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SIP

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

SIP

Messaggioda pierodm il 18/10/2008, 3:11

Avevo promesso - minacciato - un sasso in piccionaia, sullo statalismo.

Non ho intenzione di fare discorsi teorici - che per altro sono fuori dalla mia portata, in campo economico - ma solo qualche riflessione pratica e personale.
Unica avvertenza: sono cose che vado pensando da anni, e che dunque non hanno molto a che fare con quello che sta succedendo adesso, o meglio, non sono causate dagli avvenimenti attuali.

Ho cominciato ad usare il telefono al tempo dei gettoni e dei telefoni di casa grigi, col disco combinatore.
Per me andava bene anche così, ma capisco che la tecnologia ha portato qualche cambiamento utile: non indispensabile, o decisivo, ma solo utile.
Quanto al cellulare, ne ho uno, ma lo uso molto poco, pur non avendo niente contro l'aggeggetto.

In sostanza, non solo la mia vita in generale, ma nemmeno le mie capacità di comunicazione sono significativamente differenti tra oggi e allora in conseguenza della nuova situazione che si è venuta a creare con la scomparsa della vecchia SIP, e con la privatizzazione della Telecom e la moltiplicazione dei gestori telefonici - a parte le piattole che telefonano alle ore del pranzo per offrirmi mirabolanti servigi e i più complicati tariffari, che una volta sola ho voluto sperimentare e ho quasi dovuto ingaggiare un avvocato per disdire dopo poco tempo.
A che serve una privatizzazione, se almeno non porta benefici reali all'utenza? Benefici reali, cioè non solo limitati (forse, ammesso che) alla tariffa, ma anche all'equilibrio del sistema economico nel suo insieme, cioè all'utenza nella sua veste più generale di cittadinanza.
Ovviamente non ho menzionato i malfunzionamenti della Telecom privatizzata, dovuti all'automazione e alle massicce riduzioni di personale nei rapporti con l'utenza, e nemmeno l'oscuro capitolo dei profitti e dei maneggi fuori controllo, resi possibili dal fiume di denaro liquido che il settore consente, i quali finiscono oltre tutto per inquinare l'intero settore economico-finanziario.

Per ciò che riguarda la televisione - riguardo alla quale si agita spesso l'eventualità della privatizzazione RAI - farei a meno subito delle reti Mediaset, che sono la prima e più vistosa conseguenza dell'allargamento dell'offerta.
L'emittenza privata, commerciale, locale, offre qualche buona opportunità, ma si tratta di ben poca cosa a fronte dell'estensione del fenomeno: la gran parte è robetta o robaccia, di cui non si sente per niente il bisogno.
In compenso c'è stata una dilatazione mostruosa dell'oppressione pubblicitaria, che non è solo un fastidio, ma che ha avuto effetti non facilmente valutabili sulla cultura e sullo stato mentale del pubblico: quello che è certo è il peso economico della pubblicità, che si riflette sui prezzi dei prodotti in una misura che pochi sospettano, ma che è in realtà assai rilevante.
La qualità e il pluralismo dell'informazione non sono affatto aumentati, con l'avvento della TV "privata", ma sono semmai peggiorati.
Tuttavia, sorvoliamo sui difetti, e accettiamo i vantaggi di questo "nuovo" privatismo: perché però si deve eliminare la RAI pubblica?

Un discorso analogo si può fare per l'energia, le Poste, le Ferrovie, insoma per tutti i settori che un tempo si definivano "strategicici", ma che possiamo aggiornare con "settori a tariffa" e a larga occupazione, nei quali la presenza privata può anche essere utile, ma non implica affatto la dismissione del ruolo pubblico in un'azienda-guida.

Il fenomeno del "mal-governo" aziendale, da parte dello stato, non è un buon argomento.
Primo, perché la gestione privata non è per niente detto che sia migliore, né come vantaggio per i cittadini, né per l'azienda stessa, specialmente se si tratta di grosse aziende che in caso di difficoltà ricevono prontamente un soccorso a spese dello stato.
Secondo, perché si possono attuare regole e organizzazioni che rendono sana tale gestione da parte dello stato.
Terzo, sul piano dei conti, potrebbe darsi che in alcuni casi lo stato ci rimetta a gestire secondo logiche "sociali" certi servizi, ma - se lo stato sono in definitiva i cittadini - bisognerebbe calcolare se la privatizzazione non faccia pagare sotto altre forme al sistema sociale quello che lo stato ha risparmiato tramite la privatizzazione.
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Re: SIP

Messaggioda franz il 18/10/2008, 9:33

Ciao,
probabilmente non sei la persona piu' adatta a valutare i benefici, visto che personalmente non ne trovi (come affermi).
Tuttavia riferendoti al "sistema economico nel suo insieme" ci azzecchi benissimo perché i vantaggi ci sono stati.
Per prima cosa il calo delle tariffe è di se stesso un vantaggio economico per i singoli e per le aziende.
Questo consente di comunicare di piu', ovunque e meglio.

