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L'eredità che Prodi ci lascia

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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda franz il 06/09/2008, 9:28

pierodm ha scritto:I Cento Libri - per Franz.
Dicevo cento, per dire mille o diecimila: in realtà volevo alludere all'intera letteratura moderna, di genere politico ma non solo.
Il tema era: la presunta assenza d'ideologia nella "vita comune", nel qualunquismo, in chi sembra limitarsi agli "affari propri", e la conseguenza correlata per cui si parla di ideologia come se questa fosse un ghiribizzo tipico della sinistra, ovviamente "utopica".

Calma e gesso. Le cose sono scritte e possono essere rilette. Il tema non era quello.
In un primo caso ti riferivi alla democrazia di massa:
Non ho la pretesa di scoprire niente di speciale, con la mia critica alla democrazia di massa e all'industria della comunicazione: è vero che ho cominciato a pensare queste cose fin da quando ero al liceo, ma sono stato preceduto e sorvolato da illustrissimi sociologi e filosofi della politica, che ne hanno scritto in lungo e in largo -

e nel secondo a liberismo e liberalismo:
Domanda giusta e corretta: "...gli interessi aziendalistici che condizionano le istituzioni, la legislazione, la vita politica - in fondo - a che "ideologia" possono essere avvicinati?"
Per rispondere a questa domanda servirebbero - e sono stati scritti, in effetti - un centinaio di volumi, che hanno in comune come minimo il fatto che quelle cose da te nominate formano una robustissima e gagliardissima ideologia.
Anzi, l'ideoloogia più forte e più resistente che c'è.

Adesso invece ti rifersici al dibattito sull'idoelogia e sulla sua presunta fine.
D'accordo che è implicto che qualsiasi opinione tu sostenga esistono centinia e migliaia di libri a supporto (cosa che puo' dire chiunqe credo a ragione) ma cerchiamo di fissare gli argomenti.
Quelle finite e cadute nel 900 sono le ideologie dogmatiche (quelle che hanno causato milioni di morti).
Ed anche quelle non dogmatiche si sono indebolite.
Finisce o cala di molto soprattutto il metodo di usare l'ideologia come pretesto e scudo, mettendole davanti alle idee.

E chiaro che la mente umana continua a funzionare grazie ad un sistema generale e condiviso di credenze, alcune vere alcune presunte ma accettate in modo acritico. Per come è fatta la nostra mente (chi ha seguito il dibattito scientifico, psicologico e filosofico sul sistema mente-cervello lo sa) non è possibile diversamente. Nel passato questo sistema di credenze ha costituito fortissimi scogli di ideologia dogmatica (non solo religiosa, come sappiamo) e quindi è diventato anche un elemento per la conservazione o la conquista del potere. Questo sta lentamente ma drasticamente calando. Le ideologie non fanno piu' presa nella popolazione, o lo fanno in minura di parecchio inferore. In questo senso, per chiunque abbia il buon senso di voler capire, si parla di partiti post-ideologici o di crollo dell'ideologia.
Ritengo comunque che il processo non sia lineare e quindi ci possono essere alti e bassi, ritorni di fiamma.
Ognuno ha quindi ancora riferimenti ideali ed ideologici ma questo nei piu' consente di pensare con maggior autonomia.
Sono piu' che altro un riferimento, un ausilio per capire; prima erano il palo a cui molti si legavano.

Capisco ovviamente che chi è ancora guidato fortemente da forti ideologie, che ne sia consapevole o no, non accetta questo e rifiuta, portando a sua testimonianza centinaia o migliaia di testi scritti nel periodo in cui la maggioranza degli intellettuali era guidata da forti ideologie di opposta tendenza.

Tuttavia il senso, la direzione di marcia è quello. Piu' le persone sono istruite, piu' le persone si informano, piu' le persone possono discutere in ambiti enormi come Internet (un po' piu' vasti del caffè sotto casa) e minore sarà il peso della ideologia dogmatica nei processi di pensiero individuali e coleettivi.

