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La casta s'ingrassa col Bel Paese

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

La casta s'ingrassa col Bel Paese

Messaggioda ranvit il 17/03/2011, 19:25

http://www.iltempo.it/2011/02/15/123755 ... aese.shtml




NOTIZIE - CULTURA E SPETTACOLI
La casta s'ingrassa col Bel Paese
Rizzo e Stella puntano il dito sui nuovi vandali che distruggono le bellezze d'Italia.



Quod non fecerunt barbari fecerunt Barberini, ghignava Pasquino per fustigare gli scempi perpetrati dalla famiglia romana salita sul trono di Pietro con Urbano VIII. L'orgia del potere lo convinse a fondere i bronzi per Pantheon per farci il suo baldacchino in San Pietro. Storie vecchie, il saccheggio del Bel Paese dura da duemila e passa anni. Ma negli ultimi cento è diventato parossismo. Così Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo, i novelli Catone della casta di potenti e corrotti che ingrassa succhiando il sangue all'Italia, evocano non i barbari, ma i vandali nel loro nuovo libro-sos per i nostri beni culturali. «Vandali - L'assalto alle bellezze d'Italia» è un agghiacciante tour dello Stivale. Un grido di dolore per lo sfregio alla bellezza del territorio, che ci rende unici al mondo. L'indice è puntato sui profittatori minimi e massimi. Sui palazzinari come sul furbetto del quartierino che da un rudere tira su una villa in piena zona archeologica. Ma soprattutto sui politici. Le loro auto blu costano due volte e mezzo l'intero stanziamento per i Beni culturali, quantificano Rizzo e Stella. Fondi oltretutto dimezzati in dieci anni, forse anche nella convinzione, come dice il ministro Tremonti, che la cultura non si mangia. Invece ci si potrebbe mangiare benissimo e tutti, se non si ascoltasse solo la sirena per proprio machiavellico particulare.


La conferma viene dal caso Della Valle-Colosseo. Il patron Tod's s'è riciclato mecenate e sgancia 25 milioni di euro per risanare l'Anfiteatro Flavio. Il ritorno sarà accoppiare il marchio delle sue scarpe al monumento più famoso del mondo. Un affarone. Oltretutto gli consente di abbattere gli utili (90,6 milioni nel 2009) e pagare meno tasse. «Sui 25 milioni investiti in questo modo - scrivono Stella e Rizzo - si può risparmiare fino al 34%, cioè 8,5 miliardi. Di fatto, il restauro del Colosseo sarà pagato per due terzi da Della Valle e per un terzo dallo Stato». Un modo non solo furbo ma intelligente da entrambe le parti di spendere per l'Italia. E invece spesso il Palazzo depreda. Come nel 2004 sul tetto della Biblioteca del Senato, di fronte al Pantheon. Vi si installò una verandona per «serate culturali». L'idea era di Angelo Balducci, l'uomo-simbolo della «cricca». L'abuso fu rimosso, il costo (uno o due milioni?) lo abbiamo pagato tutti noi. Dal centro alla periferia, la via Appia. La foto qui accanto è eloquente. A Roma, poi, il Parco archeologico della «regina viarum» è una barzelletta, con auto e camion che ci sfrecciano sopra. C'è anche una concessionaria Hyundai, da vent'anni in contenzioso con Comune e Sovrintendenza. Il proprietario ha avuto decine di ingiunzioni ma non si muove. Si muovono solo gli autotreni che scaricano lamiere in forma di auto per il suo «Centro Motoristico Appia Antica».
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: La casta s'ingrassa col Bel Paese

Messaggioda Loredana Poncini il 17/03/2011, 20:45

e'QUARESIMA di crisi epocale: facciamola dimagire, questa Casta ch'è tutt'altro che casta !
Come ?
Sosteniamo la politica decurtatoria dei Richetti, AD ESEMPIO ! :x :twisted: :idea:
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Re: La casta s'ingrassa col Bel Paese

Messaggioda flaviomob il 22/03/2011, 2:31

BLOG | di Antonio Massari 21 marzo 2011

De Magistris, separiamo
i fatti dalle opinioni

Separiamo i fatti dalle opinioni. Trenta archiviazioni su trenta indagati: questa è la notizia sull’inchiesta “Toghe Lucane”. Il fatto dimostra che l’intero impianto accusatorio, costruito dall’ex pm Luigi de Magistris, è totalmente franato. E questo dice la cronaca giudiziaria. La notizia può essere analizzata, però, e siccome chi scrive ha seguito le inchieste di De Magistris, passo dopo passo, fino alla punizione comminata dal Csm (e anche dopo), un’analisi è d’obbligo. Qualche riflessione, innanzitutto.

