L'Europa dei mercanti

http://www.unita.it/italia/europeista-s ... i-1.476453
Europeista sì ma mercantilista
di Stefano Fassina
Ogni fase storica è definita da una linea di frattura primaria sul terreno politico. Nel secolo scorso la faglia è stata tra fascismi e antifascismi; poi, tra comunismi e anticomunismi; dopo la caduta del muro di Berlino, tra globalisti deregolatori del capitalismo finanziario e regolazionisti. Oggi, nell’Unione europea, è tra europeismi e populismi regressivi.
Noi, l’alleanza dei progressisti, come tutti i progressisti europei, interpretiamo una versione dell’europeismo. Data la frattura primaria, siamo insieme a chi, diverso da noi per cultura politica e economica e per interessi rappresentati, interpreta un’altra versione dell’europeismo, come il presidente Monti e i partiti e le personalità in fila dietro la sua porta. I diversi europeismi devono stare insieme, in Italia e in Europa, perché l’avversario da sconfiggere sono i populismi, ossia le tentazioni anti-europee e anti-euro, alimentate dalle difficoltà e dalla disperazione economica e sociale, cavalcate qui da noi da grillismo, berlusconismo e leghismo.
La linea di frattura secondaria consente, invece, di riconoscere i diversi europeismi. Sono due. L’europeismo mercantilista e l’europeismo progressista. L’europeismo mercantilista domina in Europa da un lungo periodo. Tra la fine degli anni 80 e la metà degli anni 90 ha impostato l’impalcatura istituzionale e la rotta macroeconomica sottostante alla nascita della moneta unica. È l’europeismo portato avanti dal Partito popolare europeo, sostanzialmente condiviso e riproposto dal presidente Monti. È caratterizzato dalla svalutazione del lavoro, data l’impossibilità di svalutare la moneta, per recuperare competitività.
In Italia, vuol dire tornare all'attacco dell'art. 18 per indebolire ulteriormente la capacità negoziale dei sindacati e ridurre la remunerazione del lavoro. Vuol dire celebrare Marchionne a Melfi senza una parola sulla democrazia mutilata nelle aziende del gruppo Fiat. Vuol dire Stato sociale minimale, quindi un welfare povero, come inevitabilmente è, scriveva Dahrendorf, il welfare svuotato delle classi medie e confinato ai poveri. Vuol dire richiamare il true progressivism del magazine liberista The Economist per riabilitare il Mercato come unico strumento di correzione delle insostenibili disuguaglianze di reddito, ricchezza, potere politico e opportunità.
L’europeismo mercantilista aggrava la recessione, la disoccupazione e le iniquità e, quindi, aumenta i debiti pubblici ovunque. I risultati raggiunti e le previsioni per l’euro-zona sono inequivocabili. La compressione della domanda interna europea e l’affidamento generalizzato alle esportazioni per trainare la crescita implica, nel migliori dei casi, una ripresa dell’economia insufficiente a riassorbire la disoccupazione e l’impossibilità a raggiungere il sentiero del Fiscal compact per la riduzione del debito pubblico.
Per ricostruire le condizioni economiche e sociali delle democrazie delle classi medie e prosciugare il brodo di coltura dei populismi regressivi noi proponiamo, in sintonia con la famiglia dei socialisti e democratici, al di qua e al di là dell’Atlantico, l’europeismo progressista: il rispetto degli impegni sottoscritti come condizione politica per arrivare alla Fiscal union da consolidare intorno a un super-commissario europeo al fine di attuare politiche di bilancio anti-cicliche, introdurre euro- project bonds per investimenti innovativi per la green economy e green society (Keynes e Schumpeter insieme) e correzioni simmetriche delle politiche economiche nazionali.
Il presidente Monti esprime una cultura politica integralista quando definisce la sua agenda «evoluta» e delegittima come «arcaica» la cultura europeista progressista. Attenzione: puntare a una rappresentanza sociale e politica del lavoro culturalmente subalterna inibisce l’alleanza tra produttori, condizione necessaria per la vittoria degli europeismi contro i populismi. Il primo «compito a casa» da fare in Italia è europeizzare il sistema politico. Non aiuta collocare la politica in una dimensione metafisica alla quale salire per promuovere un presunto interesse generale privo di radici di parte. L’interesse generale è sempre la risultante, esplicita o nascosta, della prevalenza di alcuni interessi su altri. Proporre come unico possibile europeismo la versione declinata dagli interessi più forti, oltre ad aggravare gli squilibri economici, impoverisce la democrazia e dà fiato all’antipolitica e a chi vuole tornare indietro.
