La scomposizione

Da il manifesto
Visti da Lisbona
**Il totalitarismo dei consumi **
Goffredo Adinolfi - 08/01/2012
La liberalizzazione degli orari di vendita ha portato con sé, in
Portogallo, quella delle licenze di costruzione. E la città ne è
uscita sfigurata
C'è una cosa su cui il Portogallo è sicuramente molto avanti
rispetto all'Italia: le liberalizzazioni. Qui questo annoso e
antipatico problema degli orari dei negozi è stato risolto da tempo:
la libertà di scelta dei negozianti è ampia e così i clienti non
sono più vincolati da «assurde» leggi dal carattere vagamente
bolscevico (come accade ad esempio in Germania, Svizzera o Belgio) che
impediscono loro di acquistare quando meglio credono. Dalle 9 del
mattino alla mezzanotte, dal lunedì alla domenica supermercati,
libri, farmacie, tecnologie varie, vestititi eccetera: non resterete
mai a secco.
Concomitante, o conseguente, a questo processo di liberalizzazione
degli orari di vendita anche la liberalizzazione sostanziale delle
licenze di costruzione. La Lisbona dei quartieri arabi come l'Alfama e
la Mouraria, del Fado di Amalia Rodriguez e della Rivoluzione dei
Capitani di aprile si è «finalmente» modernizzata. Nuovi panorami
caratterizzano oggi la città, fra i quali certamente merita di essere
citato l'avveniristico centro commerciale «Colombo» che, fino a
pochi anni fa, era uno degli spazi di vendita più grandi d'Europa,
facilmente raggiungibile con la metropolitana. Un luogo, o meglio un
non luogo, fatto di strade, piazze, parchi e, non ci crederete mai,
anche una piccola cappella. Si sa quando facciamo acquisti ci sentiamo
sempre un po' in colpa, nel caso ci si confessa e via possiamo
alleggerire oltre che il portafogli anche il nostro cuore.
Anche la meravigliosa Praça de Touros, a Campo Pequeno, è stata
devastata dal centro commerciale: sotto il circo delle corride,
potrete trovare para-farmacie, supermercati e, chiaro, fast food in
abbondanza. Chissà, potrebbe essere un modo per finanziare i costosi
restauri del Colosseo o per dare una nuova vita al Pantheon o a Campo
dei Fiori, non vi pare?
Beh certo ogni processo di modernizzazione ha i suoi contraltari, ma
si sa un prezzo va pure pagato per il progresso. Avere un negozio al
centro commerciale è caro e se ne sei fuori nessuno ti conosce,
difficile reggere sul mercato. Chi se lo può permettere? Così le
grandi catene prendono il posto dei vecchi, slabbrati e polverosi
negozietti: Zara, Massimo Dutti, Vobis, Calzedonia e Mediaworld tanto
per citare a memoria. Processo di uniformizzazione? Forse, ma suvvia
non facciamo i polemici, in fondo il fatto che ci si vesta tutti negli
stessi negozi potrebbe avere anche qualche aspetto positivo: ricordate
il tanto criticato modello sovietico?
A ben guardare c'è però un altro piccolo regalo che i processi di
liberalizzazione di orari e licenze hanno portato: la desertificazione
delle città e questo per due motivi. Innanzitutto, il piccolo
commerciante i soldi per tenere aperto il suo negozio dalle 9 del
mattino alla mezzanotte non li ha e quindi deve chiudere. In secondo
luogo perché le catene si concentrano in pochi spazi, oltre ai centri
commerciali ci sono le vie del centro, solo quelle più trafficate,
chiaro! Così la rua Augusta, che porta alla maestosa praça do
Comercio, quella della scena finale del film Sostiene Pereira, diventa
uguale a tante vie del centro di altri luoghi sparsi un po' in tutto
il mondo, ma questo è problema studiato. Lo aveva previsto Pasolini
nel 1974 che una società ancora troppo contadina come quella
portoghese male avrebbe resistito al «totalitarismo del capitalismo
del consumo». Le implicazioni sono molto più pesanti di quanto ci si
aspetterebbe, perché si finisce col perdere completamente i rapporti
tra le persone e il loro quartiere, che diventa soltanto un triste,
cadente e pericoloso dormitorio. Si perde il rapporto umano con il
proprio farmacista, libraio, edicolante, perché dentro quei posti ci
sono solo persone sfruttate che lavorano su turni e che probabilmente
ruotano su più negozi della stessa catena e, visto che nella maggior
parte dei casi sono precari, probabilmente li vedrete poche volte e
poi spariranno. Insomma vivrete, e viviamo, in ambienti sempre più
asettici dove saremo sempre meno conosciuti e riconosciuti: sempre
più clienti e sempre meno cittadini.
