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Perché gli stranieri non investono

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Perché gli stranieri non investono

Messaggioda franz il 14/02/2012, 12:21

Permessi, burocrazia, regole incerte
Perché gli stranieri non investono

Nel 2011 taglio del 53%. La presenza internazionale in Italia vale 337 miliardi di dollari

A confronto, il calo del reddito nazionale tra l'1 e il 2% previsto per il 2012 sembra un'inezia. Perché quello di cui parliamo ora vale - in termini percentuali - 35 volte tanto. E' il crollo del 53% degli investimenti diretti esteri entrati in Italia nel 2011: in termini assoluti non sono naturalmente i maxinumeri del Pil, ma il loro peso vale comunque molto, anche come volano dell'economia. Il calcolo - quel dimezzamento in soli dodici mesi - arriva da chi dell'argomento se ne intende: il Comitato investitori esteri di Confindustria, un «club» di oltre ottanta aziende internazionali, dalla «corporate America» al «made in Germany».

Ma se quel -53% fosse solo una sorta di contingenza, un numero particolarmente duro perché riferito a un anno - il 2011 - altrettanto difficile per l'Italia? Purtroppo non è così. In base a dati Ocse, l'Italia è penultima in Europa - davanti solo alla Grecia - nella classifica di chi tra il 2001 e il 2010 ha incamerato maggiori investimenti esteri. La «hit parade» abbraccia tutti i Paesi europei dell'Ocse e ne calcola il rapporto medio tra investimenti esteri in entrata e Pil nell'ultimo decennio. Che l'Italia, con il suo 1,2%, viaggi diverse lunghezze dietro Regno Unito (4%) e Spagna (3,2%), non è una particolare sorpresa. Ma a batterci sono anche altri Paesi dal curriculum economico meno internazionale del nostro, almeno fino a qualche decennio fa: ci sono il 13,6% dell'Irlanda, il 9,9% dell'Estonia, il 6,9% della Slovacchia, il 4,3% dell'Ungheria e il 2,4% del Portogallo.

Bisogna superare «gli impedimenti burocratici e di altra natura» che frenano gli investimenti stranieri nel nostro Paese: investimenti che invece possono essere un elemento di sviluppo e fornire un «contributo anche in termini di occupazione giovanile» ha detto ieri il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Dietro l'allarme del Quirinale non c'è solo quel -53% già segnalato sopra, ma anche il suo paragone - quasi impietoso - con la tenuta degli investimenti diretti esteri in Francia, invariati tra il 2010 (l'anno del rimbalzo dopo la grande recessione) e il 2011 (l'anno della nuova crisi). Eppure anche la Francia ha incassato gli scossoni - per quanto minori dei nostri - della crisi del debito mediterraneo. Eppure la Francia non è il primo Paese che viene in mente quando si parla di economia aperta al mondo. Nonostante gli «eppure», però, tra Ventimiglia e Mentone la distanza si è allungata.

Che cosa non va in Italia? Che cosa tiene lontane molte aziende straniere? Da noi «c'è una sostanziale inaffidabilità delle procedure amministrative. Entri in un Paese dove sai come stanno le cose oggi, ma tra sei mesi possono andare in un modo completamente diverso. Ci vuole un sacco di tempo per mettere in piedi un nuovo impianto»: sono le parole di Carlo Scarpa, docente di economia e politica industriale all'università di Brescia e redattore di lavoce.info .

E allora? Per Scarpa bisogna arrivare a «una riforma della pubblica amministrazione che convinca gli investitori che siamo un Paese normale». E, probabilmente, non la stessa nazione dipinta dalle classifiche della Banca mondiale sulle procedure fiscali: siamo 128esimi su 183 nel «ranking» sulla semplicità dei pagamenti, 49esimi nel numero di versamenti, 123esimi nella durata della procedura. E lo stock totale di investimenti stranieri vale circa 337 miliardi di dollari, contro i 614 della Spagna, i 674 della Germania, i mille miliardi e passa della Francia e i quasi 1.100 del Regno Unito.

A perdere nel confronto internazionale, poi, non è solo l'Italia in generale, ma anche la sua zona più «dinamica» e internazionale, la Lombardia. Prendiamo la percentuale di addetti nelle imprese a partecipazione estera sul totale della forza lavoro: la regione della capitale economica nazionale si porta a casa un 9,2% che è sì il più alto d'Italia ma è anche la metà dell'Ile-de-France (Parigi e dintorni) e della Comunidad de Madrid. E se Parigi è pur sempre Parigi e Madrid, nonostante la crisi, è pur sempre Madrid, a battere la Lombardia ci si è messa anche la regione francese di Rodano-Alpi: ben lontana dal fulcro parigino, eppure sempre più internazionale della Lombardia, battuta 10,6 a 9,2.
Peccato, perché - secondo i calcoli riportati da Confindustria - ogni 10 miliardi di euro di investimenti esteri che entrano in Italia, si crea un valore aggiunto diretto di 2,5 miliardi l'anno. E - last but (assolutamente) not least - germoglia un nuovo +0,23% di crescita strutturale annua del Pil. Grazie soprattutto a chi investe ex novo, più che a chi semplicemente acquisisce.