“Toghe Lucane” è stata l’unica delle tre inchieste – c’erano anche “Why Not” e “Poseidone” –che de Magistris ha potuto concludere personalmente. Non ha potuto portarla fino al vaglio del giudice, però, visto che pochi giorni dopo averla conclusa fu trasferito di sede (da Catanzaro a Napoli) e di funzione (da pm a giudice del tribunale del Riesame). La circostanza non è irrilevante: de Magistris sapeva su cosa, e come, aveva indagato; il suo successore – pm Vincenzo Capomolla – ha dovuto studiare l’incartamento dalla prima all’ultima pagina (circa 200mila pagine). L’inchiesta, in questo modo, ha subìto senza dubbio un pregiudizio. Probabilmente ha perso quella visione unitaria che de Magistris, e soltanto lui, poteva avere nella costruzione dell’accusa. C’è un altro fatto, però, del quale bisogna tenere conto: delle trenta posizioni indagate, nessuna ha retto, sia al vaglio del pm che ha ereditato l’inchiesta (Capomolla ha chiesto l’archiviazione) sia del gip che l’ha disposta. Con un po’ di pazienza, per comprendere quale groviglio sia quest’indagine, è doveroso ricordare un altro particolare. Nell’inchiesta “Toghe Lucane”, un importante filone d’indagine, riguardava la costruzione di un mega villaggio turistico, da costruire in Basilicata alla foce del fiume Agri. Non entriamo nel merito della vicenda per motivi di sintesi.

Arriviamo subito alla conclusione: per de Magistris, le ipotesi di reato, c’erano. Il pm Capomolla stralcia il filone Marinagri e – qui viene il lato curioso – chiede il rinvio a giudizio degli imputati. All’ultimo momento, però, anche Capomolla viene sostituito e il pm che gli subentra, Alfredo Cianfarini, chiede invece l’archiviazione. Parliamo dello stesso Capomolla che chiederà – ottenendola – l’archiviazione degli altri trenta indagati. Registriamo il dato e riflettiamo: in quest’inchiesta, le valutazioni, sono cambiate di volta in volta, di pm in pm, e questo può portare a una sola conclusione: l’inchiesta doveva portarla, fino in fondo, Luigi de Magistris. E questo non è avvenuto: il Csm l’ha punito e allontanato. Questo punto è fondamentale per ricostruire la storia e farsi un’opinione.

Tra i motivi dell’allontanamento di de Magistris, infatti, c’è un decreto di perquisizione, disposto proprio per “Toghe Lucane”, definito dal Csm come “abnorme”, non per la quantità di pagine, ma per il loro contenuto. Il Csm ha rivendicato il potere di entrare nel merito dell’indagine, quindi, punendo de Magistris. Un altro fatto curioso. Ancor più curioso, peraltro, è che – senza successo – alcuni indagati in “Toghe Lucane” hanno anche denunciato de Magistris alla procura di Salerno per “rivelazione di segreti d’ufficio e abuso d’ufficio”. Il gip di Salerno ha archiviato de Magistris: le accuse erano quindi infondate. Ma la pressione sull’ex pm – tra Csm e denunce penali – era fondatissima. E non soltanto su di lui. I guai per de Magistris sono legati alle inchieste che stava conducendo.

Quando abbiamo scritto della “Cricca” che condizionava gli appalti pubblici della Protezione Civile, della “P3” e anche della “P4”, abbiamo costatato che molti nomi comparsi in queste indagini erano stati già individuati da de Magistris nelle sue inchieste. E quelle inchieste non le ha portate a termine. Chi scrive, peraltro, ha potuto verificare – giorno dopo giorno – la mole di accuse e pressioni, esercitate su de Magistris e suoi investigatori, man mano che quelle inchieste procedevano. E anche questo non bisogna dimenticarlo.

Il suo consulente informatico, Gioacchino Genchi, fu di lì a poco perquisito e denunciato per le modalità in cui aveva condotto le perizie in “Why Not”. Pochi giorni fa è stato cacciato dalla Polizia di Stato per un’opinione – non condivisibile, per quanto mi riguarda, ma pur sempre un’opinione – sul presidente Silvio Berlusconi.

