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Articolo inaccettabile su Repubblica

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Articolo inaccettabile su Repubblica

Messaggioda flaviomob il 30/04/2011, 19:30

COMUNICATO STAMPA

CNCA: “Inaccettabile l’articolo di ‘Repubblica’ sulle comunità per minori”
Don Zappolini: “Indignati per una rappresentazione falsa e infamante”

Roma, 29 aprile 2011

“L’articolo sulle case famiglia per minori apparso oggi sul quotidiano ‘la Repubblica’ è inaccettabile”, dichiara don Armando Zappolini, presidente del Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA). “Il pezzo è presentato come ‘un’inchiesta’, ma chi lo ha scritto, evidentemente, non conosce la realtà di cui parla. Siamo indignati.”

“È infamante dire che le comunità sono strutture che lucrano sulla pelle di migliaia di bambini e adolescenti in condizioni difficili, una nebulosa dove le cause nobili lasciano il posto al business e agli interessi di bottega”, rimarca Zappolini. “I gruppi del CNCA hanno costruito negli anni una cultura dell’accoglienza al cui centro c’è proprio il ragazzo, il suo benessere, il ritorno nella sua famiglia di origine, se possibile. Non abbiamo creato ‘parcheggi’ in cui tratteniamo i ragazzi per fare i soldi, ma luoghi in cui si sperimenta una vita di tipo familiare, si elabora un progetto calibrato sul singolo minore, si lavora costantemente sulle relazioni personali e familiari, sul disagio che si è vissuto e sul modo per affrontarlo. Questo facciamo da diversi decenni e questo continuiamo a fare oggi, anche quando gli Enti pubblici si sottraggono agli impegni presi, ritardando oltre ogni limite i pagamenti dovuti, costringendo le organizzazioni sociali a contrarre nuovi debiti con le banche e a sospendere il pagamento degli stipendi agli operatori. In Campania e in Sicilia ci sono realtà dove i ragazzi sono accolti a totale carico delle comunità anche per due anni. Altro che approfittatori!”

“Il giornalista che ha firmato il pezzo”, continua il presidente del CNCA, “non sa, evidentemente, che gli istituti in Italia non ci sono più, o almeno non dovrebbero esserci, anche perché tante organizzazioni come il CNCA e moltissimi operatori si sono battuti negli anni contro forme di accoglienza non adeguate allo sviluppo dei bambini. Così come non ha capito che la stragrande maggioranza dei ragazzi che sono in comunità non è ‘senza famiglia’, come si dice erroneamente più volte nell’articolo, e che l’entità delle rette è calcolata su standard di qualità a cui le strutture debbono obbligatoriamente attenersi, sia riguardo al personale che all’abitazione, determinando costi di gestione facilmente quantificabili: non c’è nessuna ‘nebulosa’, ma costi documentati e trasparenti, in cui l’80% della retta va al personale educativo (che guadagna assai meno di un redattore ordinario, tanto per essere chiari). Né il giornalista dice alcunché del fatto che in diverse regioni è stato istituito un osservatorio ad hoc, presso il quale è obbligatorio inviare, semestralmente, una scheda su ogni ragazzo preso in carico; anche in questo caso i dati ci sono e sono accessibili. Infine, l’inviato di ‘Repubblica’ delinea una contrapposizione tra affido familiare e comunità che non ha senso: la scelta va fatta caso per caso. Per questo il CNCA, accanto alle comunità, ha promosso tante reti di famiglie disponibili all’affido.”

“Ci pare, perciò, che con questo articolo si sia puntato più che altro a uno scoop, facendo invece un clamoroso buco nell’acqua”, conclude Zappolini. “I problemi ci sono, ma riguardano la continua riduzione delle risorse economiche e degli organici dei servizi di tutela, questioni appena accennate nel pezzo, che mettono in crisi tutto il sistema di accoglienza e accompagnamento. Invitiamo, perciò, l’autore dell’articolo a venirci a trovare in una delle nostre comunità per minori. Ne abbiamo in tutta Italia. Ne verrebbe fuori un articolo molto diverso.”

