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SPENDERE MENO NON È PROIBITO

MessaggioInviato: 28/06/2013, 8:01
da franz
TAGLI POCHI, PRIVATIZZAZIONI DIMENTICATE
SPENDERE MENO NON È PROIBITO


Aspettiamo ora con ansia di sapere come il Tesoro intende chiudere il buco. Perché di buco si tratta. Non serve una laurea per capire che la decisione di coprire il rinvio dell'aumento dell'Iva anticipando il pagamento delle tasse su redditi non ancora maturati causerà un problema nei conti pubblici a giugno del prossimo anno, quando i contribuenti avrebbero dovuto saldare il 100 per cento delle imposte dovute, e non invece il 110 per cento che verrà richiesto loro sette mesi prima della scadenza, a novembre. Richiesta per giunta beffarda, perché il peso di una tassa destinata a colpire chi consuma graverà indistintamente su tutti.

Poco importa. È noto che insieme alla sospensione dell'Imu sulla prima casa la sterilizzazione dell'aumento dell'Iva rappresenta il prezzo da pagare alla stabilità del governo di larghe intese: un prezzo rincarato, fra l'altro, dopo la recente condanna inflitta dal Tribunale di Milano a Silvio Berlusconi. Ma qualunque opinione si possa avere sui destini dell'esecutivo, c'è da chiedersi se non ci fosse un modo più serio per pagarlo.

Certo, sarebbe ingiusto caricare sulle spalle di Enrico Letta tutto il fardello delle non scelte fatte dai suoi predecessori. La Corte dei conti ha ricordato ieri che la spesa pubblica è in diminuzione, ma fra il 2001 e il 2011 è salita di 197 miliardi portando la pressione fiscale a livelli insostenibili, senza peraltro che la crescita forsennata sia riuscita ad arrestare il calo del Pil pro capite reale, franato nell'arco di quegli undici anni in Italia (unica nell'Eurozona) del 3,8 per cento.

Le privatizzazioni sono paralizzate da un decennio. L'ultima, quella dell'azienda dei tabacchi, risale al 2003: era stata avviata cinque anni prima. Le cessioni del patrimonio degli enti previdenziali hanno generato grandi profitti privati senza intaccare il debito pubblico, il quale anzi continuava a salire. Nel frattempo lo Stato ha ripreso a dilagare nell'economia con la proliferazione di migliaia di società di capitali controllate dalle amministrazioni locali che hanno garantito poltrone, gettoni e stipendi a un esercito di 38 mila fra amministratori, sindaci e alti dirigenti scelti dai partiti. Incalcolabile è lo spreco di risorse, mentre ogni tentativo serio di liberalizzazione è stato sempre respinto e il costo dei servizi pubblici ha battuto ogni record continentale.

I famosi prezzi standard del servizio sanitario, ricordate? Nessuno ne parla più. Così come la concentrazione degli acquisti pubblici che potrebbe far risparmiare 30 miliardi l'anno è vanificata, rimarca la Corte dei conti, dalla polverizzazione allucinante delle stazioni appaltanti: oltre 23 mila. Neppure la revisione della spesa, avviata nel 2007 da Tommaso Padoa-Schioppa e ripresa da Mario Monti nel 2012, ha dato esiti concreti. Magra consolazione, la miglior conoscenza dei mille meccanismi di uso inefficiente, quando non di sperpero, del nostro denaro.

Le alternative dunque non mancavano. Bisognava però avere il coraggio (e la forza) di partire da qua, senza esitazioni. Diranno che non c'era tempo: l'Iva sarebbe balzata al 22 per cento il 1° luglio. Forse è vero. Ma siamo certi che di fronte alla prospettiva di un taglio rapido e consistente alla spesa pubblica improduttiva e di un corrispondente calo della pressione fiscale non sarebbe stato digeribile perfino un aumento temporaneo dell'Iva? Sempre meglio che tappare una falla aprendone un'altra.

