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L'eredità che Prodi ci lascia

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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda lucameni il 02/09/2008, 22:57

Non so davvero quanto sia utile disquisire sulla correttezza o meno del termine "ideologico".
Se poi vi piace dibattere sulla questione fate pure.
Più interessante a mio avviso sarebbe andare alla sostanza di quelle che - tanto per cambiare - sono state tacciate di essere mie ossessioni: leggi ad personam, giustizia, politica e istituzioni proni ad interessi aziendali, furbizie e bugie dispensate a piene mani nel silenzio dei più.
Queste sono - sempre secondo mia modesta opinione - gli aspetti più inquietanti della nostra politica che, furbescamente, è riuscita a dissimulare il menefreghismo e la cattiva coscienza civile con una politica "del fare" (non a caso un superattivismo, non disgiunto da dosi massicce di demagogia e false informazioni, ha potuto diluire e far digerire i provvedimenti vergogna che stanno veramente a cuore al Cavaliere).
Fermo restando che proprio la concretezza è mancata al Cs.
Da qui la mia polemica con l'approccio "ideologico", prontamente corretto con matita blu dal forumista di turno.
Idelogico o non ideologico, sperando che siano redarguiti allora tutti coloro che preannunciavano nel PD un partito "post-ideologico", la mia speranza è che si vada alla sostanza dei problemi, e si continui a tenere vivo lo scandalo di quello che sta succedendo; malgrado questo possa "estenuare" pierodm.
Mi sa però sia speranza vana.
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda pierodm il 03/09/2008, 18:22

Caro Luca, visto che - come tu hai opportunamente ricordato - il nuovo partito Democratico ha voluto definirsi post-ideologico, disquisire su questo concetto mi sembra importante, anche se personalmente non ci tengo affatto, dato che la gran parte delle cose che si possono dire dovrebbero essere ovvie e scontate, almeno nella nostra parte progressista.
Se ci ritroviamo a discuteere di argomenti che dovrebbero considerarsi scontati, a sinistra, significa che c'è bisogno di rivedere alla radice anche quei concetti che consideravamo acquisiti: dunque non è il caso di farsi prendere dal nervosismo.
A meno che pensiamo che per rinnovare la politica e la società sia sufficiente inventarsi un paio di siglette "nuove" - che nuove nemmeno sono - e di emettere decreti per proclamare obsoleto questo o quello.

Quelle che tu elenchi non sono ossessioni, ma argomenti concreti e di sostanza, come ho già avuto modo di dire.
Ma il fatto stesso di elencare questo genere di cose, e non altre, è già segno di un quadro ideologico di riferimento, che tu evidentemente hai.

Il partito post-ideologico è una sciocchezza, della quale si fa fatica a capire le ragioni: per altro in questo partito confluiscono due o tre filoni culturali, dei quali solo uno sente il bisogno di dismettere ufficialmente la propria ideologia di riferimento, ossia quello socialista e marxista. I cattolici, post-democristiani, e i cosiddetti "laici" non dismettono niente, e anzi di questo e di altri argomenti correlati non parlano nemmeno.
Non voglio discutere se il socialismo e marxismo meritino di essere dismessi, ma voglio dire soltanto che un abito ideologico non si dismette come un costume da bagno o come una cravatta.
Inoltre, se si dismette un'ideologia, non può rimanere un vuoto, o una pagina bianca da scrivere navigando a vista: al di là della buona o cattiva volontà, al di là della coscienza, il vuoto viene automaticamente riempito da un insieme di valori e di idee che essi stessi saranno "ideologia", per quanto eterogenei o casuali essi siano, e per quanto "pragmatici" possano sembrare.

Quindi, la tua polemica non capisco perché sia indirizzata verso l'approccio ideologico - che per altro non riesco a vedere - mentre mi sembrerebbe assai più coerente che fosse rivolta verso l'approccio "fattivista", non solo di matrice berlusconiana, ma anche quello speculare d'ispirazione centrosinistrese.

Quanto a ciò che tu vivi come speranza, devo dire - per quello che vale - che è cosa ormai antica e, purtroppo, archiviata: negli anni scorsi mi è venuto uno sfogo alla pelle per contestare l'avvento di partiti e partitini post-ideologici, gli asinelli, i riformisti autoproclamati e tutti i tristissimi falsi nuovismi di moda, che giocavano con le sigle, mentre evitavano di affrontare, e perfino di nominare, i problemi effettivi del sistema italiano.
Solo un quadro ideologico forte consente di "andare al cuore dei problemi", come tu desideri.