Questo significa tuttavia che altre cose possono avere maggior peso e non tutte sono positive come istruzione, informazione, dialogo. Anche propaganda e pubblicità continuano ad operare. Anzi è probabile che denudato in tutto o in parte delle resistenze ideologiche (dello scudo protettivo dell'ideologa) si possa essere preda di facili suggestioni pubblcitarie.
Ma questo è comunque un rischio delle menti semplici. Invece di essere prigioniere di una grande ideologia organica, che tutto spiega e tutto mette ordine, sarà soggetto al bombardamento di mille messaggi provenienti da mille attori diversi.

Alla fine dovendo scegliere tra opzione A e B (destra e sinistra per chi preferisce) saranno sempre meno quelli del nocciolo duro che sceglie a prescindere (perchè si è di sinistra fin da piccoli piu' o meno come si è della Juve o della Roma) e saranno sempre di piu' quelli che scelgono (e cambiano idea) sulla base di scelte multifattoriali concrete (imposte, ospedali, scuole, sicuerzza), tra cui non ininfluenti saranno anche gli slogan elettorali ed un po' di demagogia (pur sempre mille volte meno rispetto a quella che ci veniva elargita nel 1900).

Prodi ci ha aiutato a traghettare in questa direzione: posso capire che non sia piaciuto a qualcuno.
Certo che chi lo dipinse come "poeta morente" e guidava l'alternativa al PD oggi è il vero emblema della sconfitta dei partiti ideologici. Come dire, "morente chi"? Morenti sono i Diliberto, i Pecoraro Scanio, i Mussi, i Bertinotti, i Salvi.
Che eredità lasciano costoro? Ben misera rispetto a quanto avevano ricevuto dal 1900.

Ciao,
Franz
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda pierodm il 06/09/2008, 23:53

France', non ho mica capito tutto quell'intreccio di paragrafi e suddivisioni.

La faccenda era semplice semplice: Alla domanda "gli interessi aziendalistici...a quale ideologia possono essere avvicinati?", nel senso che tale ideologia non esisteva, ho risposto che l'ideologia c'era ed era talmente robusta ed attiva che per trattarla sarebbero occorsi "cento volumi", e che in effetti questi cento volumi sono stati scritti.
Tutto qua: sono stati scritti non necessariamente a sostegno di idee come le mie, ma scritti per analizzare e trattare l'argomento sotto i punti di vista più diversi.

Era, il mio, un riferimento come altri dello stesso genere, in merito a certi "ritorni" sui nostri passi, su temi complessi che la nostra cultura ha ampiamente trattato e rivoltato da tutte le parti: nella fattispecie, si può anche essere sostenitori accaniti dell'ideologia aziendalistica, ma non si può negarne l'esistenza, come se l'aziendalismo fosse un fattore neutro e sterile sotto il profilo ideologico, o come se non producesse cultura, ossia stile di vita e di pensiero, e non influenzasse pesantemente le istituzioni, la politica e il diritto.
O come se appartenesse ai dati di fatto, paragonabile - come disse una volta Giorgio Napolitano, non molti anni fa, in una stravagante esternazione - ai cataclismi naturali in una sorta di "fatale oggettività" (fatale nel senso di fato, non in quello di "mortifero").

Una volta stabilito questo, si può attingere da quei cento volumi quello che si vuole, o anche ignorarne il contenuto.
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda franz il 08/09/2008, 13:18

pierodm ha scritto:France', non ho mica capito tutto quell'intreccio di paragrafi e suddivisioni.

La faccenda era semplice semplice: Alla domanda "gli interessi aziendalistici...a quale ideologia possono essere avvicinati?",

Nulla di grave, .. c'è chi capisce Adorno (o crede di capirlo, dato che Popper ironicamente sostenenva che nemmeno Adorno, rileggendo, capiva quello che aveva scritto) ma non capisce una normale nidificazione di messaggi. E viceversa.