Europeista sì ma mercantilista
di Stefano Fassina
Ogni fase storica è definita da una linea di frattura primaria sul terreno politico. Nel secolo scorso la faglia è stata tra fascismi e antifascismi; poi, tra comunismi e anticomunismi; dopo la caduta del muro di Berlino, tra globalisti deregolatori del capitalismo finanziario e regolazionisti. Oggi, nell’Unione europea, è tra europeismi e populismi regressivi.
Noi, l’alleanza dei progressisti, come tutti i progressisti europei, interpretiamo una versione dell’europeismo. Data la frattura primaria, siamo insieme a chi, diverso da noi per cultura politica e economica e per interessi rappresentati, interpreta un’altra versione dell’europeismo, come il presidente Monti e i partiti e le personalità in fila dietro la sua porta. I diversi europeismi devono stare insieme, in Italia e in Europa, perché l’avversario da sconfiggere sono i populismi, ossia le tentazioni anti-europee e anti-euro, alimentate dalle difficoltà e dalla disperazione economica e sociale, cavalcate qui da noi da grillismo, berlusconismo e leghismo.
La linea di frattura secondaria consente, invece, di riconoscere i diversi europeismi. Sono due. L’europeismo mercantilista e l’europeismo progressista. L’europeismo mercantilista domina in Europa da un lungo periodo. Tra la fine degli anni 80 e la metà degli anni 90 ha impostato l’impalcatura istituzionale e la rotta macroeconomica sottostante alla nascita della moneta unica. È l’europeismo portato avanti dal Partito popolare europeo, sostanzialmente condiviso e riproposto dal presidente Monti. È caratterizzato dalla svalutazione del lavoro, data l’impossibilità di svalutare la moneta, per recuperare competitività.
In Italia, vuol dire tornare all'attacco dell'art. 18 per indebolire ulteriormente la capacità negoziale dei sindacati e ridurre la remunerazione del lavoro. Vuol dire celebrare Marchionne a Melfi senza una parola sulla democrazia mutilata nelle aziende del gruppo Fiat. Vuol dire Stato sociale minimale, quindi un welfare povero, come inevitabilmente è, scriveva Dahrendorf, il welfare svuotato delle classi medie e confinato ai poveri. Vuol dire richiamare il true progressivism del magazine liberista The Economist per riabilitare il Mercato come unico strumento di correzione delle insostenibili disuguaglianze di reddito, ricchezza, potere politico e opportunità.
L’europeismo mercantilista aggrava la recessione, la disoccupazione e le iniquità e, quindi, aumenta i debiti pubblici ovunque. I risultati raggiunti e le previsioni per l’euro-zona sono inequivocabili. La compressione della domanda interna europea e l’affidamento generalizzato alle esportazioni per trainare la crescita implica, nel migliori dei casi, una ripresa dell’economia insufficiente a riassorbire la disoccupazione e l’impossibilità a raggiungere il sentiero del Fiscal compact per la riduzione del debito pubblico.
Per ricostruire le condizioni economiche e sociali delle democrazie delle classi medie e prosciugare il brodo di coltura dei populismi regressivi noi proponiamo, in sintonia con la famiglia dei socialisti e democratici, al di qua e al di là dell’Atlantico, l’europeismo progressista: il rispetto degli impegni sottoscritti come condizione politica per arrivare alla Fiscal union da consolidare intorno a un super-commissario europeo al fine di attuare politiche di bilancio anti-cicliche, introdurre euro- project bonds per investimenti innovativi per la green economy e green society (Keynes e Schumpeter insieme) e correzioni simmetriche delle politiche economiche nazionali.
Il presidente Monti esprime una cultura politica integralista quando definisce la sua agenda «evoluta» e delegittima come «arcaica» la cultura europeista progressista. Attenzione: puntare a una rappresentanza sociale e politica del lavoro culturalmente subalterna inibisce l’alleanza tra produttori, condizione necessaria per la vittoria degli europeismi contro i populismi. Il primo «compito a casa» da fare in Italia è europeizzare il sistema politico. Non aiuta collocare la politica in una dimensione metafisica alla quale salire per promuovere un presunto interesse generale privo di radici di parte. L’interesse generale è sempre la risultante, esplicita o nascosta, della prevalenza di alcuni interessi su altri. Proporre come unico possibile europeismo la versione declinata dagli interessi più forti, oltre ad aggravare gli squilibri economici, impoverisce la democrazia e dà fiato all’antipolitica e a chi vuole tornare indietro.