Mentre scrivo, sto ascoltando un dibattito radiofonico sui petrolieri e sul prezzo della benzina.
Si dicono un sacco di belle cose, cose giuste, cose indignate, e si pongono diverse domande: tutte senza risposta.
Alla fine sembra che la soluzione del problema - anzi, il problema stesso - stia nel fatto che i petrolieri sono cattivi, nel senso che non rispettano l'etica del buon affarista.
Naturalmente, si tratta di un dibattito post-ideologico, ossia non si pronuncia mai la parola "capitalista", e quella di "speculazione" viene evocata solo come devianza e non come regola o come tendenza, per tacere di concetti più spericolati come colonialismo, oligopolio, sfruttamento, etc.
Se nel primo 800 ci fossero stati i dibattiti radiofonici, sicuramente sarebero stati proprio così, imperniati sula cattiveria degli uomini, sugli intraprenditori infedeli e sul destino cinico e baro - fatti salvi naturalmente i personaggi stravaganti, come certi socialisti romantici o certi scrittori, come Balzac, che nella Commedia Umana aveva già pizzicato nel sistema bancario i segni di un vizio di fondo, non casuale e in qualche modo intrinseco alla loro natura.

Voglio dire che abbiamo impiegato una trentina di secoli - facciamo venti, dai Gracchi in poi - per mettere insieme una visione ideologica di stampo liberale e socialista, e con questa abbiamo accompagnato la modernità, faticosamente combattendo.
Che facciamo, torniamo indietro ai re taumaturghi?
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda lucameni il 03/09/2008, 20:29

Basta intendersi sul significato delle parole.
Quando c'è stato da criticare pesantemente le posizioni della sinistra cosidetta "radicale", ad esempio nel campo dell'ordine pubblico, molti di noi h anno tirato fuori effettivamente il discorso del condizionamento ideologico non nel "fare" ma piuttosto nel "non fare".
Forse è modo di esprimersi un po' naif ma il concetto di condizionamento e di scarsa concretezza che volevamo esprimere credo sia chiaro.
Sicuramente il problema della presenza o mancanza di ideologia può essere interpretato in maniera esattamente opposta: per quanto sia gli interessi aziendalistici che condizionano le istituzioni, la legislazione, la vita politica - in fondo - a che "ideologia" possono essere avvicinati?
All'ideologia del "farsi gli affari propri"?
E che ideologia sarebbe mai?
Però ripeto: bisogna capirsi.
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda pierodm il 03/09/2008, 23:06

Domanda giusta e corretta: "...gli interessi aziendalistici che condizionano le istituzioni, la legislazione, la vita politica - in fondo - a che "ideologia" possono essere avvicinati?"
Per rispondere a questa domanda servirebbero - e sono stati scritti, in effetti - un centinaio di volumi, che hanno in comune come minimo il fatto che quelle cose da te nominate formano una robustissima e gagliardissima ideologia.
Anzi, l'ideoloogia più forte e più resistente che c'è.
Tanto forte che nemmeno si vede, e non vuole farsi riconoscere, per quello che è.
Un discorso che ci riporta, dritti dritti, alla questione del fascismo, e più complessivamente della destra storica, che emerge a rappresentarsi in forma ideologica solo raramente, e in via eccezionale, laddove in realtà si fonda su un complesso ideologico esistenzialistico, e millenaristico, centrato sull'esistente e su quella che in altra occasione abbiamo discusso come "l'eterna condizione umana" - e che per questa ragione tendo sempre a bloccare, come itinerario intellettuale assai rischioso.

