la resa di Silvio Berlusconi?

E' cosi', ma l'uomo è geniale...s'inventerà qualche altra cosa...solo un Pd "renziano" puo' stopparlo definitivamente!
http://www.huffingtonpost.it/alessandro ... _ref=italy
Altro che vittoria, l'elezione di Napolitano rappresenta la resa di Silvio Berlusconi
Pubblicato: 21/04/2013 15:16
C'è qualcosa di indecente, di profondamente indecente, nella lettura dell'elezione di Giorgio Napolitano come di una vittoria di Berlusconi. C'è qualcosa di inaccettabile, nel piagnisteo sconfittista di chi, a sinistra, vive la scelta come subita.
Dei soloni del moralismo, dei professionisti della retorica del cambiamento, dei manettari del Fatto che urlano al "delitto perfetto". E c'è un'ignorante propaganda nei giornali di destra che rivendicano un successo a buon mercato, nell'oblio di ciò che è accaduto, senza analizzare che l'elezione di Napolitano significa che la resa vera, quella storica, è la resa di Silvio Berlusconi.
E' accaduto qualcosa di profondo, con la rielezione di Napolitano. E' un fatto la cui portata ha un significato enorme. Politico. Culturale. È accaduto che i partiti, tutti, di fronte a una drammatica crisi di legittimazione, hanno trovato un punto di riferimento alto. Certo per necessità e, forse, anche per mancanza di alternative. Ma il punto non è lo stallo in cui si sono trovati. Il punto è che Napolitano rappresenta la possibile uscita dallo stallo. Un sussulto di dignità delle istituzioni di fronte alla barbarie di chi annunciava marce su Roma, con un linguaggio che lascia presagire la volontà di trasformare la Camera in un bivacco dei propri manipoli. Un sussulto di fonte allo sconcerto dell'opinione pubblica internazionale. Un sussulto di fronte a un paese piegato dalla crisi.
Ecco, Napolitano è la "guida morale" di cui parla Obama, simbolo del riscatto possibile, oltre che necessario. È già questa un'indicazione politica, la principale. Ritrovare il senso di essere una nazione, unita. Come diceva lo storico Ernest Renan, una nazione è un "plebiscito di tutti i giorni", il plebiscito implicito di una comunità che rinnova le ragioni del suo stare assieme. Ebbene il plebiscito esplicito del Parlamento verso Napolitano mostra che una nazione c'è. Napolitano significa tutto questo: europeismo, intransigenza sull'unità nazionale, visione severa delle istituzioni. Significa rispetto delle regole, sempre, dello Stato, della magistratura.
Sommessamente, giova ricordare che in questi anni le sue parole non sono state neutre: ha subito gli attacchi di Berlusconi sulla giustizia, è entrato nel mirino di chi ha provato a costruire, un assurdo teorema, sul suo inventato coinvolgimento nella trattativa Stato-mafia, un episodio vergognoso che fece venire un coccolone al compianto Loris D'Ambrosio, figura che oggi è giusto ricordare, nella commozione di un giorno segnato per la rielezione di Giorgio Napolitano.
Ecco perché non è una vittoria di Berlusconi. Perché il capo dello Stato non è una figura neutra. È un custode imparziale della Costituzione, è obiettivo, ma non neutrale. La sua cultura politica è a tinte accese. Sono le tinte del riformismo, della parte migliore della sinistra. Tutta la sua storia mostra che Napolitano è un riformista, il riformista doc di questo paese. Simbolo di cultura ancora feconda, quella di una sinistra capace di assumersi la sua responsabilità nazionale, è il meglio della cultura del Pci, della sinistra che rinuncia alla rivoluzione e abbraccia la democrazia, del movimento operaio che assolve una funzione nazionale, che sa che prima di tutto c'è il paese. E se, come ripete Bersani citando Berlinguer, nel dubbio conviene essere fedeli agli ideali della propria giovinezza, non si capisce perché la riconferma di Napolitano non possa essere vissuta, da tutto il Pd, come un dubbio che si dirada.
È questo il punto. L'applauso di Silvio Berlusconi sarà anche - in parte - una sua vittoria tattica, ma è una gigantesca resa culturale, e politica. Non si può tacere questo dato. Silvio Berlusconi che vota un comunista al Colle, che porta i voti negati sette anni fa ("il Giornale" allora titolò "Il presidente di metà degli italiani") all'uomo che lo ha deposto nel novembre del 2011, che ha insultato più volte in questi sette anni, è una resa del Cavaliere.
Già, una resa. Detta in positivo, è una vittoria della democrazia. Dentro questo atto c'è la possibile evoluzione del paese, il "cambiamento" vero: della destra se mai sceglierà la via della normalità e della sua costituzionalizzazione; della sinistra, oggi di fronte a uno dei momenti più difficili degli ultimi anni, se sarà capace di imboccare la via del riformismo. Perché la sinistra è altro rispetto al settarismo di questo gruppo dirigente, il peggiore, che ha mai avuto la sinistra. Che ha preferito, con la testardaggine di chi tra la testa e il muro pensa che si rompa il muro, infrangersi contro il muro a Cinque stelle, sia sulla questione del Quirinale che del governo. E che ha impostato in modo barbaro e primitivo, il suo rapporto col Pdl, rifiutando la sfida alta di un governo capace di varare quelle riforme necessarie per prosciugare l'acqua in cui ruota il pesce Grillo. Ecco, un disastro vero. Di fronte al quale, forse, per ritrovare una rotta conviene ricordare gli ideali della propria giovinezza. Quelli del presidente di tutti gli italiani.
http://www.huffingtonpost.it/alessandro ... _ref=italy
Altro che vittoria, l'elezione di Napolitano rappresenta la resa di Silvio Berlusconi
Pubblicato: 21/04/2013 15:16
C'è qualcosa di indecente, di profondamente indecente, nella lettura dell'elezione di Giorgio Napolitano come di una vittoria di Berlusconi. C'è qualcosa di inaccettabile, nel piagnisteo sconfittista di chi, a sinistra, vive la scelta come subita.