Si parlava di interessi (aziendalistici, di farsi gli affari propri etc) e tu ci trovi immediatamente un connotato ideologioco (il liberismo). Cosi' come qualcuno potrebbe trovare nel collettivismo un connotato ideologico socialista.
Nulla di piu' sbagliato. Solo chi è accecato dall'idoelogia puo' prendere simili lucciole per lanterne e sono d'accordo che una volta succedeva spesso, perchè le ideologie erano piu' dominanti. Nulla di strano che si trovino migliaia di libri.
Si trovano pero' anche miliaia di trattati sul sesso degli angeli ma questo non vuol dire che il tema fosse reale.

In realtà una ideologia è un insieme di idee (e di credenze) solitamente organizzato in un sistema più o meno coerente. Esso varia nel tempo, nello spazio. Popoli diversi e culture diverse hanno in tempi diversi varie ideologie. Alcune dominanti altre meno. Ma se non variasse nel tempo e nello spazio che razza di ideologia sarebbe? Non è meglio parlare di condizionene umana, a cui certe ideologie attingono per trarre maggior forza?

Io ritengo che nella natura umana (per nulla immutabile) ci siano diverse tendenze, a volte opposte e sicuramente in equilibrio dinamico e mutevole. Tra queste abbiamo la tendenza all'egoismo ed alla solidarietà. Cosi' come possiamo avere un equilibrio tra prede e predatori (in specie diverse) possiamo avere comportamenti diversi nella stessa specie e ci puo' essere un equilibrio (dico espressamete un equilibrio di Nash) tra questi comportamenti. A seconda delle condizioni economiche del momento questo equilibrio si sposta nel tempo verso un lato o verso l'altro; sicuramente abbiamo sostenitori di fronti opposti che propugnano la necessità del prevalere di opposte tendenze. Non è escluso che su questi fronti si cristallizzino fronti ideologici ma non dobbiamo confondere il dito con la luna.

Deideologizzando il tema possiamo scoprire molti di piu' di quanto l'ideologia ci abbia spacciato per buono nei secoli scorsi.

Il concetto di interesse (individuale o comune) è oggettivabile, tanto piu' se lo liberiamo dalle incrostazioni ideologiche che ci fanno (s)ragionare "a prescindere". Entrambi hanno ragioni oggettive di esistere, indipendentemente dalla idelogia che li sostienene.

Ciao,
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda pierodm il 08/09/2008, 15:51

Senza rileggere quello che ho scritto, sono certo di non aver mai alluso a quella ideologia, di cui si parlava, come liberismo: sicurezza che mi deriva dal non averlo mai pensato, e di ricordare benissimo lo snodo del discorso, per cui non avrei mai potuto fare una simile identificazione.

Comunque, trovo davvero strano che non si riesca a concordare sul fatto - piuttosto elementare ed evidente - che esite una solida "ideologia del senso comune" (se questa definizione mi viene passata per buona e sufficientemente rappresentativa).
Un'ideologia, s'intende, che non ha tanto lo scopo di creare un'architettura circa il senso comune in se stesso, ma che costituisce una base necessaria ad altre ideologie più strutturate: attraverso il qualunquismo, per esempio, è un gagliardo sostegno del fascismo, o almeno del peronismo e del paternalismo.

Ma è possibile vedere anche un complesso ideologico nella cultura diffusa e consolidata, che - come tu giustamente dici - cambia nel tempo, dando luogo a diverse e successive "opinioni pubbliche" e culture popolari.
Di questo si sono occupati in molti, sia come fenomeno in generale, sia di alcuni aspetti specifici del fenomeno stesso.
Una riflessione critica che ha permeato la gran parte della letteratura dei due secoli scorsi - dai romanzi borghesi di James ai grandi romanzieri russi, da Balzac a Zola, a Verga, a Kafka, da Mark Twain a Conrad, etc - oltre naturalmente a sociologi e filosofi.
Come esergo a questa infinita antologia si potrebbe stampare il grazioso pensierino di Verne, nel romanzo Dalla Terra alla Luna: "Gli ignoranti non si limitano a non sapere, ma sanno ciò che non è: e intorno alla Luna la sapevano lunga".
Verne è un po' velenosetto, ma c'è anche chi apprezza questa ignoranza enciclopedica.
Tuttavia il francese è un angioletto rispetto a Bertrand Russell, che ha dedicato tre quarti della propria opera divulgativa a demolire le ciclopiche cattedrali di questa mutevole e pure solidissima ideologia.

