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Il capitalismo non ha alternative": merito e competizione

MessaggioInviato: 01/10/2012, 22:41
da franz
Il capitalismo non ha alternative": merito e competizione per combattere clientelismi e una classe dirigente marcia.
Pubblicato: Lun, 01/10/2012 - 19:45 • da: Redazione di Fermare il Declino

Da Libero, 30 settembre 2012

La crisi economica ha messo il capitalismo sul banco degli imputati. Politici, commentatori e scrittori si lanciano in invettive contro il «neoliberismo selvaggio» causa di ogni male: povertà, disuguaglianza e disoccupazione. Dal recupero della vecchia tradizione marxista alle nuove teorie della decrescita, tutti propongono un modello di sviluppo «alternativo», «sostenibile», «anticapitalista». In controtendenza rispetto a questa vulgata, Luigi Zingales, docente all’Università di Chicago, ha scritto "Manifesto capitalista" (Rizzoli, pp. 410, euro 18) e sta girando la penisola per presentare il suo libro in nome, come recita il sottotitolo, di «una rivoluzione liberale contro un’economia corrotta».

Professor Zingales, il capitalismo è in crisi e lei propone di uscirne con una ricetta liberista?
«Il libero mercato ha creato la più grande ricchezza mai accumulata nella storia dell’umanità, ma questo sistema funziona solo se c’è concorrenza, altrimenti degenera nell’inefficienza dei monopoli pubblici e privati. A quel punto il libero mercato si trasforma in capitalismo clientelare: è quello che sta accadendo in America e che abbiamo sempre vissuto in Italia».

Negli Usa le sue idee sono state pubblicamente appoggiate da illustri esponenti del partito repubblicano, prima Sarah Palin e ora il candidato alla vicepresidenza Paul Ryan. In Italia, invece, lei ha appoggiato Matteo Renzi nella corsa alle primarie e poi promosso il manifesto di «Fermare il declino». Come mai oltreoceano le sue idee trovano spazio nel centrodestra e in Italia nel centrosinistra?
«Innanzitutto, c’è una differenza storica: da noi non è mai esistita, se non in forma elitaria o minoritaria, una destra pro mercato. Ciò è dovuto al fatto che la democrazia è arrivata dopo il capitalismo e si è dovuta adattare a questo sistema economico. Negli Stati Uniti è accaduto l’inverso ed è stato il capitalismo a doversi adattarsi alla democrazia».

Probabilmente è vero, ma non mi pare che la sinistra abbia fatto molte battaglie liberali e liberiste
«Infatti. Secondo me le categorie di destra e sinistra sono svanite e non da oggi, ma già dal crollo del Muro di Berlino. Le tensioni capitalismo-socialismo non hanno portato al capitalismo ideale, ma a quello che io chiamo “capitalismo reale”. Destra e sinistra, grande industria e potere politico hanno raggiunto un accordo su come mungere i contribuenti».

Questo libro è stato pubblicato prima in America col titolo A capitalism for the people, ma a quanto pare ad avvantaggiarsi di questo modello sono state le grandi banche.
«Spesso questi gruppi hanno ricevuto aiuti e protezione politica. Non hanno beneficiato di scelte pro mercato, ma di scelte pro affari. Accade anche in Italia dove lo statalismo non è più quello socialista di una volta, cerca di camuffarsi in maniera intermedia, ma non è meno subdolo o pericoloso. Il tipico grande manager italiano tende a favorire l’intervento pubblico perché sa che il potere politico può garantirgli soldi o protezione dalla concorrenza a spese di contribuenti e consumatori».

Lei sostiene che contro questa commistione tra potere politico ed economico c’è bisogno di un movimento populista.
«Negli Usa c’è un filo comune che lega i Tea party e Occupy Wall Street: i primi combattono l’eccessivo potere statale e i secondi la grande finanza, ma in realtà sono in lotta contro due facce della stessa medaglia. Questi movimenti, che sono agli estremi dell’asse politico, dimostrano che anche lì l’arco politico tradizionale non è più rappresentativo».

Negli Stati Uniti, da Andrew Jackson a Theodore Roosevelt, c’è una grande tradizione populista diffidente del potere statale e favorevole alle libertà individuali, mentre in Italia i populismi, dal fascismo ai grillini, hanno chiesto sempre più Stato. Noi come ne usciamo?
«È vero, in Italia non c’è questa tradizione, ma ora abbiamo una grossa opportunità per rivolgere la rabbia contro l’interventismo di uno Stato sprecone e contro la collusione tra politica e poteri forti. È una grande occasione per spezzare questo sistema e liberare le energie al merito e alla competizione: ne guadagneranno soprattutto i giovani e le donne che si ritrovano a pagare il conto di una festa fatta da altri. Finora uno Stato inefficiente e corrotto ha comprato la gente con piccoli privilegi, la buona notizia è che i soldi sono finiti e questo Stato non può comprare più nessuno...».