SERGIO RIZZO 28 giugno 2013 | 7:34 www.corriere.it

Ecco il piano d’autunno per recuperare 11 miliardi

MessaggioInviato: 28/06/2013, 8:07
da franz
L’esecutivo mette nel mirino spese della Pubblica amministrazione,
agevolazioni fiscali, Iva per i beni non essenziali e tributi comunali

paolo russo
ROMA

Una spending review «atto secondo» su tutte le spese della pubblica amministrazione; una sforbiciata alla giungla delle agevolazioni fiscali e agli incentivi alle imprese; un trasloco di qualche bene meno essenziale dall’aliquota Iva agevolata del 4 a quella ordinaria del 21%; un frullato di Imu, Tares e Irpef comunale per alleggerire l’imposizione fiscale su chi non ha redditi alti e non possiede case di lusso. Il tutto condito dalla speranza che il gettito fiscale, dopo mesi di fiacca, prenda a risalire, spinto da pagamenti dei debiti della Pa e dalle spese per le ristrutturazioni edilizie favorite da incentivi ed ecobonus. Mentre nella maggioranza ancora infuriano le polemiche sulla copertura del rinvio Iva, composta per il 78% da maggiori entrate, al Palazzo di via XX Settembre guardano avanti e lavorano alla definitiva messa a punto del «piano d’autunno». Quando il puzzle da sistemare sarà molto più complicato di quello risolto a fatica per l’Iva. Si, perché entro fine anno bisognerà rastrellare e garantire in bilancio la bellezza di 11 miliardi.

L’Imu sulla prima casa vale 4 miliardi, altri 4 costa rinunciare in via definitiva all’aumento dal 21 al 22% dell’Iva, 1 miliardo vale la Tares che a dicembre sostituirebbe la vecchia tassa sui rifiuti e 2 miliardi costerebbe la rinuncia all’aumento dei ticket sanitari, che il Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, ha giurato di voler scongiurare. A prima vista una «mission impossible». Tanto più che il Pdl lo ha già detto a chiare lettere: «non ci stiamo più a tagliare tasse con altre tasse». Ma all’Economia hanno già in mente una strategia, che alla fine non porterà a rinunciare a tutti quegli 11 miliardi di nuove entrate ma sicuramente a una buona parte si. «I nodi li scioglieremo a ottobre con la legge di stabilità, quando sapremo meglio se il negoziato con l’Ue ci lascerà qualche margine di manovra in più sui conti e quando potremo contare su un maggior gettito per effetto dei pagamenti della Pa e degli incentivi sulle ristrutturazioni», chiarisce il sottosegretario all’Economia in quota Pd, Pier Paolo Baretta. Che accetta di scoprire le carte dei quattro punti cardine del «piano d’autunno» .

Primo, «siamo pronti a una seconda spending review, questa volta senza tagli lineari ma applicando i costi standard su tutte le spese della Pa. Siamo già al 60% del lavoro, tra poco completeremo il comparto scuola e a fine settembre avremo definito i costi ottimali per tutto il settore pubblico». Ricetta sicuramente gradita al Pdl, che proprio ieri per voce di Fabrizio Cicchitto ha chiesto all’Economia «di riprendere l’impegno sulla spending review e sulle ipotesi tecniche di abbattimento del debito».

Meno gradito al centro-destra è il punto due del piano. Quello che Baretta individua nella service tax o «tassa Ics», imposta casa e servizi, già messa nero su bianco nel testo del federalismo fiscale e che riaccorperebbe Imu, Tares, imposta di registro e addizionale comunale Irpef. Un unico tributo comunale che premierebbe i redditi più bassi e i proprietari di prime case non di lusso, ma che rischia di essere una cura peggiore del «male Imu» per chi ha alti redditi e immobili di pregio. Tanto più, come spiega lo stesso sottosegretario, «che la delega fiscale prevede anche una riforma del catasto per applicare l’imposta su valori più vicini a quelli reali di mercato».