La qualità della comunicazione è aumentata. Nei tempi a cui ti riferisci non era sempre facile prendere la linea.
C'era il "duplex" e se lui era al telefono ti attaccavi al tram (oppure era occupato il tuo intelocutore, perché il suo duplex era al telefono). Le telefonate erano care per cui anche il duplex non poteva stare ore al telefono. Non parliamo poi degli errori, che tu telefonavi a Milano e ti rispondeva uno di Legnano.
Sono calate notevolmente le tariffe internazionali questo è un vantaggio per tutti, cittadini ed imprese.
Sul piano occupazionale poi vorrei proprio vedere se la somma attuale di tutti gli addetti è superiore o non ai dipendenti della allora SIP ma anche se il personale fosse dimezzato sarebbe comunque un vantaggio economico generale.
Questo per spiegarlo bisognerebbe entrare in discorsi teorici, tuttavia un esempio puo' essere utile.
Prima con un unico operatore monopolista di stato, se non eri soddisfatto del servizio non potevi fare nulla; non potevi certo cambiare operatore. Oggi se ne scegli uno che ha poco personale e non sei soddisfatto del servizio, lo cambi. Ne trovi uno migliore. Il sistema quindi trova un equilibrio economico migliore, sulla base delle preferenze individuali.
Il personale in eccesso andrà a fare altri lavori. Da 40 anni a questa parte oltre ai televisori si fanno PC, Hard Disk, video, stampanti (o per lo meno le si assemblano ) telecamere, telefonini, e quindi c'è richiesta di manodopera per cose per prima non venivano fatte. Anche solo per vendere tutto questo c'è bisogno di personale.

Comprnendo pero' che osservando le privatizzazioni italiane ci sia da mettersi le mani nei capelli.
Noi riusciamo a fare tutto "all'italiana" e poi non produciamo computer, quindi da noi - per colpa di diseconomie - il bilancio non è cosi' positivo come puo' esserlo in UK, USA, Germania, Francia. Ma non dobbiamo farci ingannare dal nostor ombelico. E' tutto il nosto sistema ad essere diseconomico e quindi anche le privatizzazioni sono state parziali ed incomplete.

Vorrei insistere un attimo sulle diseconomie, con un esempio pratico. Quando d'estate vado a trovare la suocera bergamasca in montagna, rimango affascinato da alcuni suoi piccoli gesti. Scende le scale con uno scodellino e poi lo appoggia all'ingresso e va in stalla. Alcune ore dopo ripassa davanti allo scodellino, lo prende e fa altri 10 metri, appogiandolo sulla panchina. Li lo lascia e prende un altra cosa, tornando indietro. Studiando le mosse in un unico movimento si vede che l'anziana signora, che non puo' permettersi fatiche inutili, ha massimizzato istintivamente spostamenti e percorsi in modo da ottenere il massimo risultato con lo sforzo minore. Questa è economia. Per me è la base di tutto. Risparmiare energie e risorse massimizzando il risultato. Se io prima per fare una cosa avevo bisogno di 10 persone ed ora per fare la stessa cosa me ne bastano 4, ottengo un positivo esito economico. Per tutti. Il mio risparmio lo posso investire per fare altre cose (e qui avro' bisogno di altre persone). Alla fine le stesse persone faranno piu' cose a parità di tempo e forse con minore fatica. Come la suocera.

In allegato ho messo una foto che illustra, con ironia, la tipica "diseconomicità "nel settore pubblico italiano.

Per la TV io guarderei anche all'offerta che viene dall'estero.
D'accordo che noi sappiamo poco le lingue e quindi siamo in gran parte costretti a sopportare la brodaglia che rainvest ci offre ma se potessimo usufruire dell'offerta internazionale credo che il bilancio che Piero dipinge - a ragion - in tinte fosche, potrebbe migliorare.

Sugli altri temi credo che per non fare un gran minestrone dovremmo affrontarli uno per uno, separatamente.

Ciao,
Franz
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esempio di lavoro non economico.jpg
Questo lavoro (aplicare una targa davanti ad un portone) è "economico" o "diseconomico"?
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Re: SIP

Messaggioda pierodm il 19/10/2008, 0:40

Le obiezioni di Franz sono ragionevoli e interessanti, tanto quanto erano previste.
L'iniziativa privata in se stessa è positiva, e su questo non c'è bisogno di dilungarsi, in linea di principio e in generale - positiva sul piano dell'efficienza ed efficacia, come accenna Franz.
Il problema riguarda alcuni settori e servizi, a parte le situazioni eccezionali, di emergenza, che fanno poco testo.