Nel suo saggio fa una descrizione impietosa dell’Italia. In sintesi, dice agli americani: «Siete la terra delle libertà, non fate la fine del mio Paese». Non è un quadro troppo cupo? Non c’è forse un po’ di frustrazione o rabbia verso un Paese da cui è andato via?
«In molti mi hanno fatto questa critica. Ci ho riflettuto molto anche io e sono convinto di aver dato un’immagine realista del nostro Paese. Se c’è una rabbia profonda è perché lo amo profondamente. Forse ciò che avrei dovuto fare, ma non era questo lo scopo del libro, era mostrare che, nonostante tutto, ci sono delle sacche di eccellenza, onestà e generosità. Il Paese non è marcio, ciò che è completamente marcia è la classe dirigente. Ci meritiamo di meglio».

https://www.fermareildeclino.it/articol ... ismi-e-una

Re: Il capitalismo non ha alternative": merito e competizion

MessaggioInviato: 02/10/2012, 12:37
da trilogy
franz ha scritto:Il capitalismo non ha alternative": merito e competizione per combattere clientelismi e una classe dirigente marcia.
Pubblicato: Lun, 01/10/2012 - 19:45 • da: Redazione di Fermare il Declino
Da Libero, 30 settembre 2012


Discorso interessante, ma che condivido solo su alcuni aspetti e con le dovute precauzioni.
<Il capitalismo non ha alternative> Non condivido, è una affermazione ideologia, da determinismo storico di fine ottocento. A tutte le costruzioni umane ci sono alternative. Preferisco Vidal De La Blache e il suo possibilismo..... :D


franz ha scritto:Da Libero, 30 settembre 2012
Professor Zingales, il capitalismo è in crisi e lei propone di uscirne con una ricetta liberista?
«Il libero mercato ha creato la più grande ricchezza mai accumulata nella storia dell’umanità, ma questo sistema funziona solo se c’è concorrenza, altrimenti degenera nell’inefficienza dei monopoli pubblici e privati. A quel punto il libero mercato si trasforma in capitalismo clientelare: è quello che sta accadendo in America e che abbiamo sempre vissuto in Italia».


Anche qua sembra un neo-marxista: <Il modello teorico funziona è l'applicazione pratica che non funziona>
In attesa dell'applicazione pratica che funzioni si finisce per ripetere gli errori del passato.
E' il modello stesso che tende ad evolvere in un certo modo. Questo vale sia per il comunismo che per il capitalismo o la sua versione liberista. Sull'importanza della concorrenza condivido, ma mercati in concorrenza perfetta in pratica non esistono, o esistono per brevi periodi poi evolvono in qualche cosa di diverso.


franz ha scritto:Da Libero, 30 settembre 2012

Probabilmente è vero, ma non mi pare che la sinistra abbia fatto molte battaglie liberali e liberiste
«Infatti. Secondo me le categorie di destra e sinistra sono svanite e non da oggi, ma già dal crollo del Muro di Berlino. Le tensioni capitalismo-socialismo non hanno portato al capitalismo ideale, ma a quello che io chiamo “capitalismo reale”. Destra e sinistra, grande industria e potere politico hanno raggiunto un accordo su come mungere i contribuenti».


Tesi del tutto discutibile. Forse bisognerebbe ripartire dalle condizioni disumane della rivoluzione industriale per capire l'evoluzione che c'è stata, riprendere le riflessioni durante guerra fredda, con le paure di contagio comunista. Una evoluzione analoga si vede oggi in Cina dove le condizioni di lavoro disumane in alcuni settori industriali o la devastazione ambientale prodotta dal capitalismo lasciato a se stesso producono cambiamenti.
Facciamo delle scelte, queste inevitabilmente producono errori, li correggiamo ed andiamo avanti. Questo per me è una prassi laico liberista. Il resto è ideologia.

franz ha scritto:Da Libero, 30 settembre 2012
Questo libro è stato pubblicato prima in America col titolo A capitalism for the people, ma a quanto pare ad avvantaggiarsi di questo modello sono state le grandi banche.
«Spesso questi gruppi hanno ricevuto aiuti e protezione politica. Non hanno beneficiato di scelte pro mercato, ma di scelte pro affari. Accade anche in Italia dove lo statalismo non è più quello socialista di una volta, cerca di camuffarsi in maniera intermedia, ma non è meno subdolo o pericoloso. Il tipico grande manager italiano tende a favorire l’intervento pubblico perché sa che il potere politico può garantirgli soldi o protezione dalla concorrenza a spese di contribuenti e consumatori».