Info:
Mariano Bottaccio – Responsabile Ufficio stampa
Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA)
tel. 06 44230395/44230403 – cell. 329 2928070 - email: ufficio.stampa@cnca.it
http://www.cnca.it


Per completezza, il link all'articolo
http://www.repubblica.it/cronaca/2011/0 ... ref=search

---
Una breve riflessione personale.

1 - Le rette pagate dai comuni sono ferme, in alcuni casi, da un decennio e non sono più sufficienti a coprire i costi del personale, del vitto, dei vestiti e di tutte le altre necessità di una comunità con otto minori e quattro educatori, stante l'inflazione e l'adeguamento dei CCNL.
In particolare, la mia esperienza con il comune di Milano è di una retta assolutamente inadeguata, per cui gli enti del privato sociale (cooperative, fondazioni o altro) che ancora resistono in questa difficile missione lo fanno con un passivo di bilancio sempre più accentuato (e presto insostenibile)

2 - Gli enti del privato sociale si fanno carico anche delle bollette relative alle utenze dell'immobile, delle spese d'affitto o di mutuo, che nel caso delle cooperative sociali assorbono l'eventuale utile di bilancio (dove sarebbe quindi la 'speculazione')? Pagare i "muri" di una comunità destinata ad ospitare 8 minori più le figure adulte di riferimento non è uno scherzo e costringe le cooperative ad esporsi molto.

3 - Chi decide di allontanare i minori dalla famiglia è il Tribunale per i minorenni, su segnalazione dei servizi sociali del territorio (comune). Talvolta i servizi sociali vengono attivati dalla scuola, che segnala casi di minori con sospetto di maltrattamento, abuso o abbandono. Le comunità non hanno alcun potere a riguardo, ne' a determinare l'allontanamento del minore dalla famiglia di origine, ne' a stabilire la durata della permanenza in comunità per minori.

4 - Le famiglie che accettano minori in affido sono sempre di meno e gli affidi che falliscono (con gravissimi traumi psicologici per i minori, che si trovano ad essere nuovamente espulsi da un nucleo familiare da cui erano stati accolti) sempre di più. In casi molto gravi i tribunali sono ancora restii a decretare lo stato di adottabilità del minore, per cui viene invece proposto l'affido che poche famiglie accettano di intraprendere (perché prevede di mantenere i contatti con la famiglia di origine e un eventuale riavvicinamento, in prospettiva).
Si sta purtroppo estinguendo la cultura della cura, dell'affido, dell'adozione, della solidarietà diffusa.

5 - I minori più 'problematici' nel comportamento sono quelli che hanno subito i traumi più intensi, prolungati e devastanti e sono proprio quelli che le famiglie adottanti o affidatarie non desiderano, per cui permangono in comunità per periodi molto lunghi (anche se ormai la lunghezza dei tempi in comunità è un problema sempre più esteso).

6 - E' invece drammaticamente vero il problema, denunciato dal giornalista di Repubblica, di orfanotrofi convertiti solo formalmente in comunità per minori, per lucrare. Dove avviene, però, vi è sempre una collusione dei servizi sociali, che dovrebbero vigilare e controllare.

7 - L'affermazione
Lo Stato paga le comunità ma nessuno chiede alla comunità una giustifica delle spese - aggiunge Lino D'Andrea - . Sarebbe utile che ogni casa-famiglia rendesse pubblica le modalità con cui vengono utilizzati i fondi: quanto per il cibo, quanto per il vestiario, quanto per gli psicologi o le varie attività. Il punto è che, in assenza di informazioni, i bambini stanno in questi posti e nessuno gli fa fare niente. Non crescono, non vivono la vita, non incontrano amici, non fanno sport né gite".
è assolutamente grave e falsa.
Intanto non è lo Stato che paga ma i comuni.
Nessuno rimborsa le 'spese' alla comunità per minori, ma vi è una retta giornaliera per ogni minore presente.
I minori fanno attività sportive e culturali i cui costi ricadono sulle comunità senza nessun rimborso da parte dell'ente pubblico (psicologi e neuropsichiatri invece appartengono ad enti pubblici!): ovviamente se una comunità non se lo può permettere, perché strozzata e spremuta dai tagli, difficilmente i giovani potranno fare attività sportive a pagamento.

