziarie a confronto

Messaggioda franz il 22/10/2013, 16:59

Un occhio alle finanziarie di Spagna, Portogallo e Irlanda.
E al 6% di Pil di maggior spesa pubblica italiana rispetto alla Germania

di Oscar Giannino

Fino a Natale, la legge di stabilità andrà incontro a tumultuosa navigazione. Cominciando dall’esame preventivo a cui è sottoposto dalla Commissione Europea. E’ il primo anno che scatta la nuova regola europea, per la quale le leggi fondamentali di finanza pubblica sono sottoposte a un filtro comunitario prima ancora dell’approvazione parlamentare (la Francia, tradizionalmente sovranista, ha tirato dritto per la sua strada malgrado il bonus riconosciutogli da Bruxelles di più tempo per rientrare sotto il 3% di deficit,e il Parlamento ha già approvato la finanziaria).

Non è un caso che sabato Bruxelles abbia chiesto a Letta di saperne di più. Perché in Europa ne sanno quanto noi, e in definitiva un testo articolato delle misure praticamente ancora non si è visto. Bisogna accontentarsi di successive descrizioni generali, dei diversi interventi interventi di minor spesa e maggior gettito. Dalla tassazione sugli immobili alle minori detrazioni, in 6 giorni si è letto di ogni.

Mentre aspettiamo di capire meglio e Fassina resta al governo dicendo che insieme al Pd combatterà “il rigore imposto dalla Ue”, il Pdl alza muri contro gli aggravi fiscali che pure nei testi sin qui circolati ci sono eccome, il sindacato proclama il primo scioperino generale di 4 ore, e Squinzi di Confindustria dichiara che se solo gli avessero detto quanto era incasinata la situazione col cavolo che faceva il presidente, è forse utile dare un’occhiata anche in casa d’altri, soprattutto ai membri dell’euroarea che sono malandati come noi. E che sono stati sottoposti al monitoraggio obbliogato della Trojika.

C’è un ampio dibattito, economico e politico, sugli effetti che le politiche di austerità hanno scatenato nelle economie del Sud Europa. Ma è ancora da vedere se non sia stato meglio per i Paesi “obbligati” a manovre dure, alla fin fine, perché il morso del controllo trimestrale ha obbligato le loro classi dirigenti a riforme energiche. Noi abbiamo sperimentato invece soprattutto aggravi fiscali.

Spagna

A Madrid il premier Mariano Rajoy, del partito popolare, è quasi a metà del suo mandato quadriennale. E’ indebolito da scandali sul finanziamento illecito al suo partito, ma spera che in economia il peggio sia alle spalle. Il budget 2014 presentato a fine settembre è il più “leggero” dal 2011, ma la differenza è che da allora i governi, prima socialista e poi di Rajoy, son già dovuti intervenire con quattro manovre straordinarie in corso d’anno oltre alle finanziarie regolari. Avendo la Spagna un bonus biennale per rientrare sotto il 35 di deficit, il budget propone tagli e incrementi di entrate questa volta per soli 8 miliardi, per far scendere il deficit al 5,8% del Pil rispetto al 6,5% e probabilmente un po’ di più a cui dovrebbe chiudere a fine 2013.

Ma già dal secondo trimestre dell’anno in corso l’economia spagnola ha ripreso ad andar leggerissimamente meglio, la disoccupazione raggiunto il 26.7% ha cessato di salire e mostra primi segni di decrescita, diversamente da noi, e le previsioni del Pil nel 2014 sono state ritoccate al rialzo, verso più 0,7-0,8%. Per la prima volta è insomma una finanziaria di “manutenzione” dei conti, con una diminuzione prevista soprattutto dai minori interessi sul debito per lo spread molto più basso di quello del 2012 e inizio 2013 (erano 100 punti base più del nostro, prima che l’instabilità italiana ce lo facesse riagganciare nel corso dell’estate). Ma alle spalle ci sono state misure da lacrime e sangue. Tra la finanziarie dell’anno scorso e l’intervento straordinario del marzo 2012, appena vinte le elezioni, Rajoy ha dovuto migliorare i saldi pubblici spagnoli per circa 30 miliardi di euro, le misure più pesanti da quando la Spagna democratica è succeduta al regime di Franco.