Io parlavo dei settori che funzionano a tariffa e che interessano servizi essenziali e generalizzati - quei settori, in altri termini, che operano in un campo non estensibile all'infinito capace di accogliere realmente una vasta concorrenza, e che allo stesso tempo forniscono una garanzia certa di liquidità e di controllo del settore stesso.
A me sembra che nell'esaminare la gamma delle possibili imprese produttive e commerciali, ci sia una grande differenza tra chi opera nel settore delle macchine agricole o della ristorazione, per esempio, e chi in quello delle telecomunicazioni.
Una differenza sul piano del possibile fenomeno monopolistico, ma anche su quello del rilievo che hanno i diversi settori operativi nel quadro dell'economia nazionale.
Probabilmente un tempo, quando si diceva "strategico" si pensava maggiormente a situazioni di sicurezza nazionale in condizioni di guerra, ma il concetto rimane uguale in riferimento alla politica economica di un paese, là dove lo stato si assicura una presenza importante in grado di orientare sul piano pratico gl'indirizzi economici: un'estensione, in sostanza, di ciò che fa tramite l'intervento legislativo e regolamentare.

Per ciò che riguarda l'occupazione e l'ottimizzazione del sistema, in teoria la tesi di Franz è corretta.
Ma è una teoria che presuppone un mondo economico ideale, dove non esistono tentazioni oligopolistiche, e le leggi di mercato siano sorrette da una limpida etica imprenditoriale, e dove i rapporti di lavoro, la formazione, i salari, il rapporto tra salari e prezzi, etc, siano assolutamente sani, equilibrati, e gli antidoti verso le eventuali distorsioni siano pronti ed efficaci, e dove consumatori ed utenti abbiano la massima facoltà di far valere le proprie ragioni. E dove le tecnologie, sulle quali si basa l'espansione e la gestione d'impresa, siano a disposizione di tutti, senza strozzature o rendite di posizione.
Sappiamo bene che questa situazione ideale è ben lontana dal verificarsi - o si verifica in misura accettabile in settori a bassa tecnologia e a basso intervento di capitale, come la ristorazione che ho portato prima ad esempio, o la produzione di motozappe, nelle quali tuttavia i problemi su questo o quell'aspetto non mancano, nonostante tutto.

Se dobbiamo fidare nell'ideale, tanto vale immaginare anche una presenza massiccia dello stato ugualmente idealizzata, in cui i rappresentanti politici sono tutte persone specchiate e competenti, che nominano i manager delle aziende pubbliche secondo i meriti, e non interferiscono nella gestione per ragioni clientelari ma solo nell'interesse generale della cittadinanza, e le aziende siano gestite secondo rigidi criteri di efficienza, col vantaggio pubblico di non ricercare profitti ma solo margini per investimenti mirati e lungimiranti, etc
Una specie di Paese dei Campanelli.

Credo che siamo tutti d'accordo sul fatto che bisogna fare i conti con la realtà qual'è, e la realtà è data dall'insieme del sistema-paese, in cui si sommano, si sottraggono e si compensano vizi e virtù del pubblico e del privato: con la differenza che, se si trova un modo per accozzare insieme una rappresentanza politica decente e istituzioni che trotterellano speditamente, alcune presenze "strategiche" dello stato nell'economia, se viziose, hanno la possibilità di essere corrette e guidate con più facilità, rispetto ai vizi del privato, e ricondotte vicino ai termini dell'interesse generale.

Per quanto riguarda la SIP, ossia il settore telefonico, non possiamo fare un raffronto serio tra ciò che era trent'anni fa, o più, e oggi: diverse tecnologie, diversa base di utenza, diverso tutto.
Sul piano dei costi - ossia delle tariffe, in sostanza delle "bollette" - ricordo che le voci telefono, gas ed energia elettrica non erano così devastanti, trent'anni fa: si stava attenti, ma difficilmente le bollette arrivavano a sommare insieme mezzo stipendio, se non di più, come avviene oggi per tanta gente.
Capisco che in materia i calcoli e le analisi siano comlessi, e bisogna guardarsi da una semplificazione eccessiva: ma qualcosa sicuramente non funziona.
Come dicevo in altra occasione, se non sono i prezzi troppo alti (e quindi speculativi o derivanti da una scarsa ottimizzazione del sistema), allora sono gli stipendi troppo bassi (ma anch'essi fanno parte del sistema, che non sembra molto ottimizzato, almeno per questa parte).
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Re: SIP

Messaggioda franz il 19/10/2008, 11:43

pierodm ha scritto:Io parlavo dei settori che funzionano a tariffa e che interessano servizi essenziali e generalizzati - quei settori, in altri termini, che operano in un campo non estensibile all'infinito capace di accogliere realmente una vasta concorrenza, e che allo stesso tempo forniscono una garanzia certa di liquidità e di controllo del settore stesso.
A me sembra che nell'esaminare la gamma delle possibili imprese produttive e commerciali, ci sia una grande differenza tra chi opera nel settore delle macchine agricole o della ristorazione, per esempio, e chi in quello delle telecomunicazioni.
Una differenza sul piano del possibile fenomeno monopolistico, ma anche su quello del rilievo che hanno i diversi settori operativi nel quadro dell'economia nazionale.
Probabilmente un tempo, quando si diceva "strategico" si pensava maggiormente a situazioni di sicurezza nazionale in condizioni di guerra, ma il concetto rimane uguale in riferimento alla politica economica di un paese, là dove lo stato si assicura una presenza importante in grado di orientare sul piano pratico gl'indirizzi economici: un'estensione, in sostanza, di ciò che fa tramite l'intervento legislativo e regolamentare.

