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Le Province le tagliamo o no?

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Le Province le tagliamo o no?

Messaggioda ranvit il 23/06/2012, 8:19

Io avrei abolito le Regioni, e gli enti locali non direttamente eletti dai cittadini (Consorzi, Comunità montane etc etc) e ridotte le Province eliminando quelle molto piccole e quelle in cui vi siano le Città Metropolitane. Trattandosi di luoghi istituzionali di puro clientelismo politico ci sarebbe un risparmio equivalente ad almeno una finanziaria all'anno! Non tanto per il costo diretto del personale quanto per quello indiretto (corruzione, concussione, burocrazia etc)


http://www.corriere.it/economia/12_giug ... 7e8a.shtml

In EMILIA SE NE PERDEREBBERO 7/9, in SICILIA 5/9, dimezzate in PIEMONTE
Ecco il piano che dimezza le Province
E in Toscana è al sicuro solo Firenze
Tagli in base ad abitanti, estensione e Comuni compresi: ne restano 54. Ma potrebbero salire con accorpamenti


ROMA - Che cosa potrà inventare Mario Cardinali se davvero il primo «spaventoso» effetto del decreto legge che ha in mente il ministro Filippo Patroni Griffi sarà l'accorpamento della Provincia di Pisa con quella di Livorno? Una simile eventualità terrà sulle spine lui e tutti gli altri livornesi. Ma ne siamo certi: per il fondatore del mensile satirico il Vernacoliere , autore di titoli folgoranti come «Primi spaventosi effetti delle radiazioni - È nato un pisano furbo», pubblicati nel maggio 1986, subito dopo la catastrofe atomica di Chernobyl, sarà una sfida estrema. Niente affatto fantascientifica. Perché la prossima puntata della saga infinita delle Province potrebbe davvero proporre questa e altre situazioni simili. Come ci si è arrivati?


Ricapitoliamo quanto accaduto a partire dal 2008, quando questi enti sembravano diventati il nemico pubblico numero uno tanto della destra quanto della sinistra. «Aboliremo le Province, è nel nostro programma», sentenziò Silvio Berlusconi il 10 aprile del 2008, a «Porta a porta», alla vigilia delle elezioni che l'avrebbero riportato a Palazzo Chigi. Il suo avversario Walter Veltroni l'aveva già anticipato: «Cominceremo da subito, abolendo le Province nelle aree metropolitane». Archiviato il voto, s'innescò la marcia indietro. «Vorrei abolire le Province per risparmiare ma la Lega non è d'accordo», disse il Cavaliere l'11 dicembre 2008. E il 22 aprile 2010 alzò bandiera bianca: «Abbiamo fatto un calcolo e abolendo le Province si risparmiano solo 200 milioni. Troppo poco per iniziare una manovra che scontenterebbe i cittadini. Però non concederemo più nessuna nuova Provincia». Consci della fragilità di certe promesse, alcuni politici si erano invece già attrezzati per allargare le frontiere del mondo provinciale. Esempi? Se il leghista Davide Caparini chiedeva l'istituzione della nuova Provincia della Valcamonica (capoluogo Breno, 5.014 abitanti), il suo collega di partito proponeva di creare in Trentino-Alto Adige una terza Provincia autonoma: la Ladinia. Ironia della sorte, il relativo disegno di legge vedeva la luce poche settimane prima che il ministro del Carroccio Roberto Calderoli fosse costretto a presentare una proposta per ridurre le Province. La famosa lettera della Banca centrale europea recapitata il 5 agosto 2011 al governo italiano parlava chiaro: «C'è l'esigenza di un forte impegno ad abolire o fondere alcuni strati amministrativi intermedi, come le Province». E pure la Lega si dovette piegare. Ma per finta: il taglio svanì in poche ore come neve al sole di Ferragosto.

