Proposta operativa di liberalizzazioni (varie).

http://www.rischiocalcolato.it/2011/11/ ... zioni.html
I Parte
Liberalizzazione del Mercato del Gas
PREMESSE
Nel 2010 la domanda italiana di gas è stata di 85 miliardi di metri cubi. Al netto delle vendite innovative, il market leader, Eni, ha una quota di mercato nelle importazioni del 39,2 per cento, seguito da Edison (18,4 per cento), Enel Trade (14 per cento), mentre tutti gli altri operatori hanno quote inferiori al 2,5 per cento. La posizione dominante dell’ex monopolista è resa più solida ancora dal suo predominio nella produzione nazionale (83,3 per cento) e includendo le quantità di metano cedute ai concorrenti alla frontiera. In tutte le regioni italiane tranne 2, la quota di mercato dei primi tre operatori (CR3) è superiore al 60 per cento. La situazione concorrenziale è migliore solo in Lombardia (35,7 per cento) e Veneto (51,2 per cento). Parte del problema deriva dalla carenza (nel lungo termine) delle infrastrutture di adduzione, i rigassificatori.
Inoltre gli stoccaggi, pur non rappresentando un monopolio tecnico, sono quasi totalmente in mano all’ex monopolista.
A dispetto dell’abbondanza di gas, i prezzi italiani non hanno riflettuto, durante la crisi, le riduzioni di prezzo osservate nei principali mercati europei.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
•Allo scopo di rendere più concorrenziale il mercato italiano del gas, è necessario intervenire sul mercato in analogia a quanto fatto sul mercato elettrico, imponendo la separazione proprietaria (e il divieto di future forme di integrazione verticale) della rete dall’ex monopolista (in sintesi l’ENI deve cedere le quote eccedenti il 20% di Snam Rete Gas, e SRG dovrebbe cedere il controllo di Italgas e Stogit).
•Per gli stoccaggi il problema non è, di per sé, la separazione, quanto la creazione di un contesto competitivo facendo spezzatino dei siti attualmente gestiti da Stogit (società del gruppo Snam Rete Gas controllato da Eni) e accelerando le autorizzazioni per i siti progettati dai diversi operatori.
Liberalizzazione Carburanti
PREMESSE
La filiera petrolifera che è oggi dominata da un oligopolio costituito da 8 società integrate verticalmente (cioè che contestualmente producono, commercializzano all’ingrosso e vendono al dettaglio) e che determina un extra prezzo di alcuni centesimi di euro per ogni litro di carburante a carico dei nostri automobilisti rispetto al panorama europeo.
Mancano nel nostro Paese sia forti operatori commerciali puri in grado di contrattare liberamente con i produttori sul piano nazionale e internazionale le migliori condizioni di acquisto dei carburanti, sia un numero sufficiente di rivenditori al dettaglio (cioè di stazioni di rifornimento) autonomi rispetto ai produttori e indipendenti sul piano dell’offerta commerciale e quindi dei prezzi di vendita..
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
•Consentire ai distributori legati da vincoli di esclusiva alle compagnie petrolifere (che gestiscono direttamente o indirettamente la gran parte dei 22.450 punti di vendita al dettaglio) la facoltà di approvvigionarsi di carburanti presso altri fornitori: l’acquisto in esclusiva non potrà superare il 75% e il singolo esercente al dettaglio potrà acquistare la restante parte da altri rifornitori ai migliori prezzi presenti sul libero mercato.
•Creare una società pubblica che veicoli, controlli ed agevoli le attivita’ di commercio all’ingrosso dei carburanti, in modo da rifornire migliaia di punti di vendita al dettaglio a prezzi competitivi e così contribuire al contenimento dei prezzi al consumo, superando le attuali strozzature del mercato.
•Eliminazione dei vincoli regionali sulla liberalizzazione della distribuzione dei carburanti.