Inizio da qui perchè pur prendendo atto che quanto vado obiettando viene considerato ragionevole, non riesco a comprendere questo problema delle "tariffe". Tutto il mondo professionale lavara a tariffa ma forse Piero si riferisce alle "tariffe amministrate" (altra distorsione dell'economia in cui la politica pretende di stabilire il prezzo "equo" di un servizio) ed unisce questo al tema "strategico".
E non mi trova d'accordo.
Se prendiamo ad esempio il valore strategico dell'informatica oggi, con miliardi di computer e server, la rete Internt e tutto quanto conosciamo, potremmo anche considerare cosa succederebbe se Microsoft - che produce e distribusce il sistema operativo piu' venduto - fallisse, o semplicemente chiudesse baracca e burattini.
O cosa succederebbe a milioni di nostre caselle postali se google dovessere smettere di funzionare.
Definire Internet "strategica" è poco e se qualcosa accadesse ai sistemi operativi che fanno funzionare i pc di oggi saremmo di fronte ad un disastro economico che quello di questi giorni è una barzelletta, a confronto.
Eppure Microsoft è di fatto un monopolio, con una posizione assolutamente dominante nei confronti di altri pur validisissime alternative.
E questo ci fa capire che una cosa è il monopolio imposto (imposto dallo stato) ed altro è il fatto che un competitor possa assumere una posizione dominante (consideriamo tuttavia che prima di Microsoft c'era IBM e quindi il sistema ammette che nuovi competitors diventino primi nel fornire un certo servizio, scavalcandone altri) semplicemente perchè piu' bravo di altri. Se lo è, che lo sia. Ci sono le alternative, sapendole cercare. La scelta, pur difficile, esiste. Se l'informatica fosse definita settore strategico tutelato dallo stato, sicuramente non avremmo alternative ed in secondo luogo non credo nemmeno che la qualità che oggi abbiamo sarebbe stata raggiunta. Essa infatti è il frutto di una costante competizione.

pierodm ha scritto:Per ciò che riguarda l'occupazione e l'ottimizzazione del sistema, in teoria la tesi di Franz è corretta.
Ma è una teoria che presuppone un mondo economico ideale, dove non esistono tentazioni oligopolistiche, e le leggi di mercato siano sorrette da una limpida etica imprenditoriale, e dove i rapporti di lavoro, la formazione, i salari, il rapporto tra salari e prezzi, etc, siano assolutamente sani, equilibrati, e gli antidoti verso le eventuali distorsioni siano pronti ed efficaci, e dove consumatori ed utenti abbiano la massima facoltà di far valere le proprie ragioni. E dove le tecnologie, sulle quali si basa l'espansione e la gestione d'impresa, siano a disposizione di tutti, senza strozzature o rendite di posizione.
Sappiamo bene che questa situazione ideale è ben lontana dal verificarsi - o si verifica in misura accettabile in settori a bassa tecnologia e a basso intervento di capitale, come la ristorazione che ho portato prima ad esempio, o la produzione di motozappe, nelle quali tuttavia i problemi su questo o quell'aspetto non mancano, nonostante tutto.

Sono d'accordo. Il nostro mondo è imperfetto, molti "attori" sono irrazionali, non tutti sono debitamente informati. Tuttavia quelli razionali ed informati si comportano seguendo una razionalità ideale, considerando anche le distorsioni presenti. Compito della politica sarebbe cercare di eliminare quelle distorsioni. Ma non con il vecchio sistema di introdurne altre di peso contrario perché in quel modo raddoppiamo solo il numero delle distorsioni e rendiamo la situazione ancora meno ideale.
pierodm ha scritto:Per quanto riguarda la SIP, ossia il settore telefonico, non possiamo fare un raffronto serio tra ciò che era trent'anni fa, o più, e oggi: diverse tecnologie, diversa base di utenza, diverso tutto.
Sul piano dei costi - ossia delle tariffe, in sostanza delle "bollette" - ricordo che le voci telefono, gas ed energia elettrica non erano così devastanti, trent'anni fa: si stava attenti, ma difficilmente le bollette arrivavano a sommare insieme mezzo stipendio, se non di più, come avviene oggi per tanta gente.