Poi è arrivato Mario Monti, e nel decreto salva Italia è comparsa una disposizione all'apparenza categorica. Il trasferimento a Comuni e Regioni delle funzioni attribuite alle Province, relegate a organi non più elettivi con un numero limitato di consiglieri scelti dalle amministrazioni comunali. All'inizio questa tagliola doveva scattare automaticamente entro aprile 2012. Poi è successo il finimondo. Mentre il presidente berlusconiano della Provincia di Latina Armando Cusani ringhiava «noi ce ne andiamo dall'Unione delle Province italiane», il segretario di Rifondazione comunista dava man forte ai rivoltosi con queste parole: «Vi appoggiamo perché la vostra è una battaglia di democrazia». Così nella versione definitiva del salva Italia è spuntato un comma che prevede una legge dello Stato, da emanarsi entro dicembre prossimo, per rendere operativa la riforma. Un modo per prendere tempo e rimandare la resa dei conti. Organizzando la resistenza.

Scontato, dunque, che quella legge prevista dal salva Italia stia incontrando serie difficoltà in Parlamento, dove è stata sollevata perfino la solita questione della «copertura finanziaria». E fosse soltanto quello il problema. Il pericolo più grande a quanto pare viene dalla Corte costituzionale, che il 6 novembre esaminerà i ricorsi prontamente presentati contro il decreto di dicembre. Se li dovesse accogliere, come dicono molti esperti, la riforma di Monti salterebbe e le Province resterebbero in vita esattamente come oggi.

Ecco perciò che accanto al piano A, avviato sul binario morto, è spuntato un piano B. Da attuarsi forse con decreto legge, in parallelo alla revisione della spesa, che potrebbe contenere anche una micidiale pillola avvelenata per tutti gli enti locali. Ossia il divieto alla costituzione di nuovi enti o società per funzioni che può svolgere direttamente l'amministrazione. Per evitare rischi di ricorsi alla Consulta il piano B prevede che le Province mantengano tre funzioni quali strade, ambiente e gestione delle aree vaste.

Le giunte saranno comunque azzerate e i consigli, non più elettivi, ridotti all'osso come previsto dal decreto salva Italia. Il numero degli enti verrebbe però tagliato, utilizzando criteri in parte simili a quelli della proposta abortita di Calderoli. Sopravviveranno soltanto le Province in gradi di soddisfare almeno due dei seguenti tre requisiti: superficie di almeno 3.000 chilometri quadrati, popolazione superiore a 350 mila abitanti e oltre 50 Comuni presenti nel territorio. Dalle attuali 107 (tolte la Valle d'Aosta e le Province autonome di Trento e Bolzano) si passerebbe a 54. Meno di quelle (59) esistenti nel 1861. In realtà, attenendosi scrupolosamente ai parametri, il loro numero dovrebbe addirittura scendere a 50. Si è tuttavia stabilito di salvare i capoluoghi di Regione che pur non hanno i requisiti, come Venezia, Ancona, Trieste e Campobasso. Dieci Province, inoltre, dovrebbero scomparire in un secondo momento se e quando verranno finalmente istituite, com'è previsto fin dal 1990, le città metropolitane. Nell'elenco, oltre alla stessa Venezia, troviamo Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari e Reggio Calabria.


Ma non significa che di questi enti definiti da Berlusconi il 5 marzo del 2008 (naturalmente prima dei vari ripensamenti) «inutili e fonti di costo per i cittadini» ne rimarrà appena una quarantina. Con i criteri di cui sopra, in Toscana scomparirebbero tutte le Province tranne Firenze. Idem in Liguria, con l'eccezione di Genova. Nell'Emilia-Romagna, sette su nove. In Sicilia, cinque su nove. In Piemonte, la metà esatta. E qui comincerà il gioco degli accorpamenti. Siena e Grosseto accetteranno la coabitazione? Pisa e Livorno, così vicine, saranno disposte a mettere da parte antiche rivalità? Prato si rassegnerà a rientrare a Firenze oppure preferirà Pistoia? Modena e Reggio-Emilia continueranno a essere separate dall'aceto balsamico? E come reagiranno i lodigiani davanti alla prospettiva di essere riuniti ai milanesi?

