1 febbraio 2012
Un Pd convertito al proporzionale. Come e perché la linea è cambiata
La transizione silenziosa dal doppio turno (deciso all’unanimità) alla bozza Violante-Bressa
La copertura politica ufficiale di Pier Luigi Bersani è giunta ieri da Tunisi: «Bisogna uscire da un meccanismo ipermaggioritario che ha portato guai enormi. Serve un mix di maggioritario e proporzionale, con un meccanismo premiale per le coalizioni».
La bozza Violante-Bressa presentata alle altre forze politiche nelle trattative di questi giorni e svelata ieri da alcuni quotidiani, tra cui Europa, risponde alle esigenze espresse dal segretario del Pd, che ha posto paletti chiari: «L’elettore deve conoscere il suo deputato e i partiti devono presentarsi con il loro volto». Insomma, Bersani vuole il simbolo del Pd sulla scheda e vuole il legame tra eletti ed elettori. Con i collegi uninominali, innanzi tutto, ma senza disdegnare nemmeno brevi liste bloccate (apprezzate, a dire il vero, in modo bipartisan).
I principi espressi dal segretario dem hanno accompagnato la storia del partito sin dalla sua nascita con Veltroni, ma sotto la gestione bersaniana hanno cambiato progressivamente la propria realizzazione pratica. Il primo atto fu l’assemblea nazionale del maggio 2010 a Roma. Lì i delegati eletti con le primarie approvarono all’unanimità una mozione sulla riforma elettorale che, tralasciando i dettagli, imponeva ai vertici del partito l’elaborazione di una proposta che «deve favorire la costruzione nelle urne di una maggioranza di governo » e suggeriva come «buon sistema elettorale» quello «di impianto maggioritario fondato sui collegi uninominali».
Un testo abbastanza vago da essere accettato come buona mediazione da tutte le componenti del Pd, al termine di un lungo confronto notturno all’interno del padiglione della Fiera di Roma. A dire il vero, nemmeno il passaggio da questa dichiarazione di principio alla formulazione di una proposta (più o meno) dettagliata creò particolari turbolenze interne. Fu il “caminetto” del 9 giugno 2011 (quasi un anno dopo, quindi) a varare, anch’esso all’unanimità, quello che fu chiamato “modello ungherese”: un mix di uninominale a doppio turno (60 per cento) e recupero proporzionale (35 per cento), che lasciava spazio anche a chi non avrebbe superato lo sbarramento, grazie a un diritto di tribuna pari al 5 per cento dei seggi. Una proposta che fu formalizzata in maniera autorevolissima, depositandola come disegno di legge il 26 luglio scorso sia al senato (prima firmataria Anna Finocchiaro) che alla camera (primo firmatario Pier Luigi Bersani, secondo Dario Franceschini). Questo è stato l’ultimo atto formale del Pd in materia di legge elettorale.
Il primo segnale della virata proporzionalistica l’ha dato Franceschini nello scorso mese di dicembre, con due interviste (a la Repubblica e La Stampa) in cui prima spiega che «il bipolarismo si può difendere anche con una legge proporzionale » e poi, per sgombrare il campo dall’ipotesi di un modello di tipo spagnolo (effettivamente bipolare), chiarisce di riferirsi a «qualcosa che assomigli» al tedesco. È l’ultimo atto dell’avvicinamento di AreaDem alla maggioranza bersaniana, dopo il divorzio da MoDem. A dare il via libera alle trattative, prima interne e poi con gli altri partiti, è l’ultima riunione del caminetto, che dà mandato a Violante, Bressa e Zanda di elaborare una nuova proposta da presentare al tavolo. Il gruppo è allargato anche a Tonini e D’Ubaldo, in rappresentanza della minoranza, ma i due non parteciperanno agli incontri con le altre forze politiche. Ne viene fuori la proposta spiegata ieri: un mix di collegi uninominali e liste circoscrizionali, con l’aggiunta di un “bonus” per le coalizioni (o le liste) che superano il 10 per cento. Una bozza lasciata volontariamente in bilico tra tedesco e spagnolo, per cercare poi il giusto equilibrio al tavolo con le altre forze politiche. «Un sistema buono per uscire dal bipolarismo coatto di questi anni – spiega Tonini – a patto di non impedire ai cittadini di decidere il loro governo. Non possiamo costruire un sistema elettorale in cui il secondo turno sia una sorta di congresso dell’Udc, per decidere in parlamento con chi stare».
Violante, però, presenta al tavolo delle trattative proprio con l’interpretazione più “tedesca” del modello elaborato. Secondo Arturo Parisi, «in radicale contrasto con lo spirito e i deliberati che hanno preparato e guidato per anni la costituzione del partito». Ma per la gioia del Terzo polo, che subito si dichiara d’accordo.
La torsione a 180 gradi dei Democratici è così compiuta. Perché possa servire effettivamente a superare il Porcellum, però, la strada è ancora lunga. «Mi sembra che per ora ci siano solo tante, troppe parole», dice Anna Finocchiaro. E rimane, soprattutto, l’incognita del Pdl: davvero Berlusconi si è convertito alle riforme? E, in seconda battuta, anche lui è disposto, come sembra essere il Pd, ad affidare al Terzo polo il ruolo di ago della bilancia per la prossima legislatura?
Rudy Francesco Calvo
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