"Farsi gli affari propri", è già in sè un modulo ideologico, ma soprattutto rientra in un quadro ideologico molto più ampio, ed è uno dei valori (o disvalori) che più ricorrono nell'epopea dell'eterna condizione umana: un'epopea assolutamente vera, realistica, questo è il punto, e questa è la forza della destra, la sua indistruttibilità.
A ben guardare, lo stesso liberalismo trae la propria forza, e il proprio tasso di realismo - se raffrontato al socialismo - dall'accettazione in chiave ideologica di alcuni valori tipici della destra, tra i quali esattamente gli "affari propri", ossia l'egoismo e l'avidità di guadagno, solidamente ìnsiti nella natura umana.
Per questa ragione, non solo i liberali classici avevano già preavvertito i pericoli dell'integralismo liberista e capitalista, ma l'avanzamento stesso della democrazia moderna ha dovuto attingere al concorso politico del socialismo e della socialdemocrazia.
Oggi diamo per scontao che le nostre libertà siano "democratiche" come per un corso naturale della società delle istituzioni liberali, ma le cose non stano affato così.
Prima che le lotte sindacali e il socialismo diventassero un potere culturale e politico, il liberalismo non era stato capace, da solo, di creare altro che una società classista e oligarchica, dominata dal censo e dalla discriminazione: un grande progresso, certamente, rispetto all'ancien regime, ma una democrazia tuttavia molto imperfetta.

La taglio qui, per dire che queste sono, per grandi linee, le ragioni storiche e ideologiche che rendono assai stravagante la dismissione di certe ispirazioni ideologiche, o l'abiura progressista ad avere un quadro ideologico di riferimento.
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda lucameni il 03/09/2008, 23:28

Immaginavo una replica che facesse riferimento al liberalismo.
Ma andiamo ai fatti.
Vi pare che Berlusconi sia un campione di un "liberalismo", seppur spurio, attualizzato?
A me pare il campione di ben altro; e non lo dico per non subire gli strali della moderazione.
Mi sembra semmai che l'analisi debba andare a quel fondo mai morto di fascismo che ha caratterizzato la vita (in)civile italiana.
Fascismo è parola abusata ed usata a sproposito per delegittimare gli avversari, e per questo ha perso molto del suo significato, ma se intesa non soltanto riferito al periodo del ventennio, ma come quel desiderio molto italiano di essere comandati e non governati, allora ci può stare.
Da notare che i più feroci critici del fenomeno berlusconi sono gli esponenti liberaldemocratici stranieri: la cosa dovrebbe far pensare.
Con gli usurpatori non si ha alcuna indulgenza.
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Il bue che dà del cornuto all'asino

Messaggioda franz il 04/09/2008, 8:31

pierodm ha scritto:Per rispondere a questa domanda servirebbero - e sono stati scritti, in effetti - un centinaio di volumi, che hanno in comune come minimo il fatto che quelle cose da te nominate formano una robustissima e gagliardissima ideologia.
Anzi, l'ideoloogia più forte e più resistente che c'è.
[...]
Prima che le lotte sindacali e il socialismo diventassero un potere culturale e politico, il liberalismo non era stato capace, da solo, di creare altro che una società classista e oligarchica, dominata dal censo e dalla discriminazione: un grande progresso, certamente, rispetto all'ancien regime, ma una democrazia tuttavia molto imperfetta..

A parte la confusione tra liberismo e liberalismo il centinaio di volumi sono in gran parte stati scritti da detentori di una diversa ideologia che tendeva ad una società non libera per cui in soldoni molte volte si legge del bue che dà del cornuto all'asino.

Il liberalismo interviene proprio per spezzare la società oligarchica e classista e dominata dal censo, eredità del medioevo. Probabilmente questo non sta scritto nel centinaio di volumi a cui alludi ma ciò non vuol dire che la realtà non possa essere diversa da quella a cui la tua fede ideologica ti fa credere o ritenere vero. Il liberalismo è stato capace dove ovviamente c'erano le condizioni per farlo. Dove lo ha fatto (dove la rivoluzione industriale si è sviluppata prima) ha reso possibile poi lo sviluppo anche del sindacalismo e della socialdemocrazia. Dove non lo ha fatto perché le condizioni economiche e sociali non erano ancora sviluppate e qualcuno ha avuto la brillante idea di bruciare le tappe vero il sol dell'avvenire abbiamo assistito ai piu' drammatici ed atroci esperimenti di illiberalità, con decine milioni di morti. Ed abbiamo scoperto alla fine che queste società erano dopo 70 anni ancora oligarchiche e organizzate per classi, dove la classe dominante era quella con in tasca una certa tessera di partito.