Tanto basta per dare le dimensioni delle complicazioni che potrebbe portare con sé un'operazione del genere. Né rassicura il fatto che l'agguerrita Unione delle Province guidata da Giuseppe Castiglione potrebbe perfino essere d'accordo con lo schema di massima. Senza poi considerare variabili di altro genere, ma tutt'altro che trascurabili. Ricordate com'è evaporata la scorsa estate la proposta calderoliana? In partenza dovevano finire sotto la tagliola tutte le Province con meno di 300 mila anime: 37. Ma a patto, fu chiarito, che avessero anche un'estensione inferiore a 3 mila chilometri quadrati: e si scese a 29. Poi, rivendicando l'autonomia, insorse il governatore del Friuli-Venezia Giulia Renzo Tondo: eccoci a 27. Quindi i siciliani contestarono l'ipotesi di sopprimere Enna e Caltanissetta (25). Infine protestò il presidente sardo Ugo Cappellacci (22). E il presidente della provincia di Isernia, Luigi Mazzullo, avanzò il sospetto che a Roma avevano preso l'insolazione (21). Poche ore dopo, l'annuncio: abbiamo scherzato. Sicuri che non si possa ripetere?

Sergio Rizzo23 giugno 2012 | 8:04
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Re: Le Province le tagliamo o no?

Messaggioda franz il 23/06/2012, 9:14

ranvit ha scritto:Io avrei abolito le Regioni, e gli enti locali non direttamente eletti dai cittadini (Consorzi, Comunità montane etc etc) e ridotte le Province eliminando quelle molto piccole e quelle in cui vi siano le Città Metropolitane. Trattandosi di luoghi istituzionali di puro clientelismo politico ci sarebbe un risparmio equivalente ad almeno una finanziaria all'anno! Non tanto per il costo diretto del personale quanto per quello indiretto (corruzione, concussione, burocrazia etc)

Non è chiaro se siparla di eliminazione o di accorpamento. E nel caso di eliminazione leggo che si parla solo della funzione politica (consigli) ma che rimarrebbero le funzioni come strade, ambiente e gestione delle aree vaste.
O almeno cosi' capisco, visto che se fossero eliminate avremmo zone senza province e zone con province.
Quindi non vedo grandi vataggi sul fronte della spesa e per corruzione, concussione, burocrazia.
Anzi, accorpando avremmo province piu' grandi e quindi burocrazia piu' forte.
La riprova? la burocrazia piu' forte è quella regionale ed i casi di corruzione piu' noti ed eclatanti sono a livello regionale.
Si, se bisogna sfoltire è nel campo delle regioni, delle comunità montane.
Oppure avere un sano federalismo fiscale e fare in modo che i cittadini di un posto paghino le spese di gestione dei livelli politici che decidono autonomamente di voler far funzionare.
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Re: Le Province le tagliamo o no?

Messaggioda Iafran il 23/06/2012, 14:39

ranvit ha scritto:Trattandosi di luoghi istituzionali di puro clientelismo politico ci sarebbe un risparmio equivalente ad almeno una finanziaria all'anno! Non tanto per il costo diretto del personale quanto per quello indiretto (corruzione, concussione, burocrazia etc)

Non penso che i nostri "politici" siano capaci di rinunciare ai loro sporchi introiti (da una finanziaria all'anno per giunta e a spese dei cittadini, poi) senza resistenze o a cuor leggero!
Penso che non siano "autolesionisti", né veri politici, ma solo degli italianuzzi di paese, opportunisti, che vogliono passare per "intelligentoni"!
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Re: Le Province le tagliamo o no?

Messaggioda matthelm il 23/06/2012, 16:00

Eliminiamo e accorpiamo le province mi sembra proprio necessario.
Basta che non ne parlino solo.
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Re: Le Province le tagliamo o no?

Messaggioda franz il 23/06/2012, 16:49

matthelm ha scritto:Eliminiamo e accorpiamo le province mi sembra proprio necessario.
Basta che non ne parlino solo.

