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Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

MessaggioInviato: 10/10/2012, 13:03
da matthelm
Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina: c’è un problema per Bersani

Il responsabile economico rottama il premier «mercantilista». Il vicesegretario: «Passato il segno»
Se prima erano state schermaglie, frecciate, anche colpi di fioretto, da ieri la coabitazione tra Enrico Letta e Stefano Fassina ai vertici del Pd è diventata un problema. Non parliamo di rapporti personali (che pure sono descritti come freddi da un po’) ma di posizione politiche. E non stiamo parlando, banalmente, di favorevoli e contrari all’agenda Monti. Se si legge sul serio l’articolo scritto ieri sul Foglio dal responsabile economico del Pd si capisce perché il vicesegretario del partito abbia sentito il bisogno di replicare con parole insolitamente dure, quasi definitive: «Si è passato il segno». Enrico Letta ha preso sul serio Fassina perché l’articolo di Fassina va preso sul serio, come lo specchio più fedele di un impianto anche ideologico che trova consensi al Nazareno (e non solo), e che considera sostanzialmente sbagliata la strada fino ad ora imboccata per uscire dalla crisi.
Fassina usa una certa diplomazia nel descrivere la «sintonia culturale del presidente Monti con la linea mercantilista vigente nell’euro-zona» definita «un asset importante a recuperare il terreno politico perduto dall’Italia». Però, appunto, ora siamo entrati in un’altra fase, e il «mercantilismo montiano» non solo non basta più ma rappresenta la risposta sbagliata al problema italiano. Attenzione: Fassina riconosce a Monti il «merito storico» di avere avviato la ricostruzione del paese, ma critica nei fatti l’impostazione di politica economica del suo governo: «l’austerità è autodistruttiva», «l’obiettivo del pareggio di bilancio entro il 2013 un’avventura autolesionistica», «va sgonfiato il credo ideologico delle riforme strutturali », «va invertita la tendenza alla svalutazione del lavoro». In sintesi vanno smantellate le reaganiane politiche supply side (cioè che enfatizzano il ruolo dell’offerta nello stimolare la crescita economica, attraverso tagli di tasse e welfare) per rilanciare la domanda, pubblica e privata. Un programma, per restare nel recinto delle primarie, più simile a quello di Nichi Vendola che a quello di Bersani, e che nell’uso delle parole ricorda anche certi passaggi del Tremonti anti-mercatista.
Nella sua replica Letta non si limita a difendere l’operato del governo Monti ma rivendica le scelte compiute dal governo «profondamente condivise» dal Pd, «come sancito dalle conclusioni della Carta d’intenti, ribadite e votate dall’assemblea di sabato all’unanimità». Non solo, il vicesegretario del Pd sembra voler rassicurare l’Europa sul «pieno sostegno degli impegni internazionali già assunti dal nostro paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro», quasi ad allontanare le preoccupazioni dei mercati sul dopo-Monti. «Bersani vincerà le primarie nonostante Fassina » era la conclusione dell’intervemto di Letta sul suo blog.
Mai prima di ieri le contraddizioni politiche all’interno della segreteria dem erano esplose in modo così pubblico e dirompente. I Giovani turchi (in particolare il responsabile informazione Matteo Orfini) hanno ribadito più volte che del nuovo governo non dovranno far parte personalità di centrosinistra che hanno condiviso le “politiche neoliberiste” degli anni Novanta, lette sostanzialmente in continuità con quelle dei governi Reagan e Thatcher del decennio precedente. L’aspetto curioso è che lo stesso Bersani è stato ministro dell’industria nel governo Prodi del 1996, per lasciare il posto proprio a Letta nel primo governo D’Alema.
«Fassina rottama Monti: Bersani condivide? » chiedeva ieri polemicamente su Twitter l’ex ministro Paolo Gentiloni. Il problema, in effetti, esiste, e non solo perché il Pd ha sostenuto e votato i principali provvedimenti del governo dei tecnici.
Il segretario del Pd ieri ha provato a chiudere il caso Fassina, non senza un certo imbarazzo. «Qui non è una questione dell’agenda Monti ma dell’agenda europea che non funziona e bisogna assolutamente cambiare». E serve «anche una nuova agenda italiana perché da solo non si salva nessuno». Chissà cosa ne penserà il suo vice Letta.
Giovanni Cocconi (Europa)