Liberalizzazione Professioni
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
•Abolizione degli Ordini Professionali e di tutto cio’ che essi si portano dietro. Non c’e’ molto altro da aggiungere
Liberalizzazione del Trasporto Ferroviario
PREMESSE
L’intero settore del trasporto ferroviario è, in Italia, dominato da un monopolista pubblico verticalmente integrato. Se qualcosa si sta muovendo, seppure con difficoltà, nel segmento più redditizio dell’alta velocità, rimane al momento quasi privo di ogni sussulto concorrenziale il settore del trasporto ferroviario regionale. Il dominio di Trenitalia è cementato da sussidi pubblici (aumentati nel triennio 2006-2008 del 27%), e da norme a favore del monopolio (per esempio la legge 2/2009 aveva autorizzato la spesa aggiuntiva di 480 milioni di euro per tre anni a favore del trasporto ferroviario regionale, solo nel caso di un rinnovo dei contratti in essere con Trenitalia, e la legge 33/2009 ha fissato in sei anni la durata minima dei contratti, rinnovabili per altri 6; Infine, la legge 99/2009 introduce una serie di paletti che, di fatto, fanno coincidere l’interesse generale col conto economico di Trenitalia, rappresentando lo strumento di cui l’azienda si è avvalsa per ostacolare i tentativi di competizione).
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
L’obiettivo della riforma deve essere duplice: da un lato rendere possibile la competizione, stimolando così l’efficienza e la riduzione dei costi nel settore del trasporto ferroviario. A questo scopo, vale la pena sottolineare che il costo per passeggero-chilometro nel trasporto ferroviario regionale in Gran Bretagna è circa la metà di quello italiano. Secondariamente, dalla maggiore competizione ci si può anche attendere un miglioramento e una diversificazione del servizio sotto il profilo qualitativo. Gli interventi da fare sono:
•Separazione tra la rete e l’erogatore dei servizi, cioè tra Rfi e Trenitalia, attualmente controllate dalla medesima holding Ferrovie dello Stato;
•parallelamente, è necessaria l’istituzione di un regolatore indipendente, poiché l’attuale Ufficio regolazione servizi ferroviari, presso il ministero dei Trasporti, è palesemente inadeguato.
Per il solo trasporto ferroviario regionale:
•occorre anzitutto liberalizzare la durata dei contratti di servizio;
•secondariamente, vanno rimosse le misure “salva Trenitalia” della legge 99/2009.
Liberalizzazione dei Servizi Pubblici Locali
PREMESSE
La qualità e il grado di competizione nei servizi pubblici locali sono del tutto inadeguati, sia nei settori concorrenziali sia nel caso dei monopoli tecnici. Tutto ciò si traduce nell’erogazione di servizi di scarsa qualità e alto costo. Per esempio, nel caso del trasporto pubblico locale l’Istituto Bruno Leoni stima che, in media, i costi per vettura chilometro possano essere ridotti di circa un terzo con misure di mera efficienza organizzativa. Altri settori hanno performance non dissimili. Una riforma che consenta di mettere sotto pressione gli erogatori di tali servizi avrebbe pertanto benefiche ricadute sia sul bilancio pubblico locale, sia sulla crescita.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
Si tratta, semplicemente, di fissare il principio per cui l’affidamento deve avvenire obbligatoriamente attraverso procedure a evidenza pubblica. Il problema più significativo è posto dagli affidamenti in essere, laddove siano stati affidati direttamente. Quando le concessioni hanno durata limitata, dell’ordine di uno o pochi anni, è ragionevole lasciarle andare a scadenza, in caso contrario appare doveroso fissare un termine temporale di 1 o 2 anni entro il quale l’affidamento dovrà essere rimesso a gara. Unica eccezione può essere rappresentato, e solo in forma di deroga data l’eccezionalità dell’evento, per le società titolari di affidamento diretto che, nel frattempo, siano state quotate in borsa (in questo caso, anticipare la scadenza delle concessioni andrebbe a detrimento del loro valore e potrebbe generare ampio contenzioso, per cui appare più ragionevole, semplicemente, imporre la discesa degli enti pubblici azionisti al di sotto del 20 per cento del capitale entro 1 anno).
