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Mentre Roma (l'Italia) brucia, Nerone (i Partiti) suona la

MessaggioInviato: 17/05/2013, 8:56
da ranvit
size=150]Mentre Roma (l'Italia) brucia, Nerone (i Partiti) suona la lira!!![/size]

Cosa si aspetta a fare qualcosa di sostanzioso? Per esempio:



http://www.corriere.it/editoriali/13_ma ... fe0c.shtml

CRESCITA, UNA PROPOSTA ALTERNATIVA



Quel tre per cento non sia un tabù


La politica di bilancio in Italia è vincolata da puntuali regole europee. Esse prevedono che un Paese mantenga piena flessibilità nei propri conti pubblici solo se il suo deficit è inferiore al 3% del Prodotto interno lordo. Ad esempio la Germania, che quest'anno prevede di chiudere il bilancio in pareggio, potrebbe, se volesse, varare investimenti pubblici per 80 miliardi di euro (tre punti di Pil) perché rimarrebbe entro la soglia massima. Invece la Francia, che prevede un deficit del 4%, deve ridurlo e non le è consentito scorporare gli investimenti pubblici, né tener conto dell'effetto della recessione sui propri conti.

Il Documento di economia e finanza (Def) che il ministro Saccomanni presenta al Parlamento la prossima settimana, confermerà per quest'anno l'impegno annunciato due mesi fa dal governo Monti, cioè un deficit non superiore al 3%. E ciò nonostante il perdurare della recessione che renderà più difficile rimanere sotto il 3%. Sulla base di questo impegno il 30 maggio la Commissione europea chiuderà la procedura di infrazione in cui attualmente ci troviamo, dandoci via libera per una maggiore flessibilità. Ma sarà un via libera per noi purtroppo inutile. Nella migliore delle ipotesi saremo di un soffio sotto la soglia del 3% e ciò non consentirà di ridurre le imposte. In questa situazione occorre chiedersi se ci convenga impegnarci al 3% quest'anno, visto che, a parte una questione di orgoglio, non ne guadagneremmo sostanzialmente nulla. Non si riduce la disoccupazione con l'orgoglio.


Il governo potrebbe considerare una strategia alternativa che avrebbe anche il vantaggio di farlo dall'angolo in cui pressioni contrapposte lo stanno schiacciando. Proporre all'Ue un piano di riduzione immediata delle imposte: l'Imu, ma soprattutto le imposte sul lavoro. Diciamo per un ammontare dell'ordine di 50 miliardi che abbasserebbe la pressione fiscale di circa tre punti, contribuendo alla ripresa dell'economia. Contemporaneamente adottare un piano di riduzione graduale ma permanente delle spese: un punto di Pil di tagli all'anno per tre anni. Qualunque recupero di evasione dovrebbe essere usato per ridurre le aliquote dei contribuenti onesti. Il deficit rimarrebbe superiore al 3% ancora per due anni e rientrerebbe solo fra tre. Come la Francia. La Commissione non chiuderebbe la procedura di sorveglianza: dovrebbe approvare il piano e verificarne l'effettiva attuazione. Insomma, saremmo noi a scegliere il piano e Bruxelles a fare da «guardiano». È una strada praticabile? Dipende dalla credibilità dei tagli. Ma di questo Saccomanni dovrebbe discutere a Bruxelles, non della seconda cifra decimale del rapporto deficit/Pil.

Il secondo pilastro di questa strategia è il credito. La riduzione delle tasse non basta per uscire dalla recessione. È necessario che le banche ricomincino a prestare denaro a famiglie e imprese. Per far questo, come abbiamo già scritto, bisogna ricapitalizzarle. La premessa è risanarle, togliendo dai loro bilanci i prestiti insolventi (che in un anno sono saliti da 50 a 60 miliardi di euro). Per farlo si può utilizzare il Meccanismo europeo di stabilità (Ems), il cosiddetto «Fondo salva-banche», come ha fatto la Spagna. Il vantaggio è che anche questo prestito ci sarebbe concesso con «condizionalità», cioè sottoporrebbe le nostre banche - e la Banca d'Italia che vigila su di esse - al controllo delle istituzioni europee.
I mercati sono per ora calmi e ci danno respiro. Non sprechiamo questa occasione. Saccomanni deve puntare alto, non perdersi con i decimali. Se lo farà, Bruxelles deve ascoltarlo.