Re: Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

MessaggioInviato: 10/10/2012, 13:09
da matthelm
I "vecchi", non solo di età, invocano sempre gli innovatori, chi ha il coraggio di portare avanti le proprie scommesse per cambiare un mondo che non ci piace, ma poi quando questi appaiono se ne ritraggono timorosi e si fanno convincere che è meglio l'"usato sicuro" alla Bersani. Non importa se non è sicuro visto che non ha ancora chiarito se seguirà l'agenda Monti o quella della Camussso-Vendola. Oggi leggo di Fassina, che tra parentesi dovrebbe iscriversi a SEL di Vendola, che dice cose che potrebbero essere stravaganti anche per Bersani ma finora l'unico che lo fa notare è stato Letta, vicesegretario del PD!.
Adesso ci aspettiamo la crucifissione anche di Letta dopo quella di Renzi!
Eh si, sono convinto sempre di più, abbiamo un milione di motivi per sostenere Renzi. Altrimenti resta Grillo o i... coccodrilli che come si sa piangono dopo.

Re: Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

MessaggioInviato: 10/10/2012, 14:40
da trilogy
Questo sotto è l'articolo di Fassina di cui si parla. Non l'ho ancora letto quindi per ora non commento.
Trilogy

Rottamare l’agenda Monti
Il montismo, l’Europa, la miopia del sindaco di Firenze, la nuova fase. Fassina spiega perché il Pd di Bersani è alternativo alla politica economica dei tecnici portata avanti dai neo-liberisti alla Renzi


Proviamo a iscrivere la metafisica discussione sul Monti-bis al tornante storico nel quale siamo. Nell’area euro, non siamo sulla rotta giusta. Anzi, siamo su una rotta di aggravamento degli squilibri macroeconomici. Come correttamente riflesso dagli spread sui titoli decennali dei Piigs, i rischi di rottura della moneta unica e di disgregazione europea sono sempre più elevati.

Perché? Per scelte politiche inadeguate ad affrontare il problema di fondo dell’euro: le divergenze di competitività tra le sue aree. Sin dall’inizio, i padri fondatori dell’euro sapevano bene che l’Eurozona non era un’area monetaria ottimale. Purtroppo, però, l’egemonia conservatrice prevalse e si affidò la soluzione esclusivamente alla disciplina di bilancio e al mercato unico (più un pizzico di Fondi strutturali). Una strada senza uscita. Per molte ragioni. Primo, perché non è vero che l’economia si autoregola una volta eliminato l’intervento pubblico considerato irrimediabilmente nocivo. Secondo, perché i paesi periferici, inebriati dalla finanza facile in arrivo dai paesi core a coprire i deficit di bilancia commerciale, rinviavano, chi più chi meno, le riforme e gli investimenti innovativi pubblici e privati e si limitavano, chi più chi meno, a flessibilizzare e ridurre il costo del lavoro. Infine, perché i paesi core (la Germania è modello), oltre a importanti riforme strutturali e investimenti innovativi, percorrevano la strada mercantilista della “svalutazione interna” (i salari medi tedeschi in termini reali perdono 7 punti percentuali dal 1999 al 2008).

In sintesi, il collasso dell’equilibrio globale nel 2008 mette a nudo un’unione monetaria in fortissima, insostenibile, tensione interna, sopravvissuta per un decennio scarso in quanto transfer union, alimentata da canali privati (credito bancario). A differenza di quanto ripete la cronaca ufficiale, il debito esplosivo lo accumulano le famiglie e le imprese, non i bilanci pubblici. La Grecia è un caso isolato. Anche noi, nel nostro decennio perduto, riduciamo significativamente il debito pubblico (dal 113 per cento del 1999 al 103,1 per cento del 2007) e aumentiamo il debito privato (dal 70 al 101 per cento).