E’ necessaria una proposta di legge che contenga le norme per l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali, nel rispetto del risultato referendario (compresa l’esclusione del servizio idrico tra i servizi oggetto di intervento), ma anche dei principi europei di concorrenza, libertà di stabilimento e prestazione dei servizi, universalità e accessibilità dei servizi pubblici locali. I punti essenziali della proposta sono i seguenti:
•Codificazione dell’insegnamento della Corte costituzionale secondo cui i servizi pubblici locali sono servizi di interesse generale a rilevanza economica, per evitare d’ora innanzi che regioni ed enti locali tentino, come già avvenuto in più occasioni, un’indebita ingerenza in una materia che ricade nella competenza statale.
•Previsione che l’affidamento delle nuove gestioni nonché il rinnovo di quelle in essere avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa europea in materia di appalti pubblici e di servizi pubblici, fatta salva la proprietà delle reti e dei beni pubblici strumentali e la gestione del servizio idrico.
•Disciplina della fase transitoria per gli affidamenti già in essere, secondo quanto già detto.
•Previsione dell’affidamento in house come modalità eccezionale e motivata di affidamento, alla luce delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario.
•Previsione delle condizioni di partecipazione e esclusione dalla gara.
•Previsione di forme di vigilanza e controllo della gestione del servizio affidato.
Liberalizzazione dell’Acqua
PREMESSE
Il referendum del 12-13 giugno 2011 ha clamorosamente bocciato la riforma del settore disegnata dalla legge Ronchi e cancellato, dal codice ambiente del 2006, l’obbligo di stabilire le tariffe tenendo conto, tra l’altro, “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Questo determina un quadro di incertezza normativa, relativa anche alle modalità di finanziamento degli investimenti, che ha già determinato uno stallo degli investimenti. Ciò nonostante, gli investimenti sono necessari, se solo si tiene conto che circa il 37 per cento dell’acqua viene dispersa durante il trasporto, che un terzo della popolazione italiana non è servita da un depuratore e che il 15 per cento addirittura non dispone di un allaccio fognario. Alcuni di questi investimenti sono necessari per ragioni evidenti a tutti; altre sono addirittura obbligatori per sanare la violazione delle direttive europee sulla qualità delle acque per la quale il nostro paese è già oggetto delle attenzioni della Commissione europea. Si calcola (per difetto) che, per risolvere i problemi citati, nei prossimi 30 anni saranno necessari investimenti nell’ordine dei 64 miliardi di euro. stimenti necessari senza compromettere le finanze pubbliche già in crisi.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
•E’ anzitutto necessario istituire un regolatore indipendente che possa occuparsi della determinazione delle tariffe (o sorvegliare, con possibilità di intervento e sanzione, i soggetti preposti) e della regolazione tecnica. La de-politicizzazione delle tariffe è un passo necessario per superare uno degli ostacoli finora sperimentati: poiché la “bolletta dell’acqua” è tema di campagna elettorale, la tentazione – specie in presenza di gestori del servizio interamente controllati dal comune – è quella di mantenere prezzi “politici”, col risultato che non è possibile fare investimenti e che i problemi si aggravano.
•Bisogna consentire la presenza dei privati nella gestione del sistema, derogando – laddove sussistano particolari ragioni – all’obbligo di gara, che comunque deve restare il meccanismo preferenziale.
•Da ultimo, è necessario consentire il finanziamento degli investimenti. Il referendum ha spazzato via il vecchio sistema tariffario che, per una serie di ragioni, aveva subito una degenerazione: infatti il saggio di remunerazione del capitale, fissato per decreto ministeriale nel 1996 al 7 per cento, non era stato mai più rivisto. Al contrario, il costo del capitale va definito in relazione alle condizioni effettivamente vigenti, caso per caso e momento per momento.
Al fine di perseguire gli obiettivi dichiarati – creazione di un regolatore indipendente, obbligo di gara con possibilità di deroga in presenza di condizioni eccezionali, e piena remunerazione dell’attività industriale – è sufficiente approvare la proposta di legge n. 3856, depositata alla Camera dei deputati il 16 novembre 2010 con primi firmatari Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini, e successivamente ripresentata da Benedetto Della Vedova e altri come emendamento alla legge comunitaria 2011. Dopo aver emendato tale proposta con la soppressione della parte in cui abroga l’articolo 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135 (già abrogato dal referendum), basterebbe approvare il resto dell’articolato, che modifica la disciplina generale dei servizi pubblici locali.