Se prima di lui il socialista Zapatero aveva alzato l’IVA di 2 punti e tagliato del 5% il salario dei dipendenti pubblici, Rajoy ha alzato l’aliquota più elevata Irpef e ha dovuto tagliare con durezza i fondi alle Regioni autonome in dissesto. Anche in Spagna i contratti pubblici sono bloccati da 5 anni senza indicizzazione, ma le riforme del lavoro sotto Zapatero come Rajoy – a favore anche dei contratti a tempo, a differenza delle nostre, come dagli aggravi fiscali sono state tutelate le piccole imprese a differenza che da noi – hanno di molto abbassato il costo del lavoro per unità di prodotto. Infatti, export e competitività vanno meglio del previsto. Restano tre problemi gravi, oltre la disoccupazione: 700 mila case vuote,il relitto della bolla immobiliare; il dissesto bancario – la Spagna ha usato 42 dei 100 miliardi messi a disposizione dalla Ue – lungi dall’esser risolto;e la riforma delle pensioni da rivedere, visto che il sistema continua a perdere l’1,5% del Pil l’anno e gli effetti dell’innalzamento dell’età pensionabile a 67 anni – deliberato da Zapatero – ha troppi anni davanti a sé per riequilibrare i conti. La Spagna aveva una spesa pubblica pari al 46% del Pil nel 2009, a fine 2012 era salita al 47,8%, con entrate pubbliche totali salite solo dal 35% del Pil al 37,1%.

Portogallo

Anche il premier portoghese, Pedro Passos Coelho (socialdemocratico, a Lisbona il partito appartiene al centrodestra) è entrato nel terzo anno di mandato, e con la finanziaria appena presentata ha annunciato l’uscita dalla più pesante recessione in 40 anni. Nel secondo trimestre 2013, l’economia portoghese è cresciuta dell’1,1% sullo stesso trimestre 2012. L’Italia ci metterebbe la firma. La finanziaria 2014 presenta un miglioramento del saldo pubblico di circa 4,7 miliardi, rispetto al 6,3% sul Pil a cui dovrebbe chiudere il deficit 2013.

Ma sulla finanziaria 2014 pesa ancora la crisi istituzionale apertasi in primavera, quando la Corte costituzionale – facendo sobbalzare la trojka Ue, Bce e Fondo Monetario che monitora il Paese – dichiarò illegittime 4 delle 9 principali misure assunte nella finanziaria 2013, per circa 1,3 miliardi così sfumati di miglioramento del deficit. Il Portogallo negli anni alle nostre spalle ha tra l’altro tagliato, oltre alle indicizzazioni e alle pensioni, 13esime e 14esime, le prime a privati e pubblici dipendenti, le seconde solo ai pubblici, e la Corte su quest’ultimo punto ha detto no. Come ha respinto i tagli ulteriori – era il terzo round, dal 2011 – alle indennità di malattia e a quelle di disoccupazione.

Tutte cose impensabili, per l’Italia. Il Capo dello Stato, Cavaco Silva, si vide costretto costretto a chiedere un patto di larghe intese tra il centrodestra e l’opposizione di sinistra socialista, per una maggioranza dell’80% in grado di cambiare la Costituzione e rispondere così ai no della Corte. I socialisti hanno rifiutato. E su Passos Coelho resta così l’impedimento di procedere a drastici tagli dei 600 mila dipendenti pubblici, il 16,5% del totale degli occupati, difesi strenuamente dalla sinistra. Se le tensioni nell’euroarea riprendono, oltre al terzo pacchetto di aiuti alla Grecia potrebbe esserne necessario un secondo anche per Lisbona. La spesa pubblica era pari al 49,8% del Pil nel 2009, arrivò al 51,5% nel 2010, è scesa al 47,4% a fine 2012. Con totale delle entrate pubbliche inchiodato al 40% del Pil, rispetto al 39,6% del 2009.

Irlanda

Dublino ha oggi il peggior deficit nell’euroarea,ancora all’8% del Pil. L’Irlanda ha cumulato con la Spagna il peggio: nella crisi è esplosa sia la bolla bancaria sia quella immobiliare. Per questo, il budget 2014 irlandese è ormai l’ottavo consecutivo di austerità. Le sette finanziarie precedenti, tra tagli di spesa brutali e innalzamenti fiscali assai meno tosti dei nostri – l’Irlanda si è opposta ad alzare l’aliquota IRES sulle imprese, al 12,5%, un sogno per le aziende italiane e per di più non esiste l’IRAP – hanno migliorato i saldi pubblici per l’equivalente del 17% del Pil.