Questo accade in tutto il mondo non solo in Italia.

franz ha scritto:Da Libero, 30 settembre 2012
Lei sostiene che contro questa commistione tra potere politico ed economico c’è bisogno di un movimento populista.
«Negli Usa c’è un filo comune che lega i Tea party e Occupy Wall Street: i primi combattono l’eccessivo potere statale e i secondi la grande finanza, ma in realtà sono in lotta contro due facce della stessa medaglia. Questi movimenti, che sono agli estremi dell’asse politico, dimostrano che anche lì l’arco politico tradizionale non è più rappresentativo».


Questo lo condivido nella sostanza. Anzi penso sia fondamentale abbandonare le etichette spregiative di movimenti populisti o di antipolitica. Questo perchè sono etichette spregiative che contengono una valutazione di merito a priori e impediscono di comprenderne le radici e le motivazioni. Condivido pienamente l'affermazione che l'arco politico non è più rappresentativo.

franz ha scritto:Da Libero, 30 settembre 2012
Negli Stati Uniti, da Andrew Jackson a Theodore Roosevelt, c’è una grande tradizione populista diffidente del potere statale e favorevole alle libertà individuali, mentre in Italia i populismi, dal fascismo ai grillini, hanno chiesto sempre più Stato. Noi come ne usciamo?
«È vero, in Italia non c’è questa tradizione, ma ora abbiamo una grossa opportunità per rivolgere la rabbia contro l’interventismo di uno Stato sprecone e contro la collusione tra politica e poteri forti. È una grande occasione per spezzare questo sistema e liberare le energie al merito e alla competizione: ne guadagneranno soprattutto i giovani e le donne che si ritrovano a pagare il conto di una festa fatta da altri. Finora uno Stato inefficiente e corrotto ha comprato la gente con piccoli privilegi, la buona notizia è che i soldi sono finiti e questo Stato non può comprare più nessuno...».


Questa domanda è molto intelligente. Il rischio italiano è che con una miscela tra Stato leviatano vagheggiata da quelli del fatto quotidiano e di liberismo economico vagheggiata da quelli di fermare il declino, noi ci ritroviamo con il Cile di Pinochet. La nuova costruzione che dobbiamo affrontare richiede molto spirito critico, punti di monitoraggio, e aggiustamento e l'adozione del principio di precauzione :mrgreen:

franz ha scritto:Da Libero, 30 settembre 2012
Nel suo saggio fa una descrizione impietosa dell’Italia. In sintesi, dice agli americani: «Siete la terra delle libertà, non fate la fine del mio Paese». Non è un quadro troppo cupo? Non c’è forse un po’ di frustrazione o rabbia verso un Paese da cui è andato via?
«In molti mi hanno fatto questa critica. Ci ho riflettuto molto anche io e sono convinto di aver dato un’immagine realista del nostro Paese. Se c’è una rabbia profonda è perché lo amo profondamente. Forse ciò che avrei dovuto fare, ma non era questo lo scopo del libro, era mostrare che, nonostante tutto, ci sono delle sacche di eccellenza, onestà e generosità. Il Paese non è marcio, ciò che è completamente marcia è la classe dirigente. Ci meritiamo di meglio».


americanocentrico. :?

Re: Il capitalismo non ha alternative": merito e competizion

MessaggioInviato: 02/10/2012, 19:38
da flaviomob
Quale capitalismo?

Wikipedia riporta quattro definizioni, ma il termine è certamente ancora più controverso:

Il termine capitalismo può riferirsi in genere a diverse accezioni quali:
Una combinazione di pratiche economiche, che venne istituzionalizzata in Europa, tra il XVII e il XIX secolo, che coinvolge in particolar modo il diritto da parte di individui e gruppi di individui che agiscono come "persone giuridiche" (o società) di comprare e vendere beni capitali (compresi la terra e il lavoro; vedi anche fattori della produzione) in un libero mercato (libero dal controllo statale).
Un insieme di teorie intese a giustificare la proprietà privata del capitale, a spiegare il funzionamento di tali mercati, e a dirigere l'applicazione o l'eliminazione della regolamentazione governativa di proprietà e mercati;

Il sistema economico, e per estensione l'intera società, il cui funzionamento si basa sulla possibilità di accumulare e concentrare ricchezza in una forma trasformabile (in denaro) e re-investibile, in modo che tale concentrazione sia sfruttata come mezzo produttivo;

Regime economico e di produzione che nelle società avanzate viene a svilupparsi in periodi di crescita, riconducibile a pratiche di monopolio, di speculazione e di potenza.