Anzi potremmo dire che dove il liberalismo si è ben sviluppato (come a dire Germania e Regno Unito per fare due esempi chiari) abbiamo quei "paesi normali" che tanto piacciono a D'Alema, con centrodestra e centrosinistra decenti e presentabili, in cui gli aspetti ideologici sono di basso profilo, quelli dogmatici sono quasi inesistenti e dove il pragmatismo prevale. Dove non si è sviluppato, come in Italia, abbiamo destre e sinistre atipiche, prevale la illiberalità estrema ed ideologica-dogmatica (fascismo e comunismo) a logica dello scontro, dell'antagonismo, delle ideologie dogmatiche. Tutto questo a mio modo di vedere è collegato alla qualità formativa e culturale del popolo. Piu' si tende verso la cultura e diminuisce l'ignoranza, minori sono gli aspetti dogmatici, minore è il ricorso alla logica dello scontro, del conflitto, della violenza.

Non possiamo quindi prendere l'Italia come base per una critica al liberismo o al liberalismo (infatti in Italia non è mai esistito un grande partito liberale). Vedendo quanti italiani emigrano in germania o negli altri paesi "normali" e liberali (e non viceversa) per trovare quel lavoro che da noi scarseggia direi che dovremmo limitarci a criticare la nostra condizione e prendere atto che da noi piu' che elementi di socialismo (come proponeva Berlinguer) dovremmo proporci di inserire nella società elementi di quel liberalismo che manca e mai abbiamo visto alle nostre latitudini.

Tanto per spezzare quella società italiana classista, oligarchica, suddivisa in corporazioni, gestita con il clientelismo e la raccomandazione che il fascismo ha coltivato, la DC ha perpetuato e che in buona sostanza anche la sinistra ha cavalcato per gestire le sue rendite di posizione.

A me pare che Prodi abbia fatto molto (e qui sta anche la sua eredità) nella direzione della introduzione nella società di elementi "temperati" di liberalismo e capisco che questo non sia affatto piaciuto al quel tipo di destra corporativo-fascista ed a quel tipo di sinistra radica-comunista che hanno entrambe in comune una forte allergia per il pensiero liberale vero.

Ciao,
Franz
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda pierodm il 04/09/2008, 14:02

Caro Franz, mi ero ripromesso di non polemizzare più con te, non per dispetto, ma perché l'abbiamo fatto così tante volte che ormai non rimane più niente da dirci reciprocamente.
Ma per rispetto all'argomento, è necessario precisare alcune cose.

Innanzi tutto, non c'è alcuna confusione tra liberalismo e liberismo, se si vuole leggere con un minimo di attenzione. Ma non è importante.
Per quanto riguarda i cento volumi, ci sono due cose principali da dire.

La prima, che una grande parte dei volumi - per dire di letteratura varia sull'argomento - sono di provenienza la più varia che si possa immaginare, ben lontani dunque da quella omogenea appartenenza "ideologica" di sinistra marxista che tu evochi: vero è che, d'altra parte, la cultura europea più attiva sia di taglio progressista, in senso lato, da almeno un paio di secoli, ma questa "egemonia" non è colpa di nessuno, e anzi non è nemmeno una colpa, ma semmai una virtù della quale essere contenti.
Oltre tutto, non facevo riferimento a volumi che inneggiassero al marxismo contrapposto al liberalismo, o roba del genere, ma semplicemente al fatto che si è ampiamente trattato delle ideologie sottese alla società industriale, alla cultura aziendalista e al qualunquismo degli "affari propri". Un'analisi critica che non necessariamente è conformata al marxismo, ma che ha sicuramente tratto dal marxismo molti spunti interessanti, com'è logico che sia di fronte alla principale analisi moderna della società industriale.
L'ossessione anti-socialista, tra gli altri effetti surreali e negativi, ha quello di impedire una coscienza serena della cultura occidentale, spingendo ad un manicheismo esasperato, anche quando non se ne vede alcun motivo.

La seconda, che ci riporta ad una decina d'anni fa, e precisamente ad un argomento che allora tu condividevi ampiamente - e dieci anni non contano nulla, visto che si tratta di una panoramica storica e non di una cronaca politica.
In quel periodo proponevo la stessa visione di un liberalismo che aveva trovato nel socialismo e nella socialdemocrazia un'essenziale concorrenza d'intenti verso la democrazia, al punto che le moderne democrazie possono a giusta ragione essere definite come "liberal-socialiste".
Mi sembra curioso spingere la riscrittura della storia fino a ricomprendere gli ultimi due secoli, a costo di rinnegare le proprie stesse idee.