Mi permetto di aggiungere che nella comunità dove ho lavorato gli educatori rinunciano agli straordinari (lavorando anche 60-70 ore a settimana, notti e weekend compresi, ne venivano retribuite solo 38, non certo per lucro ma per impossibilità oggettiva) e in occasione dei periodi di vacanza fanno turni continuativi di una o più settimana insieme con i ragazzi, cui peraltro venivano garantiti almeno due mesi di vacanze in montagna o al mare d'estate e due settimane in inverno più una a pasqua.

Una piccola chicca finale: l'unico comune in Lombardia che ci ha permesso di realizzare una comunità per minori coprendo i costi dei 'muri' è stato Giussano, monocolore leghista...


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Re: Articolo inaccettabile su Repubblica

Messaggioda franz il 30/04/2011, 21:14

INCHIESTA ITALIANA
Bambini in casa-famiglia
business da un miliardo all'anno
In Italia sono ventimila i minori ospiti di strutture. L'affare consiste nel prolungare i tempi di permanenza. Solo un piccolo su cinque è affidato a coppie in attesa
di PAOLO BERIZZI

Bambini in casa-famiglia business da un miliardo all'anno

Si chiamano Marinella, Mirko, Daria, Luciano, Valentina. Altri hanno nomi di battesimo esotici o che evocano genealogie di altri paesi europei (molto Est). Non si può nemmeno dire che siano figli di un dio minore: sono figli di nessuno. Anzi: sono, diventano, figli delle istituzioni. Dei servizi sociali. Dei tribunali. Di una sentenza. Entrano in una casa-famiglia da neonati e, sembra paradossale, a volte ci restano fino a quando diventano maggiorenni. E per tutto quel tempo capita che si chiedano perché non li affidano a una famiglia, visto che un nuovo padre e una nuova madre si sono fatti avanti e non vedono l'ora di riempirli di affetto, di amore. Può persino accadere che, una volta raggiunti i 18 anni, e uscito dalla struttura in cui sei cresciuto, ti tocchi ritornare nella famiglia di origine. Come se il tempo non fosse mai passato, o, peggio, inutilmente.

L'ESERCITO DI NESSUNO
In Italia ci sono oltre 20 mila giovani - tra neonati, bambini e ragazzi - ospitati da strutture di accoglienza. Sono istituti riservati a chi è stato allontanato dai genitori naturali o non li ha proprio mai conosciuti. Solo uno su cinque di questi ospiti viene assegnato (con adozione o affido) dai tribunali alle famiglie che ne fanno richiesta (più di 10mila). È una media bassissima, tra le più scarse d'Europa. Il motore che alimenta questa "stranezza" italiana è una nebulosa dove le cause nobili lasciano il posto al business e agli interessi di bottega. Ogni ospite che risiede in una casa-famiglia costa dai 70 ai 120 euro al giorno. La retta agli istituti (sia religiosi sia laici) viene pagata dai Comuni. Soldi pubblici, dunque. Erogati fino a quando il bambino resta "in casa". Un giro d'affari che si aggira intorno a 1 miliardo di euro l'anno. Tanto ricevono le oltre 1800 case famiglia italiane per mantenere le loro "quote" di minori. Ma un bambino assegnato a una coppia è una retta in meno che entra nelle casse della comunità. E così, purtroppo, si cerca di tenercelo il più a lungo possibile. La media è 3 anni. Un'eternità. Soprattutto se questo tempo sottratto alla vita familiare si colloca nei primi anni di vita. Quelli della formazione, i più importanti per il bambino.

Anche da qui si capisce perché migliaia di coppie restano in biblica attesa che le pratiche per l'adozione o l'affido si sblocchino. Poi ovviamente ci sono anche altri fattori, la maggior parte dei quali legati alle lungaggini e alle complicazioni burocratico-giudiziarie.