Ottima considerazione ma attenti che in regime di monopolio (ovunque) dubito che avremmo assistito alle rivoluzioni tecnologiche che abbiamo visto. Forse le innovazioni sarebbero state fatte ma sarebbero rimaste nei laboratori.
Se uno è monopolista indiscusso, tutelato dallo stato, perché mai dovrebbe introdurre costose innovazioni?
Deve farlo in regime di concorrenza perché se non lo fa lui lo farà un altro.
In regime di monopolio di stato e tariffe amministrate dalla politica, piu' che innovare conviene assumere personale per rendere allo stato il "favore di scambio" (posti clientelari) come di fatto avveniva. Il risultato era tantissimo personale e tariffe piu' alte. Quanto all'incidenza della voce "comunicazione" nel nostro budget familiare (sicuramente aumentato) va considerato che prima non c'era Internet e non eisteva la telefonia mobile. Se le persone spendono cosi' tanto per queste due cose, significa che sostanzialmente comunicare è un vantaggio (sociale, psicologico, economico) e quindi potendolo fare lo si fa, tagliando altre spese.
pierodm ha scritto:Capisco che in materia i calcoli e le analisi siano comlessi, e bisogna guardarsi da una semplificazione eccessiva: ma qualcosa sicuramente non funziona.
Come dicevo in altra occasione, se non sono i prezzi troppo alti (e quindi speculativi o derivanti da una scarsa ottimizzazione del sistema), allora sono gli stipendi troppo bassi (ma anch'essi fanno parte del sistema, che non sembra molto ottimizzato, almeno per questa parte).

Verissimo, ma gli stipendi troppo bassi sono il risultato di un altro problema: contributi previdenziali ed imposte elevate. Il confronto sugli stipendi lordi PPP (a partità di potere d'acquisto) ci vede in buona posizione. I nostri salari lordi (lordo azienda, non lordo dipendente) sono ottimi (siamo quarti al mondo, in senso positivo) mentre è sul netto che cadiamo in sedicesima posizione. Piu' o meno le imposte sono quasi uguali alla media dei paesi occidentali quindi a mio avviso non sono quelle il problema. Esso invece è dato dai contributi previdenziali, i quali oltretutto sono in % fissa e quindi gravano egualmente sul salario basso e su quello elevato.
E caro Piero, il costo dei contributi previdenziali è un altro aspetto introdotto dalla politica, non dal mercato.
Altre nazioni hanno costi previdenzali piu' bassi in busta paga, ma come sappiamo non hanno le pensioni di anzianità, avendo in cambio invece una migliore performance del welfare assistenzale e degli ammortizzatori sociali, due cose che aiutano i consumi interni. Costi previdenziali piu' bassi in busta significa anche minor costo aziendale e quindi prodotti e servizi vendibili a costo piu' basso. E' un risparmio (una economia) e quindi si torna alla mia impostazione iniziale.
Da notare che nei paesi in cui non esistono le pensioni di anzianità (opps ... praticamente tutti) quelle di vecchia sono piu' alte delle nostre ed anche questo sostiene i consumi, il risparmio e l'economia.

Ma questa è una divagazione, anche se non eccessiva, che tuttavia ci riporta al tema principale:
quali sono, se esistono, i servizi che devono rimanere pubblici? Per me ce ne sono ma non sono la telefonia, l'elettricità, il gas, le ferrovie, l'acciaio, la chimica. Invece ritengo che debbano rimanerlo le strade e le autostrade (e che queste ultime dovrebbero essere gatuite, senza caselli) e parte del servizio postale.

Ciao,
Franz
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Re: SIP

Messaggioda pierodm il 22/10/2008, 0:35

Quali sono i servizi che dovrebbero vedere la presenza dello stato?
E' una risposta facile e difficile, allo stesso tempo: dipende, tra l'altro, dal tipo di stato che si ha, e dal tipo di società e di storia economica.

Io dividerei l'esame in due settori distinti, sebbene non rigidamente, dato che ci possono essere parziali sovrapposizioni tra le varie categorie di servizi.

Ci sono i servizi definibili come strategici in quanto incidono direttamente e profondamente nella vita dei cittadini, e nella vita economica, che non dovrebbero essere lasciati alle logiche e ai contraccolpi del puro mercato.
Avevo fatto l'esempio dei servizi a tariffa, intendendo per tariffa un canone legato al consumo di beni essenziali, a larghissima diffusione, che sono di fatto paragonabili ad una tassa, che genera un flusso di denaro liquido enorme, costante e capace di influenzare pesantemente la vita economica di un paese.
Questi servizi sono, nella gran parte dei casi, delle vere e proprie rendite di posizione, con scarsissimi rischi d'impresa.
Oltre al settore telefonico, quello dell'energia elettrica e di alcuni mezzi di trasporto pubblici (autostrade comprese), rientrano nella categoria anche quei servizi di "rendita" che sono stati resi tali da un preciso impianto legislativo: per esempio, le compagnie di assicurazione nel settore RC Auto.

