Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina: c’è un problema per Bersani
Il responsabile economico rottama il premier «mercantilista». Il vicesegretario: «Passato il segno»
Se prima erano state schermaglie, frecciate, anche colpi di fioretto, da ieri la coabitazione tra Enrico Letta e Stefano Fassina ai vertici del Pd è diventata un problema. Non parliamo di rapporti personali (che pure sono descritti come freddi da un po’) ma di posizione politiche. E non stiamo parlando, banalmente, di favorevoli e contrari all’agenda Monti. Se si legge sul serio l’articolo scritto ieri sul Foglio dal responsabile economico del Pd si capisce perché il vicesegretario del partito abbia sentito il bisogno di replicare con parole insolitamente dure, quasi definitive: «Si è passato il segno». Enrico Letta ha preso sul serio Fassina perché l’articolo di Fassina va preso sul serio, come lo specchio più fedele di un impianto anche ideologico che trova consensi al Nazareno (e non solo), e che considera sostanzialmente sbagliata la strada fino ad ora imboccata per uscire dalla crisi.
Fassina usa una certa diplomazia nel descrivere la «sintonia culturale del presidente Monti con la linea mercantilista vigente nell’euro-zona» definita «un asset importante a recuperare il terreno politico perduto dall’Italia». Però, appunto, ora siamo entrati in un’altra fase, e il «mercantilismo montiano» non solo non basta più ma rappresenta la risposta sbagliata al problema italiano. Attenzione: Fassina riconosce a Monti il «merito storico» di avere avviato la ricostruzione del paese, ma critica nei fatti l’impostazione di politica economica del suo governo: «l’austerità è autodistruttiva», «l’obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2013 un’avventura autolesionistica», «va sgonfiato il credo ideologico delle riforme strutturali », «va invertita la tendenza alla svalutazione del lavoro». In sintesi vanno smantellate le reaganiane politiche supply side (cioè che enfatizzano il ruolo dell’offerta nello stimolare la crescita economica, attraverso tagli di tasse e welfare) per rilanciare la domanda, pubblica e privata. Un programma, per restare nel recinto delle primarie, più simile a quello di Nichi Vendola che a quello di Bersani, e che nell’uso delle parole ricorda anche certi passaggi del Tremonti anti-mercatista.
Nella sua replica Letta non si limita a difendere l’operato del governo Monti ma rivendica le scelte compiute dal governo «profondamente condivise» dal Pd, «come sancito dalle conclusioni della Carta d’intenti, ribadite e votate dall’assemblea di sabato all’unanimità». Non solo, il vicesegretario del Pd sembra voler rassicurare l’Europa sul «pieno sostegno degli impegni internazionali già assunti dal nostro paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro», quasi ad allontanare le preoccupazioni dei mercati sul dopo-Monti. «Bersani vincerà le primarie nonostante Fassina » era la conclusione dell’intervemto di Letta sul suo blog.
Mai prima di ieri le contraddizioni politiche all’interno della segreteria dem erano esplose in modo così pubblico e dirompente. I Giovani turchi (in particolare il responsabile informazione Matteo Orfini) hanno ribadito più volte che del nuovo governo non dovranno far parte personalità di centrosinistra che hanno condiviso le “politiche neoliberiste” degli anni Novanta, lette sostanzialmente in continuità con quelle dei governi Reagan e Thatcher del decennio precedente. L’aspetto curioso è che lo stesso Bersani è stato ministro dell’industria nel governo Prodi del 1996, per lasciare il posto proprio a Letta nel primo governo D’Alema.
«Fassina rottama Monti: Bersani condivide? » chiedeva ieri polemicamente su Twitter l’ex ministro Paolo Gentiloni. Il problema, in effetti, esiste, e non solo perché il Pd ha sostenuto e votato i principali provvedimenti del governo dei tecnici.
Il segretario del Pd ieri ha provato a chiudere il caso Fassina, non senza un certo imbarazzo. «Qui non è una questione dell’agenda Monti ma dell’agenda europea che non funziona e bisogna assolutamente cambiare». E serve «anche una nuova agenda italiana perché da solo non si salva nessuno». Chissà cosa ne penserà il suo vice Letta.