Due parole sl liberalismo e le oligarchie.
Il censo come criterio di appartenenza sociale non è un'eredità del medioevo, ma semmai della società romana, transitata nelle epoche successive intrecciata ai temi della casta e dell'aristocrazia di sangue, il sistema feudale, etc.
Il liberalismo ha rotto questo complesso sistema sul piano ideale e su quello istituzionale, ma non su quello socio-economico: per lungo tempo la società liberale è stata una società borghese, fondata sul censo acquisito, oltre che su quello ereditario e aristocratico, ma con una platea elettorale, detentrice dei pieni diritti politici, assai ristretta.
La lotta per i diritti civili, per il suffragio universale, per un significativo avanzamento della giustizia sociale, etc, è durata più di cent'anni, intrecciandosi con le lotte sindacali e una progressiva cosceinza politica popolare d'ispirazione prevalentemente socialista.
Sulla visione che proponi - "dove la rivoluzione industriale si è sviluppata prima ha reso possibile poi lo sviluppo anche del sindacalismo e della socialdemocrazia " - sarebbe giusto stendere un velo di silenziosa riservatezza: non perchè sia scorretta la necessità di vedere un legame tra il sistema industriale e lo sviluppo della democrazia, ma perché far discendere dallo sfruttamento le lotte sociali, come se fosse una sua virtù, appare piuttosto stravagante.
Diciamo che, se una simile proposta venisse dalla destra più conservatrice, sarebbe presa come una sgradevole battuta di spirito.

Sul sovietismo e sul maoismo parliamo in qualche altro momento.

Il paragone tra l'Italia e altri paesi mi lascia interdetto.
La carenza di liberalismo è indubitabile, e anche io la vedo come una delle cause principali che caratterizzano la politica e la storia italiana moderna.
Ma farne una questione di dogmatismo fascista e comunista è francamente inaccettabile, o come minimo assolutamente discutibile.
Innanzi tutto è assurdo mettere sullo stesso piano il comunismo italiano con il fascismo: una roba degna di Berlusconi, ammesso che ci creda davvero quando ne parla.
Poi rimane da decidere cosa fare con il nazismo, che collima poco con la mitteleuropa "liberale" da te prospettata.
Infine ci stiamo dimenticando della Spagna, del Portogallo, della Grecia, della stessa Francia, ossia di quell'Europa cattolica e mediterranea, che ha subito i contraccolpi della Controriforma tridentina, o che ha avuto una fortissima pressione ottomana, vale a dire di due potenti integralismi religiosi e culturali.
Faremmo prima a dire, in realtà, che la "società del diritto" è ristretta storicamente al nord Europa luterano e calvinista, senza dimenticare che per capire fino in fondo le modalità e le ragioni dello sviluppo di certe nazioni bisogna mettere nel conto anche le vicende coloniali e certi flussi di geo-politica tutt'altro che marginali.
Che il lberalismo non sia facilmente esportabile è cosa ovvia e storicamente verificata: ma come la mettiamo con l'Irak, che è stato invaso in nome dell'esportazione della democrazia, con tua somma approvazione?

Venendo alle nostre pratiche questioncelle, dici bene: l'Italia ha bisogno di una buona cultura liberale. Lo penso da sempre.
Per quello che ne so - nel senso che l'ho vissuto - la vera e unica "rivoluzione liberale" che abbiamo conosciuto è stata quella portata dalla sinistra, se per liberale intendiamo coscienza politica, interesse dei cittadini per la cosa pubblica, per i diritti individuali, per la liberazione dal clericalismo, etc.
Le grandi lotte per i diritti civili dei radicali, per esempio, hanno potuto avere successo, o comunque un grande seguito, solo grazie al vasto elettorato di sinistra, ossia a quel "popolo intelligente" vantato da Pasolini.
Però, stiamo vedendo che essere genericamente "liberali" non basta, oggi come due secoli fa, nemmeno in quei paesi che più o meno hanno una consolidata (ma non sempre cristallina) cultura storicamente liberale.
Insieme alla cultura, o all'abitudine, liberaleggiante serve anche la coscienza e la tradizione socialista, che rispetta quella formazione delle democrazie moderne che abbiamo appunto definito liberal-socialiste.
La polemichetta, ormai francamente pretestuosa, sul tasso di dogmatismo o di pragmatismo che mira ad appiccicare alla sola base ideologica di sinistra i limiti di una scarsa efficacia programmatica, questa polemichetta è veramente di consumata retroguardia: una polemichetta, questa sì, sostanzialmente dogmatica e ideologica.
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda franz il 04/09/2008, 16:25

