da pierodm il 17/10/2008, 2:26
Sarebbe bene che le nostre discussioni sul forum si mantenessero sul piano della correttezza.
Per correttezza intendo una certa semplicità e trasparenza, per cui quando si vuole - legittimamente - dare del coglione a qualcuno, si facesse il nome, senza quell'allusività gesuitica che vorrebbe essere "diplomatica" ma che finisce per essere solo un'ipocrisìa.
Do il buon esempio, chiarendo che parlo di Ranvit e Luca, i quali alludonono ma lo fanno in modo sguincio.
Tra l'altro, specialmente Ranvit, mi ricorda quello che esclamava: "E che cazzo, basta con tutte queste parolacce!"
Veniamo, però, alla sostanza.
Già diversi anni fa, ai primordi della stagione berlusconiana, io scrivevo sull'antenato di questo forum che mi preoccupava più il berlusconismo che Berlusconi in se stesso.
E scrivevo anche che Berlusconi sembrava essere più in sintonia della sinistra con la struttura e la natura di questo elettorato e con il sistema politico-sociale che stava nascendo.
E scrivevo anche che - sul piano della lettura di questo sistema e di questo elettorato - era sufficiente che Berlusconi prendesse solo il quindici o venti per cento dei voti, ossia diversi milioni e non un consenso limitato ad una nicchia che può esistere in qualunque sistema verso qualunque personaggio, anche il più stravagante.
Potrei andare a ricercare quello che scrivevo, sull'archivio che certamente esiste della vecchia ML, ma certamente lo pensavo e certamente devo averlo detto, non so quanto estesamente: non lo pensavo come fatto marginale, ma come valore centrale del fenomeno berlusconiano e dell'analisi politica di quegli anni, che sono ancora i nostri anni di adesso.
Se Ranvit, Luca e altri ci riflettono bene, questa mia lettura delle cose non è affatto in contrasto con la loro tesi: la capacità di offrire soluzioni apparentemente più in sintonia con la "gente", con le sue paure reali o indotte, e il suo fiuto per scegliere le cose da "realizzare" nel modo più clamoroso, e il suo impegno per pubblicizzare quello che fa e nascondere quello che non fa, tutto questo fa parte di quello che consideravo - e tuttora considero - il suo "essere in sintonia" con l'elettorato.
Questo giudizio, tuttavia, non è in contrasto con la necessità di analizzare i due soggetti protagonisti: Berlusconi e la sua coalizione, e i mezzi che usa, e l'elettorato, vale a dire la società italiana, la cultura diffusa che è alla base della "percezione" delle cose reali e di quelle presunte, etc.
Berlusconi e i suoi consulenti questo genere di analisi le hanno fatte, sia pure con ogni probabilità col metodo dei sondaggi e del marketing. Berlusconi fa il pagliaccio e spesso fa lo scemo, ma scemo non è: è solo spettacolo in una politica che lui per primo ha gradatamente ridotto a spettacolo.
Se noi rinunciamo a fare quello che lui ha fatto (o fatto fare) sul piano dell'analisi socio-culturale, e ci limitiamo - credendo di essere furbi - a imitarlo sul piano pragmatico, e oltre tutto prendiamo i suoi cento giorni di governo come lanterna per illuminarci sulle necessità della società italiana e ricamarci sopra, facciamo un errore assurdo, paradossale.
Tra l'altro, non si vede perchè - imitazione per imitazione - Veltroni non vada in qualche consesso inernazionale a fare le corna dietro la testa di Zapatero, o non si travesta da beduino nella festa di compleanno della moglie, o D'Alema non vada in giro con la bandana: non saranno queste, magari, le "sintonie" fondamentali con il popolo italiano?
Sull'illegalità, e su altri problemi, che Ranvit e Luca pensano trascurati da chi cerca una lettura più completa del fenomeno politico attuale, ho l'impressione che ci sia una certa frenesìa, che porta cattivo consiglio.
Nessuno nega che l'illegalità sia un problema, e tanto meno che sia percepito come tale in modo grave ed esasperato da molta gente.
Mi sembra però corretto dire che la realtà dei fatti non corrisponde a questa percezione, e che questa sia stata artatamente gonfiata da martellanti campagne comunicative.
Nessuno nega che il centro-sinistra al governo non abbia saputo gestire il problema nel modo migliore, ma è corretto dire che nemmeno la destra riesce a farlo: riesce a darne l'impressione, questo sì, ma il problema dell'immigrazione e dell'integrazione è estremamente complicato, specialmente in una società dove non c'è una sola istituzione che funzioni realmente bene.
Quanto all'illegalità in generale, risulta davvero arduo affermare che consista nella micro-criminalità dei ladruncoli o dei bambini rom, in un paese che vede la camorra che ammazza e la mafia infiltrata nella malavita milanese e romana, con minacce, ricatti, omicidi ed estorsioni.
Se casalinghe e pensionati, nonostante tutto, pensano che la minaccia più grande siano i bambini rom, esiste un problema di opinione pubblica malata, o almeno manipolata, o almeno ristretta a ciò che accade solo sotto il suo naso.
Naso che non sia, però, quello di napoletani e abitanti di Castelammare o Casal di Principe, che i delitti di camorra ce l'hanno proprio a due centimetri dalla bocca, e che non sia quello dei siciliani, nessuno dei quali può invocare l'esimente della manipolazione.
E' notizia di oggi: studenti di una scuola, interrogati dal giornalista sulle minacce della camorra all'autore di Gomorra, hanno detto che a sbagliare era stato lo scrittore, perché "doveva farsi i fatti suoi".
Esiste o non esiste un problema di cultura diffusa, in questo paese?
Questa cultura ha o non ha un peso politico?
Qualcuno ha fatto caso che è passato rapidamente sotto silenzio il fatto che siano stati individuati i mandanti, i fiancheggiatori delle "manifestazioni popolari" al tempo in cui la monnezza napoletana riempiva i telegiornali?
O vogliamo dire che tutto questo, e altro ancora, ha un peso politico e culturale, ma solo quando si fanno i discorsi "intellettuali", ma poi diventa di poco conto quando si scende nella pratica?
Chi pensa questo è il primo artefice del distacco tra intellettualità e pratica, salvo che poi accusa gli altri di fare gli "intellettuali da salotto".
A proposito, e per la cronaca: i miei accenni a siciliani e napoletani valevano solo limitatamente allo stretto argomento e solo come esempio pratico, non volevano essere un'analisi sociologica e umana di quelle popolazioni, che è molto più complessa.
Sarebbe stato più lungo e difficile prendere come esempio di cultura diffusa degradata quella di un certo nord-est, o di un certo affarismo lombardo, o di una latente e perenne sindrome papalina romana, etc etc: ho preso l'esempio più semplice da rappresentare.