Alberto Alesina e Francesco Giavazzi17 maggio 2013 | 7:27

Re: Mentre Roma (l'Italia) brucia, Nerone (i Partiti) suona

MessaggioInviato: 17/05/2013, 8:57
da ranvit
http://www.corriere.it/editoriali/13_ma ... primopiano

LA CRISI ODIERNA E QUELLA DI VENTI ANNI FA

L'emergenza dimenticata

V ent'anni dopo: così Alexandre Dumas intitolò la continuazione del suo romanzo più famoso, I tre moschettieri . Vent'anni sono passati dalla crisi che distrusse la Prima Repubblica e ora ne stiamo attraversando un'altra che minaccia (o promette?) di distruggere la Seconda. Le somiglianze sono notevoli - almeno altrettanto forti che tra i due romanzi di Dumas - (e Claudio Petruccioli le passa rapidamente in rassegna sull'ultimo numero di QdR Magazine ). Anche nella prima crisi si era in presenza di un ingorgo istituzionale, la fine simultanea della legislatura e del settennato presidenziale. Anche allora i due leader che puntavano alla presidenza del Consiglio dovettero lasciare il posto ai loro vice: Craxi ad Amato ieri, Bersani a Letta oggi.

Anche nei primi anni Novanta le ragioni della crisi si presentarono come una insubordinazione sociale che travolse gli equilibri elettorali esistenti, allora Tangentopoli, oggi un discredito dei partiti che ha causato la perdita di 10 milioni di voti ai due poli del bipolarismo. E soprattutto, allora come oggi, la gestione della crisi è passata nelle mani del presidente della Repubblica, di Scalfaro negli anni Novanta e di Napolitano oggi.
Potrebbe però manifestarsi presto una differenza. Nel giro di pochi mesi i due grandi partiti di governo della Prima Repubblica capirono di essere spacciati: condizionare il governo secondo i vecchi metodi era un lusso che non si potevano più permettere. Insieme all'emergenza economica, da tutti percepita, fu questa circostanza che concesse ad Amato e più tardi a Ciampi la libertà di manovra di cui godettero. Oggi non sembra proprio che i due principali partiti della Grande Coalizione vogliano abbandonare un minuzioso controllo sul governo.

E la percezione dell'emergenza non è diffusa: le grandezze fiscali e finanziarie sembrano essere sotto controllo dopo la cura Monti e un attacco violento da parte dei mercati non è in vista. Di qui la scarsa volontà di arrivare a mediazioni rapide e severe sui tanti temi di riforma che il governo ha in agenda, il continuo sventolare di bandierine identitarie ed elettoralistiche da parte dei due (ex) poli. A questo si aggiunga che l'eventuale sfidante, il Movimento 5 Stelle, non sembra per ora in grado di presentare una piattaforma di governo minimamente credibile - anche questa una evidente differenza con gli anni Novanta - e, seppure ampiamente rappresentato in Parlamento, sembra tuttora legato ad una logica di movimento di protesta, autoescludendosi da alleanze e coalizioni.

Fino a quanto durerà questa situazione? I due grandi azionisti del governo si rifiutano di capire - Scelta civica l'ha capito - che la situazione economica e sociale è ancor più grave di quella dei primi anni Novanta, perché le riforme sono state differite per troppo tempo, il Paese è più povero e i condizionamenti internazionali più forti. Dubito che lo capiranno solo per lo stimolo nobile dell'interesse nazionale e Letta dovrebbe sempre ricordare loro la sua intenzione di non farsi logorare, dichiarata con chiarezza nel discorso di accettazione dell'incarico. Deve trasformare questa intenzione dichiarata in una minaccia credibile. Dunque definire scadenze per le principali riforme in agenda, sia quelle economiche sia quelle istituzionali: prendere decisioni e imporre che siano trasformate rapidamente in atti di governo. Se non è in grado di farlo, se il Consiglio dei ministri e i partiti non lo seguono, recarsi al Quirinale e rassegnare l'incarico.

Il presidente del Consiglio e il presidente della Repubblica, agendo in tandem e con decisione, dispongono di un'arma potente per costringere i due ex poli riottosi a comportarsi come richiede l'interesse nazionale: una minaccia credibile di dimissioni. Per il presidente del Consiglio ho appena detto. Ma ancor più potente è la minaccia di dimissioni del presidente della Repubblica, anch'essa adombrata nel discorso di fronte alle Camere riunite.

Le dimissioni del presidente della Repubblica riaprirebbero i giochi e Berlusconi - cui molte cose possono essere rimproverate, ma non la mancanza di intelligenza politica - capirebbe subito che le cose possono andare assai diversamente da come sono andate la volta scorsa.