pierodm ha scritto:Caro Franz, mi ero ripromesso di non polemizzare più con te, non per dispetto, ma perché l'abbiamo fatto così tante volte che ormai non rimane più niente da dirci reciprocamente.
Ma per rispetto all'argomento, è necessario precisare alcune cose.

Innanzi tutto, non c'è alcuna confusione tra liberalismo e liberismo, se si vuole leggere con un minimo di attenzione. Ma non è importante.
Per quanto riguarda i cento volumi, ci sono due cose principali da dire.

La prima, che una grande parte dei volumi - per dire di letteratura varia sull'argomento - sono di provenienza la più varia che si possa immaginare,...

Caro Piero,
mi riprometto anche io di non polemizzare (cosa del tutto inutile tra noi che ci conosciamo mi pare dal 1997 o forse anche prima) ma non di cessare di discutere. Sui 100 volumi fintanto che non mi indichi i dettagli (titoli, autori ... sperando che li abbi letti anche io oppure attendendo che lo faccia) è chiaro che stiamo discutendo di sesso degli angeli. Che senso avrebbe da parte tua e/o mia affermare che esistono centinaia di libri che sostengono le ragioni dell'uno o dell'altro?
Ti sembra una argomantazione consistente? Che faacciamo? Ti consiglio 100 tomi avversi e asopetto che tu li legga?
Beh, io mi riferisco per esempio a Popper in "miseria dello storicismo" (titolo ovviamente ispirato alla diatriba tra marx e proudhon suilla folosofia della miseria e la miseria della filosofia) e quello mi basta ed avanza, anche se so che ce ne sono centinaia e migliaia di altri altrettanto validi. Che poi le critiche al liberisimo siano anche presenti in ogni campo la cosa è nota, cosi' come è noto che anche la critica al comunismo ed al socialismo (ed ora anche alla socialdemocrazia) sono presenti anche a sinistra, anzi sono le piu' feroci, nel senso che le piu' feroci critiche incrociate e reciproche sono sempre state tra socialisti, comunisti, socialdemocratici.

Detto questo prima o poi apriremo un forum stile "caffé" dove filosofeggiare in modo positivo e costruttivo ma per ora stavamo discutendo dell'eredità di Prodi, non dell'eredità romana o medioevale (in realtà la società basata sulle classi è un portato delle società agricole, quindi da 9'000 anni a questa parte).
Sono convinto che possibile mantenere la discusione sul piano della concretezza pur rimanendo a livelli elevati di qualità.

Ciao,
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda l.fustinoni il 05/09/2008, 12:21

"Questo genere di ragionamenti ha un solo, principale limite: quello di perpetuare, anzi di dilatare fino a farne un modus operandi, la frenetica e catastrofica tendenza degli anni passati a cercare la soluzione nella geometria delle alleanze e delle sigle, invece che nei contenuti in relazione ai problemi della società italiana".

Rispondo a pierodm: è vero che la soluzione dei problemi non sta nelle geometrie o nelle alleanze... si devono affronatre i problemi, parlare di contenuti. Riprendo le parole di pierodm: questo (suo) genere di ragionamenti ha un grande kimite, tutto italiano, quello di palare di tanti progetti e poi di non riuscire mai a realizzarli, perchè quando anche si vince alle elezioni ci si trova a dovere gestire delle "geometrie e delle alleanze" strampalate che non portano a nulla. E' successo due volte che il CS avendo vinto le elezioni è stato mandato a casa dai suoi alleati (dopo aver governato a fatica, perchè avanzava su una macchina con geometrie sghimbesce).

