da pierodm il 04/09/2008, 14:02
Caro Franz, mi ero ripromesso di non polemizzare più con te, non per dispetto, ma perché l'abbiamo fatto così tante volte che ormai non rimane più niente da dirci reciprocamente.
Ma per rispetto all'argomento, è necessario precisare alcune cose.
Innanzi tutto, non c'è alcuna confusione tra liberalismo e liberismo, se si vuole leggere con un minimo di attenzione. Ma non è importante.
Per quanto riguarda i cento volumi, ci sono due cose principali da dire.
La prima, che una grande parte dei volumi - per dire di letteratura varia sull'argomento - sono di provenienza la più varia che si possa immaginare, ben lontani dunque da quella omogenea appartenenza "ideologica" di sinistra marxista che tu evochi: vero è che, d'altra parte, la cultura europea più attiva sia di taglio progressista, in senso lato, da almeno un paio di secoli, ma questa "egemonia" non è colpa di nessuno, e anzi non è nemmeno una colpa, ma semmai una virtù della quale essere contenti.
Oltre tutto, non facevo riferimento a volumi che inneggiassero al marxismo contrapposto al liberalismo, o roba del genere, ma semplicemente al fatto che si è ampiamente trattato delle ideologie sottese alla società industriale, alla cultura aziendalista e al qualunquismo degli "affari propri". Un'analisi critica che non necessariamente è conformata al marxismo, ma che ha sicuramente tratto dal marxismo molti spunti interessanti, com'è logico che sia di fronte alla principale analisi moderna della società industriale.
L'ossessione anti-socialista, tra gli altri effetti surreali e negativi, ha quello di impedire una coscienza serena della cultura occidentale, spingendo ad un manicheismo esasperato, anche quando non se ne vede alcun motivo.
La seconda, che ci riporta ad una decina d'anni fa, e precisamente ad un argomento che allora tu condividevi ampiamente - e dieci anni non contano nulla, visto che si tratta di una panoramica storica e non di una cronaca politica.
In quel periodo proponevo la stessa visione di un liberalismo che aveva trovato nel socialismo e nella socialdemocrazia un'essenziale concorrenza d'intenti verso la democrazia, al punto che le moderne democrazie possono a giusta ragione essere definite come "liberal-socialiste".
Mi sembra curioso spingere la riscrittura della storia fino a ricomprendere gli ultimi due secoli, a costo di rinnegare le proprie stesse idee.
Due parole sl liberalismo e le oligarchie.
Il censo come criterio di appartenenza sociale non è un'eredità del medioevo, ma semmai della società romana, transitata nelle epoche successive intrecciata ai temi della casta e dell'aristocrazia di sangue, il sistema feudale, etc.
Il liberalismo ha rotto questo complesso sistema sul piano ideale e su quello istituzionale, ma non su quello socio-economico: per lungo tempo la società liberale è stata una società borghese, fondata sul censo acquisito, oltre che su quello ereditario e aristocratico, ma con una platea elettorale, detentrice dei pieni diritti politici, assai ristretta.
La lotta per i diritti civili, per il suffragio universale, per un significativo avanzamento della giustizia sociale, etc, è durata più di cent'anni, intrecciandosi con le lotte sindacali e una progressiva cosceinza politica popolare d'ispirazione prevalentemente socialista.
Sulla visione che proponi - "dove la rivoluzione industriale si è sviluppata prima ha reso possibile poi lo sviluppo anche del sindacalismo e della socialdemocrazia " - sarebbe giusto stendere un velo di silenziosa riservatezza: non perchè sia scorretta la necessità di vedere un legame tra il sistema industriale e lo sviluppo della democrazia, ma perché far discendere dallo sfruttamento le lotte sociali, come se fosse una sua virtù, appare piuttosto stravagante.
Diciamo che, se una simile proposta venisse dalla destra più conservatrice, sarebbe presa come una sgradevole battuta di spirito.
Sul sovietismo e sul maoismo parliamo in qualche altro momento.
Il paragone tra l'Italia e altri paesi mi lascia interdetto.
La carenza di liberalismo è indubitabile, e anche io la vedo come una delle cause principali che caratterizzano la politica e la storia italiana moderna.
Ma farne una questione di dogmatismo fascista e comunista è francamente inaccettabile, o come minimo assolutamente discutibile.
Innanzi tutto è assurdo mettere sullo stesso piano il comunismo italiano con il fascismo: una roba degna di Berlusconi, ammesso che ci creda davvero quando ne parla.
Poi rimane da decidere cosa fare con il nazismo, che collima poco con la mitteleuropa "liberale" da te prospettata.
Infine ci stiamo dimenticando della Spagna, del Portogallo, della Grecia, della stessa Francia, ossia di quell'Europa cattolica e mediterranea, che ha subito i contraccolpi della Controriforma tridentina, o che ha avuto una fortissima pressione ottomana, vale a dire di due potenti integralismi religiosi e culturali.
Faremmo prima a dire, in realtà, che la "società del diritto" è ristretta storicamente al nord Europa luterano e calvinista, senza dimenticare che per capire fino in fondo le modalità e le ragioni dello sviluppo di certe nazioni bisogna mettere nel conto anche le vicende coloniali e certi flussi di geo-politica tutt'altro che marginali.
Che il lberalismo non sia facilmente esportabile è cosa ovvia e storicamente verificata: ma come la mettiamo con l'Irak, che è stato invaso in nome dell'esportazione della democrazia, con tua somma approvazione?
Venendo alle nostre pratiche questioncelle, dici bene: l'Italia ha bisogno di una buona cultura liberale. Lo penso da sempre.
Per quello che ne so - nel senso che l'ho vissuto - la vera e unica "rivoluzione liberale" che abbiamo conosciuto è stata quella portata dalla sinistra, se per liberale intendiamo coscienza politica, interesse dei cittadini per la cosa pubblica, per i diritti individuali, per la liberazione dal clericalismo, etc.
Le grandi lotte per i diritti civili dei radicali, per esempio, hanno potuto avere successo, o comunque un grande seguito, solo grazie al vasto elettorato di sinistra, ossia a quel "popolo intelligente" vantato da Pasolini.
Però, stiamo vedendo che essere genericamente "liberali" non basta, oggi come due secoli fa, nemmeno in quei paesi che più o meno hanno una consolidata (ma non sempre cristallina) cultura storicamente liberale.
Insieme alla cultura, o all'abitudine, liberaleggiante serve anche la coscienza e la tradizione socialista, che rispetta quella formazione delle democrazie moderne che abbiamo appunto definito liberal-socialiste.
La polemichetta, ormai francamente pretestuosa, sul tasso di dogmatismo o di pragmatismo che mira ad appiccicare alla sola base ideologica di sinistra i limiti di una scarsa efficacia programmatica, questa polemichetta è veramente di consumata retroguardia: una polemichetta, questa sì, sostanzialmente dogmatica e ideologica.