Re: Il capitalismo non ha alternative": merito e competizion

MessaggioInviato: 02/10/2012, 21:47
da lucameni
Peraltro Einaudi, liberista vero, distingueva "mercato" da "capitalismo", su ispirazione di Ropke.
In realtà Zingales non le spara poi tutte sbagliate, anzi. Magari non è il suo caso (alla fin fine mi pare piuttosto equilibrato) però spesso si arriva al paradosso di ex comunisti che interpretano il mercato come turbocapitalismo, ideologizzando il tutto come un dogma.
Il che mi lascia quanto meno perplesso, anche se una spiegazione sicuramente poco lusinghiera c'è eccome.

Re: Il capitalismo non ha alternative": merito e competizion

MessaggioInviato: 03/10/2012, 0:26
da flaviomob
Il mercato, il capitalismo e il liberalismo stesso sono concetti che mutano di significato a seconda dei contesti storici presi in considerazione.
Il liberalismo nasce con l'intento di limitare (o abolire) i poteri del sovrano e sottoporli al controllo di rappresentanti scelti da cittadini "eguali" e non in base al censo, di garantire l'eguaglianza di fronte alla legge, il rispetto dei diritti dell'individuo, la separazione dei poteri, il rispetto delle minoranze, la proprietà. Nel momento in cui il suffragio si estende, proprio per azione delle idee liberali, emerge il bisogno delle masse di trovare una risposta democratica alla richiesta di diritti sociali, oltre che civili. La contraddizione con il liberalismo borghese è forte ed esplosiva, soprattutto nei momenti di crisi economica. Questo conflitto riemerge prepotentemente oggi, dopo trent'anni di paradigmi neoliberisti e la crisi che è conseguita a una eccessiva spinta alla deregolamentazione. Il caso italiano è ancora più appesantito da una condizione di illegalità diffusa, di corruzione, di irresponsabilità di una larga parte politica nei confronti della sostenibilità dei bilanci pubblici conseguente al malcostume di nepotismi e mazzette o alla ricerca di consenso in cambio di attività parassitarie clientelari ben remunerate.

Le apologie di questo o quel sistema lasciano quindi il tempo che trovano. L'America liberale e liberista ha generato questa crisi gravissima, oltre ad avere un debito il cui peso grava sull'intero globo e deve porsi profondi interrogativi. L'Europa che ha sperimentato un sistema misto tra capitalismo e politiche sociali molto incisive appare divisa e frastornata, per cui passa l'idea pericolosissima che il welfare state possa sopravvivere solo "per chi se lo merita", mentre la sua radice più profonda ne riconosce l'istituzione "per chi ne ha bisogno" e questa contraddizione rischia di far esplodere il Vecchio Continente.

Bisogna riconoscere il valore di un sistema misto che ha generato un benessere superiore a qualsiasi altro tipo di politica nel mondo, ritrovare il modo di ripristinare una forte spinta solidale che metta al riparo gli stati dalla speculazione distruttiva esterna da un lato, dalla corruzione e dall'irresponsabilità, ma anche che sappia garantire politiche di rigore anticicliche e non "lacrime e sangue" in grado di peggiorare la situazione. Certamente l'inconsistenza e l'approssimazione del sistema politico europeo, che tutto può essere definito fuorché federale e democratico, hanno un peso determinante.

Re: Il capitalismo non ha alternative": merito e competizion

MessaggioInviato: 03/10/2012, 0:53
da pianogrande
Merito e competizione.

Termini che hanno bisogno di un contesto.
La competizione per acquisire il merito?
il merito attribuito da chi ed in base a quali parametri?

E' il contesto da creare che è importante.

La partecipazione alla feste eleganti del berlusca, in quel contesto, è un merito (e rende).
La competizione per entrare nelle grazie del potente non è forse una competizione come un'altra?
Qualcuno pensa forse che ci si entri gratis?

Allora?
Quale è il vero nocciolo della questione?
Le regole

Sissì!
Le regole, le regole, le regole ......... e chi le fa rispettare.

Quali regole dobbiamo darci?
Chi e come deve farle rispettare?