E’ sicuramente l’esempio di maggior successo in campo europeo, a fronte dei 67,5 miliardi di aiuti ottenuti dalla trojka nel 2010, e infatti l’Irlanda è tornata sui mercati a piazzare titoli e a dicembre il monitoraggio della trojka cessa. E il budget 2014 contiene una manovra pari a soli 2,5 miliardi. L’economia è attesa in crescita del 2% nel 2014, e la disoccupazione dai massimi del 15% nel 1012 è scesa al 13%. Il governo guidato da Enda Kenny del partito Fine Gael (moderato, appartiene alla famiglia dei Popolari europei) voleva abolire il Senato per risparmiare, ma pochi irlandesi son andati alle urne e ha vinto il no. I laburisti, alleati al partito di maggioranza relativa moderato al governo, sono oggi a un terzo dei voti ottenuti nel 2011.

Pagano il prezzo di aver difeso le imprese, ma il Paese è al rilancio. Quante cose avremmo da imparare, da Dublino. La spesa pubblica era il 48% del Pil nel 2009, esplose al 65,5% nell’anno successivo, e già l’anno scorso era stata tagliata al 4,6,2%. Il totale delle entrate pubbliche è rimasto pari al 34,5% del Pil, perché la volontà resta di tagliare la spesa.

Ricordo a tutti che a fine 2012 l’Italia aveva una spesa pubblica pari al 50,6% del Pil, ed entrate pubbliche totali pari al 47.8%. La Germania, tanto per capire il gap, aveva una spesa pubblica del 44,7%: 6 punti di pil meno di noi, il che fa 100 miliardi tondi tondi. Anche se levate gli oneri da debito pubblico dovuti al maggior spread italiano su quello tedesco, restano 50 miliardi di maggior spesa italiana. E la Germania non è certo un Paese senza Stato e senza welfare… I contenimenti di spesa energici qui da noi ancora non si vedono neanche col governo Letta, ergo continueremo ad avere pressione fiscale elevatissima. Non lo so proprio se non era meglio la trojika, ognuno pesi questi numeri.

http://www.leoniblog.it/2013/10/21/un-o ... -germania/
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Re: Legge di stabilità

Messaggioda franz il 28/10/2013, 8:28

I sei punti critici della nuova imposta immobiliare, che da 20Bn può arrivare a 30 di gettito
Pubblicato: Sab, 26/10/2013 - 18:45 • da: Oscar Giannino

Da Leoni Blog

La legge di stabilità è solo all’inizio del suo esame parlamentare. Ma a otto giorni dal suo varo abbiamo finalmente testi, e si è fatta così giustizia di alcuni proclami troppo roboanti, al suo varo mentre per altro il Consiglio dei ministri ancora era ben lungi dall’esser concluso. Sappiamo per esempio che il saldo della manovra per il 2014 vede la spesa pubblica aumentare di 2,6 miliardi, e che sul fronte fiscale la somma degli sgravi fiscali previsti e dei numerosi aggravi contestualmente disposti smentisce l’annuncio “niente più tasse”, visto che lo Stato incassa circa un miliardo di euro in più nel 2014 rispetto al 2013. Sappiamo che sul fronte delle pensioni la mancata indicizzazione vale 3,5 miliardi di euro in meno ai pensionati in un triennio, mentre il contributo di solidarietà sulle maxi rendite vale solo 21 milioni di euro l’anno. E via continuando.