Il maggiore dei Carabinieri di Policoro (Matera), che seguiva l’inchiesta “Toghe Lucane”, è stato trasferito a Fermo per scadenza del mandato, sebbene avesse chiesto di concludere l’inchiesta.

Una cronista calabrese – Chiara Spagnolo – che seguiva l’indagine per “Il Quotidiano della Calabria” fu perquisita da un numero imprecisato di Carabinieri del Ros, il reparto che solitamente si occupa di mafie e terroristi, perché accusata di aver violato la segretezza delle indagini. Si scoprì poi che aveva soltanto riportato un’agenzia stampa del giorno prima.

Il maggiore del carabinieri che seguiva le indagini per conto di Luigi de Magistris, Enrico Grazioli, è stato arrestato da un coraggioso pm di Crotone, Pierpaolo Bruni, in un’atra inchiesta. E indagando s’è scoperto che intrecciava relazioni con gente indagata o coinvolta in “Why Not”, l’inchiesta che avrebbe dovuto condurre per conto di de Magistris, che in lui aveva riposto parecchia fiducia.

Il collega del Corriere della Sera, Carlo Vulpio, prima di candidarsi come indipendente dell’Idv, seguiva le indagini di de Magistris: gli furono “avocate” subito dopo aver fatto il nome di Nicola Mancino, che spuntava dagli atti, sebbene non indagato. Da quel giorno non scrisse più una riga.

Nel frattempo, a de Magistris, fu prima sottratta l’inchiesta “Poseidone”, poi avocata “Why Not”, e il caso finì sotto indagine nella procura di Salerno. I tre pm che condussero l’inchiesta sono stati – al pari di Luigi de Magistris – puniti e trasferiti dal Csm. Si chiamano Gabriella Nuzzi, Dionigio Verasani, Luigi Apicella (quest’ultimo ha lasciato la magistratura prima che il Csm si esprimesse sul suo conto). Le loro tesi sono state poi confermate: l’avocazione e la revoca delle indagini furono illegali e, sempre a Salerno, dal 4 aprile, inizia il processo contro chi operò illegalmente.

Anche il gip di Brescia Clementina Forleo, che ebbe il coraggio di difendere un collega isolato come Luigi de Magistris, in una puntata di Annozero, incappò poi nelle accuse del Csm e, di lì a poco, fu trasferita da Milano.

Bene. Questa è la sintesi minima delle inchieste condotte da Luigi de Magistris prima che gliele sottraessero. Sia “Why Not”, sia “Poseidone”, sebbene in misura ridimensionata rispetto alla prospettiva accusatoria di de Magistris – l’unico che poteva conoscerne il significato unitario – hanno retto al vaglio del Gip e del primo grado. Ci sono state condanne e questo è un fatto. Non possiamo sottrarre “Toghe Lucane” da questo contesto, soprattutto se pensiamo che, proprio a Catanzaro, c’è un’altra inchiesta – denominata, non a caso, “Toghe Lucane 2”, che rimette nel mirino ciò che accadde – tra il 2003 e il 2010 – nella procura di Potenza. Rimette nel mirino le interferenze operate nei confronti del pm Henry John Woodcock. Altre interferenze, dopo quelle segnalate, da alcuni magistrati e persone di spessore personale e professionale, come Alberto Iannuzzi e Rocco Pavese, sentiti come testimoni da Luigi de Magistris. Paradossalmente, il verbale di Woodcock, anch’egli sentito da de Magistris, risulta il meno ficcante di tutti, poiché fa riferimento per lo più a notizie apprese dai giornali. Resta il fatto, però, che pure Iannuzzi e Pavese ebbero poi qualche guaio con il Csm, proprio per le dichiarazioni rese a de Magistris.