Da dove nasce questo cortocircuito? Chi lucra sulla pelle di migliaia di bambini e adolescenti che provengono da situazioni difficili, molto spesso drammatiche? "Il mondo degli affidi e delle case famiglia sta attraversando un momento difficilissimo - dice Lino D'Andrea, presidente di Arciragazzi, un'associazione nazionale che si occupa di diritti dell'infanzia - . Ci sono situazioni che vanno ben oltre la soglia della decenza e della dignità umana. Mi riferisco, in particolare, ai casi più estremi. Che purtroppo sono diffusissimi. E cioè quei ragazzi maggiorenni che usciti dagli istituti non sanno dove andare. Una cosa del genere non dovrebbe essere tollerata. Perché è l'esatta negazione della funzione delle case famiglia. La rappresentazione esatta di come l'obiettivo di una struttura di accoglienza - che dovrebbe essere un luogo di transito, una specie di "parcheggio" temporaneo in attesa dell'affido - può naufragare". A Napoli ci sono due comunità di Arciragazzi. Altre tre erano a Palermo. Dopo mille difficoltà, D'Andrea ha dovuto chiuderle. Perché? "Il Comune di Palermo non ha mai pagato le rette (alla fine ammontavano a più di 750mila euro)" - spiega. In pratica l'epilogo opposto rispetto a quanto accade in altri comuni e per altri istituti, che campano proprio perché alimentati dal rubinetto dei fondi pubblici (ultimamente un po' a secco per la mancanza di risorse dei Comuni). "I ragazzi sono finiti tutti a casa mia. Uno l'ho anche preso in affidamento. L'alternativa era la strada. Ma uno che lavora coi ragazzi - con questi ragazzi - piuttosto che lasciarli in mezzo alla strada se ne va lui di casa".

COME PACCHI POSTALI
Il destino più comune per un bambino che cresce in una casa famiglia è quello di diventare un pacco. Sballottato di qua e di là, da una comunità all'altra. A volte i centri se li contendono come merce preziosa. Perché con un minore "in casa" ogni giorno piovono dal cielo rette da 70 euro a 120. Una "diaria" di cui si fa un utilizzo non esattamente "pieno". Operatori laici o suore riescono a contenere le spese facendole stare abbondantemente dentro la retta concessa dai Comuni. Quello che resta diventa liquidità a disposizione della struttura (molte case famiglia vengono mantenute con fondi messi a disposizione dal ministero della famiglia e anche grazie a donazioni private).

Quante sono le case famiglia in Italia? Chi controlla il loro operato, anche amministrativo? Le stime più recenti parlano di oltre 1800 strutture distribuite da Nord a Sud. Con alcune regioni - Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Sicilia - che raggiungono numeri più consistenti (tra le 250 e le 300). Nonostante le casse (e i relativi finanziamenti) di molti Comuni siano al verde, le case-famiglia sono in continuo aumento. Il problema è che non esiste un monitoraggio. Si conosce pochissimo di questi posti e di quello che accade all'interno. Numeri, casi, situazioni, problemi, nella maggior parte dei casi vengono portati all'esterno solo grazie alla sensibilità di qualche operatore e/o assistente sociale. Perché una banca dati c'è ma è insufficiente e non esiste un vero censimento. Dopo che nel 2008 i parlamentari Antonio Mazzocchi e Alessandra Mussolini (presidente della commissione bicamerale per l'Infanzia) hanno lanciato un appello al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e al presidente del consiglio Berlusconi, il sottosegretario alla giustizia Casellati ha varato un database "all'italiana - incalza Mussolini - perché riguarda solo le adozioni e non contempla anche i casi, numerosissimi, di affido. La realtà è che aspettiamo ancora un censimento vero e proprio e un adeguamento così come prevede la legge 149/2001" (progressiva chiusura degli orfanotrofi, inserimento dei bambini nelle famiglie attraverso lo strumento dell'affido, per arrivare gradualmente a un'adozione, o all'inserimento dei minori nelle case famiglia).

L'ASSENZA DI CONTROLLI
E i controlli sui luoghi dove i bambini vengono parcheggiati? Chi vigila sugli istituti che ospitano i senza-famiglia? "Esistono centinaia di enti e associazioni no profit che hanno il compito di rilevare la statistica esatta del numero dei bambini in attesa e degli adottandi-affidandi. Ma nessuno è in grado di fornire numeri esatti". Risultato: ancora oggi non esiste un monitoraggio attendibile. "Cerchiamo di raccogliere più dati possibili - dice Francesca Coppini, dell'Istituto degli innocenti di Firenze (tre strutture residenziali per piccoli da 0 a 6 anni, mamme e gestanti) - ma è tutt'altro che facile in mancanza di una vera organizzazione da parte delle istituzioni".