Le geometrie e le alleanze non sono la sostanza della politica, ma lo strumento, il contenitore senza il quale, anche le migliori idee ed i migliori progetti non trovano possibilità di realizzazione. La prova è anche ora.. abbiamo perso le elezioni, e non siamo nemmeno capaci di gestire l'opposizione, cosa nettamente più facile che il governare.

Prima di andare alla guerra (anche con le migliori intenzioni e le migliori armi) è necessario programmare la logistica e la strategia. Se non si fa, si continuerà a perdere.
Ora il PD è un fatto. Prendiamone pure atto, ma ricostruiamo intorno al PD, soprattutto a destra del PD, uno schieramento solido, delle alleanze basate su idee e programmi (certamente non solo degli schemi geometrici). Rifacciamo l'Ulivo, partendo dal PD. Al PD da solo mancherà sempre quella percentuale di consenso popolare che permette di vincere le elezioni e perciò di contare. In politica sempre, ma oggi più che nel passato, o si governa o si ha la forza di mandare a casa chi governa.. altrimenti non si conta nulla. Per vincere bisogns ricostruire "uno schieramento" che avendo le idee giuste, abbia anche la forza dei numeri e la organizzazione per vincere.

Luciano Fustinoni
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Re: L'eredità che Prodi ci lascia

Messaggioda pierodm il 05/09/2008, 17:39

Come dice Luciano, i miei ragionamenti hanno dei limiti.
Ma non credo che siano quelli che lui indica: presonalmente, non ho mai creduto al "progettismo", e alla finzione delle "fabbriche dei programmi" che sfornano volumetti di centinaia di pagine.
Nella politica, come nella vita individuale, ho sempre pensato che conti principalmente "il soggetto", la sua identità, la sua natura, per sapere e capire: i "fatti", le azioni sono spesso banali, ossia non così diversi l'uno dall'altro quanto lo sono le reali diversità dei soggetti, e quindi delle sensibilità, delle necessità, delle condizioni esistenziali delle persone.

Per quanto riguarda le geometrie - e di tutta intera la cucina politicante - io non penso che sia una funzione marginale.
Ma è certamente una funzione strumentale, ossia subordinata agli obiettivi, e quindi subordinata alle scelte politiche che determinano tali obiettivi - come si vede mi mantengo nel generico, non parlo di "ideologia".

Quello che rimprovero - non da ora - al centro-sinistra non è tanto e soltanto di aver privilegiato le geometrie a danno della sostanza, per di più in assenza di una sostanza in qualche modo consolidata o perfino obsoleta, come poteva essere per i partiti della sinistra della prima repubblica. In pratica, di aver così eletto il metodo a sostanza.
Io rimprovero al centro-sinistra anche di non aver saputo, almeno, elaborare e condurre nel modo più efficace questo aspetto strumentale: insomma, di essere diventati neo-pragmatici, ma di non essere stati capci di condurre una prassi efficace, di aver seguito ottusamente le movenze berlusconiane, di aver dimostrato un esagerato provincialismo culturale, inseguendo certi moduli politici anglosassoni, etc.

I Cento Libri - per Franz.
Dicevo cento, per dire mille o diecimila: in realtà volevo alludere all'intera letteratura moderna, di genere politico ma non solo.
Il tema era: la presunta assenza d'ideologia nella "vita comune", nel qualunquismo, in chi sembra limitarsi agli "affari propri", e la conseguenza correlata per cui si parla di ideologia come se questa fosse un ghiribizzo tipico della sinistra, ovviamente "utopica".
Non ho libri-guida di carattere politico o sociologico: se proprio devo indicarne qualcuno vado, in genere, su Conrad e Nietzsche, su Pasolini e Tolstoj, ma non è questo che mi veniva chiesto, e capisco che non è roba che serve allo scopo, e in effetti non li ricomprendevo nei Cento Volumi - insomma, non proprio.
L'unica cosa sensata, a questo punto, è di invitare i curiosi a digitare "ideologia" e andare sulle voci relative in wikipedia: si schiuderà un vigoroso panorama bibliografico, saggistico e letterario, in grado di spiegare come e quanto sia stato discusso e analizzato in materia di "ideologia del senso comune", oltre naturalmente alla serie delle ideologie variamente catalogate in veste dichiaratamente politica.
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