Molte saranno le voci sulle quali il Parlamento cambierà in profondità il testo. Basta vedere le dichiarazioni di Pd e Pdl negli ultimi due giorni. Ma una cosa è sicura. La correzione dovrà per forza riguardare la nuova imposizione immobiliare che ingloba le “vecchie” IMU e Tares sostituendole con la Trise, composta dalla somma di Tasi e Tari. Stando alla relazione tecnica della legge di stabilità, il nuovo tributo dovrebbe portare ai Comuni dalle abitazioni principali 3.764 milioni di euro, invece dei 3.331 milioni garantiti dalla vecchia IMU. Sempre in teoria, la nuova imposta non dovrebbe superare il gettito complessivo – compreso di seconde case e immobili strumentali – del 2013, cioè 20 miliardi visto che dai 24 dell’anno precedente andrebbe defalcata la seconda rata 2013 di 4 miliardi (ancora da coprire). Al contrario, stando al dispositivo varato, l’imposizione sulla prima casa sembra proprio poter passare come detto da 3,3 ad almeno 3,7 miliardi. E quella complessiva può sfiorare addirittura i 30 miliardi invece dei 20 previsti nel 2013. E’ ovvio che incertezze di questo genere, per milioni di italiani alle prese con un reddito disponibile a prezzi correnti tornato a quello di 25 anni fa e con rate di mutui per questo sempre più ardue da coprire, esercitino un pesante effetto-sfiducia. Che non si riverbera solo sull’immobiliare, già in crisi verticale di suo e con compravendite nei primi sei mesi scese a 200mila unità dai 400mila precrisi, ma che colpisce anche i consumi generali. Per difendere la casa, se non so quanto pagherò davvero fino a che i Comuni approveranno i bilanci l’anno prossimo, risparmierò anche più del giusto e comprimerò così ulteriormente la domanda interna. E’ veramente bizzarro, come si possa essere concepito un simile pasticcio proprio mentre si dichiara di voler dare fiducia agli italiani.

Vediamo quali sono, gli almeno sei aspetti sui quali i conti non tornano.

Primo: l’aliquota Tasi prima casa. La Tasi, ricordiamolo, è l’imposta sui servizi indivisibili, che ingloba dunque una componente patrimoniale. Il Tesoro ha fatto un conto medio del gettito tenendo per ferma l’aliquota base, dell’1 per mille. Ma in realtà il conto è fatto senza l’oste, perché l’aliquota Tasi può salire fino al 2,5 nello stesso 2014. E per gli anni successivi nulla si dice, aprendo la porta all’incertezza di ulteriori aumenti. A fare la differenza saranno i Comuni, pienamente titolari della decisione sull’aliquota a seconda delle condizioni del proprio conto economico. Inutile dire che, in una situazione di tensione generalizzata delle finanze locali, supporre che a tenersi al minimo dell’aliquota saranno in tanti sindaci non è un esercizio ragionevole, ma di fantascienza. Apparentemente, visto che l’aliquota IMU andava dal 4 per mille base al 6 maggiorabile dai Comuni, il vantaggio dovrebbe essere netto, ma…

Secondo: le detrazioni sulla prima casa. La vecchia Imu prevedeva una detrazione di 200 euro per tutti. In più, anche se la norma scadeva a dicembre 2013, a questa soglia si aggiungevano altri 50 euro per ogni figlio convivente nella prima abitazione e inferiore ai 26 anni di età. Il combinato disposto era tale che oltre 4 milioni di unità immobiliari registrate come “prime case”, un buon 20% dei potenziali soggetti d’imposta, risultavano “sotto la linea” ed erano così completamente esenti dal tributo. Le detrazioni non sono più previste con la nuova TASI. In realtà i 400 milioni di maggior gettito TRISE dalla prima casa, che si deducono dai testi varati dal Tesoro, vengono tutti di qui. Al ministero hanno ragionato che poiché la detrazione sui figli conviventi veniva meno a fine anno, la base impositiva andava reintegrata esattamente come se la detrazione non ci fosse stata. Ma c’era eccome, e una furbizia contabile non può giustificare che che chi non pagava ora pagherà, al contempo dicendogli che non è vero.

