La speranza, il coraggio

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Professore, come si può avere fiducia, se nella nostra società si vive in una perenne incertezza?
Dovunque tengo conferenze, inevitabilmente, mi si rivolge la domanda: «signor Bauman, perché lei è così pessimista?», ad eccezione dell’Europa dove invece mi chiedono: «perché lei è così ottimista?». Io rispondo loro che non sono né ottimista, né pessimista. Perché credo che la differenza sia che l’ottimista dice: «il nostro mondo è il migliore possibile.», mentre il pessimista sospetta e dice: «chi lo sa? Forse, l’ottimista ha ragione». In fondo, per me è la stessa cosa. L’idea è che, e non è una classificazione esaustiva degli esseri umani, ci sia una terza categoria, che è quella dell’uomo che spera. Né ottimista, né pessimista, molto sobrio, sa che cosa è giusto, sa che cosa è sbagliato, ma continua a sperare.
Può farci un esempio?
L’esempio che voglio portare è del dissidente cecoslovacco Vaclav Havel. Che riuscì ad opporsi da solo, durante il regime, al peggiore tra gli schieramenti comunisti nonostante non avesse armi, grandi unità militari e nonostante il divieto di apparire in televisione, che come sappiamo oggi è un mezzo di comunicazione di grande potere. Havel non aveva nessuna di quelle che sono considerate armi indispensabili per cambiare il mondo.
Eppure Havel ci è riuscito, con quali armi?
Ne aveva tre. Primo, il coraggio, perché è andato per più di venti anni avanti e indietro dal carcere. E’ stato perseguitato e ci vuole coraggio per non arrendersi. Il 90% dei cecoslovacchi era contro di lui o lo ignorava, ma lui non cambiava idea.
Secondo, la tenacia, perché non dava retta alle statistiche. Se gli erano contro le ignorava.
Terzo, la speranza, perché diceva sempre che la speranza è immortale non la puoi uccidere, puoi uccidere qualsiasi cosa, ma non la speranza. Avere speranza è fondamentale.
Coraggio, tenacia e speranza non sono alla portata di tutti?
Sono qualità umane molto normali, popolari, comuni. Ognuno di noi ha una certa dose di coraggio, non tanto, ma un po’. Ognuno di noi mostra una certa tenacia in alcune circostanze. E tutti speriamo sempre che qualcosa possa cambiare. In una certa misura queste sono armi che tutti possiedono. L’unico problema è che, a differenza di Vaclav Havel, la maggior parte di noi non le utilizza spesso. Le abbiamo, non dobbiamo andarle a comprare in un negozio e non dobbiamo neanche produrle, sono lì che aspettano di essere usate, ma raramente lo facciamo. Quindi la mia risposta è la mia speranza. Non conto su grandi eserciti, grandi fabbriche o grandi governi. Conto sul coraggio, la tenacia e la speranza degli esseri umani.
E cosa possiamo fare per cambiare e migliorare la nostra società?
Le cose sono collegate, non credo sia una domanda diversa. Perché quando lei chiede che cosa possiamo fare, chi può farlo, allora la domanda: «che cosa si può fare per stimolare il cambiamento?» deve diventare «che cosa puoi fare tu?». Perché stiamo parlando di umanità, di nazioni, comunità, ma tutte si compongono di individui. E a meno che noi, io e lei, non facciamo qualcosa, la comunità non farà nulla. Una cosa che l’individuo può fare è integrarsi nella comunità, stare gomito a gomito, partecipare allo sforzo. So che sarebbe molto più bello dare una risposta semplice a una domanda complessa, ma non credo che le risposte semplici rendano gli interrogativi meno complessi, al contrario li rendono ancora più complicati.
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Tratto da: Zygmunt Bauman: quest’economia ci consuma | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... z2NPLrkVMB
Professore, come si può avere fiducia, se nella nostra società si vive in una perenne incertezza?
Dovunque tengo conferenze, inevitabilmente, mi si rivolge la domanda: «signor Bauman, perché lei è così pessimista?», ad eccezione dell’Europa dove invece mi chiedono: «perché lei è così ottimista?». Io rispondo loro che non sono né ottimista, né pessimista. Perché credo che la differenza sia che l’ottimista dice: «il nostro mondo è il migliore possibile.», mentre il pessimista sospetta e dice: «chi lo sa? Forse, l’ottimista ha ragione». In fondo, per me è la stessa cosa. L’idea è che, e non è una classificazione esaustiva degli esseri umani, ci sia una terza categoria, che è quella dell’uomo che spera. Né ottimista, né pessimista, molto sobrio, sa che cosa è giusto, sa che cosa è sbagliato, ma continua a sperare.
Può farci un esempio?
L’esempio che voglio portare è del dissidente cecoslovacco Vaclav Havel. Che riuscì ad opporsi da solo, durante il regime, al peggiore tra gli schieramenti comunisti nonostante non avesse armi, grandi unità militari e nonostante il divieto di apparire in televisione, che come sappiamo oggi è un mezzo di comunicazione di grande potere. Havel non aveva nessuna di quelle che sono considerate armi indispensabili per cambiare il mondo.
Eppure Havel ci è riuscito, con quali armi?
Ne aveva tre. Primo, il coraggio, perché è andato per più di venti anni avanti e indietro dal carcere. E’ stato perseguitato e ci vuole coraggio per non arrendersi. Il 90% dei cecoslovacchi era contro di lui o lo ignorava, ma lui non cambiava idea.
Secondo, la tenacia, perché non dava retta alle statistiche. Se gli erano contro le ignorava.
Terzo, la speranza, perché diceva sempre che la speranza è immortale non la puoi uccidere, puoi uccidere qualsiasi cosa, ma non la speranza. Avere speranza è fondamentale.
Coraggio, tenacia e speranza non sono alla portata di tutti?
Sono qualità umane molto normali, popolari, comuni. Ognuno di noi ha una certa dose di coraggio, non tanto, ma un po’. Ognuno di noi mostra una certa tenacia in alcune circostanze. E tutti speriamo sempre che qualcosa possa cambiare. In una certa misura queste sono armi che tutti possiedono. L’unico problema è che, a differenza di Vaclav Havel, la maggior parte di noi non le utilizza spesso. Le abbiamo, non dobbiamo andarle a comprare in un negozio e non dobbiamo neanche produrle, sono lì che aspettano di essere usate, ma raramente lo facciamo. Quindi la mia risposta è la mia speranza. Non conto su grandi eserciti, grandi fabbriche o grandi governi. Conto sul coraggio, la tenacia e la speranza degli esseri umani.
E cosa possiamo fare per cambiare e migliorare la nostra società?
Le cose sono collegate, non credo sia una domanda diversa. Perché quando lei chiede che cosa possiamo fare, chi può farlo, allora la domanda: «che cosa si può fare per stimolare il cambiamento?» deve diventare «che cosa puoi fare tu?». Perché stiamo parlando di umanità, di nazioni, comunità, ma tutte si compongono di individui. E a meno che noi, io e lei, non facciamo qualcosa, la comunità non farà nulla. Una cosa che l’individuo può fare è integrarsi nella comunità, stare gomito a gomito, partecipare allo sforzo. So che sarebbe molto più bello dare una risposta semplice a una domanda complessa, ma non credo che le risposte semplici rendano gli interrogativi meno complessi, al contrario li rendono ancora più complicati.
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Tratto da: Zygmunt Bauman: quest’economia ci consuma | Informare per Resistere http://www.informarexresistere.fr/2013/ ... z2NPLrkVMB