Ora, appare chiaro che - comunque la si voglia distendere o restringere - questa "ideologia del senso comune" è assai contigua a quella che continui a portare all'attenzione, ossia l'eterna condizione umana, non a caso anche questa perenne riferimento dello spiritualismo e del millenarismo di destra, oltre che necessaria premessa ideologica del pragmatismo aziendalista.
Quindi, è giusto tenere in bella considerazione la "condizione umana", ma non si capisce perché s'imporrebbe una scelta tra questa e il genere ideologico: non sono la stessa cosa, e non servono allo stesso scopo.

Oltre tutto, il paradosso è che tutto il tuo ragionamento è in se stesso ideologico.
Quello che tu trascuri è che il pensiero politico e sociale nasce esattamente nella forma che tu sostieni, ossia come riflessione sull'egoismo, sugli interessi, sui sentimenti, sulle penombre umane del potere, etc: a mano a mano la complessità ha generato categorie di pensiero diverse, così come dalle misurazioni dei campi della valle del Nilo si è evoluta la geometria, e dalla cosmogonia e dall'astrologia si è evoluto il pensiero scientifico.
Quelle che tu chiami, indiscriminatamente, "incrostazioni ideologiche", sono in gran parte il risultato della storia e della lunga esperienza delle vicende socio-politiche, che hanno creato dei valori e delle istituzioni, dei rapporti consolidati e una stratificazione degl'interessi. Una democrazia rappresentativa con un governo di venticinque ministeri non è esattamente una tribù aborigena condotta da uno sciamano - ammesso che una tribù sia riducible ad un puro gioco di opposti egoismi.
Un'evoluzione, quella, che non ha comunque cancellato la dimensione originaria, cioè "umana", ma ha distinto i due piani di conoscenza e di comunicazione, lasciando che la condizione umana fosse piena giurisdizione della creazione e della speculazione artistica.
Personalmente, poi, sono convinto che l'intuizione artistica, così come la percezione della condizione umana, siano capaci di condurre ad una conoscenza spesso assai più profonda e più tempestiva delle analisi delle pseudo-scienze sociologiche o politiche. Ma questo è un altro discorso.

In ultimo, ma proprio ultimo, è inutile affannarsi ad attribuirmi uno speciale amore - peggio ancora, una sottomissione - ad un'ideologia politica, diversa da quella che ho tante volte dichiarato, ossia quella del socialismo-liberale.
Un'ideologia, per altro, che non ho mai spostato pregiudizialmente, ma che risulta per così dire per esclusione, a posteriori, senza riuscire ad identificarmi pienamente.
Tanto per dirne una, il socialismo liberale appartiene ad un'epoca assai diversa da quella attuale, e ha un gran bisogno di essere adeguato ai tempi: non nel senso indicato dal blairismo, o dall'attuale PD, e men che mai dalle "maree" di Prodi, però.
Ma anche questo è un altro discorso.
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda Paolo65 il 08/09/2008, 16:31

Per me Prodi è un'ottima persona e sarebbe stato un ottimo ministro o un primo ministro in altri paesi.

Detto ciò Prodi ha fatto politica in Italia ed in una situazione politica che necessitava di altro che non la riedizione dell'Unione,la quale poteva andare bene nel 96(ma poi si è perso nel 2001)che però nel 2006 è stato un vero suicidio politico.

Sbagliare scelte poltiche di tale misura è innegabilmente grave,comunque la si voglia mettere.

Che poi, come vediamo, i suoi successori non siano delle aquile e stiano facendo dei disastri, anche se vero, non nasconde gli errori da lui fatti.

Paolo
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