Terzo: L’aliquota complessiva. La vecchia aliquota massima IMU sulle altre abitazioni diverse dalla prima casa era fissata nel 10,6 per mille. Le nuove norme prevedono che quello resti come tetto, aggiungendovi però l’aliquota base della nuova Tasi, e così arriviamo all’11,6. Ragioniamo sempre nell’ipotesi realistica delle estese difficoltà finanziarie dei Comuni. Poiché sappiamo dai dati del gettito 2012 che l’aliquota media IMU sulle abitazioni diverse dalla prima casa è stata intorno al 9,3 per mille, fare i conti dell’aggravio possibile nel 2014 è agevole. La Tasi, se ha come tetto l’11,6 per mille della rendita immobiliare, può salire di 2,3 punti rispetto alla vecchia IMU. Cioè del 30% del gettito complessivo precedente. Ed ecco perché, se sommate gli aggravi su tantissime prime case prima esenti dall’IMU, la vasta applicazione possibile della Tasi al 2,5 per mille invece che all’1 per mille (che da solo secondo il Tesoro vale 3,7 miliardi), e l’aumento generalizzato fino a un terzo del prelievo sugli altri immobili, spannometricamente ma non sbagliando arrivate fino a oltre 9 miliardi di gettito potenziale aggiuntivo tra prime case e altre abitazioni (senza prima casa abrogata nel 2013, se si conferma anche l’abrogazione della seconda rata). In altre parole, si potrebbe passare da 20 a quasi 30 miliardi sul totale.

Quarto: Le facoltà dei Comuni. Il governo si difende da questo conto – ripetiamo deducibile dalle norme varate – affermando di aver dato un bonus ai Comuni di un miliardo, per “star sotto” al precedente gettito IMU. Capite bene che 30 miliardi di possibile gettito meno un miliardo fa sempre 29 miliardi rispetto a 20, e la stangata resta. Con un nuovo siluro al mercato immobiliare, sceso nel primo semestre 2013 a 200mila compravendite dalle oltre 400 mila del precrisi. Come è evidente, occorre porre delle “griglie” più penetranti alle facoltà concesse ai Comuni. E’ giusto che la nuova imposta sia pienamente “locale”. Ma nel cambio di passo e con l’acqua alla gola tanto diffusa nelle Autonomie, l’effetto può essere disastroso. In questi giorni, per fare un esempio, Roma e Milano sono ancora alle prese con l’approvazione del bilancio preventivo 2013, e tengono tutte le aliquote del prelievo fiscale al massimo loro possibile. Oltretutto, visti i tempi di approvazione dei bilanci preventivi comunali, che slittano sempre più verso fine anno, significa che quanto davvero si pagherà potremo apprenderlo solo in sede di conguaglio, poco prima dell’ultima rata: tra un anno, appunto.

Quinto: Dalle imprese, ditte individuali e società, nel 2012 venivano 16,7 miliardi di IMU pagato all’aliquota del 7,6 per mille su capannoni a immobili vari e diversi strumentali all’attività di lavoro. Da questa cifra, le deduzioni previste con la Tasi a fini Irpef – per i titolari di ditte individuali – e Ires – per le società, varranno in tutto 274 milioni, secondo la relazione tecnica della legge di stabilità. Stiamo parlando di uno sgravio alle imprese pari a meno di un sessantesimo del gettito totale precedente. In quanto la deducibilità Ires-Irpef del 20% dell’imposta sugli immobili strumentali, prevista dalla stessa legge di stabilità, crea uno sconto medio da 58 euro ogni 100mila di valore catastale, ma la Tasi produce un aggravio che può arrivare ai 100 euro. Ergo ancora una volta gli effetti tendono ad elidersi,e le imprese resteranno a portafoglio assai più vuoto di quanto sperassero all’annuncio della deduzione.

Sesto: L’Irpef sullo “sfitto”. In ogni caso, le deduzioni per le imprese sono collegate al ritorno in tassazione Irpef delle abitazioni sfitte, sia pur promettendo di non prevederlo nella generalità dei casi ma con attenzione a congiunti. Qui la questione è di principio: per molti proprietari tenere sfitte una seconda casa significa da una parte temere i mancati pagamenti di affittuari in difficoltà, dall’altra necessità se si sta tentando di venderla, dovendo scontare i tempi di molto allungatisi su un asfittico mercato immobiliare per la realizzazione del valore del bene. Significa, in altre parole, colpire chi è in difficoltà. Insieme ai titolari prima casa prima esenti, a coloro che hanno seconde abitazioni in Comuni dove l’aliquota era prima lontana da quella massima, mentre oggi magari i Comuni faranno una scelta diversa, e agli imprenditori che avranno solo una modestissima boccata d’ossigeno. Niente male, come bilancio di un’operazione presentata come “epocale”, e concepita invece dal Tesoro come strumento per liberarsi dalle pretese dei Comuni a spese del contribuente e con aliquote crescenti negli anni.
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