Per attirare più investimenti c'è chi chiede più certezze, ma anche chi suggerisce meno tasse e più incentivi per le attività di ricerca e sviluppo, così da calamitare dall'estero anche il «cuore nobile» di tante aziende. Che, però, si scoraggiano anche per un altro motivo, più immediato e «popolare»: siamo un Paese di poeti, ma non di scienziati. In Italia nel 2010 sarebbero mancati all'appello 19.700 ingegneri, 14.600 laureati in economia o statistica e 7.800 profili medico-sanitari: è la differenza tra il numero di laureati che le imprese volevano assumere nel 2010 e quanti sono effettivamente usciti da quelle facoltà l'anno precedente. I numeri (un'elaborazione di Confindustria su dati Eurostat) si rovesciano sulle specializzazioni letterarie (10.200 diplomi «di troppo») e politico sociali (-15.100). La conclusione: perché un'impresa tedesca di turbine dovrebbe investire in Italia se - a quanto sembra - c'è il rischio di non trovare gli ingegneri adatti?

Giovanni Stringa 14 febbraio 2012 | 8:16
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Re: Perché gli stranieri non investono

Messaggioda flaviomob il 14/02/2012, 13:09

Difficile investire in un paese a rischio fallimento. Difficile aver fiducia in un paese dove la corruzione è alle stelle, se vuoi avere un appalto pubblico rischi di rimanere fuori perché non sei "amico di...", se apri un'impresa onesta ti trovi in concorrenza con imprese che non pagano contributi, assumono in nero, eludono. Difficile pensare di comprare azioni di una Spa italiana che potrebbero diventare carta straccia perché i bilanci potrebbero essere falsi, dato che non è più reato dal 2002 il falso in bilancio e i processi sono a rischio di prescrizione. Ma c'è un'altra particolarità patologica del sistema italiano. I maggiori contenziosi non riguardano infatti i licenziamenti di dipendenti impugnati per l'articolo 18, ma i licenziamenti di costosissimi dirigenti. In USA e in tutta Europa è pacifico che un dirigente che non ottiene i risultati promessi viene congedato senza tanti fronzoli: sono ben pagati e sono i responsabili in primis del buon funzionamento dei settori loro affidati. In Italia non è così, le norme sono fumose e spesso filiali italiane di aziende straniere si trovano condannate a pagare indennizzi astronomici (perché un indennizzo, poniamo, di 24 mensilità di un dirigente può consistere in centinaia di migliaia di euro) semplicemente perché non gli hanno mandato una lettera di contestazione scritta in un certo modo, o entro una certa scadenza temporale.


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Re: Perché gli stranieri non investono

Messaggioda franz il 14/02/2012, 15:06

tutto vero, ma diro' di piu'.
Non per parlare sempre di soldi ma di solito uno quando investe guarda anche alla redditività ed alle imposte.
La burocrazia statale diventa un peso per le aziende e questo si trasforma in costi (personale per ottemperare agli adempimenti, consulenze per capire bene come muoversi per non fare errori, cause interminabili in caso di conflitti).
Questo aumenta le spese e diminuisce l'utile. Non parliamo di IVA, contributi e irpef, ma limitiamoci alle sole tasse sugli utili.
Vero che sono poche le aziende che le pagano (moltissime sono in rosso) ma quelle poche pagano un'enormità.

Prendo due aziende automobilistiche a caso ;) una italiana ed una tedesca.

Quella italiana, con 199'000 dipendenti fattura 56,282 miliardi e fa 1,281 miliardi di utile prima delle imposte. Paga di imposte (tra IRES e IRAP) 682 milioni (il 53,2%). Le eccessive spese fanno si' che l'utile sia solo il 2.3% del fatturato (pochino direi) ma una volta pagate le tasse l'utile netto si dimezza. Ogni dipendente italiano è come se fatturasse 281'400 euro e creasse utili (prima delle imposte) per 6'400 euro (3000 euro secchi al netto delle imposte)

Quella tedesca, con il doppio di dipendenti (399'381) fattura 126 miliardi e procura un utile prima delle imposte di 9 miliardi (il 7% del fatturato). Le imposte sono il 20% (19.66% per la precisione) e l'utile dopo le imposte risulta 7'200 milioni (12 volte l'utile della concorrente italiana). In pratica ogni dipendente del gruppo fattura 317'000 euro e procura un utile prima delle imposte di 22'500 euro e 18'100 euro secchi al netto delle imposte.

Da qui si capisce come mai la fabbrica italiana fatica a fare ricerca e sviluppo per nuovi modelli e gli investitori preferiscono investire un milione in germania piuttosto che un milione in Italia (oltre a quanto già scritto da Flavio).
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Re: Perché gli stranieri non investono

Messaggioda flaviomob il 14/02/2012, 15:25

Poi bisogna capire come applicare l'articolo 18, perché un caso è il licenziamento di un dipendente perché ha la tessera del sindacato o del partito sbagliato, un altro quello di assenteisti dal certificato medico facile...

Proposta provocatoria: privatizziamo la PA...


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Re: Perché gli stranieri non investono

Messaggioda franz il 14/02/2012, 15:31

flaviomob ha scritto:Poi bisogna capire come applicare l'articolo 18, perché un caso è il licenziamento di un dipendente perché ha la tessera del sindacato o del partito sbagliato, un altro quello di assenteisti dal certificato medico facile...

Proposta provocatoria: privatizziamo la PA...

Sull'art 18, per ora con quel testo a "capire come applicare" è solo un giudice, se il dipendente fa ricorso.
Cambiando l'articolo e chiarendo che si applica solo in caso di palese discriminazione (non solo sindacale, tutte direi) le cose dovrebbero essere piu' chiare. Basta trovare una formulazione adatta. Attenzione pero' che l'assenteista potrebbe appositamente fare la tessera del sindacato o del partito "sbagliato".
Alcune parti della PA si possono privatizzare, si. Ma la maggior parte deve rimanere pubblica ...solo piu' snella.
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