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Stato etico e stato laico

MessaggioInviato: 02/07/2011, 18:52
da ranvit
Stato etico e stato laico
a cura di Bruno Schettini, Professore Università di Psicologia SUN

Diverse concrete situazioni a livello nazionale, europeo ed internazionale, decisioni parlamentari, governative e referendarie, come anche della vita privata che assurgono a livello pubblico per le implicazioni etiche e politiche che le accompagnano, con tutta la loro carica di drammaticità umana, stanno riproponendo il problema della concezione dello stato e del ruolo che esso può svolgere nelle scelte valoriali collettive e individuali.

Vale la pena precisare che, in Italia, la Costituzione, nella Parte Prima, sancisce la laicità dello Stato e, quindi, il problema non si pone nei termini di scontro fra “stato laico” e “stato etico” o confessionale, ma sul ruolo che, nell’ambito delle prerogative costituzionali, svolgono segnatamente le Istituzioni di rappresentanza politica dei cittadini (il Parlamento con le due Camere) e di esecutività (il Governo); quest’ultima è espressione della prima nel senso che esprime i rapporti di forza all’interno della più generale rappresentatività del mandato popolare.

La questione dello schieramento fra chi sostiene uno stato etico e chi vi si oppone nel nome della laicità di esso è antica, tutt’ora irrisolta e probabilmente irrisolvibile.

Il punto di vista che guida le presenti riflessioni, posto che chi scrive è sostenitore di uno stato laico - non laicista – e che ogni stato etico è stato storicamente presagio di successive dittature più o meno durevoli e dichiarate, non è quello di esercitare un’azione di convincimento ai fini di un incitamento al posizionamento fra le schiere degli uni o degli altri, quanto di riflettere ad alta voce sulla pericolosità di uno scontro radicale che - in una situazione di crisi mondiale non solo finanziaria - può comportare la deriva dell’attenzione pubblica dalle correnti pratiche politiche - e ideologiche – che disattendono sempre di più l’interesse dell’intera collettività a tutto vantaggio di prevaricanti ed urticanti rigurgiti affaristici accompagnati trasversalmente e pretestuosamente da rigidi schieramenti dogmatici riproposti di continuo in modo logorroico mediante dispute sui massimi sistemi cosiddetti eticamente sensibili.

Tutto ciò sta comportando una sempre più estesa disaffezione verso lo spazio pubblico – cioè politico – da parte della gente comune che sempre di più tende a rifugiarsi nell’individualismo del personale o gruppale benessere o nell’incistamento in una cultura nazional-popolare di basso profilo infarcita di volgari opinioni prive di scienza, ma che assurgono a punti di vista “altolocati” per la loro continua riproposizione e sovraesposizione mediatica, e di sempre più prevalenti e prevaricatori sussulti emotivi provenienti dal basso ventre.

L’innalzamento dei toni e l’asprezza dello scontro hanno come esito una scarsa attenzione verso quelle cogenti problematiche della vita, urgenti e dirimenti, che esigono una risposta concreta da parte di coloro che dovrebbero pre-occuparsene attendendo all’esercizio politico del più generale bene comune a cui occorrerebbe offrire risposte comunque attuabili dai più, condividisibili quanto alle pratiche proposte ma non necessariamente quanto ai principi e sulle quali è doveroso decidere avendo da un lato l’argine della tollerabilità diffusa e dall’altro quello del controllo pubblico per un esercizio responsabile della libertà versus ogni preteso libertarismo che, com’è noto, è l’anticamera se non delle dittature certamente di regimi oscurantistici e a vario titolo preoccupanti per il futuro della democrazia e della libertà stessa.

Indubbiamente, il problema si pone a maggior ragione quando si ammette il principio che uno stato abbia fra i suoi fini la crescita della società e la sua manutenzione attraverso la garanzia della libertà di pensiero e di educazione ad un pensiero libero, del lavoro e dei servizi per tutti e non solo per una parte di essi, delle protezioni sociali idonee a garantire una base comune di qualità della vita, della solidarietà orizzontale e verticale nel nome di una condivisa cittadinanza che è implicazione di appartenenza e di costruzione di una comune storia di destino che esige, a questo punto, la responsabilità di un’eticità pubblica delle scelte e non di un’opzione per un’etica o morale o dottrina. Si sta parlando di un’eticità pubblica doverosamente aperta alla falsificazione delle scelte sul piano della concreta applicazione di esse non alla falsificazione dell’idea stessa di una possibilità della scelta preclusa a tutte le possibili concrete alternative sulle quali deve doverosamente ragionare il legislatore nella sua azione di direzionamento della società da lui governata.