Buio pesto anche sul fronte delle verifiche. "Lo Stato paga le comunità ma nessuno chiede alla comunità una giustifica delle spese - aggiunge Lino D'Andrea - . Sarebbe utile che ogni casa-famiglia rendesse pubblica le modalità con cui vengono utilizzati i fondi: quanto per il cibo, quanto per il vestiario, quanto per gli psicologi o le varie attività. Il punto è che, in assenza di informazioni, i bambini stanno in questi posti e nessuno gli fa fare niente. Non crescono, non vivono la vita, non incontrano amici, non fanno sport né gite".
Il numero di bambini senza famiglia è oscillato negli ultimi anni tra i 15mila e i 20mila. Oggi sembra essersi assestato intorno alla sua punta massima. Ma il controllo dei "flussi" è anche un problema legato alla sicurezza (adescamento, pedofilia).

C'è anche un problema di competenze. Sull'infanzia ci sono troppe deleghe sparpagliate tra vari ministeri (Pari opportunità, Lavoro, Giustizia, Gioventù) e anche senza portafogli. Con il risultato che, non essendoci un unico soggetto che si occupi di infanzia abbandonata, si finisce per trovarsi di fronte una nebulosa in mezzo alla quale si capisce poco e niente.

Gli orfanotrofi non sono ancora scomparsi del tutto. Alcuni sono stati convertiti in case-famiglia: anche due o tre comunità nello stesso edificio. Una per piano. Poi le altre storture. Nel libero mercato delle comunità per minori abbandonati, c'è chi, per essere competitivo, abbatte la diaria giornaliera fino a ridurla a 30-40 euro. Teoricamente più la abbassi e più bambini riesci a far confluire nella tua struttura attraverso l'input dei servizi sociali che, a cascata, agiscono su indicazione del tribunale.

Altra nota dolente, i tribunali. Solo nel tribunale di Milano, ogni anno si accumulano 5mila fascicoli relativi a famiglie disagiate con a carico almeno un minore. "I magistrati non riescono a seguire la pratiche perché i ragazzi raramente sono seguiti dal territorio di competenza - ragiona un operatore dell'infanzia - . La maggior parte sono parcheggiati in un posto senza che nessuno lo segua davvero".

Le storie che vengono a galla compongono un campionario da fare accapponare la pelle. Ma se si prova a restare lucidi, si capisce come ogni vita congelata o sfilacciata, ogni odissea che abbia per protagonista un bambino "di nessuno" si deposita sullo stesso fondo di mala amministrazione. "Le case-famiglia sono una risorsa importante per il reinserimento del minore - spiega l'avvocato Andrea Falcetta, di Roma - ma la permanenza di un bambino va gestita con cura e deve rispondere a un unico criterio: trovargli il prima possibile una collocazione familiare".