Punto tre, la sfoltita alla giungla delle 720 agevolazioni fiscali delle quali beneficiano cittadini e imprese per ben 253 miliardi. La fotografia l’ha scattata la Commissione Vieri Ceriani, «anche se di quella massa di incentivi e detrazioni è aggredibile solo una manciata di miliardi», ammette Baretta. Detrazioni per coniugi e figli a carico non si potranno di certo toccare ma qualcosa si può racimolare alzando le franchigie per spese minori, come quelle veterinarie o per i figli in palestra.

Punto quattro, indica il sottosegretario, è il «Piano Giavazzi», quello ordinato a suo tempo dal Governo Monti per capire quanta parte di quei 33 miliardi di contributi che ogni anno lo Stato elargisce alle imprese fossero realmente spesi bene. Non più di due terzi, sentenziò l’economista Francesco Giavazzi. Poi quegli 11 miliardi male investiti si ridussero a tre e alla fine ne rimase solo qualche centinaio di milioni. Ora all’Economia dicono di aver riaperto la pratica. Un po’ per «coprire» Imu e Iva, un po’ per indirizzare le risorse verso cose serie, come il credito d’imposta a chi fa ricerca, piuttosto che incentivare Poste o Ferrovie che fanno già utili.

All’appello manca il quinto punto
. Quello che dovrebbe garantire i due miliardi per scongiurare l’aumento dei ticket sanitari, già oggi alle stelle per visite specialistiche e analisi. La Lorenzin ha ingaggiato un braccio di ferro con Saccomanni, che quei soldi vorrebbe ricavarli imponendo una nuova spending sanitaria alle regioni. Che da tempo però faticano pure a garantire i livelli essenziali d’assistenza. Ma questa è una partita ancora tutta da giocare.

http://www.lastampa.it/2013/06/28/econo ... agina.html

Presi per i fondelli sull’IVA, delusi dal lavoro

MessaggioInviato: 28/06/2013, 8:19
da franz
di Oscar Giannino

Il governo ha varato ieri il suo biglietto da visita per il Consiglio europeo di oggi e domani, dal quale si attendono per l’Italia alcune centinaia di milioni aggiuntivi per il sostegno all’occupazione. E, insieme, ha affrontato l’altra imminente scadenza fiscale che doveva fronteggiare, oltre all’IMU maturata per credito elettorale, cioè l’aumento dell’IVA.

Diciamolo subito, la decisione sull’IVA e il decreto legge sul lavoro scontano entrambi un limite di fondo sin qui invalicabile. Il governo continua a muoversi in un orizzonte di spesa pubblica invariata, dunque non ha coperture per alcuno sblocco reale di risorse, da riallocare secondo priorità di aumento del prodotto potenziale. Dipenda da limiti politici della coalizione, per il timore di divaricarla a seconda di quali spese toccare,o dipenda dal calcolo che dopo le elezioni tedesche a settembre cambi l’aria rigorista in Europa e si aprano all’Italia chissà quali orizzonti di spesa in deficit – come se il debito pubblico non fosse già abbastanza in risalita insieme ai relativi oneri – in entrambi i casi è una scelta molto rischiosa. Anzi, sba-glia-ta.

Per avere idea della differenza,basta osservare la spending review 2013 annunciata ieri dal premier Cameron a Londra: dismissioni pubbliche per 15 miliardi di sterline, addirittura 144 mila dipendenti pubblici in meno, tagli non lineari ma mirati tra i diversi ministeri in una forbice tra il 6 e il 10%, aumento invece del budget per istruzione, sanità e infrastrutture. Scelte sulle priorità, meno spesa corrente e più per investimenti e servizi:così fa un Paese serio e una politica che se la gioca per aumentare la crescita.