Che si debba fare qualche cosa pare ormai certo.
Ma è da stabilire se le mille e mille cose di cui si parla siano tutte positive.
Una rimappatura giurisdizionale del territorio è oggettivamente necessaria ma la domanda delle 100 pistole è:
a) esiste un'intelligenza "atomica" superiore che è in grado di individuare la soluzione ottimale per ogni dove?
b) ogni luogo deve individuaere le sue soluzioni e sostenerle economicamente e politicamente?
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Re: Le Province le tagliamo o no?

Messaggioda ranvit il 23/06/2012, 17:22

Per me il principale problema è ridurre drasticamente il numero dei politici e sopratutto dei politici che diventano amministratori...nella maggior parte dei casi gente che in una azienda privata potrebbe al massimo fare il "ragioniere" operativo. E' uno schifo!

Qualche caso a ...caso:

1) http://www.ilmattino.it/articolo.php?id ... z=CAMPANIA
Rifiuti: truffa e falso, oltre 150 indagati
nel Consorzio di bacino Salerno 2
C'è anche il consigliere Barbirotti (Idv)


SALERNO - 154 avvisi di garanzia, emessi dalla Procura della repubblica di Salerno, sono stati notificati dai carabinieri del comando provinciale di Salerno nei confronti dell'ex presidente, dell'ex direttore, di ex dirigenti, e diversi funzionari e dipendenti del Consorzio Bacino Salerno 2, operante nel settore dei rifiuti , ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello stato, peculato, abuso di ufficio e falsità ideologica.


Tra i 154 destinatari degli avvisi di garanzia, emessi dalla procura della repubblica di Salerno, e notificati dai carabinieri del comando provinciale di Salerno c'è anche il consigliere regionale della Campania, Dario Barbirotti (del gruppo dell'Idv).

Barbirotti è indagato nella qualità, all'epoca dei fatti contestati, di presidente del Consorzio Bacino Salerno 2.

«Sono sorpreso. E non è una frase di rito: ho piena fiducia nell'operato della magistratura». Dario Barbirotti, consigliere regionale della Campania dell'Idv, all'epoca dei fatti presidente del Consorzio di Bacino Salerno 2, si dice però sereno: «Appena avrò modo di leggere gli atti fornirò tutti gli elementi utili a fare chiarezza al più presto».

Barbirotti non vuole entrare nel merito dell'inchiesta che lo vede tra gli indagati ma su due punti precisa: «Non ero certamente io a definire l'entità del mio stipendio che, invece, era determinato secondo precisi parametri di legge».

L'esponente dell'Idv ricorda che «il presidente del Consorzio non aveva compiti amministrativi ma politici. Ho sempre lavorato per scongiurare l'emergenza rifiuti, individuando le discariche necessarie o impegnandomi per far funzionare efficientemente gli impianti».

In merito alla gestione del personale, Barbirotti poi precisa: «Non è il presidente a gestire gli straordinari oppure a verificare le buste paghe al fine della concessione dei prestiti».
Venerdì 22 Giugno 2012 - 11:44 Ultimo aggiornamento: 16:35