Non c’è dubbio, quindi, che de Magistris intendesse far luce sull’andamento della giustizia in Basilicata, a fronte di denunce circostanziate e per competenza territoriale, visto che Catanzaro è la procura che si occupa dei magistrati lucani. Che poi le accuse si siano rivelate infondate, che il castello accusatorio sia crollato, è un fatto di cronaca che deve essere raccontato senza remore. Ma questo non può esimerci dal ricordare che questa storia, se viene scritta in questo modo, è perché Luigi de Magistris non ha potuto concludere nessuna delle inchieste che aveva aperto. È un fatto anche questo. E non è certo indifferente. In “Toghe Lucane” sono stati archiviate trenta posizioni su trenta, ed è un fatto giudiziario, ma nessuno potrà archiviare il racconto, lo spaccato della magistratura lucana, nelle 200mila pagine d’indagine raccolte da de Magistris. Un racconto che, al di là della vicenda giudiziaria, merita di essere conosciuto fino in fondo.

dal Fatto Quotidiano


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Errori storici e troppi morti

Messaggioda gabriele il 24/03/2011, 15:37

Errori storici e troppi morti
il flop del videogame sul Risorgimento
Il gioco voluto dal ministro Meloni ammicca al linguaggio dei giovani ma senza conoscerlo fino in fondo. Le parodie su YouTube e la bocciatura dei siti specializzati: "E' il prodotto più brutto di tutti i tempi"
di FRANCESCO MERLO
Il videogioco "Gioventù ribelle"
AMMICCA al linguaggio dei giovani ma solo chi non ne conosce il codice può credere che sia giovanile tradurre il grido "Savoia!" con l'inglese "Rampage!" che vuol dire furore. Evidentemente pensa che i giovani sono cretini il giovane ministro della Gioventù che ha commissionato un patriottico, giovanilistico videogioco dove un inesorabile eroe del Risorgimento spara a Pio IX che, infallibile, ricorre all'aiuto di Dio e mette in funzione il provvidenziale teletrasporto per levarselo di torno.

Ma l'eroe (dei due mondi) torna (dall'altro mondo) e di nuovo avanza sparando e sterminando l'esercito pontificio e urla kill quando fa fuori un nemico, double kill quando ne ammazza due, e poi multi kill, mega kill, over kill. E attraversa cunicoli sotterranei, varca cancelli, si inoltra lungo i giardini del Quirinale e il suo fucile non conosce ostacoli, abbatte tutta la vita che incontra finché non si ritrova davanti quel diavolo di un Papa che, questa volta, lo fa definitivamente secco e senza neppure dargli l'estrema unzione.

Il videogioco si chiama 'Gioventù Ribellè ed è una trovata della Meloni per "raccontare la storia ai giovani con il loro linguaggio". E va bene che i videogiochi per loro natura semplificano, ma non si capisce come una rivoltella - è proprio una Colt - e un moschetto che avanzano possano rimandare al passo di carica dei bersaglieri e alla breccia di Porta Pia. Né basta chiamare shooter, sparatore, l'eroe del Risorgimento per convincere i ragazzi di oggi che era uno di loro.

La ministra ha pure illustrato la seguente trama: il generale Cadorna scrive al Papa intimandogli di arrendersi e assegna al nostro eroe il compito di consegnare la lettera direttamente nelle mani di Pio IX. Ma è una trama che non si deduce dal videogame, perché semplicemente non c'è, neppure per accenni. Dice la Meloni: "Della fedeltà della ricostruzione storica si è occupato l'Istituto per la Storia del Risorgimento Italiano. Alcuni dettagli possono essere stati lievemente alterati o risultare differenti dai modelli reali per meri limiti tecnici nella realizzazione degli oggetti 3D". In realtà i bersaglieri si riconoscono dai pennacchi appena accennati e i dragoni, le guardie svizzere e gli zuavi pontifici dai ghirigori sulla divisa chiara. Il papa è un omino tutto vestito di bianco. C'è un obelisco in mezzo a un campo piatto e brullo, ogni tanto emergono statue classicheggianti, gabinetti alla turca, bruttissimi cavalli, tende, anfore, un palazzone classico, e le case hanno la forma a scatola vagamente antropomorfa dei disegni infantili: due finestre a mo' di occhi a destra e a sinistra della porta. E poi botole e tombini ricordano il mondo dei pirati inglesi, più caverne dell'isola di Tortuga che palazzi vaticani. E ogni tanto c'è un bersagliere che cade a terra e muore, senza apparente motivo.