Il passaggio stesso dalla mera possibilità dell’azione di scelta fra tutte le possibili scelte, alla scelta autenticamente e concretamente possibile – quì ed ora - non avviene sul piano valoriale, ma su quello storico, politico, sociale, pragmatico, sulla base cioè dell’evidenza delle necessità della gente su una scala di lunga anche se non immodificabile prospettiva. Scelta falsificabile nel tempo sulla base di nuove realtà, non certamente sulla base di un principio ontologico/naturalistico di ancoraggio ad un apriori esterno o immanente – comunque metafisico - alla vita dell’uomo in quanto individuo e in quanto società.

Da queste premesse, non si può non accogliere la tesi, di recente esposta dal Presidente della Camera dei Deputati, e che certamente non entusiasma chi scrive proprio per la provenienza della tesi, che “non c'è contraddizione tra il riconoscimento delle radici cristiane e la richiesta di istituzioni laiche, perché la laicità è innanzitutto separazione delle due sfere…” dal momento che, come ha sostenuto di recente Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento Europeo, il dare a Cesare e il dare a Dio, significa porre le fondamenta dell'esercizio della libertà, quindi di un habeas corpus, di ciò che della persona resta impenetrabile al potere e, nello stesso tempo, sacrificare questo sull’altare del politically correct significa far risultare politicamente corretta l’esperienza della libertà e nello stesso tempo vuol dire che le istituzioni non possono che essere il frutto di una separazione convinta, completa e articolata che non è mai ostracismo ideologico fra religione e politica.

Posto il discorso in questi termini, è fuori luogo che occorra chiedersi quale sia il ruolo e la funzione della scuola e delle istituzioni pubbliche deputate alla formazione. Quì non resta che un riferimento chiave a Gramsci e alla sua idea di formazione che, attraverso l’istruzione e la formazione lungo tutto il corso della vita, fondi un’etica condivisa che non cada nella trappola di un machiavellismo deteriore, di una politica che si presenti come un mezzo senza scopo o come un mezzo che fa di se stesso uno scopo.

Non sarà certamente l’introduzione nella vita della scuola dello studio degli articoli della Carta costituzionale il fondamento di uno stato laico, ma certamente toccherà ai docenti – almeno a quelli più avvertiti e politicamente sensibili – recuperare il senso di una Carta fondata su un’etica condivisa da quanti, pur avendo lottato per liberare l’Italia dal fascismo partendo da idee politiche diverse, sono stati in grado di cogliere nell’istanza di rifondazione di un popolo da “volgo disperso che nome non ha” - di manzoniana memoria - a nazione e popolo in grado di rifondare la propria vita in quella libertà di coscienza che è l’esatto contrario della coercizione della libera scelta e, dunque, della chiamata nella corresponsabilità di ciascun cittadino a costruire solidamente e solidarmente l’unità di una nazione nell’unità del genere umano.

Questo è l’esatto contrario del calpestare ogni libertà di coscienza e del costruire una nazione che non sia luogo di intervento regolatore sulla sregolata anarchia del mercato e di quanti ad esso fanno appello per una libertà che non abbia alcun imperativo kantiano.

In questo senso la scuola non può proporsi come indifferente ai valori, né sensibile al relativismo, ma deve giocare il suo ruolo per una “guerra di posizione” orientata da e a quei valori che sono stati incardinati e posti a fondamento della stessa Costituzione repubblicana del 1948 nata sulle macerie di ideologie totalitarie e nel clima stesso della Dichiarazione Universale delle Nazioni Unite anch’essa del 1948.

Tratto da “Scuola@Europa 2009”

Re: Stato etico e stato laico

MessaggioInviato: 02/07/2011, 18:56
da ranvit
Etica e stato di diritto
Franco Buffoni*


1. Giosuè Carducci, nella sua storia della letteratura italiana (Dello svolgimento della letteratura nazionale 1868-1871), al termine del capitolo dedicato a Firenze alla fine del Quattrocento, considerando il passaggio dall’Umanesimo al Rinascimento, con riferimento a Savonarola descrive ciò che questi – a parer suo – non aveva compreso: “Che la riforma d’Italia era il rinascimento pagano, e che la riforma puramente religiosa era riservata ad altri popoli più sinceramente cristiani”.
Questa frase di Carducci continua a ronzarmi in testa.
Alla fine del Quattrocento altri europei erano più sinceramente cristiani degli italiani. Alla fine del Quattrocento altri popoli europei credevano fermamente nella incarnazione e nella resurrezione. E si comportavano di conseguenza.
Oggi non ci credono più e si comportano di conseguenza. Più sinceramente cristiani allora. Più sinceramente illuministi oggi. Sono popoli seri. Hanno buone leggi sulla fecondazione assistita, sul testamento biologico, sulle adozioni, sulle coppie di fatto e non disprezzano le unioni omosessuali.
E gli italiani, meno sinceramente cristiani allora? Ipocriti quant’altri mai oggi. E cinici. E pavidi. E senza più speranza di Rinascimento.