Ci sono poi settori che dobbiamo definire strategici in modo improprio, ma che facciamo rientrare nel discorso in quanto la loro evoluzione ha visto una fase fondante nella quale lo stato ha rivestito un ruolo fondamentale, che assai difficilmente l'impresa privata avrebbe affrontato, sia per i costi, sia per la capillarità e l'estensione dell'impegno.
Una volta "creato" in questo modo il settore, risulta assai strano che intervenga una privatizzazione, oltre tutto ad un prezzo che, per quanto elevato, non ripaga minimamente il lavoro fatto e quindi il valore di ciò che viene messo a disposizione.
Penso, a questo riguardo, alle ferrovie, ai servizi postali, oltre che alle già citate telecomunicazioni.
Oltre tutto - come nel caso della telefonia - quando il privato eredita il monopolio con le sue preziosissime doti di esclusività, fa valere queste doti per strozzare il mercato a danno sia della concorrenza, sia degli utenti - vedi il famigerato "ultimo kilometro" della Telecom
E ancora: questi settori economici si riferiscono a servizi e tecnologie che sono fuori dalla portata delle imprese piccole, medie e grandi, essendo riservati invece ai grandi investimenti delle holding finanziarie, che nei diversi settori formano sistematicamente un vero e proprio oligopolio, nel quale ovviamente la concorrenza è minima, le partecipazioni societarie opacissime e le politiche di cartello una tentazione irresistibile.

E' perfino superfluo sottolineare che in Italia tutto ciò che di perverso può accadere accade, senza che si sia in grado di attuare quegli antidoti, sia pure non decisivi, che in altri paesi si adottano.

Ora, possiamo anche accettare l'idea - molto ideologica - che lo stato deve assolutamente evitare di entrare dentro la gestione di qualunque servizio, ma deve solo dare le regole
Ma, per governare un'economia col tipo di soggetti e di problemi che abbiamo accennato, le regole devono essere tanto severe e la sorveglianza tanto occhiuta, che sono forse più invasive di una gestione diretta da parte dello stato.

Due parole anche sul lavoro, che dovrebbe moltiplicarsi in un quadro di privatizzazioni.
Ho fatto esperienza diretta, quando chiesi una linea telefonica in una località di mare.
Vennero a collegare la linea due operai specializzati di una ditta appaltatrice privata, che per due giorni non riuscirono a cavare un ragno dal buco. Erano in realtà poco più che due elettricisti, che studiavano la cabina di smistamento come fanno i turisti davanti alla mappa di Roma stesa sul tavolino del ristorante.
Il problema che alla fine venne fuori era che le linee erano state messe in opera da una precedente ditta appaltatrice, che se n'era fregata di chiunque fosse venuto dopo e aveva steso fili e connessioni come veniva più comodo.
Va be', l'esempio vale quello che vale.
Il discorso è che tutto questo lavoro che si crea è un lavoro assolutamente dequalificato, sconclusionato, precario e mal pagato - dai famosi call center ai camerieri di fast food, dai postini avventizi e continuamente avvicendati che non conoscono nessuno del posto, alle varie tipologie di hostess e accompagnatrici, venditori, agenti e rappresentanti buttati allo sbaraglio, etc.
Ma forse questo è un altro discorso. Forse.
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Re: SIP

Messaggioda franz il 23/10/2008, 17:14

Quali sono i servizi che dovrebbero vedere la presenza dello stato?
E' una risposta facile e difficile, allo stesso tempo: dipende, tra l'altro, dal tipo di stato che si ha, e dal tipo di società e di storia economica.
Io dividerei l'esame in due settori distinti, sebbene non rigidamente, dato che ci possono essere parziali sovrapposizioni tra le varie categorie di servizi.
Ci sono i servizi definibili come strategici in quanto incidono direttamente e profondamente nella vita dei cittadini, e nella vita economica, che non dovrebbero essere lasciati alle logiche e ai contraccolpi del puro mercato.

Dipende non solo dal tempo e dal tipo di stato ma anche (mi pare) dalla visione ideologica di chi analizza la realtà e propone le soluzioni.
Se uno pensa che le logiche ed i contraccolpi del puro mercato siano principalmente pericolosi o financo deleteri, cercherà di proteggere una vasta gamma di servizi. Chi invece ritiene che la logica di mercato - sia pur non intrinsecamente perfetta - ottimizzi i servizi e necessiti di una regolazione (minima o meno minima poi si vede) sarà meno propenso a concedere ampi spazi ai servizi connotati da una presenza dello stato.

Poi bisogna vedere quale presenza.
Puo' essere proprietà e gestione diretta (invasiva) come anche semplice presenza come regolazione (normativa) e controllo mentre i privati "fanno". I due esempi prevedono infinite variazioni intermedie.

Qui va detto che il crivello usato da Piero non mi convince affatto.
Questi servizi sono, nella gran parte dei casi, delle vere e proprie rendite di posizione, con scarsissimi rischi d'impresa.
è vero ma lo sono perché non esiste concorrenza. La telefonia prima - come ente pubblco - era un affare che anche qualche incompetente nomitato dai partiti poteva gestire comodamente. Nessun rischio se non che qualche congresso DC o PSI sanzionasse un diverso equilibrio di correnti, trombando il manager pubblco di turno.

Ci sono poi settori che dobbiamo definire strategici in modo improprio, ma che facciamo rientrare nel discorso in quanto la loro evoluzione ha visto una fase fondante nella quale lo stato ha rivestito un ruolo fondamentale, che assai difficilmente l'impresa privata avrebbe affrontato, sia per i costi, sia per la capillarità e l'estensione dell'impegno.