Completamente diverso il quadro italiano. E’ del tutto non risolutiva la decisione del governo di far slittare a ottobre l’aumento IVA, coprendo il fabbisogno con l’aumento al 100% dell’acconto Irpef, al 101% dell’acconto IRES, e al 110% di quello IRAP, più una elevatissima imposta al 58,5% del prezzo d’acquisto delle sigarette elettroniche. Il Pdl pensa di fare il bis dello slittamento IMU, in modo che più avanti diventi abrogazione piena. Ma non si comprende come le coperture che non si trovano oggi si troveranno più avanti, visto che il fabbisogno pubblico sta peggiorando. Allo stato attuale, è solo un giroconto che esce dalle tasche di imprese e famiglie, inalterato nella somma totale. Lettà dirà che le tasse non sono aumentate, ma gli anticipi a due anni – con l’IRES e IRAP, si inaugura questa anomalia – dicono che pesano di più sul reddito disponibile dell’anno in corso, ergo aumentano eccome.

Quanto alle misure sul lavoro, le risorse sono salite a un miliardo e mezzo, cercando oculatamente fondi europei e italiani sin qui stanziati ma colpevolmente non impiegati. Distinguiamo tre diversi profili. Il primo è più convincente, il secondo ha un limite già noto, il terzo è una vera delusione.

La parte più convincente è quella rappresentata dai 168 milioni riservati al Sud per tirocinio formativo di giovani NEET, che cioè non lavorano, non studiano, e non partecipano ad alcuna attività di formazione, e dai 167 milioni per ridurre la povertà e per sostenere le famiglie del Mezzogiorno in difficoltà. Non è un granché, ma il fine è giusto e chiaro.

Il limite già noto riguarda invece il “cuore” del decreto. Cioè i quasi 800 milioni riservati a decontribuzione per 18 mesi entro 650 euro mensili per contratti a tempo indeterminato dei giovani sotto i 29 anni, o non diplomati, o che vivano soli e con persone a carico; nonché la decontribuzione per assunzione e tempo indeterminato e pieno dei disoccupati in ASPI, per non oltre il 50% del trattamento mensile dovuto e non superiore in durata ai due terzi dell’assegno di inoccupazione ancora non fruito. Queste misure hanno un difetto di fondo, già molte volte confermato da tutte le analoghe misure assunte in passato.

Sono misure a tempo, non generali ma effimere. Le altre volte, in precedenza, dopo mesi in cui i governi le annunciavano, è accaduta sempre la stessa cosa. Le imprese che stavano per assumere rinviavano la decisione al varo effettivo degli incentivi. Di conseguenza, anche questa volta la decontribuzione andrà soprattutto a favore di aziende che avevano già in animo di assumere e prendevano tempo, cioè non vi sarà che un minimo plafond aggiuntivo di occupati oltre a quello imposto dalla congiuntura. La differenza dell’incentivo sarà solo quella di discriminare per tipologie di assunti, invece di lasciare l’impresa libera di valutare di chi cosa abbia bisogno.

Direte voi: meglio di niente, comunque. Ma non è così vero. Interventi di questo tipo non fanno che rinviare al troppo tardi e al mai l’aggressione alle cause vere della maggior perdita di prodotto, ergo di occupazione, che colpiscono il nostro Paese. Se non ci si decide a una struttura della spesa pubblica – e un diverso equilibrio di quella previdenziale – che renda stabilmente possibile far scendere, per tutti e per sempre, i contributi obbligatori dal 32,5% del salario lordo italiano al 19% tedesco, resteremo zavorrati da un cuneo fiscale mortale.

La delusione è venuta invece sui ritocchi al mercato del lavoro. Quelli apportati dal decreto di ieri sui lavori “atipici” sono veramente minimi, e lasciano intenzionalmente fuori, a quel che sembra, le partite IVA. Il giro di vite generale impresso dalla riforma Fornero a tutti i contratti d’ingresso diversi dal tempo indeterminato ha generato, nella crisi delle imprese, disoccupazione aggiuntiva. Di fronte a questa oggettiva constatazione, c’erano due strade. Una più secca, una vera e propria moratoria della legge Fornero all’ingresso, moratoria alla quale capisco che il governo Letta non poteva accedere, bloccato da sindacati e Pd.