2) http://www.tvoggisalerno.it/mostra.php?cod_news=19408

23/06/2012

CRONACA
INCHIESTA “DUE TORRI”: ORA TREMANO IN TANTI

Comincia a delinearsi anche l’intreccio tra imprenditori e politica, tra chi partecipava agli appalti truccati e chi favoriva le imprese “amiche” per poi ricavarne benefici. L’operazione “Due Torri” che ha visto finire in manette l’imprenditore edile e presidente della Nocerina Giovanni Citarella, il cugino Gennaro ed altre 13 persone tra cui anche due dirigenti dell’ente Provincia di Salerno, rischia seriamente di provocare un terremoto politico trasversale sul territorio. Si, trasversale perché l’inchiesta sugli appalti pubblici pilotati rischia di non fermarsi al 2008 ma di estendersi anche ai giorni nostri. A dare uno spaccato preciso a tutta la vicenda, soprattutto al sistema degli appalti, sono state indubbiamente le dichiarazioni rese durante l’interrogatorio di garanzia da Giovanni Citarella, ora agli arresti domiciliari. Assistito dall’avvocato Michele Sarno, l’imprenditore nocerino per dieci lunghe ore ha chiarito davanti ai magistrati la sua posizione ma soprattutto ha delineato compiti, metodi, alleanze e contatti per far parte del sistema degli appalti truccati. Dalle dichiarazioni di Citarella sono cominciate a venire fuori anche le prime implicazioni politiche su tutta la vicenda. Nomi e circostanze che hanno attirato fortemente l’attenzione degli inquirenti, con la concreta possibilità ora che l’inchiesta si allarghi a macchia d’olio. Dal racconto di Citarella verrebbe fuori un quadro di malcostume oramai consueto, a tal punto che sul taccuino dei giudici sarebbero finiti anche i nomi di alcuni politici, tra questi uno di riferimento della gestione Villani ed un altro addirittura attualmente con incarichi presso l’amministrazione Cirielli. Dunque un sistema trasversale per la gestione degli appalti pubblici dell’ente di via Roma che non si ferma al 2008 ma che implica una continuità mai interrotta nel tempo se non con l’intervento della magistratura che ora ha tanto materiale su cui lavorare. Materiale che potrebbe provocare una clamorosa svolta per l’intera inchiesta.
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Re: Le Province le tagliamo o no?

Messaggioda Manuela il 25/06/2012, 10:38

ranvit ha scritto:Io avrei abolito le Regioni, e gli enti locali non direttamente eletti dai cittadini



ESATTO!!!! :D :D :D
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Re: Le Province le tagliamo o no?

Messaggioda ranvit il 25/06/2012, 11:43

Ma, mi chiedo...retoricamente: ma i casi che ho segnalato accadono solo nella provincia di Salerno? :D

Sul caso del Consorzio di Bacino riportato sopra ho letto oggi alcuni dettagli: il Presidente che si autoassegno' 3000 euro al mese di spese di rappresentanza (in gran parte non documentate), autisti che portavano a riparare i propri mezzi da meccanici "di fiducia" (un caso clamoroso di tre frizioni cambiate al camion in un mese!), pieni di benzina da aprte di molti dipendenti con uso di telepass in giro per l'Italia, etc etc :twisted:
Mi spiace non poter riportare questo aticolo.....allucinante!!!
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Re: Le Province le tagliamo o no?

Messaggioda franz il 25/06/2012, 12:26

Manuela ha scritto:
ranvit ha scritto:Io avrei abolito le Regioni, e gli enti locali non direttamente eletti dai cittadini



ESATTO!!!! :D :D :D

Io invece proporrei un approccio diverso.
Non tanto "io abolirei" le province, le regioni, le comunità montane, i consorzi ...
Ma "io abolirei" la mia provincia, la mia regione, i consorzi a cui partecipa il mio comune, la comunità montana in cui vivo.
E se non voglio abolire questi livelli, paghero' coerentemente le imposte per mantenerli.
Chiedo inoltre come cittadino di poter avere l'ultima parola, tramite referendum locale, sulle spese di questi livelli di governo, approvando o rifiutando singoli progetti.
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Re: Le Province le tagliamo o no?