Liberalizzazione dei Servizi postali
PREMESSE
Sotto l’impulso della normativa comunitaria, il settore del recapito ha registrato nei primi mesi del 2011 un importante intervento di riforma: il recepimento della terza direttiva postale (direttiva 2008/6/CE), operato con decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58. Se è certo presto per proporre un’analisi compiuta delle conseguenze del provvedimento, è però legittimo avanzare alcune riserve sulla sua efficacia. La nuova disciplina interviene, da un lato, con ritardo in un mercato sostanzialmente monopolistico, con una quota di mercato complessiva dell’operatore pubblico ben superiore al 90%; e, dall’altro, essa denota una serie di inadeguatezze che ne compromettono la solidità d’impianto e non permettono di presagire un percorso di effettiva apertura competitiva del settore.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
•E’ necessario assicurare che il settore postale sia regolato da un organismo indipendente, e non da un’Agenzia ministeriale
•Ridurre l’ampiezza dell’ambito del servizio universale al perimetro minimo previsto dalla disciplina europea e, soprattutto, eliminare ogni residuo di riserva – inclusa quella sulle notifiche di atti giudiziari, oramai incompatibile con la normativa comunitaria. Il servizio universale andrebbe ridefinito con la cassazione immediata della pubblicità diretta (direct mail), incomprensibilmente prorogata al 2012, la limitazione ai pacchi postali fino a10 kg (dagli attuali 20), e l’esclusione della posta massiva, cioè degli invii dei grandi speditori di classe business, la cui ricomprensione nel servizio universale non risponde ad apprezzabili ragioni d’equità e altera pesantemente il contesto di mercato.
•Eliminazione della disposizione che vincola ciascun operatore alla “contrattazione collettiva di lavoro di riferimento”, e con ciò, di fatto, alle condizioni stipulate dall’operatore dominante.
I Parte
Liberalizzazione del Mercato del Gas
PREMESSE
Nel 2010 la domanda italiana di gas è stata di 85 miliardi di metri cubi. Al netto delle vendite innovative, il market leader, Eni, ha una quota di mercato nelle importazioni del 39,2 per cento, seguito da Edison (18,4 per cento), Enel Trade (14 per cento), mentre tutti gli altri operatori hanno quote inferiori al 2,5 per cento. La posizione dominante dell’ex monopolista è resa più solida ancora dal suo predominio nella produzione nazionale (83,3 per cento) e includendo le quantità di metano cedute ai concorrenti alla frontiera. In tutte le regioni italiane tranne 2, la quota di mercato dei primi tre operatori (CR3) è superiore al 60 per cento. La situazione concorrenziale è migliore solo in Lombardia (35,7 per cento) e Veneto (51,2 per cento). Parte del problema deriva dalla carenza (nel lungo termine) delle infrastrutture di adduzione, i rigassificatori.
Inoltre gli stoccaggi, pur non rappresentando un monopolio tecnico, sono quasi totalmente in mano all’ex monopolista.
A dispetto dell’abbondanza di gas, i prezzi italiani non hanno riflettuto, durante la crisi, le riduzioni di prezzo osservate nei principali mercati europei.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
•Allo scopo di rendere più concorrenziale il mercato italiano del gas, è necessario intervenire sul mercato in analogia a quanto fatto sul mercato elettrico, imponendo la separazione proprietaria (e il divieto di future forme di integrazione verticale) della rete dall’ex monopolista (in sintesi l’ENI deve cedere le quote eccedenti il 20% di Snam Rete Gas, e SRG dovrebbe cedere il controllo di Italgas e Stogit).
•Per gli stoccaggi il problema non è, di per sé, la separazione, quanto la creazione di un contesto competitivo facendo spezzatino dei siti attualmente gestiti da Stogit (società del gruppo Snam Rete Gas controllato da Eni) e accelerando le autorizzazioni per i siti progettati dai diversi operatori.