Il capitalismo, il liberismo, sono mancanza di regole o la massima esigenza di regole?

Ricordiamoci sempre il sacro equilibrio libertà-responsabilità.

P.S. Concordo con Trilogy. Le regole possono essere perfezionate nel tempo senza bisogno di tanti ismi a sostegno.
Aggiungo: con l'esperienza e la buona volontà.

Re: Il capitalismo non ha alternative": merito e competizion

MessaggioInviato: 03/10/2012, 8:16
da franz
flaviomob ha scritto:Le apologie di questo o quel sistema lasciano quindi il tempo che trovano. L'America liberale e liberista ha generato questa crisi gravissima,
....
Bisogna riconoscere il valore di un sistema misto che ha generato un benessere superiore a qualsiasi altro tipo di politica nel mondo,

Siamo alle solite ;) quanto c'è di male si addebita a questa "America liberale e liberista" mentre tutto quanto va bene si addebita al "sistema misto". In realtà il sistema misto genera sia cose buone (sviluppo e benessere) sia qualche grossa magagna, dato che la crisi dei subprime nasce proprio da politiche statali americane di sostegno all'abitazione che nulla avevano a che fare con il mercato ed il capitalismo.
Sempre nell'ambito di un sistema misto, va riconosciuto che si possono concretamente realizzare miliioni di combinazioni, chi piu' verso il mercato chi piu' verso la socialità. In alcuni paesi che in passato sono stati troppo sociali (penso alla svezia) ora da un venennio l'equilibrio si sta spostando piu' verso il mercato. E questo continua a produrre benessere e sviluppo, per gli svedesi. Il problema è vedere cosa fare da noi. A parte qualche don chisciotte che vede turbocapitalisti ovunque in Italia, io credo che si possa tranquillamente constatare che di capitalismo, di liberalismo e di mercato in Italia ne abbiamo visti ben poco. Il nostro è ancora uno stato fascio-corporativo-sociale, dominato da corporazioni, caste, gruppi di potere.

Re: Il capitalismo non ha alternative": merito e competizion

MessaggioInviato: 03/10/2012, 9:08
da ranvit
Il nostro è ancora uno stato fascio-corporativo-sociale, dominato da corporazioni, caste, gruppi di potere.



Cosi' è!
Il guaio è che a tutt'oggi non si vedono miglioramenti. I vari "movimenti" (Fermare il declino, Lista Italia, Renzi...) che appaiono come possibili innovatori e rottamatori del sistema attuale, ancora non hanno preso bene la scena politica.....anmche se dai dati di Pagnoncelli di ieri sera sembra che qualcosa si stia muovendo.

Re: Il capitalismo non ha alternative": merito e competizion

MessaggioInviato: 04/10/2012, 12:38
da flaviomob
La crisi dei subprime non nasce certo da politiche sociali del governo americano, ma dalla ricerca di una scorciatoia nella deregolamentazione bancaria. E' chiaro che un governo non può imporre ad una banca privata di prestare soldi a Tizio. Il legislatore però ha due strade: sostenere ed incentivare politiche di edilizia popolare, di affitti calmierati, di sostegno alle famiglie bisognose oppure la deregolamentazione americana. Io stato dico a te banca che non hai più un vincolo e puoi effettuare prestiti anche ai ceti sociali a maggior rischio di insolvenza. Ma non posso obbligarti a farlo: quindi in ogni caso è una scelta della banca. Probabilmente pensavano che le banche potessero rifarsi sugli immobili nel momento in cui chi contraeva mutuo fosse divenuto insolvente, ma evidentemente hanno toppato alla grande perché in una crisi su grandi numeri è ovvio che il prezzo delle abitazioni abbia un crollo: non dimentichiamoci che la crisi si è anche avvitata sui titoli tossici, per cui le banche hanno una responsabilità doppia. Liberisti disonesti che non sono nemmeno in grado di prevedere il normale andamento dei mercati: pazzi e sconsiderati.

Re: Il capitalismo non ha alternative": merito e competizion

MessaggioInviato: 04/10/2012, 16:08
da pianogrande
Di solito, le crisi di questo genere arrivano perché al mondo di furbi ce ne sono troppi.
Quando una trovata è buona, ci sono sempre quelli che si accodano e fanno crollare tutto il castello.
Anche i banchieri sono furbissimi.
Peccato che siano così tanti.
Hanno, comunque una risorsa notevole e cioè che il loro errori li paghiamo noi.
Anche se sono tantissimi stanno ancora in piedi per questo.
Quando affonderanno davvero, affonderemo tutti.