Messaggioda ranvit il 25/06/2012, 16:53

http://www.corriere.it/politica/12_giug ... 523f.shtml



Amministrazioni - viaggio tra serbatoi di poltrone che nessuno è mai riuscito a eliminare

Divise dalla storia o create in laboratorio Province, gli accorpamenti (im)possibili

Enti a «testata multipla» e città rivali costrette a immaginarsi riunite per «sopravvivere» ai tagli del governo


ROMA - L'hanno combinata davvero grossa, a Fermo. Anche lì volevano la Provincia e ne hanno ammazzate due. È una banalissima questione di numeri. Con 175.047 abitanti, 860 chilometri quadrati e 40 Comuni, Fermo non rispetta nemmeno uno dei tre parametri (minimo 350 mila abitanti, minimo 3 mila chilometri quadrati, minimo 50 Comuni) che gli potrebbero garantire la sopravvivenza, secondo il progetto del ministro Filippo Patroni Griffi. Il bello è che anche Ascoli Piceno adesso è nei guai: divisa praticamente a metà per consentire la nascita di Fermo, è destinata a dissolversi. A meno che i fermani, due anni dopo aver brindato alla nuova Provincia, non vogliano tornare indietro. In caso contrario, c'è sempre Macerata...

E Lodi? Ci aveva messo qualche secolo per affrancarsi da Milano. Nel 1992, alla fine della Prima repubblica era riuscita ai lodigiani una impresa che nemmeno ai tempi del Barbarossa era stata possibile. Poi, dopo soltanto vent'anni di «indipendenza», la più cocente delle delusioni. La Provincia di Lodi dovrà mestamente sparire. Tornando assieme a Milano. Corsi e ricorsi vichiani...

Per non parlare di Rimini. Anche sulla romagnola s'era assaporato, in quel 1992, il miele dell'«indipendenza». L'indipendenza da Forlì, obbligata a una doppia concessione: mollare 27 Comuni a Rimini e allargare la denominazione provinciale a Cesena. Ma ora si dovrà fare marcia indietro. In una nuova grande Provincia romagnola che comprenda anche Ravenna? Chissà? Certo è che neppure il referendum con il quale sette Comuni dell'alta Valmarecchia già appartenenti alla Provincia di Pesaro Urbino fra cui San Leo - dove Cagliostro trascorse gli ultimi anni di vita in prigionia e una mano sconosciuta non fa mai mancare un fiore fresco nella rocca in sua memoria e ogni agosto ospita un imponente raduno di massoni - hanno decretato tre anni fa l'annessione a Rimini l'hanno potuta salvare. Ma tant'è.

Comunque vada, un risultato la proposta di Patroni Griffi certamente la otterrà: quello di segnare una nuova era nella guerra dei campanili provinciali. In Emilia potrà rinascere una sola Provincia sui territori di Parma e Piacenza, come ai tempi dei Papi Farnese. E in Toscana, dove teoricamente potrebbe sopravvivere una sola delle Province esistenti, quella di Firenze, che ne sarà di Arezzo? Fiorentini e aretini si guardano in cagnesco dalla battaglia di Anghiari di sei secoli fa. Cruciale per i destini della Toscana e la supremazia di Firenze, fu poco più di una rissa da stadio, se dobbiamo credere a ciò che scrisse Niccolò Machiavelli: «Ed in tanta rotta e in sì lunga zuffa che durò dalle venti alle ventiquattro ore, non vi morì che un uomo, il quale non di ferite ne d'altro virtuoso colpo, ma caduto da cavallo e calpesto spirò». Pare certo che morirono più cavalli che cristiani, ma a Sansepolcro, ne potete stare certi, c'è qualcuno che ancora gli girano. Come siamo pronti a giurare che a Siena c'è chi non si rassegna al fatto che buona parte dei famosi «paschi» da cui ha preso il nome la grande e oggi ferita banca cittadina, il Monte dei paschi, siano finiti sotto giurisdizione grossetana. Rimpiangendo i fasti di quando i borghi maremmani erano cinti dalle mura senesi. Al tempo stesso, chissà quanti livornesi stanno ripassando in vista di un possibile matrimonio con Pisa la lista dei proverbi, cominciando dal più famoso: «Meglio un morto in casa che un pisano all'uscio».