Ma c’era anche una seconda strada, più riformista. E cioè intervenire collegando gli incentivi a tempo per le assunzioni alla riforma all’ingresso nel mondo del lavoro, introducendo per i nuovi assunti contratti a tutele e dunque oneri progressivi, man mano che si proceda nell’anzianità e nella stabilizzazione del rapporto. Una parte del Pd e della sinistra sono da tempo su questa posizione di assoluto buon senso, che accomuna, al di là di tecnicalità, Ichino come Boeri. Ma un altro pezzo di sinistra e soprattutto il sindacato non ci sentono, da questo orecchio.

Peccato, che Enrico Letta non abbia scommesso sull’ipotesi riformista, perché il tempo giusto era adesso. Per me, è incomprensibile che non l’abbia fatto. Sono sicuro che lui per primo direbbe che bisogna essere prudenti, col mare agitato della sua maggioranza. Ma se la prudenza diventa immobilismo, l’Italia naufraga.

http://www.leoniblog.it/2013/06/27/pres ... al-lavoro/

Re: SPENDERE MENO NON È PROIBITO

MessaggioInviato: 29/06/2013, 19:13
da ranvit
Ma...Saccomanni ci fa o ci è? :roll:

Dice: «È il paradosso della spesa pubblica: sembra che non ci sia niente da tagliare su un totale di 800 miliardi del 2013, 725 al netto degli interessi. Tolti i redditi da lavoro, le prestazioni sociali, le altre spese correnti, quelle in conto capitale, gli interessi e il rimborso dei debiti, il totale su cui si può lavorare ammonta a 207 miliardi. Una cifra che è già calata dello 0,5% rispetto al 2012 e ben dell'8,5% rispetto al 2009». (intervista al Corriere : http://www.corriere.it/economia/13_giug ... 71d0.shtml )


Perchè "tolti i redditi da lavoro le prestazioni sociali, le altre spese correnti,???
Di chi stiamo parlando? Per caso anche di pensioni d'oro? Stipendi da favola per i dipendenti di Camera e Senato? E dei dirigenti pubblici? E dei consiglieri di amministrazione delle infinite società pubbliche o parapubbliche? :evil:
Saccomanni....ma fammi il piacere! E dove cazzo la vuoi tagliare la spesa pubblica? Ai morti di fame???

Re: SPENDERE MENO NON È PROIBITO

MessaggioInviato: 29/06/2013, 23:58
da Iafran
ranvit ha scritto:....ma fammi il piacere! E dove cazzo la vuoi tagliare la spesa pubblica? Ai morti di fame???

Si, la spesa pubblica si taglierà solo ai tantissimi "morti di fame", che debbono accollarsi il mantenimento di caste civili, militari e religiose.
Se non è oggi sarà in ottobre-novembre e l'IVA si porterà al 22%, poi al 23% e successivamente per recuperare i minori introiti sui carburanti si potrà portare anche al 25%. L'importante è che i "lor signori" abbiano tutti i privilegi di casta e godano ottima salute ... per "andare fieri della loro presenza".

Re: SPENDERE MENO NON È PROIBITO

MessaggioInviato: 30/06/2013, 8:34
da franz
Quando sembra che non ci sia nulla da tagliare, una soluzione è fare un benchmark internazionale, almeno nell'area euro, per vedere dove, quanto e come si spende per le stesse funzioni obiettivo (scuola, sanità, strade, personale, amministrazione, pensioni, ...) e poi adeguarsi alla best practice (cifr: http://it.wikipedia.org/wiki/Migliore_pratica )

Re: SPENDERE MENO NON È PROIBITO

MessaggioInviato: 30/06/2013, 12:00
da flaviomob
Quando si parla di un paese con 120-160 milioni di evasione fiscale all'anno, ogni paragone con altre realtà europee dovrebbe partire da questo dato e non da altri. E' davvero intangibile questo dato? Ce lo porteremo appresso fino alla fine dei tempi, immortale come l'atomo di idrogeno (secondo Margherita Hack)?