Prima di essere messo online (www. gioventuribelle. it), il gioco era stato presentato durante un'entusiastica cerimonia al Museo Maxxi di Roma dove erano intervenuti anche Giuliano Amato (davvero lo ha visto e approvato?) e il ministro della Salute Ferruccio Fazio. In realtà scaricarlo dal sito non è facile, ma ci hanno pensato i blogger a mandarlo su YouTube e subito a parodiarlo in mille modi, a farne oggetto di scherno più che di indignazione, a ridicolizzare l'inglese dei sardo piemontesi, a recensirlo nella forma e nel contenuto, a svelare che le sue parti migliori sono copiate, e a mostrare con quella competenza che io non ho il pessimo livello della tecnologia utilizzata: "È il peggiore video game sinora prodotto nella storia dei video game", hanno già scritto, dopo appena cinque giorni, i siti internazionali specializzati. E i forum come NeoGAF e Destructoid lo considerano peggiore anche del famoso Big Rigs (Grandi Camion) che deteneva il titolo negativo assegnato da Thunderbolt Games e Game Spot, "brutto che supera ogni limite dei precedenti giochi più brutti e sicuramente uno dei giochi che appartiene alla categoria dei giochi più atroci mai pubblicati".

Come si vede qui c'è un'altra piccola conferma della potenza del Web, della sua velocità nel giudicare, nell'orientare, nel promuovere. Prima ancora di diventare notizia, il videogioco della Meloni è stato infatti demistificato come una concentrazione di ignoranza storica e di imperizia tecnica, come un gioco che non riesce neppure a divertire perché espone la miseria dell'Italia di oggi e nasconde la nobiltà dell'Italia del Risorgimento. C'è saggezza e c'è speranza in questa bocciatura che viene proprio dai giovani internauti e video-giocatori ai quali il game vorrebbe rivolgersi . Lo hanno liquidato con il linguaggio sincopato del Web, quel codice breve di un pensiero lungo che "Gioventù ribelle" non riesce ad imitare perché il giovanilismo è sempre un vezzo senile: i giovani non c'entrano. Sono un mondo che il nostro governo non conosce, quale che sia l'età dei suoi ministri.
(24 marzo 2011)

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Re: La casta s'ingrassa col Bel Paese

Messaggioda Iafran il 24/03/2011, 21:55

gabriele ha scritto:Il videogioco si chiama 'Gioventù Ribellè ed è una trovata della Meloni per "raccontare la storia ai giovani con il loro linguaggio".

Ma se questi vivono alla giornata ... della storia se ne devono fare un baffo! (... nascondono finanche i fatti quotidiani!)
Mi meraviglia chi si aspetta ancora qualcosina di diverso (positivo) da questi "spregiudicati"!
Questo videogame è il massimo che potevano fare per parlare ... di oggi.
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Re: La casta s'ingrassa col Bel Paese

Messaggioda Iafran il 25/03/2011, 9:37

Ma, quando questi avventurieri nati (e "politici" all'acqua di rosa) non ci saranno più (per ovvie ragioni anagrafiche, naturalmente) gli altri avranno la forza (morale) di schiacciare definitivamente la testa al "serpente" della superficialità, pressapochismo, affarismo, immoralità, illegalità che è nato e cresciuto nel ventre della società italiana?
Spero tanto che si dia un bel calcio al "berlusconismo" e che si possa sviluppare un'Italia civile, onesta, responsabile, corretta e al passo dei tempi. Non può continuare ad essere il paese di Bengodi per pochi (soliti "politici" e Co) sulle spalle dei cittadini.
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Re: La casta s'ingrassa col Bel Paese

Messaggioda ranvit il 25/03/2011, 11:41

il "serpente" della superficialità, pressapochismo, affarismo, immoralità, illegalità non è nato negli ultimi due decenni, durante i quali non è stato tenuto a freno dal berlusconismo (che in fondo ne è la evidenza politica).
Poche le speranze quindi che in assenza di Berlusconi le cose possano migliorare d'incanto.

La speranza è per ora solo quella di tornare ad un po' di decenza pubblica....almeno apparente.
Per il resto ci vuole un po' piu' di tempo...qualche decina di decenni.

Vittorio
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Re: La casta s'ingrassa col Bel Paese

Messaggioda flaviomob il 25/03/2011, 14:35

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Corriere della Sera > Cronache > «La P2? Presto P3 e P4» La profezia della Anselmi

«La P2? Presto P3 e P4»
La profezia della Anselmi
I diari segreti: possibile che Andreotti e Berlinguer non sapessero?