Liberalizzazione Carburanti
PREMESSE
La filiera petrolifera che è oggi dominata da un oligopolio costituito da 8 società integrate verticalmente (cioè che contestualmente producono, commercializzano all’ingrosso e vendono al dettaglio) e che determina un extra prezzo di alcuni centesimi di euro per ogni litro di carburante a carico dei nostri automobilisti rispetto al panorama europeo.
Mancano nel nostro Paese sia forti operatori commerciali puri in grado di contrattare liberamente con i produttori sul piano nazionale e internazionale le migliori condizioni di acquisto dei carburanti, sia un numero sufficiente di rivenditori al dettaglio (cioè di stazioni di rifornimento) autonomi rispetto ai produttori e indipendenti sul piano dell’offerta commerciale e quindi dei prezzi di vendita..
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
•Consentire ai distributori legati da vincoli di esclusiva alle compagnie petrolifere (che gestiscono direttamente o indirettamente la gran parte dei 22.450 punti di vendita al dettaglio) la facoltà di approvvigionarsi di carburanti presso altri fornitori: l’acquisto in esclusiva non potrà superare il 75% e il singolo esercente al dettaglio potrà acquistare la restante parte da altri rifornitori ai migliori prezzi presenti sul libero mercato.
•Creare una società pubblica che veicoli, controlli ed agevoli le attivita’ di commercio all’ingrosso dei carburanti, in modo da rifornire migliaia di punti di vendita al dettaglio a prezzi competitivi e così contribuire al contenimento dei prezzi al consumo, superando le attuali strozzature del mercato.
•Eliminazione dei vincoli regionali sulla liberalizzazione della distribuzione dei carburanti.
Liberalizzazione Professioni
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
•Abolizione degli Ordini Professionali e di tutto cio’ che essi si portano dietro. Non c’e’ molto altro da aggiungere
Liberalizzazione del Trasporto Ferroviario
PREMESSE
L’intero settore del trasporto ferroviario è, in Italia, dominato da un monopolista pubblico verticalmente integrato. Se qualcosa si sta muovendo, seppure con difficoltà, nel segmento più redditizio dell’alta velocità, rimane al momento quasi privo di ogni sussulto concorrenziale il settore del trasporto ferroviario regionale. Il dominio di Trenitalia è cementato da sussidi pubblici (aumentati nel triennio 2006-2008 del 27%), e da norme a favore del monopolio (per esempio la legge 2/2009 aveva autorizzato la spesa aggiuntiva di 480 milioni di euro per tre anni a favore del trasporto ferroviario regionale, solo nel caso di un rinnovo dei contratti in essere con Trenitalia, e la legge 33/2009 ha fissato in sei anni la durata minima dei contratti, rinnovabili per altri 6; Infine, la legge 99/2009 introduce una serie di paletti che, di fatto, fanno coincidere l’interesse generale col conto economico di Trenitalia, rappresentando lo strumento di cui l’azienda si è avvalsa per ostacolare i tentativi di competizione).
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
L’obiettivo della riforma deve essere duplice: da un lato rendere possibile la competizione, stimolando così l’efficienza e la riduzione dei costi nel settore del trasporto ferroviario. A questo scopo, vale la pena sottolineare che il costo per passeggero-chilometro nel trasporto ferroviario regionale in Gran Bretagna è circa la metà di quello italiano. Secondariamente, dalla maggiore competizione ci si può anche attendere un miglioramento e una diversificazione del servizio sotto il profilo qualitativo. Gli interventi da fare sono:
•Separazione tra la rete e l’erogatore dei servizi, cioè tra Rfi e Trenitalia, attualmente controllate dalla medesima holding Ferrovie dello Stato;
•parallelamente, è necessaria l’istituzione di un regolatore indipendente, poiché l’attuale Ufficio regolazione servizi ferroviari, presso il ministero dei Trasporti, è palesemente inadeguato.
Per il solo trasporto ferroviario regionale:
•occorre anzitutto liberalizzare la durata dei contratti di servizio;
•secondariamente, vanno rimosse le misure “salva Trenitalia” della legge 99/2009.