Di fronte alle riemerse contraddizioni interne, la miopia politica, il corporativismo cieco degli interessi forti e la rigidità ideologica di larga parte delle tecnocrazie ha portato a generalizzare all’Eurozona la via mercantilista della Germania. E’ un mercantilismo, però, drammaticamente sbilanciato verso la svalutazione del lavoro, date le debolezze istituzionali ed economiche dei Paesi interessati. A differenza di quello tedesco, non è giocato in un equilibrio (patto) tra capitale e lavoro, ossia in una relazione virtuosa tra investimenti innovativi e moderazione salariale. Ma, al di là della brutalità di attuazione, la via mercantilistica alla correzione degli squilibri macroeconomici è una strada impossibile. Per una ragione semplice e intuitiva: il mercantilismo, per definizione, non è generalizzabile. Affinché qualcuno abbia un surplus commerciale qualcun altro, di almeno pari stazza, deve aver un deficit. Per la Germania, nel primo decennio dell’euro, ha funzionato in quanto le economie periferiche si indebitavano grazie al finanziamento facile delle banche tedesche e francesi. Invece, la speranza di esportazioni nette positive dall’euro-zona verso il resto del mondo è illusoria, poiché: 1) l’area euro è tra le aree economiche più rilevanti del pianeta; 2) i Brics non vogliono e comunque non possono rovesciare il loro sentiero di sviluppo in pochi mesi o pochi anni e 3) gli Stati Uniti, per 20 anni consumatore globale di ultima istanza, sono impegnati a ridurre il loro enorme debito esterno. In sintesi, la rotta mercantilista seguita nell’euro-zona è insostenibile. Genera, inevitabilmente, recessione, disoccupazione, aumento del debito pubblico, aggravamento degli squilibri macroeconomici tra le aree della moneta unica. I risultati conseguiti sono inequivocabili. Le previsioni ufficiali, nonostante i massaggi dei dati sempre rivisti in peggio, pure. La spirale regressiva è tanto più soffocante quanto più intensamente sono applicati i memorandum della troika. Attenzione: il problema non è “soltanto” l’iniquità e la sofferenza sociale e le derive populiste e nazionaliste. Il problema è che i debiti pubblici continuano a aumentare ovunque.

Anche noi siamo prigionieri della soffocante spirale mercantilista. Nonostante previsioni ottimistiche di Pil (-2,4 per cento nel 2012 e -0,2 per cento l’anno prossimo), il debito pubblico (al netto dei contributi al Fondo Salva-Stati) continua a salire: dal 119,9 per cento del 2011 al 123,3 per cento del Pil per il 2013. Il saldo strutturale, indicatore sempre meno significativo ma richiamato dal governo Monti come chiave per riconoscere l’utilità delle misure attuate, scende dallo 0,6 per cento previsto a Settembre 2011 (prima del “Salva Italia”) allo 0,2 per cento del pil indicato a Settembre scorso (dopo “le cure”). L’ultima previsione di “crescita” potenziale diventa ancora più misera in relazione a quanto previsto l’anno prima e scende a valori negativi. Le speranze di ripresa collocate dal Presidente del Consiglio nel primo trimestre del 2013 sono, purtroppo, infondate. Quale driver di domanda dovrebbe tirare l’inversione di tendenza? I consumi delle famiglie subiranno un’ulteriore flessione a causa della maggiore disoccupazione e dell’esaurimento di parte delle indennità di disoccupazione, dei tagli al welfare nazionale e locale, dell’aumento regressivo di prezzi, tasse e tariffe, delle minori disponibilità di risparmio. Gli investimenti delle imprese saranno imbrigliati dalle tristi aspettative di domanda. Il bilancio pubblico accentuerà il suo impatto regressivo dato che l’insieme delle manovre di finanza pubblica approvate nel biennio alle nostre spalle implica ulteriori 25 miliardi tra tagli e maggiori imposte per il 2013. Rimane il miraggio delle esportazioni. E’, appunto, un miraggio poiché, come ricordato sopra, ciascuna economia europea e extraeuropea prova a scaricare sul vicino o sul lontano la sua speranza di maggiore produzione.

“L’agenda Monti”, così acclamata e così poco compresa da Matteo Renzi&C, non funziona. Non per colpa di Monti. Il presidente Monti si è trovato, da un lato, vincolato dall’agenda conservatrice europea e, dall’altro, costretto a confermare gli impegni ancor più restrittivi, sottoscritti per deficit di credibilità politica, dal governo Berlusconi-Bossi-Tremonti. Come indicammo già nella primavera del 2011, l’obiettivo di pareggio di bilancio al 2014 era impossibile. Anticiparlo al 2013, sulla base dei dictat di Bruxelles e Francoforte, unico caso nell’euro-zona, diventava un’avventura autolesionistica, come è sempre più evidente.