Qui invece sono d'accordo. Ma una volta avviato il servizio diventa privatizzabile perché in questo modo la competizione ottimizza la qualità del servizio (sempre che per motivi ideologici o razionali si sia d'accordo nel ritenere che la gestione privata rappresenti una ottimalità rispetto alla gestione pubblica). Ed io lo ritengo, alla condizioni che poi illusterio' piu' sotto.

E questo alla fine della fiera mi pare il punto dolente.
Per affrontarlo bene dovremmo concordare sul metodo, sull'approccio.
Quello economico è evidente che afferma cio' che sappiamo. Daltronde gli economisti sono tutti della stessa scuola, della stessa formazione e nessuno sostiene in contrario, sia pur considerando le varie sfumature e le varie scuole.
Un po' come dire che se tutti i tecnici, i meccanici, gli ingeneri di F1 sostengono che un motore a Nutella non funziona bene, i politici che fossero di opinione diversa (me ne viene in mente uno :D ) devono rassegnarsi. Il parere dei competenti è fondamentale. In economia sono competenti gli economisti, come in medicina sono competenti medici.
Ovviamente ogni medico ed ogni economista puo' sbagliare ... ma i politici ancira di piu', in campi non diloro competenza.
Compito della politica prendere atto delle rispettive competenze e trovare un insieme equilibrato tra le varie parti della società. Dialogo, concordanza, consenso (cosa che non è esattamente quello che sta facendo Berlusconi).

Quale allora puo' essere l'approccio politico?
Io ritengo che alcuni settori non debbano essere privatizzati e la mia chiave di lettura è sulla propretà del bene.
Se la proprietà del bene, o del servizio che tramite questo bene noi possiamo fornire, è affidabile in modo ottimale ai privati, ed esiste possibilità concreta di concorrenza, privatizziamo.
Se non esiste la possibilità di concorrenza (e quindi avremmo un monopolio privato) tanto vale allora quello pubblico.
Qui il pubblco puo' gestire la sua cosa o chiamare un provato a farlo, ma il servizio rimane uno solo.
Mi viene in mente il sistema dei trasporti stradali. Il concetto che una strada di ampio passaggio sia privata (e quindi si debba pagare per usarla) per me è inconcepibile (e medioevale). La strada è una sola. O si passa per quella strada (pagando) o bisogna costruire un'altra. Cosa non economica. Quindi non apprezzo la privatizzazione delle autostrade in Italia, fatto che non è successo in germania e nemmeno nel paesi piu' iperliberista d'europa (la svizzera).

Anche sull'acqua ci sarebbe da dire ma qui si tratta di un bene pubblico che va gestito ed una presenza multipla di operatori pubblci e privati puo' dare risultati forse migliori dell'attuale vergognoso spreco che abbiamo in Italia.
Tutta la produzione di energia per me è perfettamnete privatizzabile mentre la rete di distribuzione è buona cosa che rimanga pubblica, fintanto che non si trova un modo di aggirare la fisicità ed unicità della consegna a domicilio della corrente. Le ferrovie, come treni che corrono sui binari, sono privatizzabili, come sono private le vetture che corrono sulle strade. Binari e strade devono rimaenre pubblci, mentre treni e macchine possono essere privati come pubblici.

Il gas puo' essere privato, i tubi che lo portano meglio che siano pubblci. O vogliamo immaginare un sistema di centinaia di tubi diversi che entrano in casa da diversi operatori e noi che scegliamo il fornitore ed apriamo il runbinetto di conseguenza? La telefonia mobile invece non ha problemi di fisicità di cavi ed è quindi il primo servizo che si è dimostrato interamente privato. In tutti i casi misti e dubbi la costituzione di una società mista, con capitale pubblcio e privato, è la cosa migliore. Ed è quello che gradualmente è stato fatto. Con errori, come in tutte le cose umane, da cui siamo soliti imparare.

Come vedi Piero torna prepotentemente in campo il tema dell'economia. Nel senso della suocera.
Avere in casa centinaia di tubi del gase o dell'acqua, cavi telefonici, fili della corrente, avere sotto casa migliaia di strade private, non sarebbe economico.
I tanti servizi , in concorrenza tra loro, possono quindi correre privatamente sull'unico /binario/cavo/tubo che il pubblico ha costruito tempo fa. E che quando deve rimmodernare puo' dare in appalto ad un privato.

Una nota sull'esempio da te fatto per la linea telefonica al mare.
Quello è un buon segnale per prima cosa della scarsa qualificazione professionale degli addetti (dovuto in primi alla scarsità di formazione professionae scolastica) ma ancora di piu' della inesistenza di controlli da parte del committente (in questo caso l'ente pubblico).

In altri paesi (dove la privatizzazione della parte telefonca è stata ancora piu' rilevante) lo stesso compito sarebbe stato fatto in modo professionale da squadre qualificate e ben pagate, con il controllo meticoloso del committente.
Quello che tu critichi quindi secondo me non è il problema della privatizzazione o meno ma lo stato pietoso in cui oggi si fanno le cose in Italia, a causa di una scarsa formazione professionale ed una notevole maleducazione pubblica all'esercizio dei doveri che la gestione delle cose pubbliche invece assegna.