Liberalizzazione dei Servizi Pubblici Locali
PREMESSE
La qualità e il grado di competizione nei servizi pubblici locali sono del tutto inadeguati, sia nei settori concorrenziali sia nel caso dei monopoli tecnici. Tutto ciò si traduce nell’erogazione di servizi di scarsa qualità e alto costo. Per esempio, nel caso del trasporto pubblico locale l’Istituto Bruno Leoni stima che, in media, i costi per vettura chilometro possano essere ridotti di circa un terzo con misure di mera efficienza organizzativa. Altri settori hanno performance non dissimili. Una riforma che consenta di mettere sotto pressione gli erogatori di tali servizi avrebbe pertanto benefiche ricadute sia sul bilancio pubblico locale, sia sulla crescita.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
Si tratta, semplicemente, di fissare il principio per cui l’affidamento deve avvenire obbligatoriamente attraverso procedure a evidenza pubblica. Il problema più significativo è posto dagli affidamenti in essere, laddove siano stati affidati direttamente. Quando le concessioni hanno durata limitata, dell’ordine di uno o pochi anni, è ragionevole lasciarle andare a scadenza, in caso contrario appare doveroso fissare un termine temporale di 1 o 2 anni entro il quale l’affidamento dovrà essere rimesso a gara. Unica eccezione può essere rappresentato, e solo in forma di deroga data l’eccezionalità dell’evento, per le società titolari di affidamento diretto che, nel frattempo, siano state quotate in borsa (in questo caso, anticipare la scadenza delle concessioni andrebbe a detrimento del loro valore e potrebbe generare ampio contenzioso, per cui appare più ragionevole, semplicemente, imporre la discesa degli enti pubblici azionisti al di sotto del 20 per cento del capitale entro 1 anno).
E’ necessaria una proposta di legge che contenga le norme per l’affidamento e la gestione dei servizi pubblici locali, nel rispetto del risultato referendario (compresa l’esclusione del servizio idrico tra i servizi oggetto di intervento), ma anche dei principi europei di concorrenza, libertà di stabilimento e prestazione dei servizi, universalità e accessibilità dei servizi pubblici locali. I punti essenziali della proposta sono i seguenti:
•Codificazione dell’insegnamento della Corte costituzionale secondo cui i servizi pubblici locali sono servizi di interesse generale a rilevanza economica, per evitare d’ora innanzi che regioni ed enti locali tentino, come già avvenuto in più occasioni, un’indebita ingerenza in una materia che ricade nella competenza statale.
•Previsione che l’affidamento delle nuove gestioni nonché il rinnovo di quelle in essere avvenga mediante procedure competitive ad evidenza pubblica, nel rispetto della normativa europea in materia di appalti pubblici e di servizi pubblici, fatta salva la proprietà delle reti e dei beni pubblici strumentali e la gestione del servizio idrico.
•Disciplina della fase transitoria per gli affidamenti già in essere, secondo quanto già detto.
•Previsione dell’affidamento in house come modalità eccezionale e motivata di affidamento, alla luce delle condizioni previste dall’ordinamento comunitario.
•Previsione delle condizioni di partecipazione e esclusione dalla gara.
•Previsione di forme di vigilanza e controllo della gestione del servizio affidato.
Liberalizzazione dell’Acqua
PREMESSE
Il referendum del 12-13 giugno 2011 ha clamorosamente bocciato la riforma del settore disegnata dalla legge Ronchi e cancellato, dal codice ambiente del 2006, l’obbligo di stabilire le tariffe tenendo conto, tra l’altro, “dell’adeguatezza della remunerazione del capitale investito”. Questo determina un quadro di incertezza normativa, relativa anche alle modalità di finanziamento degli investimenti, che ha già determinato uno stallo degli investimenti. Ciò nonostante, gli investimenti sono necessari, se solo si tiene conto che circa il 37 per cento dell’acqua viene dispersa durante il trasporto, che un terzo della popolazione italiana non è servita da un depuratore e che il 15 per cento addirittura non dispone di un allaccio fognario. Alcuni di questi investimenti sono necessari per ragioni evidenti a tutti; altre sono addirittura obbligatori per sanare la violazione delle direttive europee sulla qualità delle acque per la quale il nostro paese è già oggetto delle attenzioni della Commissione europea. Si calcola (per difetto) che, per risolvere i problemi citati, nei prossimi 30 anni saranno necessari investimenti nell’ordine dei 64 miliardi di euro. stimenti necessari senza compromettere le finanze pubbliche già in crisi.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
•E’ anzitutto necessario istituire un regolatore indipendente che possa occuparsi della determinazione delle tariffe (o sorvegliare, con possibilità di intervento e sanzione, i soggetti preposti) e della regolazione tecnica. La de-politicizzazione delle tariffe è un passo necessario per superare uno degli ostacoli finora sperimentati: poiché la “bolletta dell’acqua” è tema di campagna elettorale, la tentazione – specie in presenza di gestori del servizio interamente controllati dal comune – è quella di mantenere prezzi “politici”, col risultato che non è possibile fare investimenti e che i problemi si aggravano.