Dopo la caduta di Berlusconi, la sintonia culturale del presidente Monti con la linea mercantilista vigente nell’euro-zona è stata un asset importante a recuperare il terreno politico perduto dall’Italia. Tuttavia, ecco il punto decisivo, oggi siamo in un’altra fase. Per ridurre gli squilibri macroeconomici e i debiti pubblici, va data priorità a politiche asimmetriche demand side, sia di domanda privata sia di domanda pubblica per investimenti innovativi. Affidarsi a politiche supply side di svalutazione del lavoro o tagli di tasse e welfare (in ossequio alla falsificata teoria classista dell’expansionary fiscal adjustment di Giavazzi e Alesina) incancrenisce la recessione in depressione.
Oggi, nell’euro-zona va archiviata la via mercantilista e allargata la prospettiva dello sviluppo sostenibile. Invocata dalle forze politiche e sociali progressiste europee, dai liberali consapevoli (i principali columnist del Financial Times da tre anni), oltre che da una valanga di economisti mainstream (si leggano le firme al “A Manifesto for Economic Sense”), ma bollata, per strumentalità o ignavia nell’asfissiante conformismo Italico, come “socialdemocratica, massimalista, di sinistra, indietro di 30 anni”.

Oggi, per salvare l’euro e la civiltà del lavoro, ossia la democrazia delle classi medie, le priorità sono:

Fiscal union, per attribuire al Consiglio e al Parlamento europeo, oltre che alla Commissione per la fase istruttoria, il potere di autorizzare ciascun Paese membro a presentare al Parlamento nazionale la legge di bilancio e prevedere sanzioni automatiche;

Nella Fiscal Union, allentamento delle politiche di bilancio pro-cicliche e Golden Rule, come proposto dai Socialisti e Democratici al Parlamento europeo, bloccati dai partiti conservatori; obiettivi di inflazione a due velocità (più elevata per i Paesi core), come suggerito da Olivier Blanchard, chief economist del Fmi;

Investimenti europei, definiti in una strategia green di politica industriale, finanziati mediante euro-project bonds, imposte sulle transazioni finanziare speculative;

Banking union di ampio raggio ed effettività;

Coordinamento politiche di tassazione e offensiva contro i paradisi fiscali intra e extra Ue;

Standard retributivo, previsto in linea di principio, ma dimenticato, nel six pack;

Meccanismo condiviso di ristrutturazione dei debiti sovrani insostenibili (es. Grecia) come elaborato dall’Institute for New Economic Thinking.

Oggi, deve rafforzarsi la consapevolezza che siamo su una strada di austerità auto-distruttiva. Oggi, va sgonfiato il credo ideologico nelle riforme strutturali pur necessarie (istituzioni e partiti, legalità, giustizia, pubbliche amministrazioni, fisco, regolazione mercati), di riavviare i motori dell’economia in un quadro di domanda aggregata in contrazione. Oggi, va invertita la tendenza alla svalutazione del lavoro, confermata ancora una volta, dopo la tentata incursione contro l’art. 18 dello Statuto dei Lavoratori, nell’impianto suggerito dal governo Monti alle parti sociali sotto forma di intervento per la produttività. Oggi, la correzione della distribuzione del reddito, sia sul terreno primario che secondario, va attuata, oltre che per equità, per rianimare i consumi interni europei. Oggi, la democrazia della sussidiarietà, ossia il coinvolgimento attivo delle autonomie territoriali ed economiche e sociali, va rigiocata come opportunità per definire riforme condivise e, quindi, efficaci, non esorcizzata come cedimento a istanze corporative.

In sintesi, oggi l’Agenda Monti per cultura politica e economica e interessi materiali in essa prevalenti è meno adatta ad affermare le priorità della fase (lasciamo stare le imitazioni improvvisate in concorso nelle primarie del centrosinistra: sono imbarazzanti rispetto alla qualità dell’originale). Ma, soltanto la propaganda strumentale può leggere nella proposta correzione di rotta la volontà di smontare gli interventi degli ultimi mesi. Aggiustamenti vanno fatti (su “esodati” e sugli squilibrati assetti degli ammortizzatori sociali nella Legge Fornero). Ma, sono aspetti marginali. È fuori discussione, dato il curriculum della classe dirigente del Pd, il rispetto di tutti gli impegni sottoscritti dall’Italia. La nostra specificità politica è la determinazione a costruire, insieme agli altri governi progressisti europei, senza autolesionistici atti unilaterali, il consenso per cambiare rotta. Insomma, la giustificazione politica della leadership di Bersani per il governo dell’Italia è nella distintiva lettura della fase, nella cultura economica, nell’idea di democrazia, nella potenzialità degli interessi materiali da noi rappresentati, in quanto interessi svantaggiati (i disoccupati, il lavoro subordinato e precario, il lavoro imprenditoriale e professionale polverizzato), di definire un ordine egemonico, ossia in grado di riconoscere e mettere in equilibrio espansivo i principali interessi materiali in campo.