MICHELE SALVATI16 maggio 2013 | 7:55

Re: Mentre Roma (l'Italia) brucia, Nerone (i Partiti) suona

MessaggioInviato: 17/05/2013, 9:00
da ranvit
http://www.corriere.it/editoriali/13_ma ... primopiano


UN PERCORSO CON MOLTI DUBBI

La pietanza delle riforme

Legge elettorale, convenzione e sondaggi via web




Chi forma la riforma? Gira e rigira, stiamo sempre attorno a un palo: le procedure, il metodo, prima ancora del merito. E sulle procedure ciascun partito va a zig zag. Vale per la Convenzione, questa creatura mitologica che dovrà allevare le riforme: emersa (nel documento dei saggi insediati da Napolitano), sommersa (dal ministro Quagliariello), riemersa (per bocca del presidente Letta, dopo il buen retiro di Spineto). E vale, a maggior ragione, per l'intreccio tra riforma costituzionale e legge elettorale. Prima la prima, dice il Pdl. No, assecondiamo anzitutto la seconda, replica il Pd. Un dubbio filosofico che ci ha tormentato già nella legislatura scorsa: è nato prima l'uovo o la gallina? Lasciandoci infine a pancia vuota: senza l'uovo, e senza la gallina.
Ma una pietanza bisognerà pur cucinarla, perché è falso che le riforme non diano da mangiare. Succede viceversa che la crisi economica sia aggravata dalla crisi politica, che quest'ultima abbia ormai messo in crisi le nostre istituzioni, e che perciò dobbiamo prendere la crisi istituzionale per le corna, se vogliamo curare sia l'economia che la politica. Potrà saziarci l'ultimo menu allestito dal presidente del Consiglio? Dipende: dai piatti scelti, ma soprattutto dai loro ingredienti. E questa lezione gastronomica s'applica a tutt'e tre le portate che i cuochi stanno per servirci.

Primo: la legge elettorale. Mettiamola immediatamente in sicurezza, ha stabilito Letta. Con una riformina che intanto ci liberi dalle nefandezze del Porcellum , salvo poi tornarci sopra quando (e se) verrà battezzata la riformona costituzionale. Vivaddio, era ora. Una soluzione di buon senso, che chi scrive predica da tempo. Già, ma come? Con una legge di due righe: il primo rigo abroga il Porcellum , il secondo fa resuscitare il Mattarellum . Magari depurato dal meccanismo infernale dello scorporo, che sottraeva a ogni partito i voti dei candidati vittoriosi nei collegi, e che a suo tempo provocò un'inondazione di liste civetta. O corretto per riequilibrare la rappresentanza femminile, come suggerisce Anna Finocchiaro. Invece Letta propone di segare il premio di maggioranza del Porcellum , lasciandolo - quanto al resto - inalterato. Ma il resto è un proporzionale puro, che ci garantirebbe una governabilità impura. Ed è una lenzuolata di parlamentari nominati, anziché eletti nei collegi.

Secondo: la Convenzione. Risulterebbe dalla somma delle commissioni Affari costituzionali di Camera e Senato, dunque una Bicamerale sotto falso nome. Per carità, può rivelarsi utile, anche se i precedenti portano un po' iella. Ma a patto di dotarla di poteri redigenti, altrimenti il Parlamento ne smonterà il lavoro come un Lego. E senza quest'idea bislacca della doppia presidenza: sennò uno frena, l'altro accelera, finiranno per fondere il motore. E il comitato d'esperti che Letta intende istituire? A quanto pare, consiglia la Convenzione, che poi consiglia il Parlamento: un consulto al cubo.

Terzo: gli elettori. Verranno consultati pure loro, e meno male. Con un sondaggio pubblico via web, come d'altronde accade in tutto il mondo. Dall'Islanda (dove la bozza di Costituzione, nel 2011, è stata elaborata in una pagina su Facebook) al Marocco (con una piattaforma informatica cui hanno aderito 150 mila cittadini). Noi, però, gradiremmo venire consultati pure dopo. Con un referendum obbligatorio, successivo alla riforma. Giusto per ribadire che la Costituzione italiana è degli italiani, di tutti gli italiani.