Re: SPENDERE MENO NON È PROIBITO

MessaggioInviato: 30/06/2013, 13:59
da Iafran
flaviomob ha scritto:Quando si parla di un paese con 120-160 milioni di evasione fiscale all'anno

Mi sembra che siano centinaia di miliardi di euro di evasione fiscale l'anno.

Re: SPENDERE MENO NON È PROIBITO

MessaggioInviato: 30/06/2013, 14:37
da flaviomob
Sì, volevo scrivere miliardi :)

Re: SPENDERE MENO NON È PROIBITO

MessaggioInviato: 30/06/2013, 15:48
da Iafran
Iafran ha scritto:L'importante è che i "lor signori" abbiano tutti i privilegi di casta e godano ottima salute ... per "andare fieri della loro presenza".

Non so se i cittadini siano veramente "fieri della loro presenza" ...
Intanto, Antonio Padellaro fa il punto su quello che sta accadendo in Italia sotto il governo Letta, quello delle larghe intese fra "lor signori".

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/06 ... ta/641979/
Ha stravinto la casta

A Roma, in queste sere di inizio estate i ristoranti alla moda sono accerchiati da schiere di auto di grossa cilindrata, perlopiù tedesche che di blu conservano il lampeggiante, minaccioso anche spento come le insegne dei signorotti medievali. Per ore dietro i vetri scuri sonnecchiano incazzati gli autisti, in attesa di scarrozzare verso casa vassalli, valvassori e valvassini, finalmente satolli.

A questo punto il lettore si chiederà dove sia la notizia: le macchine dei potenti, statiche o sgommanti non fanno da sempre parte integrante della scenografia della città eterna, come le antiche fontane e i cassonetti maleodoranti? Appunto: la notizia è che nulla cambia e che probabilmente mai nulla cambierà. La Casta che solo quattro mesi fa sembrava soccombere, sotto la valanga delle astensioni e dei nove milioni di vaffanculo raccolti da Beppe Grillo, ha ripreso tranquillamente a fare i propri comodi. Qualche limatura a stipendi e prebende c’è stata, come annunciarono in una commovente comparsata a Ballarò i due nuovi presidenti delle Camere. Così come nei bilanci dei vari Palazzi sono state abolite alcune voci di spesa, francamente oscene. E il resto? Solo chiacchiere e prese in giro.

Le famose province sopravvivono benone a tutti i governi che dal secolo scorso ne annunciano regolarmente l’immediata abolizione: 107 enti dichiarati inutili che continuano a succhiare 12 miliardi l’anno. Per non parlare dei soldi ai partiti di cui il governo Letta aveva strombazzato la drastica riduzione: bene che vada, i 91 miliardi attuali diventeranno un’ottantina ma chissà quando (“ascolteremo i tesorieri di tutto il mondo”, è la simpatica trovata dei partiti perditempo). La crisi si sta mangiando questo paese, ma continuiamo a foraggiare i parlamentari e i manager pubblici più pagati d’Europa. Nessuno sembra più scandalizzarsi. La rinuncia del M5S a 42 milioni di finanziamento statale viene praticamente ignorata (anche per colpa loro, impegnati come sono a litigare su diarie ed espulsioni). Mentre provocano meraviglia le foto del nuovo sindaco della Capitale pedalante in bici, come se usare i mezzi di locomozione dei comuni mortali (taxi, metro o semplicemente i piedi) rappresentasse uno straordinario prodigio. Perciò, a cena in allegra compagnia, i signorotti si sentono in una botte di ferro e se qualcuno prova a scriverlo si arrabbiano pure. Ammettiamolo, hanno vinto loro. Anzi, hanno stravinto.


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Nei film "I sette samurai" coloro che alla fine risultavano vincenti erano i contadini, ma noi siamo in Italia e vincono sempre loro, i "comandanti" con le buone e con le cattive.