Il governo Monti e l’impegno dei partiti a suo sostegno hanno avviato la ricostruzione morale, politica e economica dell’Italia. E’ un merito storico indiscutibile di Mario Monti, condiviso con il presidente Napolitano. Noi siamo orgogliosi del contributo determinante dato all’operazione. Oggi, però, siamo in un’altra fase. Tutto qui.

di Stefano Fassina, responsabile Economia del Partito democratico
tratto da: http://www.ilfoglio.it/soloqui/15252

Re: Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

MessaggioInviato: 10/10/2012, 15:05
da trilogy
Questa è la replica di Letta sul suo blog all'articolo di Fassina

Bersani vincerà nonostante Fassina

Pubblicato il 9 ottobre 2012 in Blog, Primo Piano

Con l’intervento di oggi pubblicato sul Foglio, dal titolo ‘Rottamare l’agenda Monti’ a firma di Stefano Fassina, si è passato il segno. Tra tante analisi di sistema, più o meno condivisibili, vi è una inaccettabile conclusione che appare in stridente contraddizione con tutto ciò che di positivo il Partito Democratico ha fatto in questi mesi, sostenendo il governo Monti o contribuendo a correggerne gli errori. Un governo che ha restituito credibilità e decoro all’Italia e ha permesso la fine della lunga esperienza berlusconiana.

Le tesi espresse nell’articolo contro l’agenda Monti sono smentite nella realtà dall’impostazione che il Pd ha sposato e dalle scelte che Bersani ha compiuto, da ultimo anche con il chiarissimo, e ineccepibile, intervento in Assemblea Nazionale. Nei fatti, in Parlamento e nel Paese, il Partito Democratico e il suo segretario si sono dimostrati determinanti per il sostegno a questi dieci fondamentali mesi di attività dell’esecutivo. Noi abbiamo voluto per primi Monti, caricandoci anche responsabilità non nostre. Noi rivendichiamo la giustezza di quella scelta. La condivisione profonda di quanto è stato compiuto e la necessità di una continuità programmatica nel prossimo governo è sancita, peraltro, dalle conclusioni della Carta d’intenti, ribadite e votate dall’Assemblea di sabato all’unanimità. In particolare laddove si dice che la coalizione si impegna a “assicurare il pieno sostegno, fino alla loro eventuale rinegoziazione, degli impegni internazionali già assunti dal nostro Paese o che dovranno esserlo in un prossimo futuro, nonché ad appoggiare l’esecutivo in tutte le misure di ordine economico e istituzionale che nei prossimi anni si renderanno necessarie per difendere la moneta unica e procedere verso un governo politico economico federale dell’eurozona”.

È chiaro – a chi è dotato di buon senso e responsabilità – che qualunque primo ministro si candidi a succedere a Monti dovrà farlo in continuità con Monti stesso, per avere stabilità, far evolvere le politiche economiche italiane, far uscire definitivamente il Paese dalla crisi. Con le tesi espresse nel pezzo di Fassina un presidente del Consiglio, quale che sia, durerebbe in carica i giorni che intercorrono tra il suo insediamento e la prima asta dei titoli di Stato. Il Partito Democratico ha agito e assunto impegni diversi da quelli delineati dall’articolo uscito oggi sul Foglio. E Bersani è sempre stato inequivocabile da questo punto di vista. Motivo per tanti di noi determinante per appoggiarlo convintamente alle primarie del centrosinistra. Primarie che son certo vincerà, nonostante Fassina.