Paolo ha compiuto 18 anni dentro un istituto dell'Aquila. La responsabile, una suora, quando Paolo era adolescente, sostiene e favorisce per un anno gli incontri con una coppia con due figli, di cui uno adottivo. A legame consolidato, la coppia si offre per l'affidamento di Paolo, la suora cambia idea e il tribunale nega l'affidamento. Ora, con la maggiore età, è la stessa famiglia ad occuparsi del ragazzo. Brescia. Monica, 7 anni, subisce molestie dal padre; la mamma si rivolge al tribunale e ai servizi sociali: i quali decidono di mettere la bambina in un istituto punendo anche la madre. Una bambina di Lecce viene strappata ai genitori accusati di non nutrirla abbastanza perché vegetariani. la famiglia resta in una comunità per quasi un anno. la madre è autorizzata a stare con la bambina nell'istituto di suore, per essere "rieducata" dagli assistenti sociali. La signora testimonia che nei lunghi e numerosi colloqui con gli educatori non si è mai parlato delle possibili problematiche della bambina ma le domande che le venivano poste riguardavano solo i suoi rapporti sessuali con il marito. Oggi, riottenuta la figlia dal tribunale, genitori e bambina sono emigrati felicemente in Svizzera. Roma. Il tribunale affida Daria, 4 anni, ai servizi sociali e questi la indirizzano in un "centro di aiuto" contro la volontà dei genitori (gli esami escludono ogni tipo di violenza sulla bambina). Tuttavia sono gli stessi genitori a chiedere all'Asl un'insegnante di sostegno visto il lieve ritardo psichico di cui soffre la bambina. Ricusato il consulente del tribunale e nominato uno nuovo, emerge infine che i problemi di Daria erano dovuti ad una sofferenza da parto (mancanza di ossigeno per qualche istante) e che dunque avevano natura medica e non psicologica: dopo 8 mesi di casa famiglia la bambina viene rimandata a casa dal tribunale. Bologna. M. e C. sono sposati, abitano in periferia, redditi non fissi, lui operaio in nero. Hanno un bimbo di 8 anni. Vengono dichiarati decaduti della potestà genitoriale a causa di un procedimento nato dalla denuncia di due maestre: "Il bambino sa troppe cose riguardo alla sessualità". Era accaduto che il bambino si era alzato, era andato in salotto dove il padre stava guardando un film pornografico. L'uomo, secondo gli assistenti sociali, aveva manifestato un'assenza totale di autocritica rispetto all'episodio e si era sollevato da ogni responsabilità; mentre davanti al giudice aveva ammesso "aveva solo2-3 anni, pensavo non capisse. Credo ora di avere sbagliato". Ricoverato in una comunità, il bambino è stato poi dichiarato adottabile (è in attesa di una famiglia da quasi due anni) nonostante la zia materna (sposata e con figli) avesse presentato invano istanze per ottenerne l'affidamento e scongiurarne l'adozione. Strappati agli affetti e spremuti nella crescita. Così va la vita dei figli di nessuno.

(29 aprile 2011)
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Re: Articolo inaccettabile su Repubblica

Messaggioda franz il 30/04/2011, 21:31

Riflessioni assolutamente personali, sulla base di quanto letto.
L'articolista di repubblica sembra conoscere bene la realtà e mi dispiace per don Zappolini ma credo che l'articolo faccia luce su molti aspetti da chiarire. Pagano i comuni dice (quindi se l'autore dopo dice "Stato" è solo in senso lato) ma la cifra di un miliardo (non smentita) divisa per 15 o 20 mila bambini all'anno fa circa 50'000 euro, .... 4166.67 al mese. Altro che business. Una pacchia! Basterebbe trovare una famiglia seria e adatta, disposta a prendere il bambino in affido per la metà della cifra (ma anche 1/3, credo che in Italia 20'000 famiglie le troviamo).
Avanti, lo dica qui chi prenderebbe un bambino in affidamento per 1400 euro al mese per il suo mantenimento.
Se poi in alcuni comuni pagano meno o poco, significa solo che in altri il busimess è ancora piu' ricco.

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Re: Articolo inaccettabile su Repubblica

Messaggioda cardif il 01/05/2011, 0:19

Nell'articolo si parla di un miliardo, che don Zappolini non smentisce forse perché non sa come è venuto fuori. Né è spiegato da Berizzi. La mancanza di dati sicuri è notata anche da Alessandra Mussolini.
Però si parla di 70/120 euro al giorno, che si riducono anche a 30/40 euro al giorno dove c'è concorrenza tra più strutture. Con una media di 70 euro al giorno per 20.000 assistiti si scende a quasi la metà del miliardo citato.
In effetti la colpa della lunga permanenza viene attribuita a chi (giudici, assistenti sociali, ecc) deve decretare l'adozione. Che le pratiche siano lunghe è un dato reale, tanto che moltissimi vanno all'estero per adottare un bambino.
Comunque quelli di sopra sono numeri a caso. La mancanza di dati certi fa correre il rischio di leggerli in chiave ideologica, a seconda di come si vuole pregiudizialmente valutare queste strutture.
Visto che la società ne ha bisogno, questi istituti (come le case per anziani o per gli asili comunali, del resto) o sono privati, e quindi pagano la retta gli utenti, oppure sono pubblici; in tal caso i posti di lavoro devono essere assegnati con concorso.
Considerato che la maggiore spesa è relativa al personale, in linea di principio non credo che i soldi pubblici debbano essere dati a qualcuno che poi assume chi vuole (se così è).
Per il resto, è scontato che don Zappolini sia indignato e reagisca.
Così fan tutti, appena li si critica, sia giustamente che ingiustamente. Sindacati, Polizia, Protezione civile, Croce Rossa ...
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Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: Articolo inaccettabile su Repubblica

