Quando in un discorso si arriva sempre e velocemente ad un nodo - sempre lo stesso - è segno che quello è un nodo sostanziale, e significa anche che tutto il resto è paglia.
L'economia produce ricchezza e povertà, ovvero poveri e ricchi - oltre che le altre dicotomie, circa il consumo di risorse, lo sfruttamento, etc.
Ci sono due liveli del discorso che possono essere praticati, senza che l'uno escluda l'altro. Anzi, sono livelli che vanno considerati entrambi.
Il primo.
Ricchezza e povertà sono come il caldo e il freddo: sensazioni, o più precisamente stati psico-fisici.
In realtà quello che esiste è la temperatura, che fuori di metafora equivale a dire il livello di beni materiali e di consumi, misurati secondo indici oggettivi.
Sul piano delle "misure" valgono gli indici oggettivi, ovviamente, ai quali "ideologicamente" possiamo dare il valore di misurazione della ricchezza di una società, e del rapporto tra ricchi e poveri dentro una data società.
Quest'ultimo rapporto non è un fattore neutro, ma un generatore di valori e un produttore di storia: è precisamente questo rapporto che dev'essere considerato come "prodotto" di un sistema economico, in quanto stato di coscienza che è stato di fatto in una data società, entro dati limiti di tempo.
In questa definizione non metto in conto le eventuali - per altro sistematiche - devianze o estremizzazioni, quali il "premio" esagerato elargito alla ricchezza rispetto al rischio o alla fatica spesi per ottenerla, o quello esiguo dato alle classi povere rispetto al prezzo esistenziale: naturalmente in queste valutazioni entra in gioco l'elemento umano, la percezione individuale, la "materialità" dell'economia, e non più l'astrattezza delle cifre statistiche che misurano il sistema socio-economico nel suo insieme. E' questo l'elemento che mette in comunicazione la sfera economica con la politica.
Il secondo piano di lettura.
Ci sono situazioni che danno con maggiore chiarezza il senso di come un sistema economico possa allo stesso tempo essere produttore di ricchezza e di povertà, a livello oggettivo.
Là dove la società industriale ha assunto un ruolo colonialistico, ha certamente - nel medio e lungo periodo - fornito un netto miglioramento degl'indicatori di benessere e di disponibilità di "beni", indipendentemente dal discorso sulle disuguaglianze di cui al punto precedente.
Ma ha allo stesso tempo prodotto una mutazione totale della cultura e degli stili di vita delle popolazioni "indigene" - vedi ad esempio i nativi americani.
Nell'organizzazione sociale degl'indigeni il concetto di "povertà" probabilmente esisteva, ma in forme assai diverse da quelle subentrate in epoca coloniale, e certamente mescolato e subordinato ad altri valori, ad altro genere di gerarchie.
Nelle società più semplici, per esempio, dove la produzione di beni e servizi è visibile e controllabile, a fronte di una forte limitazione delle potenzialità produttive, non esiste di fatto la possibilità che una parte rilevante della comunità soffra la fame, mentre una parte esigua si abbuffa di carne di bisonte: una situazione del genere, eventualmente, dura poco.
Quello che si crea, col tempo, è una società con qualche dislivello, ma sostanzialmente equilibrata, dove ciascuno ha un suo posto e una sua parte di "ricchezza": poco sviluppo, forse perfino una sclerosi dei processi, ma un'evanescenza del concetto di "povertà".
Con la colonizzazione - in conseguenza dei meccanismi del sistema socio-economico dei colonizzatori - le popolazioni indigene sono state proiettate in uno stato di povertà, se non di miseria: la mortalità infantile poteva essere scesa, se portavano i piccoli a fare i vaccini dal medico condotto, ma erano figli di poveri.
Il sistema economico, fondato e accompagnato da un sistema politico e sociale, ha creato per quelle popolazioni un ruolo che prima non conoscevano: la povertà.
Per essere più chiari, non si tratta solo di uno stato psicologico nuovo, ma di una mutazione dello stato funzonale di intere popolazioni, alle quali viene sottratto un territorio, uno stile di produzione, un rapporto con l'amobiente naturale: una sottrazione non casuale o dovuta alla "malvagità" di un governatore o di uno sceriffo, ma connaturata al sistema produttivo che subentra a quello indigeno.
Non ho introdotto questo secondo piano di lettura per trattare del colonialismo, ma solo per guardare con maggiore evidenza al meccanismo per cui un sistema economico produce allo stesso tempo sia ricchezza, sia povertà - e ho messo da parte gli altri fenomeni, quali lo sfruttamento di risorse e i danni ambientali, perché già chiarissimi di per sè.
Come ripeto, si può anche non guardare al problema in questa prospettiva, e misurare solo la parte positiva, e considerare l'altra faccia dello sviluppo come un fatale prezzo da pagare: credo che anche i Faraoni facessero questo conto, a fronte del numero di schiavi che rimanevano schiacciati dai pietroni durante la costruzione delle piramidi.
Al di là della battuta, non si tratta di svilire o demonizzare oltre il limite la funzione del nostro sistema economico, ma di leggerlo con uno spirito o con un altro, e precisamente con lo spirito che fa la differenza tra la destra e la sinistra.
Potremmo utilmente assumere come caso di studio il sistema sovietico, e l'industrializzazione forzata voluta da Stalin - grandi numeri, grande sviluppo rispetto alla Russia zarista, ma anche per loro vale l'antico detto: altera manu fert lapidem, panem ostentat altera, vale a dire "con una mano ti offre il pane, mentre con l'altra tiene stretta una pietra", presumibilmente per dartela in testa.