2. Punti centrali del cristianesimo sono l’incarnazione e la resurrezione. Io credo sia dannoso indurre un bambino a basare la propria etica su una nascita “divina” e sulla “resurrezione” di un uomo. (Ovviamente uso il termine “etica” in un’accezione ampia e generica: le neuroscienze, al riguardo, avrebbero oggi molto da insegnare). Perché glielo si insegna da piccolo, costruendogli un’etica su due eventi che deve accettare in modo dogmatico. Mandandolo incontro a due pericoli: accettare anche altre ingiunzioni di tipo dogmatico, oppure diventare cinico, amorale, sprovvisto di un’etica.
Infatti, quando – crescendo – gli frana, alla luce della ragione, l’impianto etico basato sui dogmi, è ben difficile che l’ex giovane sia in grado di configurarsi in un’altra etica radicata e profonda. Anche da questo – secondo me – viene molto del cinismo, dell’opportunismo, della schizofrenia, delle ipocrisie, delle piccole e grandi astuzie che caratterizzano gli italiani.
Invece del catechismo e dell’ora di religione cattolica sono favorevole all’insegnamento di un’etica basata sul rispetto della ragione e della natura, sullo studio armonico delle scienze, dell’infinitamente piccolo e dell’infinitamente grande, della biologia e dell’astrofisica. Se penso a quanti giovani si lasciano attrarre da satanismo e messe nere… Non vorrei offendere il sentimento di nessuno, ma la radice culturale misterica, irrazionale è mutuata da quelle “bianche”. E pure il lessico.
Occorre sostenere una educazione sanamente laica, nel rispetto della natura – intesa come la physis dei greci, l’essenza da cui tutto si genera e a cui tutto ritorna – e del metodo della scienza: della prova e della verifica. Un’educazione seria e rigorosa. Più seria e rigorosa di quella che impone l’irrazionale con nascite divine e resurrezioni. Un’educazione in cui, fin dall’inizio, si concepisca la vita con la morte, in inscindibile unità. Un’educazione alla natura e al relativo: quella che Keats definisce la negative capability: l’educazione al dubbio e alla verifica, alla mancanza di assoluti. Liberandoci una buona volta da quella gabbia organizzativa e dogmatica calata da Paolo in poi sul pensiero greco e su certi comportamenti etici normati dalla cultura ebraica.
Altrimenti continuerà a lievitare fino a fagocitarci questo mostro di consumismo e padre Pio, di miracoli e volgarità, di ingiunzioni dogmatiche e banalità a cui abbiamo lasciato campo libero.
Nelle scuole italiane la resurrezione e il principio di gravitazione universale vengono trasmessi come se fossero verità analoghe, dalle stesse cattedre. Perché manca un vero convincimento laico, una vera forza culturale volta a rifondare gli insegnamenti: per l’appunto, un’etica condivisa.
Così si tenta la restaurazione più bieca del vecchio: sostenendo che l’insegnamento dell’evoluzionismo è degradante, e immettendo nei ruoli delle scuole di stato non degli insegnanti di storia delle religioni e delle civiltà culturali, bensì gli insegnanti di religione cattolica scelti dai vescovi, e dando loro anche la possibilità – su semplice richiesta – di “passare” ad insegnare storia e filosofia.
Quanti dimostrano tanto disprezzo per una concezione laica e illuministica della vita e dell’educazione, in cuor loro, consapevolmente o inconsapevolmente, non credono che l’uomo possa essere seriamente educato, ma solo manipolato.