Messaggioda franz il 01/05/2011, 8:38

Nemmeno io so da dove possa venir fuori quel miliardo ma ho provato a cercare.
10 minuti con google e sono attivato a http://www.istat.it/dati/dataset/20090817_00/ che pero' si riferisce al 2006.
Chiaramente l'ufficio complicazione affari semplici non ha deciso di individuare la voce precisa per la spesa che cerchiamo, tuttavia la somma di tutta la spesa sociale dei comuni 5 anni fa era di 5,7 miliardi (di cui 2,3 per famiglia e minori) e quindi mi pare improbabile che 1 miliardo vada ai minori in attesa di affido o adozione. Le voci di spesa non sono chiare e alcuni dei casi in attesa di affido potrebbero essere anche disabili (altre voci di bilancio) e ci potrebbero essere anche contributi del SSN. Se i numeri sono a caso è per mancanza di dati certi e questo sarebbe responsabilità dello Stato. Il fatto che ci sia un'ombra statistica che non fa luce sulla realtà pero' è una sorta di segnale d'allarme sul fatto che sotto ci sia un business che si vuole il più possibile celare.
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Re: Articolo inaccettabile su Repubblica

Messaggioda ranvit il 01/05/2011, 9:41

Sette mesi fa ho avuto in affido un minore in attesa della maggiore età per due mesi e mezzo. Qualche giorno fa il Comune mi ha dato 1086 euro.
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Articolo inaccettabile su Repubblica

Messaggioda flaviomob il 01/05/2011, 11:10

Franz
Altro che business. Una pacchia! Basterebbe trovare una famiglia seria e adatta, disposta a prendere il bambino in affido per la metà della cifra (ma anche 1/3, credo che in Italia 20'000 famiglie le troviamo).
Avanti, lo dica qui chi prenderebbe un bambino in affidamento per 1400 euro al mese per il suo mantenimento.
Se poi in alcuni comuni pagano meno o poco, significa solo che in altri il busimess è ancora piu' ricco.


Queste affermazioni sono prive di qualsiasi base e sarebbero degne del peggior Feltri!
Le famiglie affidatarie, che noi cerchiamo col lanternino da anni, sono sempre meno.
La motivazione di una famiglia ad avere un minore in affido non può assolutamente essere di ordine economico.
E' una follia pura, qualcosa di inaudito: qualsiasi pedagogista, psicologo o assistente sociale ti direbbe che è una cosa deleteria, dannosa e senza senso. Ci sono già precedenti di famiglie affidatarie che hanno compiuto maltrattamenti sui minori presi in affido perché non sufficientemente strutturate ad accogliere un minore con un forte disagio: figurati se si candidassero per beccarsi il malloppo. Questa è pura mancanza di umanità.


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Re: Articolo inaccettabile su Repubblica

Messaggioda flaviomob il 01/05/2011, 11:15

In effetti la colpa della lunga permanenza viene attribuita a chi (giudici, assistenti sociali, ecc) deve decretare l'adozione. Che le pratiche siano lunghe è un dato reale, tanto che moltissimi vanno all'estero per adottare un bambino.
Comunque quelli di sopra sono numeri a caso. La mancanza di dati certi fa correre il rischio di leggerli in chiave ideologica, a seconda di come si vuole pregiudizialmente valutare queste strutture.


No, non è così. In Italia c'è il sacro culto della famiglia, per cui la stragrande maggioranza dei minori in comunità (perché maltrattato dai genitori) non viene dichiarato adottabile dai tribunali, ma può solo essere dato in affido. Ciò può derivare da una cattiva interpretazione della legge, ma è più probabile che sia la legge stessa ad essere inadeguata.
Pochissime famiglie vogliono prendere minori in affido, tantomeno se sono già grandicelli.
Chi va all'estero per adottare un bambino lo fa appunto per questo: perché in Italia è difficilissimo.

Approfondite la differenza tra AFFIDO e ADOZIONE prima di dare giudizi affrettati e affettati!