Dei soloni del moralismo, dei professionisti della retorica del cambiamento, dei manettari del Fatto che urlano al "delitto perfetto". E c'è un'ignorante propaganda nei giornali di destra che rivendicano un successo a buon mercato, nell'oblio di ciò che è accaduto, senza analizzare che l'elezione di Napolitano significa che la resa vera, quella storica, è la resa di Silvio Berlusconi.
E' accaduto qualcosa di profondo, con la rielezione di Napolitano. E' un fatto la cui portata ha un significato enorme. Politico. Culturale. È accaduto che i partiti, tutti, di fronte a una drammatica crisi di legittimazione, hanno trovato un punto di riferimento alto. Certo per necessità e, forse, anche per mancanza di alternative. Ma il punto non è lo stallo in cui si sono trovati. Il punto è che Napolitano rappresenta la possibile uscita dallo stallo. Un sussulto di dignità delle istituzioni di fronte alla barbarie di chi annunciava marce su Roma, con un linguaggio che lascia presagire la volontà di trasformare la Camera in un bivacco dei propri manipoli. Un sussulto di fonte allo sconcerto dell'opinione pubblica internazionale. Un sussulto di fronte a un paese piegato dalla crisi.
Ecco, Napolitano è la "guida morale" di cui parla Obama, simbolo del riscatto possibile, oltre che necessario. È già questa un'indicazione politica, la principale. Ritrovare il senso di essere una nazione, unita. Come diceva lo storico Ernest Renan, una nazione è un "plebiscito di tutti i giorni", il plebiscito implicito di una comunità che rinnova le ragioni del suo stare assieme. Ebbene il plebiscito esplicito del Parlamento verso Napolitano mostra che una nazione c'è. Napolitano significa tutto questo: europeismo, intransigenza sull'unità nazionale, visione severa delle istituzioni. Significa rispetto delle regole, sempre, dello Stato, della magistratura.
Sommessamente, giova ricordare che in questi anni le sue parole non sono state neutre: ha subito gli attacchi di Berlusconi sulla giustizia, è entrato nel mirino di chi ha provato a costruire, un assurdo teorema, sul suo inventato coinvolgimento nella trattativa Stato-mafia, un episodio vergognoso che fece venire un coccolone al compianto Loris D'Ambrosio, figura che oggi è giusto ricordare, nella commozione di un giorno segnato per la rielezione di Giorgio Napolitano.
Ecco perché non è una vittoria di Berlusconi. Perché il capo dello Stato non è una figura neutra. È un custode imparziale della Costituzione, è obiettivo, ma non neutrale. La sua cultura politica è a tinte accese. Sono le tinte del riformismo, della parte migliore della sinistra. Tutta la sua storia mostra che Napolitano è un riformista, il riformista doc di questo paese. Simbolo di cultura ancora feconda, quella di una sinistra capace di assumersi la sua responsabilità nazionale, è il meglio della cultura del Pci, della sinistra che rinuncia alla rivoluzione e abbraccia la democrazia, del movimento operaio che assolve una funzione nazionale, che sa che prima di tutto c'è il paese. E se, come ripete Bersani citando Berlinguer, nel dubbio conviene essere fedeli agli ideali della propria giovinezza, non si capisce perché la riconferma di Napolitano non possa essere vissuta, da tutto il Pd, come un dubbio che si dirada.
È questo il punto. L'applauso di Silvio Berlusconi sarà anche - in parte - una sua vittoria tattica, ma è una gigantesca resa culturale, e politica. Non si può tacere questo dato. Silvio Berlusconi che vota un comunista al Colle, che porta i voti negati sette anni fa ("il Giornale" allora titolò "Il presidente di metà degli italiani") all'uomo che lo ha deposto nel novembre del 2011, che ha insultato più volte in questi sette anni, è una resa del Cavaliere.
Già, una resa. Detta in positivo, è una vittoria della democrazia. Dentro questo atto c'è la possibile evoluzione del paese, il "cambiamento" vero: della destra se mai sceglierà la via della normalità e della sua costituzionalizzazione; della sinistra, oggi di fronte a uno dei momenti più difficili degli ultimi anni, se sarà capace di imboccare la via del riformismo. Perché la sinistra è altro rispetto al settarismo di questo gruppo dirigente, il peggiore, che ha mai avuto la sinistra. Che ha preferito, con la testardaggine di chi tra la testa e il muro pensa che si rompa il muro, infrangersi contro il muro a Cinque stelle, sia sulla questione del Quirinale che del governo. E che ha impostato in modo barbaro e primitivo, il suo rapporto col Pdl, rifiutando la sfida alta di un governo capace di varare quelle riforme necessarie per prosciugare l'acqua in cui ruota il pesce Grillo. Ecco, un disastro vero. Di fronte al quale, forse, per ritrovare una rotta conviene ricordare gli ideali della propria giovinezza. Quelli del presidente di tutti gli italiani.