3. Ateismo, dunque, non come una privazione, ma come un arricchimento, una acquisizione culturale. Perché la risposta che l’uomo cerca non concerne tanto l’esistenza di Dio o la divinità di Cristo, bensì l’interrogativo “perché il male”? E lo dimostra il fatto che già in ambito illuministico – da Berkeley a Clarke in Inghilterra, da Leibniz a Jakobi in Germania, da Muratori a Genovesi in Italia – si operarono grandi aperture verso il cristianesimo e in generale verso le cosiddette religioni positive, proprio su questo punto. Sulla linea di pensiero tracciata da Montesquieu. Riconoscendo al cristianesimo la capacità di alleviare le sofferenze, di infondere forza e coraggio, lasciando intravedere una luce nel momento del buio totale, delle miserie, delle torture… La pia frode di Voltaire. O il capitolo quinto del Defensor Pacis (1324) di Marsilio da Padova (“Sebbene alcuni filosofi che stabilirono tali leggi o religioni non credessero a quella vita futura che chiamavano eterna ed alla resurrezione umana, nondimeno finsero e persuasero gli altri che questa vita esistesse, e che in essa i piaceri e le pene fossero proporzionali alla qualità degli atti compiuti in questa vita mortale”). Quelle risposte consolatorie e illusorie che placano, che rasserenano.
La riflessione che mi sento di contrapporre è su due diversi piani tra loro però connessi: uno di diritto e uno di merito. Quello di diritto è molto semplice: quanto più si vive in uno stato costituzionale di diritto – e quindi, più si è garantiti contro ingiustizie e soprusi – tanto meno si dovrebbe sentire il bisogno di ricorrere a pie frodi per avere consolazioni. E con questo, credo di marcare nettamente il territorio nei confronti per esempio di Rousseau. E di Hegel e di Marx che da Rousseau assorbirono moltissimo nella concezione dello stato etico.
A chi mi obbietta che questa impostazione è troppo schematica, posso rispondere: non meno di quella della remissione dei peccati e del purgatorio. E con la piccola luce di ragionevolezza che credo di possedere, e di esperienza che ho acquisito, mi sento di affermare che in Olanda si ha meno bisogno di risposte illusorie che nelle Filippine.
Sul piano del merito partirei invece da Montesquieu e dalla sua definizione “in negativo” – per l’uomo – della felicità: “de la moindre quantité de maux qu’il souffre”. Tanto più un uomo è felice quanto minore è la quantità di male che è costretto a soffrire… Perché, se riflettiamo e mettiamo da parte le situazioni estreme di guerre, prigionie, torture – per le quali non esiste soluzione se non all’interno di un rafforzamento del concetto di diritto dello stato e degli stati, o addirittura di uno stato sovranazionale – ciò che resta al di fuori è una quantità di sofferenza soggettiva e personale, che ha a che fare con desideri, aspettative, malattie, lutti famigliari, incidenti: la vita comune, insomma.
E allora, ciò che per qualcuno è sofferenza – un amore che finisce, la perdita di un congiunto, una malattia – vissuta in una situazione di acqua corrente potabile in casa, di riscaldamento garantito, di due pasti al giorno, per altri in altri luoghi e tempi sarebbe o sarebbe stato il massimo della felicità.
Il problema è dunque concettuale, perché ciascuno percepisce la propria quantità di sofferenza come più o meno sopportabile in rapporto all’esperienza acquisita, alle aspettative, all’attrezzatura intellettuale di cui dispone.

* Poeta e scrittore. Ultimi suoi libri pubblicati: Zamel, Marcos y Marcos 2009 (narrativa), e Roma, Guanda 2009 (poesia). In ottobre uscirà per Transeuropa il suo nuovo libro: Laico alfabeto in salsa gay piccante, di cui si anticipano qui alcuni passaggi.

Re: Stato etico e stato laico

MessaggioInviato: 03/07/2011, 1:11
da pianogrande
Perché questa dicotomia così strana (direi tendenziosa) tra stato etico e stato laico?
Uno stato laico è, per definizione, non etico?

Qui si finge, come al solito, di dimenticare che lo stato è uno mentre le religioni sono innumerevoli.
Lo stato, nella organizzazione della convivenza tra esseri umani, è il gradino più alto.
Le varie religioni possono essere accolte all'interno dello stato purché operino il loro culto senza infrangerne le leggi.
Tutto qua.
Non c'è bisogno di tutte quelle parolone che trovo nei due articoli.

Uno stato confessionale (confessionale è la parola giusta, etico è inadatta e fuorviante) commetterebbe da subito una prima ingiustizia: metterebbe in posizione preminente una religione rispetto a tutte le altre.
Questo basterebbe per dire che uno stato confessionale è, per definizione, una dittatura.

Uno stato democratico non può che essere laico.
Non c'è bisogno di scriverci sopra dei libri.