Giovanni Cocconi (Europa)
Il responsabile economico rottama il premier «mercantilista». Il vicesegretario: «Passato il segno»
Se prima erano state schermaglie, frecciate, anche colpi di fioretto, da ieri la coabitazione tra Enrico Letta e Stefano Fassina ai vertici del Pd è diventata un problema. Non parliamo di rapporti personali (che pure sono descritti come freddi da un po’) ma di posizione politiche. E non stiamo parlando, banalmente, di favorevoli e contrari all’agenda Monti. Se si legge sul serio l’articolo scritto ieri sul Foglio dal responsabile economico del Pd si capisce perché il vicesegretario del partito abbia sentito il bisogno di replicare con parole insolitamente dure, quasi definitive: «Si è passato il segno». Enrico Letta ha preso sul serio Fassina perché l’articolo di Fassina va preso sul serio, come lo specchio più fedele di un impianto anche ideologico che trova consensi al Nazareno (e non solo), e che considera sostanzialmente sbagliata la strada fino ad ora imboccata per uscire dalla crisi.
Fassina usa una certa diplomazia nel descrivere la «sintonia culturale del presidente Monti con la linea mercantilista vigente nell’euro-zona» definita «un asset importante a recuperare il terreno politico perduto dall’Italia». Però, appunto, ora siamo entrati in un’altra fase, e il «mercantilismo montiano» non solo non basta più ma rappresenta la risposta sbagliata al problema italiano. Attenzione: Fassina riconosce a Monti il «merito storico» di avere avviato la ricostruzione del paese, ma critica nei fatti l’impostazione di politica economica del suo governo: «l’austerità è autodistruttiva», «l’obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2013 un’avventura autolesionistica», «va sgonfiato il credo ideologico delle riforme strutturali », «va invertita la tendenza alla svalutazione del lavoro». In sintesi vanno smantellate le reaganiane politiche supply side (cioè che enfatizzano il ruolo dell’offerta nello stimolare la crescita economica, attraverso tagli di tasse e welfare) per rilanciare la domanda, pubblica e privata. Un programma, per restare nel recinto delle primarie, più simile a quello di Nichi Vendola che a quello di Bersani, e che nell’uso delle parole ricorda anche certi passaggi del Tremonti anti-mercatista.
Nella sua replica Letta non si limita a difendere l’operato del governo Monti ma rivendica le scelte compiute dal governo «profondamente condivise» dal Pd, «come sancito dalle conclusioni della Carta d’intenti, ribadite e votate dall’assemblea di sabato all’unanimità». Non solo, il vicesegretario del Pd sembra voler rassicurare l’Europa sul «pieno sostegno degli impegni internazionali già assunti dal nostro paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro», quasi ad allontanare le preoccupazioni dei mercati sul dopo-Monti. «Bersani vincerà le primarie nonostante Fassina » era la conclusione dell’intervemto di Letta sul suo blog.
Mai prima di ieri le contraddizioni politiche all’interno della segreteria dem erano esplose in modo così pubblico e dirompente. I Giovani turchi (in particolare il responsabile informazione Matteo Orfini) hanno ribadito più volte che del nuovo governo non dovranno far parte personalità di centrosinistra che hanno condiviso le “politiche neoliberiste” degli anni Novanta, lette sostanzialmente in continuità con quelle dei governi Reagan e Thatcher del decennio precedente. L’aspetto curioso è che lo stesso Bersani è stato ministro dell’industria nel governo Prodi del 1996, per lasciare il posto proprio a Letta nel primo governo D’Alema.
«Fassina rottama Monti: Bersani condivide? » chiedeva ieri polemicamente su Twitter l’ex ministro Paolo Gentiloni. Il problema, in effetti, esiste, e non solo perché il Pd ha sostenuto e votato i principali provvedimenti del governo dei tecnici.
Il segretario del Pd ieri ha provato a chiudere il caso Fassina, non senza un certo imbarazzo. «Qui non è una questione dell’agenda Monti ma dell’agenda europea che non funziona e bisogna assolutamente cambiare». E serve «anche una nuova agenda italiana perché da solo non si salva nessuno». Chissà cosa ne penserà il suo vice Letta.
Giovanni Cocconi (Europa)