C'è infine un ultimo «piccolo» problema che la questione della
liberalizzazione degli orari dei negozi porta con sè: la assoluta
scomposizione dei rapporti umani di chi vive nel commercio. Lavorare
su turni che vanno dalle 9 del mattino alla mezzanotte 7 giorni su 7,
12 mesi all'anno significa fare fatica ad avere relazioni. I turni non
li sceglie il lavoratore, ma il datore di lavoro, che da queste parti
viene chiamato patrão, tanto per essere chiari su chi e su come si
comanda. Se disgraziatamente anche tua moglie, marito, fidanzato
lavora su turni, diventa difficile trovare un momento in cui
incontrarsi, in cui andare al parco a passeggiare o andare in vacanza
insieme. Non si cena più, non si pranza più, ci si incrocia e basta,
ogni tanto, se tutto va bene. Una vita che ricorda molto da vicino
quella descritta da Calvino nel suo racconto «l'avventura di due
sposi» dove appunto i due sposi, che lavoravano uno di giorno e
l'altro di notte, si incrociavano, di fretta, al bagno, quando uno
finiva e l'altro iniziava la propria giornata.
Siamo sicuri che per potere comprare più «liberamente», cioè
istigati da una pubblicità sempre più invasiva e penetrante, magari
risparmiare qualche centesimo di euro, valga davvero la pena accettare
quello che sembra essere sempre di più lo scenario descritto da
George Orwell in 1984, dove ogni aspetto sociale veniva controllato
dal grande fratello e ogni sentimento tassativamente proibito? Oppure
una realtà simile a quella di Metropolis di Fritz Lang, dove, nella
città sommersa, una sirena scandiva in due turni simmetrici da 12 ore
la vita di uomini trasformati in automi, attaccati a macchine, privi
di qualsiasi coscienza? Siamo sicuri che la completa
deregolamentazione di tutto sia una questione di civiltà? Siamo
sicuri che le liberalizzazioni portino posti di lavoro e non ulteriori
fonti di sfruttamento di manovalanza a basso e bassissimo costo?
Forse vale la pena tenerci il negozio sotto casa che chiude alle
sette ma il cui gestore si ricorda di noi, ci tiene il giornale o il
pane da parte e la domenica andarcene a fare una passeggiata, perché,
vi assicuro, se il supermercato è aperto voi ci andrete a comprare!
Visti da Lisbona
**Il totalitarismo dei consumi **
Goffredo Adinolfi - 08/01/2012
La liberalizzazione degli orari di vendita ha portato con sé, in
Portogallo, quella delle licenze di costruzione. E la città ne è
uscita sfigurata
C'è una cosa su cui il Portogallo è sicuramente molto avanti
rispetto all'Italia: le liberalizzazioni. Qui questo annoso e
antipatico problema degli orari dei negozi è stato risolto da tempo:
la libertà di scelta dei negozianti è ampia e così i clienti non
sono più vincolati da «assurde» leggi dal carattere vagamente
bolscevico (come accade ad esempio in Germania, Svizzera o Belgio) che
impediscono loro di acquistare quando meglio credono. Dalle 9 del
mattino alla mezzanotte, dal lunedì alla domenica supermercati,
libri, farmacie, tecnologie varie, vestititi eccetera: non resterete
mai a secco.
Concomitante, o conseguente, a questo processo di liberalizzazione
degli orari di vendita anche la liberalizzazione sostanziale delle
licenze di costruzione. La Lisbona dei quartieri arabi come l'Alfama e
la Mouraria, del Fado di Amalia Rodriguez e della Rivoluzione dei
Capitani di aprile si è «finalmente» modernizzata. Nuovi panorami
caratterizzano oggi la città, fra i quali certamente merita di essere
citato l'avveniristico centro commerciale «Colombo» che, fino a
pochi anni fa, era uno degli spazi di vendita più grandi d'Europa,
facilmente raggiungibile con la metropolitana. Un luogo, o meglio un
non luogo, fatto di strade, piazze, parchi e, non ci crederete mai,
anche una piccola cappella. Si sa quando facciamo acquisti ci sentiamo
sempre un po' in colpa, nel caso ci si confessa e via possiamo
alleggerire oltre che il portafogli anche il nostro cuore.
Anche la meravigliosa Praça de Touros, a Campo Pequeno, è stata
devastata dal centro commerciale: sotto il circo delle corride,
potrete trovare para-farmacie, supermercati e, chiaro, fast food in
abbondanza. Chissà, potrebbe essere un modo per finanziare i costosi
restauri del Colosseo o per dare una nuova vita al Pantheon o a Campo
dei Fiori, non vi pare?