Scusate la lunghezza.

Ciao,
Franz
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Re: SIP

Messaggioda pierodm il 23/10/2008, 18:10

Il punto dolente: se crediamo che il "mercato" sia di per sè benefico e solutore della gran parte dei problemi, o se crediamo qualcosa di diverso.
Io credo qualcosa di diverso.
Il mercato è benefico solutore di problemi - anche quelli creati dal mercato stesso - in situazioni ideali, in una democrazia economica ideale e - aggiungiamoci pure - in una società democratica ideale.
In una condizione generale di questo genere, è possibile affidare con una certa fiducia il maggior numero di attività ai privati: il controllo dello stato sarà certamente oculato, e i privati saranno certamente imprenditori eticamente corretti, che rischieranno in proprio e saranno interessati ad una sana concorrenza, e ci saranno meccanismi che impediranno l'esistenza di oligopoli e speculazioni.
Ma, come dicevo, in una condizione ideale, anche lo stato agirebbe in modo ideale, cioè competente, attento, responsabile, non clientelare e non succubo dei partiti, capace di scegliere i manager più attrezzati, etc.

Poiché siamo ben consapevoli che questo status idealizzato è, al momento, un'utopia, cerchiamo di basarci sulla realtà.
La realtà non è uguale ovunque, e quindi i principi teorici del rapporto pubblico-privato non possono essere applicati ovunque indistintamente: né applicati, né pensati.
Quindi, abbiamo due ordini di pensiero distinti: quello teorico, che serve a chiarire alcuni criteri, e quello specifico "geopolitico", che valuta una determinata situazione socio-politica.

E' ben vero che in Italia abbiamo grossi problemi che riguardano lo Stato e trascorsi assai poco confortanti circa la gestione delle aziende pubbliche.
Ma è altrettanto vero che anche il capitalismo italiano ha specificità assai sconfortanti, che male si attagliano ad una visione privatistica di servizi pubblici - oltre che un'antica propensione alle pastette tra speculatori privati e pubblici amministratori. che hanno come risultato una robustissima cultura d'impresa (di grande impresa, diciamo meglio) che appena può assume tutti i vizi della peggiore burocrazia e amministrazione pubblica.

Tenendo assolutamente e fermamente presente tutto questo, la distinzione tra produzione di un bene o servizio, al privato, e rete distributiva, pubblica, è una soluzione interessante, se però non si applica a settori nei quali il "bene" non è limitato o esclusivo: vedi, per esempio, l'acqua.
Rimane però, come minimo, il problema del costo, o meglio del prezzo da pagare da parte del privato per subentrare in un settore, dove la parte fondante e pesantemente più costosa e difficile è stata fatta con risorse pubbliche: quanto vale, in questo senso, il cablaggio estesissimo e capillare della rete elettrica o di quella telefonica?
Privatizzare ad un prezzo di mercato, ammesso che sia possibile calcolarlo, sarebbe probabilmente insostenibile, o poco appetibile, per qualunque privato che non avesse intenzioni spietatamente speculative o l'interesse di acquisire posizioni dominanti di lunga prospettiva.
Anche nel migliore dei casi, tuttavia, non sarebbe un privato imprenditore, ma un soggetto in cui la dimensione finanziaria è prevalente rispetto a quella industriale.
Privatizzare ad un prezzo non proporzionato all'effettivo valore, e alle risorse consumate, è praticamente una svendita, con tutto ciò che il concetto comporta.
Si richiede, in sostanza, allo Stato di scegliere, di agire, al di fuori di una logica di mercato, come premessa di un libero gioco di mercato. Un paradosso.
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Re: SIP

Messaggioda franz il 23/10/2008, 19:29

Punto altrettanto dolente, in una condizione altrettanto ideale potremmo pernsare che lo Stato, se perfetto e ben gestito, potrebbe fare bene quello che in realtà non fa. Non ha saputo fare dove ci ha provato.

Ma preso atto che non siamo nel mondo dei sogni, nel regno di utopia, nelle condizioni ideali ottimali per un socialismo o per un liberismo pronti ad esprimersi pienamente "se tutto andasse come i teorici di parte avevano previsto (ma cannato)" si tratta di trovare strategie vincenti nel mondo reale, per quello che è (senza per questo dimenticare qullo che vorremmo che fosse).

E qui nel mondo reale il dilemma stato-mercato (economia pianificata o economia libera) rimane in tutta la sua interezza, con le soluzioni "miste" per ora trovate (economia libera ma regolata in modo piu' o meno soft dallo Stato).

Il problema del prezzo della privatizzazione (come del prezzo per qualsiasi altra cosa) è tutto un altro discorso.
E un problema di mercato, di domanda ed offerta.
Anche politico ma soprattutto di mercato, perchà senza mercato non c'è nessuino che compra e nessuno che vende.

Ciao,
Franz
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