Michele Ainis15 maggio 2013 | 9:11

Re: Mentre Roma (l'Italia) brucia, Nerone (i Partiti) suona

MessaggioInviato: 17/05/2013, 9:04
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RIFORME

Politici mediocri, burocrati arroganti Il patto sventurato da interrompere

Solo nel nostro Paese è possibile che un segretario del Senato in pensione guadagni il triplo del Capo dello Stato



Non c'è Paese al mondo dove un segretario generale del Senato in pensione guadagni con l'aggiunta della prebenda di consigliere di Stato quasi il triplo del capo dello Stato. Solo in Italia succede. È l'effetto del patto sventurato che lega da decenni una classe politica per sua stessa ammissione sempre più mediocre e una struttura burocratica resa arrogante proprio dalla inferiorità del ceto dirigente. Ma l'emergenza delle emergenze al governo Letta non appare tale. C' è una riforma che non costerebbe niente. Meglio: non costerebbe in soldi. Il prezzo da pagare sarebbe la rottura di quel patto sventurato che lega da decenni una classe politica per sua stessa ammissione sempre più mediocre e una struttura burocratica resa sempre più forte, fino all'arroganza, proprio dalla inferiorità del ceto dirigente. Via via diventato schiavo degli alti funzionari, gli unici capaci dentro questo meccanismo infernale di scrivere una legge, di infilarla nel groviglio legislativo esistente e poi di interpretarla.


Un servaggio, come è noto, pagato caro: non c'è Paese al mondo dove un segretario generale del Senato in pensione guadagni con l'aggiunta della prebenda di consigliere di Stato quasi il triplo del presidente della Repubblica. Da noi sì. Va da sé che i beneficiati di questa «abnormità» non hanno interesse a cambiare un sistema in cui un funzionario parlamentare prende più di un deputato.
L'ha scritto Max Weber: «Ogni burocrazia si adopera per rafforzare la superiorità della sua posizione mantenendo segrete le sue informazioni e le sue intenzioni». Lo hanno ripetuto Alberto Alesina e Francesco Giavazzi: la prima cosa da fare, prima ancora di costruire strade e ponti, è cambiare la burocrazia perché quale «beneficio arreca a un'impresa risparmiare mezz'ora fra Civitavecchia e Grosseto se poi deve attendere dieci anni per la risoluzione di una causa civile» o almeno «un anno per essere pagata da un'amministrazione pubblica»? Aggiungiamo: è colpa solo della Fiom o del costo del lavoro se negli ultimi anni gli investimenti esteri in Italia si sono dimezzati (dal 2 all'1,2% del totale mondiale: dati Confindustria) o piuttosto di un quadro burocratico asfissiante dove, denuncia Confcommercio, «ci vogliono 41 procedure per far rispettare un contratto e 1.210 giorni per ottenere una sentenza che tuteli l'impresa»?


All'Aquila sono state emanate tra leggi speciali e direttive del Commissario, atti delle Strutture di Gestione dell'Emergenza e dispositivi della Protezione Civile e bla-bla, 1.109 norme più allegati: non mancano solo i soldi per ricostruire, manca il buon senso. Al punto che, se non cambia qualcosa, c'è da scommettere che finirà col solito decreto d'emergenza che permetta di eludere l'eccesso di regole. Già visto: lo Stato che aggira lo Stato perché incapace di cambiare se stesso.
È dunque un peccato notare come, a scorrere agenzie ed archivi, l'emergenza delle emergenze non appaia al governo Letta una vera emergenza. Due accenni nel discorso d'investitura, due flashes dell'Ansa: e centrati più che altro contro la cappa della burocrazia europea.


La scelta degli uomini giusti per questa guerra che dovrebbe essere a tutti i costi vinta, del resto, dice tutto. Non vogliamo neppure entrare nel merito delle qualità e dei curriculum del ministro Giampiero D'Alia e dei suoi vice, Gianfranco Micciché e Michaela Biancofiore dirottata dalle Pari Opportunità dopo le sparate sui gay. Ma sfidiamo chiunque a sostenere che siano stati messi lì, a combattere la più difficile delle battaglie, perché individuati come i migliori che c'erano sulla piazza per ripulire, disboscare, semplificare.
La verità è che li hanno collocati lì, purtroppo, perché il bilancino degli equilibri tra i partiti prevedeva di dar loro una poltrona o almeno uno strapuntino. E quello è considerato, sventuratamente, un ministero di serie B. Se non di serie C. La revisione della Costituzione venne affidata al grande Concetto Marchesi. Senza offesa: vuoi mettere la differenza?


Gian Antonio Stella17 maggio 2013 | 7:24