•Bisogna consentire la presenza dei privati nella gestione del sistema, derogando – laddove sussistano particolari ragioni – all’obbligo di gara, che comunque deve restare il meccanismo preferenziale.
•Da ultimo, è necessario consentire il finanziamento degli investimenti. Il referendum ha spazzato via il vecchio sistema tariffario che, per una serie di ragioni, aveva subito una degenerazione: infatti il saggio di remunerazione del capitale, fissato per decreto ministeriale nel 1996 al 7 per cento, non era stato mai più rivisto. Al contrario, il costo del capitale va definito in relazione alle condizioni effettivamente vigenti, caso per caso e momento per momento.
Al fine di perseguire gli obiettivi dichiarati – creazione di un regolatore indipendente, obbligo di gara con possibilità di deroga in presenza di condizioni eccezionali, e piena remunerazione dell’attività industriale – è sufficiente approvare la proposta di legge n. 3856, depositata alla Camera dei deputati il 16 novembre 2010 con primi firmatari Pier Luigi Bersani e Dario Franceschini, e successivamente ripresentata da Benedetto Della Vedova e altri come emendamento alla legge comunitaria 2011. Dopo aver emendato tale proposta con la soppressione della parte in cui abroga l’articolo 15 del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135 (già abrogato dal referendum), basterebbe approvare il resto dell’articolato, che modifica la disciplina generale dei servizi pubblici locali.
Liberalizzazione dei Servizi postali
PREMESSE
Sotto l’impulso della normativa comunitaria, il settore del recapito ha registrato nei primi mesi del 2011 un importante intervento di riforma: il recepimento della terza direttiva postale (direttiva 2008/6/CE), operato con decreto legislativo 31 marzo 2011, n. 58. Se è certo presto per proporre un’analisi compiuta delle conseguenze del provvedimento, è però legittimo avanzare alcune riserve sulla sua efficacia. La nuova disciplina interviene, da un lato, con ritardo in un mercato sostanzialmente monopolistico, con una quota di mercato complessiva dell’operatore pubblico ben superiore al 90%; e, dall’altro, essa denota una serie di inadeguatezze che ne compromettono la solidità d’impianto e non permettono di presagire un percorso di effettiva apertura competitiva del settore.
PROPOSTE OPERATIVE DI RIFORMA
•E’ necessario assicurare che il settore postale sia regolato da un organismo indipendente, e non da un’Agenzia ministeriale
•Ridurre l’ampiezza dell’ambito del servizio universale al perimetro minimo previsto dalla disciplina europea e, soprattutto, eliminare ogni residuo di riserva – inclusa quella sulle notifiche di atti giudiziari, oramai incompatibile con la normativa comunitaria. Il servizio universale andrebbe ridefinito con la cassazione immediata della pubblicità diretta (direct mail), incomprensibilmente prorogata al 2012, la limitazione ai pacchi postali fino a10 kg (dagli attuali 20), e l’esclusione della posta massiva, cioè degli invii dei grandi speditori di classe business, la cui ricomprensione nel servizio universale non risponde ad apprezzabili ragioni d’equità e altera pesantemente il contesto di mercato.
•Eliminazione della disposizione che vincola ciascun operatore alla “contrattazione collettiva di lavoro di riferimento”, e con ciò, di fatto, alle condizioni stipulate dall’operatore dominante.