Per tornare a epoche più recenti, da quando c'è l'Italia unita non c'è politico che non abbia fatto propaganda promettendo la Provincia. Non è trascorsa praticamente legislatura che non venisse proposta l'istituzione della Provincia di Melfi, rivendicando una vocazione storica della città lucana. «Onorevoli senatori, già nel 1866 Melfi e il suo circondario...». Nel 1866 il brigante Carmine Crocco, prozio dell'attore Michele Placido (che ne va fierissimo) che cinque anni prima aveva occupato e tenuto in pugno Melfi, era già in carcere, dove sarebbe morto nel 1905. Dopo Melfi fu la volta di Nola, «importantissimo nodo di transito e centro di confluenza e riferimento, già dall'antichità...». Quindi Aversa, Sibari, Sala Consilina, al Sud. Busto Arsizio, Pinerolo, Bassano del Grappa, al Nord. E Civitavecchia, nel Centro. Il massimo, però, erano le Province a testata multipla. Per esempio, quella della Venezia orientale: con due capoluoghi come Portogruaro e San Donà di Piave. O quella del Basso Lazio, capitali Cassino, Formia e Sora. Oppure l'Arcipelago Toscano. Ma il top è la proposta di creare la Provincia Ufita-Baronia-Calore-Alta Irpinia partorita da Lello di Gioia, nato a San Marco La Catola, nel foggiano, che allargò così gli orizzonti di chi ignorava l'Ufita: «Trattasi di un fiume lungo chilometri 49 che, nato dal monte Formicolo, affluisce nel fiume Calore Irpino che scorre fra l'Irpinia e il Sannio...».

Dai e dai, alla fine le Province a testata multipla hanno superato il muro della diffidenza. Ecco allora Verbano-Cusio-Ossola. Ed ecco dunque Barletta-Andria-Trani, la mitica Bat. Dieci comuni in tutto, tre dei quali capoluoghi di Provincia. Gli altri sette, perché no?

Nel 1861, all'Unità d'Italia, c'erano 59 Province. La loro estensione era misurata più o meno sul tempo necessario ad attraversarle completamente: una giornata di cavallo. Nonostante il declino degli equini per il trasporto umano, nel 1947 erano diventate 91. Mica poche, ma non c'erano le Regioni, che per quanto previste dalla Costituzione, sarebbero nate soltanto nel 1970. Dovevano sopravvivere giusto il tempo per passare il testimone a quegli enti, poi però nessuno ha avuto il coraggio di impartirgli l'estrema unzione, e sono rimaste spesso come formidabile serbatoio di poltrone, posti di sottogoverno e soldi. Quanti? Secondo il Sole 24 Ore , nel 2008 costavano 17 miliardi di euro, con un aumento di ben il 70% rispetto al 2000.
Non limitandosi alla semplice sopravvivenza, si sono moltiplicate con rapidità sconcertante. Nel 1974 erano diventate 95. Nel 1992, 103. Nel 2001, poi, ci ha pensato la Regione autonoma della Sardegna, raddoppiando in un sol colpo le sue Province, da 4 a 8.

E nel 2004 la stessa maggioranza guidata da Berlusconi, che ha vinto quattro anni dopo le elezioni promettendo di abolirle, ha completato l'opera portando il totale a 109 (Trento e Bolzano comprese). Con risultati esilaranti. La Provincia di Fermo, ancora: una specie di scissione dell'atomo che ha avuto come effetto la crescita improvvida dei consiglieri provinciali; dai 30 di Ascoli Piceno ai 24+24=48 delle due nuove entità spezzettate. Costo supplementare dell'operazione un paio di milioncini, per gradire. Quindi la Provincia di Monza e della Brianza, che ha fatto vacillare per un attimo il record negativo di estensione territoriale che apparteneva a Trieste: 212 chilometri quadrati. Con i suoi 363 chilometri quadrati copre la superficie di un quadrato di 19 chilometri di lato. Ma la Provincia italiana più cementificata (dice l'Istat che oltre metà del territorio non è più naturale) si salverà perché oltre a essere popolosissima (840 mila abitanti) ha 55 Comuni. C'è anche Arcore, residenza del Cavaliere...

Sergio Rizzo25 giugno 2012 | 9:59
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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