blog: http://www.enricoletta.it/primo-piano/p ... e-fassina/

Re: Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

MessaggioInviato: 10/10/2012, 15:45
da Robyn
Stare in continuità con Monti significa mantenere ciò che Monti ha fatto,e integrare ciò che Monti ha fatto con la redistribuzione.Infatti la sola austerità non basta è necessaria anche la redistribuzione per stimolare la domanda,non solo con interventi sui redditi ma anche con il welfare familiare,con liberalizzazioni,riduzione della filiera che riducono i prezzi e l'introduzione del reddito minimo garantito per avere sicurezza e reddito.In breve nè l'austerità e nè la redistribuzione della ricchezza sono sbagliate ed è giusta la loro integrazione in un disegno organico.Invece sono sbagliate le ideologie a senso unico cioè la sola austerità o la sola redistribuzione.In merito alla previdenza non si capisce perchè si scelgono interventi frammentati sballando la previdenza anzichè introdurre il reddito minimo garantito che darebbe una soluzione agli esodati e alle altre forme di esclusione sociale e lascerebbe intatte le risorse della previdenza per il welfare.Infine l'intervento sull'Irpef è un primo passo postivo ma ne serviranno altri.Diciamo che spostare la tassazione dalle imposte dirette a quelle indirette aiuta a combattere con più facilità l'evasione.L'impressione è al dilà di questo che il paese alcune volte non abbia idee o meglio sia incastrato non riesca ad uscire da un certo modo di pensare ciao robyn

Re: Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

MessaggioInviato: 10/10/2012, 16:28
da matthelm
E Bersani avrà qualcosa da dire oppure, come altre volte, farà finta di niente sempre in ossequio alla chiarezza...
Da rottamare sono queste maniere di gestire le cose.

Re: Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

MessaggioInviato: 10/10/2012, 16:36
da chango
matthelm ha scritto:E Bersani avrà qualcosa da dire oppure, come altre volte, farà finta di niente sempre in ossequio alla chiarezza...
Da rottamare sono queste maniere di gestire le cose.


guarda che Bersani è (ed è sempre stato) molto chiaro. per chi ha voglia di capirlo.
vuoi per carattere o vuoi per ruolo Bersani non ha la stessa nettezza di Fassina nel comunicare, ma sostanzialmente condivide la stessa analisi.
o pensi che Fassina possa essere responsabile economico del PD da tre anni senza che ci sia una comunanza di vedute e giudizi con il Segretario del partito?

Re: Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

MessaggioInviato: 10/10/2012, 16:46
da trilogy
Personalmente trovo che quella di Fassina sia una bellissima analisi, che condivido in buona parte.

Mi lascia perplesso l'affermazione: < Oggi, va sgonfiato il credo ideologico nelle riforme strutturali pur necessarie (istituzioni e partiti, legalità, giustizia, pubbliche amministrazioni, fisco, regolazione mercati), >

Su questo aspetto particolare lui commette da keynesiano, lo stesso errore metodologico che il gruppo di "fermare il declino" commette dal punto di vista liberista. Ne avevamo già parlato a proposito di Krugman. "Il terreno è più importante del tasso alcolemico per capire che fine farà l'ubriaco. Se prendiamo l'albero della geografia umana questo ha due rami principali: la geografia politica e la geografia economica. Sono due rami complementari e intimamente legati. struttura economica e struttura politica si influenzano a vicenda. In Italia questo è evidentissimo. Una ristretta oligarchia economica si confronta con una ristretta oligarchia burocratica per la spartizione del potere e delle risorse. Mentre la politica, che dovrebbe portare a una sintesi nell'interesse generale è morta.

Re: Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

MessaggioInviato: 10/10/2012, 16:50
da matthelm
chango...guarda che Letta è il vicesegretario PD!
Bersani è chiaro solo per chi comunque vuol sostenerlo come te, per altri no.
Sai quale dovrebbe essere allora la novità? Le dimissioni di qualche contendente. Oppure l'ipocrisia e le convenienze la fanno da padrona. Dici che Bersani reagirà?...

Re: Il montiano Letta contro il tremontiano Fassina

MessaggioInviato: 10/10/2012, 17:27
da ranvit
Personalmente trovo che quella di Fassina sia una bellissima analisi, che condivido in buona parte.


Si abbastanza condivisibile....ma quello che non dice, e per lui è sottinteso, è che tante belle parole nascondono la comunanza di idee con la Cgil e con quella "vecchia" politica della sinistra italiana che nei fatti alimenta l'assistenzialismo e la difesa dei privilegi dei lavoratori pubblici e privati che ha contribuito fortemente a rovinare l'Italia.
Per non parlare, altro sottinteso, di una politica estera da italietta (infantile e velleitaria :D )che strizza l'occhio a pacifisti, ambientalisti e no-global...