Beh certo ogni processo di modernizzazione ha i suoi contraltari, ma
si sa un prezzo va pure pagato per il progresso. Avere un negozio al
centro commerciale è caro e se ne sei fuori nessuno ti conosce,
difficile reggere sul mercato. Chi se lo può permettere? Così le
grandi catene prendono il posto dei vecchi, slabbrati e polverosi
negozietti: Zara, Massimo Dutti, Vobis, Calzedonia e Mediaworld tanto
per citare a memoria. Processo di uniformizzazione? Forse, ma suvvia
non facciamo i polemici, in fondo il fatto che ci si vesta tutti negli
stessi negozi potrebbe avere anche qualche aspetto positivo: ricordate
il tanto criticato modello sovietico?
A ben guardare c'è però un altro piccolo regalo che i processi di
liberalizzazione di orari e licenze hanno portato: la desertificazione
delle città e questo per due motivi. Innanzitutto, il piccolo
commerciante i soldi per tenere aperto il suo negozio dalle 9 del
mattino alla mezzanotte non li ha e quindi deve chiudere. In secondo
luogo perché le catene si concentrano in pochi spazi, oltre ai centri
commerciali ci sono le vie del centro, solo quelle più trafficate,
chiaro! Così la rua Augusta, che porta alla maestosa praça do
Comercio, quella della scena finale del film Sostiene Pereira, diventa
uguale a tante vie del centro di altri luoghi sparsi un po' in tutto
il mondo, ma questo è problema studiato. Lo aveva previsto Pasolini
nel 1974 che una società ancora troppo contadina come quella
portoghese male avrebbe resistito al «totalitarismo del capitalismo
del consumo». Le implicazioni sono molto più pesanti di quanto ci si
aspetterebbe, perché si finisce col perdere completamente i rapporti
tra le persone e il loro quartiere, che diventa soltanto un triste,
cadente e pericoloso dormitorio. Si perde il rapporto umano con il
proprio farmacista, libraio, edicolante, perché dentro quei posti ci
sono solo persone sfruttate che lavorano su turni e che probabilmente
ruotano su più negozi della stessa catena e, visto che nella maggior
parte dei casi sono precari, probabilmente li vedrete poche volte e
poi spariranno. Insomma vivrete, e viviamo, in ambienti sempre più
asettici dove saremo sempre meno conosciuti e riconosciuti: sempre
più clienti e sempre meno cittadini.
C'è infine un ultimo «piccolo» problema che la questione della
liberalizzazione degli orari dei negozi porta con sè: la assoluta
scomposizione dei rapporti umani di chi vive nel commercio. Lavorare
su turni che vanno dalle 9 del mattino alla mezzanotte 7 giorni su 7,
12 mesi all'anno significa fare fatica ad avere relazioni. I turni non
li sceglie il lavoratore, ma il datore di lavoro, che da queste parti
viene chiamato patrão, tanto per essere chiari su chi e su come si
comanda. Se disgraziatamente anche tua moglie, marito, fidanzato
lavora su turni, diventa difficile trovare un momento in cui
incontrarsi, in cui andare al parco a passeggiare o andare in vacanza
insieme. Non si cena più, non si pranza più, ci si incrocia e basta,
ogni tanto, se tutto va bene. Una vita che ricorda molto da vicino
quella descritta da Calvino nel suo racconto «l'avventura di due
sposi» dove appunto i due sposi, che lavoravano uno di giorno e
l'altro di notte, si incrociavano, di fretta, al bagno, quando uno
finiva e l'altro iniziava la propria giornata.
Siamo sicuri che per potere comprare più «liberamente», cioè
istigati da una pubblicità sempre più invasiva e penetrante, magari
risparmiare qualche centesimo di euro, valga davvero la pena accettare
quello che sembra essere sempre di più lo scenario descritto da
George Orwell in 1984, dove ogni aspetto sociale veniva controllato
dal grande fratello e ogni sentimento tassativamente proibito? Oppure
una realtà simile a quella di Metropolis di Fritz Lang, dove, nella
città sommersa, una sirena scandiva in due turni simmetrici da 12 ore
la vita di uomini trasformati in automi, attaccati a macchine, privi
di qualsiasi coscienza? Siamo sicuri che la completa
deregolamentazione di tutto sia una questione di civiltà? Siamo
sicuri che le liberalizzazioni portino posti di lavoro e non ulteriori
fonti di sfruttamento di manovalanza a basso e bassissimo costo?
Forse vale la pena tenerci il negozio sotto casa che chiude alle
sette ma il cui gestore si ricorda di noi, ci tiene il giornale o il
pane da parte e la domenica andarcene a fare una passeggiata, perché,
vi assicuro, se il supermercato è aperto voi ci andrete a comprare!