I socialisti Tra i primi appunti dell'81 dopo che scoppiò il caso: «I socialisti sono terrorizzati dall'inchiesta» I comunisti Tra i 773 foglietti: «Strano atteggiamento del Pci... non mi pare che voglia andare fino in fondo»



Tina Anselmi
Il 17 marzo 1981 il colonnello Vincenzo Bianchi si presenta a Villa Wanda, a Castiglion Fibocchi, vicino ad Arezzo, residenza dell'allora quasi sconosciuto Licio Gelli. Ha in tasca un mandato di perquisizione dei giudici milanesi Giuliano Turone e Gherardo Colombo, che indagano sull'assassinio Ambrosoli e sul finto sequestro di Sindona, mandante del delitto. Dopo qualche ora di lavoro, l'ufficiale riceve una telefonata del comandante generale della Finanza, Orazio Giannini. Si sente dire: «So che hai trovato gli elenchi e so che ci sono anch'io. Personalmente non me ne frega niente, ma fai attenzione perché lì dentro ci sono tutti i massimi vertici». Poche parole, dalle quali Bianchi è colpito per la doppia intimidazione che riassumono. Cioè per quel «non me ne frega niente», che esprime un assoluto senso d'impunità. E per quel «tutti i massimi vertici», che capisce va riferito ai vertici «dello Stato e non del corpo» di cui lui stesso indossa la divisa.
Ed è proprio vero: c'è una parte importante dell'Italia che conta, in quella lista di affiliati alla loggia massonica Propaganda Due, che il colonnello sequestra assieme a molti altri documenti e trasporta sotto scorta armata a Milano. Ci sono 12 generali dei carabinieri, 5 della guardia di Finanza, 22 dell'Esercito, 4 dell'Areonautica militare, 8 ammiragli, direttori e funzionari dei vari servizi segreti, 44 parlamentari, 2 ministri in carica, un segretario di partito, banchieri, imprenditori, manager, faccendieri, giornalisti, magistrati.


Insomma: nella P2 ci sono 962 nomi di persone che formano «il nocciolo del potere fuori dalla scena del potere, o almeno fuori dalle sue sedi conosciute». Una sorta di «interpartito» formatosi su quello che appare subito come un oscuro groviglio d'interessi dietro il quale affiorano business e tangenti, legami con mafia e stragismo, il golpe Borghese, omicidi eccellenti (Moro, Calvi, Ambrosoli, Pecorella) e soprattutto un progetto politico anti-sistema. Quando, dopo due mesi di traccheggiamenti, gli elenchi sono resi pubblici, lo scandalo è enorme.
Il governo ne è travolto e il 9 dicembre 1981, anche per la spinta di un'opinione pubblica sotto choc e che chiede la verità, s'insedia una commissione parlamentare d'inchiesta che la presidente della Camera, Nilde Jotti, affida alla guida di Tina Anselmi. Da allora l'ex partigiana di Castelfranco Veneto, deputata della Dc e prima donna a ricoprire l'incarico di ministro, comincia a tenere un memorandum a uso personale oggi raccolto in volume: «La P2 nei diari segreti di Tina Anselmi», a cura di Anna Vinci (Chiarelettere, pag. 576, euro 16).


