Anche in politica sono 40 anni almeno che molta sinistra è ferma....
Il Sole 24 Ore pubblicato il 21 aprile 2011
Senza idee non c'è cultura
di Serena Danna
Agli inizi di marzo, il quotidiano inglese The Independent ha chiesto ai suoi lettori di indicare cosa gli viene in mente quando pensano al made in Italy. Al primo posto tra le associazioni trionfava Claudia Cardinale, protagonista del Gattopardo di Luchino Visconti, al secondo il mito della "Dolce vita", e giù così tra gondolieri di Venezia (4°), mafia (10°) e Leonardo Da Vinci (14°).
Fotografia di un mito che non si è aggiornato e che, come una macchina del tempo, tiene l'Italia ferma tra la fontana di Trevi e don Vito Corleone.
Ma non sono certo i giornali stranieri a certificare la nostra arretratezza culturale: nella classifica del 2010 dei paesi più innovatori della Ue l'Italia è 17esima.
Nel 2007, in occasione del lancio del programma cultura, la Commissione Europea ha pubblicato uno studio sulla produzione culturale degli Stati membri. Anche in questo caso brutte notizie: l'Italia si piazza dodicesima. «C'è una correlazione tra i due indicatori - spiega l'economista Pier Luigi Sacco -: i paesi che innovano sono quelli che hanno una visione attiva della cultura».
Secondo Sacco, autore insieme allo storico dell'arte Christian Caliandro del saggio Italia Reloaded (Il Mulino), negli ultimi quaranta anni in Italia si è consolidata una concezione passiva della cultura, basata sulla conservazione dell'esistente e sulla difesa dell'antico: «Abbiamo smesso di produrre idee - spiega Sacco - convinti che, grazie al nostro passato glorioso, potevamo fare a meno di nuovi contenuti: in questo modo siamo diventati marginali sulle frontiere della produzione creativa».
Nel paese che, con i suoi 911 siti Unesco, vanta un patrimonio unico al mondo, le parole-chiave legate alla cultura sono: conservazione, tutela e salvaguardia. E su queste attività si è concentrata la maggior parte delle energie e delle spese pubbliche. Il bilancio di competenza del Mibac per il 2011 è di circa 1 miliardo e 500 milioni di euro: l'84,6% del totale è destinato alla «tutela e alla valorizzazione dei beni e attività culturali e paesaggistici». Dei 60 milioni che provengono dal gioco del lotto, 400 mila euro andranno alle aree archeologiche etrusco-romane di Tarquinia e Gravisca, e parte dei fondi al «consolidamento e il restauro» del convento di San Nazario in provincia di Campobasso o «alla valorizzazione» del Collettore romano di Serravalle del Chianti. Il comune di Firenze investirà in beni culturali e belle arti 65 milioni in più rispetto al 2010.
«Il meraviglioso e ingrombrante patrimonio culturale ha prodotto l'ossessione del turismo», spiega Christian Caliandro. Le città d'arte, caratteristiche della realtà italiana, «sono aggredite da un turismo di massa apparentemente culturale - continua lo storico - ma in realtà concentrato sull'autorappresentazione». Luoghi come Venezia e Firenze non solo non sono capaci di produrre nuova cultura, ma spesso «neanche di conservare il significato di quella che si è tramandata nel tempo».
Città immobili, vetrine del passato, location per fotografie da mostrare agli amici al ritorno. «Venezia si presterebbe a diventare un centro di produzione creativa, insiste Sacco, eppure ha scelto - dalla Biennale a Punta della Dogana - la strada della vetrina».
Nel libro Forza, Italia l'ex direttore dell'Economist Bill Emmott scrive: «Potreste pensare che gli italiani siano eccezionalmente creativi, perché così vuole l'immaginario nazionale. Eppure prendendo il Paese nel suo insieme, verreste smentiti».
Walter Santagata, capo della Commissione che nel 2007 ha prodotto il Libro bianco della creatività, spiega che bisogna distinguere tra due tipi di creatività: «C'è quella legata alla qualità sociale - spiega - in cui rientrano la moda, il design, il cibo, che funziona bene perché legata al territorio, alla tradizione e allo sviluppo nei secoli; e poi c'è la creatività legata all'innovazione in cui abbiamo un grande deficit di produzione». Per Santagata bisognerebbe ripartire dal nome: «L'idea di ministero dei beni e delle attività culturali esprime una concezione limitata dell'universo creativo che esclude automaticamente la produzione contemporanea». Tra le proposte del professore di Economia dei beni e attività culturali all'università di Torino c'è anche l'istituzione di una relazione annuale a carico del ministero: «In modo da conoscere la linea programmatica e poterla valutare».
Eppure sul fronte dei consumi culturali i dati sono incoraggianti: in base al Rapporto annuale di Federculture, il 2010 ha visto un aumento della partecipazione a eventi culturali, a partire dal teatro (+13,5% rispetto al 2009) fino ai concerti di musica classica (+5,9%) e visite a mostre e musei (+3,8%).
C'è tuttavia un problema di appeal. Un sondaggio condotto da The European House-Ambrosetti e Swg ha dimostrato che quasi il 40% dei giovani in età compresa tra i 18 e i 24 anni trovano poco o per niente interessanti gli eventi culturali che avvengono nella propria città, provincia, regione.
Chi si muove all'avanguardia nel mondo dell'arte, vede continue prove della miopia di chi fa cultura nel Paese. Massimiliano Gioni, direttore artistico della Fondazione Trussardi e stimato curatore internazionale (dal New Museum di New York alla Biennale di Seul), cita l'esempio della prossima Biennale di Venezia: «Affidare la cura del Padiglione Italia a un critico poco amante del contemporaneo come Vittorio Sgarbi (che ieri ha rassegnato le dimissioni in polemica con Galan ndr) dimostra la totale assenza di leadership delle istituzioni». Gioni, che difende il ruolo di talent scouting e supplenza svolto delle fondazioni private, vede un segnale di risveglio nelle recenti aperture del Maxxi e del Macro a Roma e del Museo del Novecento a Milano. Progetti che, come spiega Pio Baldi,presidente del Maxxi con una lunga carriera ministeriale alle spalle, nascono per rispondere in maniera propositiva alla domanda: «Perché si guarda sempre indietro?».
«Le istituzioni italiane sono state a lungo attente alla conservazione di un passato illustre - conferma - eppure l'obiettivo del Maxxi è creare quelli che saranno i beni culturali di domani».
La strada tuttavia è ancora lunga. Lo spiega bene Gioni: «Artisti come Maurizio Cattelan e Francesco Vezzoli, l'architetto Renzo Piano, lo scrittore Roberto Saviano, il regista Paolo Sorrentino, non sono il nuovo made in italy ma eccellenze globali».
È s stato un premio Nobel per la fisica italiano con cittadinanza statunitense, Riccardo Giacconi, a dare la ricetta per il nuovo Rinascimento: «Michelangelo diventò un grande artista perché aveva un muro da affrescare e io in Italia non avevo un muro».