Le comunità per minori CHIUDONO IN PASSIVO in Italia, se lavorano come si deve.


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Re: Articolo inaccettabile su Repubblica

Messaggioda flaviomob il 01/05/2011, 12:04

Un breve esempio di come funziona il sociale oggi.

Pierino (nome di fantasia) è in una comunità per minori perché abusato dai genitori, che non rivedrà mai più. Compie 18 anni, sta finendo gli studi superiori. Il comune di Milano, ora che Pierino è maggiorenne, non ha alcun obbligo di legge nei suoi confronti: il tribunale aveva affidato il ragazzo al comune, vincolandolo al suo mantenimento fino alla maggiore età.
Il comune può decidere ora se sostenerlo con un prosieguo amministrativo (ovvero perpetuare il suo inserimento in comunità fino a 21 anni o fino al compimento degli studi superiori), dato che non ha più una famiglia alle spalle, o fare finta di niente.
Nel caso specifico la decisione del comune è di non supportarlo, ma di assegnargli un alloggio popolare.

La comunità dove Pierino vive, oggi, si offre comunque di continuare ad ospitarlo anche se andrà in perdita.
I costi per ogni persona presente in una comunità variano da 60 a 70 euro. La retta pagata dal comune di Milano, circa 60 euro, attualmente non copre le spese (infatti molte comunità non accettano più minori residenti a Milano, noi cerchiamo di resistere rinunciando a farci pagare gli straordinari - ma non è certo giusto ne' equo). Cosa si può fare per Pierino?
Il comune accetta di pagare 400 euro al mese 'come se' Pierino fosse in una casa popolare e avesse un piccolo sussidio.
Ma la comunità spende quattro volte questa cifra per tenere Pierino con se' ed aiutarlo a terminare gli studi, oltre a dargli un sostegno personale e la vicinanza di persone con cui ha dei legami forti e significativi.

Grazie a tante situazioni come quella da me riportata, reale e non frutto di fantasia o illazioni campate in aria, la mia cooperativa chiude il bilancio 2010 con un passivo di 60.000 euro.

Intanto il comune di Milano spende centinaia di migliaia di euro così, mettendo a capo dei servizi sociali una consulente con un passato poco trasparente, strapagata e poco competente, condannata addirittura per diffamazione delle assistenti sociali di Milano!

http://www.societacivile.it/primopiano/ ... ffari.html

http://www.02blog.it/post/4828/consulen ... -dei-conti

http://www.lombardia5stelle.org/in-lomb ... ffari.html

http://milano.corriere.it/milano/notizi ... 7539.shtml




Di fronte a queste cose, di fronte a enti pubblici ridotti in questo stato e alla macelleria sociale di questi anni, bisogna leggere articoli come quello di Repubblica che invece di denunciare (come fatto in passato) questa intollerabile situazione spara nel mucchio con accuse poco circostanziate e piuttosto scandalistiche?


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Re: Articolo inaccettabile su Repubblica

Messaggioda cardif il 01/05/2011, 13:18

flaviomob ha scritto:No, non è così. In Italia c'è il sacro culto della famiglia, per cui la stragrande maggioranza dei minori in comunità (perché maltrattato dai genitori) non viene dichiarato adottabile dai tribunali, ma può solo essere dato in affido. Ciò può derivare da una cattiva interpretazione della legge, ma è più probabile che sia la legge stessa ad essere inadeguata.

D'accordo sul fatto che le leggi siano molto rigide e che la scelta è comunque difficile, che si tratti di affido o adozione, penso. E' per questo che chi le deve applicare (giudici, assistenti sociali ecc) ci va con i piedi di piombo, e i tempi diventano lunghi. Notavo che nell'articolo veniva attribuita a questi la responsabilità, non alle leggi.
Proprio per la conoscenza superficiale (almeno da parte mia) dell'argomento dicevo di evitare considerazioni su base ideologica.
Volevo solo mettere in evidenza quello che ho scritto: non deve essere un privato a dare soldi pubblici a chi vuole (e mi riferivo al personale di queste strutture, ovviamente).
Altro è il rimborso a chi tiene in affido qualcuno.
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Ma mo' mi so' capito bene?
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