Tra i primi appunti, uno è rivelatore del clima che investe la politica («i socialisti sono terrorizzati dall'inchiesta») e l'altro del metodo che la Anselmi intende seguire: «Fare presto, delimitare la materia, stare nei tempi della legge». Un proposito giusto. Lo sfogo del colonnello Bianchi le ha fatto percepire l'enormità dell'indagine e i livelli che è destinata a toccare. Diventa decisivo, per lei, sottrarsi all'accusa di «dar la caccia ai fantasmi» e di certificare quindi l'attendibilità delle liste (su questo si gioca la critica principale), come pure evitare che l'investigazione si chiuda con il giudizio minimalista accreditato da alcuni, secondo i quali la P2 sarebbe solo un «comitato d'affari».
È un'impresa dura e difficile, per la Anselmi. Carica di inquietudini. Lo dimostrano i 773 foglietti in cui annota ciò che più la colpisce durante le 147 sedute della commissione. Riflette, ad esempio, il 14 aprile 1983: «Strano atteggiamento del Pci... non mi pare che voglia andare a fondo. La stessa richiesta loro di non approfondire il filone servizi segreti fa pensare che temano delle verità che emergono dal periodo della solidarietà. Ipotesi: ruolo di Andreotti, che li ha traditi? O coinvolgimento di qualche loro uomo? Più probabile la prima ipotesi. Mi pare che Br e P2 si siano mosse in parallelo e abbiano fatto coincidere i loro obiettivi sul rapimento e sulla morte di Moro». Altro appunto, del 26 gennaio '84, con l'audizione di Marco Pannella: «Com'è possibile che Piccoli, Berlinguer e Andreotti non sapessero della P2 prima del 1981?». Ragionando poi sul fatto che gli elenchi non sono forse completi e che Gelli potrebbe essere solo «un segretario», si chiede se la pista non vada esplorata fino a Montecarlo, sede di una evocata super loggia. E ancora, il 16 dicembre '81 mette a verbale che il parlamentare Giuseppe D'Alema (padre di Massimo) «consiglia di parlare» con un poco conosciuto giudice di Palermo che cominciava a conquistarsi le prime pagine sui giornali: Giovanni Falcone.
S'incrocia di tutto in quelle carte. La fantapolitica diventa realtà. Ci sono momenti nei quali la commissione è una «buca delle lettere»: arrivano messaggi cifrati, notizie pilotate o false, ricatti. Parecchi riguardano la partita aperta intorno al Corriere della Sera, che era stato infiltrato (nella proprietà e in parte anche nella redazione) da uomini del «venerabile» e alla cui direzione c'è ora Alberto Cavallari, indicato da Pertini per restituire l'onore al giornale. In questo caso sono insieme all'opera finanzieri e politici, ossessionati dalla smania di controllare via Solferino. Si agitano anche pezzi del Vaticano, il cardinale Marcinkus, senza che la cattolica Anselmi se ne turbi e lo dimostra ciò che dice al segretario, Giovanni Di Ciommo: «Non ho fatto la staffetta partigiana per farmi intimidire da un monsignore».


Ma a intimidirla ci provano comunque. La pedinano per strada. Qualche collega, passando davanti al suo scranno a Montecitorio, le sibila: «Chi te lo fa fare? Qua dobbiamo metterci i fiori». Fanno trovare tre chili di tritolo vicino a casa sua. Lei tira dritto. Quando, il 9 gennaio '86, presenta alla Camera la monumentale conclusione del suo lavoro, 120 volumi, definisce la P2 «il più dotato arsenale di pericolosi e validi strumenti di eversione politica e morale» (il piano di Rinascita Democratica di Gelli). Nel diario aveva profeticamente scritto: «Le P2 non nascono a caso, ma occupano spazi lasciati vuoti, per insensibilità, e li occupano per creare la P3, la P4...». Sono passati trent'anni e la testimonianza di Tina Anselmi, dimenticata e da tempo malata, è da riprendere. Magari riflettendo su un dato: nella lista compariva anche il nome di Silvio Berlusconi. All'epoca era soltanto un giovane imprenditore rampante e i parlamentari non ritennero di sentirlo perché era parso un «personaggio secondario».


Marzio Breda
25 marzo 2011


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Re: La casta s'ingrassa col Bel Paese

Messaggioda Iafran il 25/03/2011, 19:04

ranvit ha scritto:il "serpente" della superficialità, pressapochismo, affarismo, immoralità, illegalità non è nato negli ultimi due decenni, durante i quali non è stato tenuto a freno dal berlusconismo (che in fondo ne è la evidenza politica).

Prima, i ladri rimanevano ladri, anche se erano onorevoli, ora si sono istituzionalizzati e gli "onorevoli" accusano di disonestà e di incapacità coloro che vogliono far rispettare la legalità.

Una mente aperta sa discernere che non "sono tutti uguali", che un gruppo di "responsabili" è solo un gruppo di corrotti e che chi predica "fan tutti così" è motivato a coprirsi le spalle, dando disposizioni per "la macchina del fango" ("le cose indicibili" del "superpremierissimo" e i vari "attentati" sono solo fantasie di scagnozzi).
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Re: La casta s'ingrassa col Bel Paese

Messaggioda pianogrande il 26/03/2011, 0:24

Eh sì!
Il salto di qualità, rispetto alle ruberie del passato, è che, oggi, i mariuoli si sentono legittimati.
Magari, una volta, l'esempio era fatto di ipocrisia ma qualche effetto lo otteneva.
Oggi, onesto significa moralista e legalitario significa giustizialista.
Per essere à la page bisogna rubare dall'alto del potere politico e permettere ai propri scagnozzi di rubacchiare con discrezione fino a quando non si aprirà una carriera che li metterà al riparo dai moralisti e dai giustizialisti.
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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