No, Odifreddi,
l'Umanesimo non si estinguerà
di Cecilia Moretti - Farefuturo webmagazine
Che la modernità sia una sfida da affrontare equipaggiati di strumenti sempre aggiornati è qualcosa di persino scontato nella sua ovvietà. Che, però, la cultura umanistica non possa essere nemmeno per vie traverse accostata al concetto di “cestino dei rifiuti della storia” è qualcosa di addirittura più lampante.
Lo farà per spirito di provocazione il matematico, logico e saggista Piergiorgio Odifreddi a parlare dell’umanesimo in certi termini sul suo blog. Lo fa per puntare il dito contro quello che identifica, in termini un po’ stupefacenti, come lo «strapotere della lobby umanistica nella scuola». E per rallegrarsi dell’ultima nomina, da parte del Consiglio dei ministri, dei membri dell’Anvur (l’Agenzia nazionale di valutazione dell’università e della ricerca): neppure un umanista. Si compiace, Odifreddi, del fatto che verisimilmente ora si possano applicare alle facoltà umanistiche i criteri di valutazione e di produttività in vigore nelle facoltà scientifiche e saluta come un buon segno il fatto che siano sempre di meno i ragazzi che scelgono di studiare il latino al liceo, prova «dal basso», secondo lui, dell’«anacronismo» di certe discipline umanistiche.
Si può dire senza timore di apparire nostalgici o fuori tempo che sono considerazioni che fanno tristezza. Senza addentrarsi nel terreno scivoloso e da iniziati dei tecnicismi accademici, addolora, però, sentire che il patrimonio culturale – immenso – della nostra Italia venga trattato con sufficienza, svilito invece che esaltato e protetto, come si converrebbe alle cose più preziose e fragili. Come dovrebbe convenirsi a quelle che sono le fondamenta stesse della nostra identità, italiana ed europea, ché senza radici la pianta non fa una bella fine. Non si può cedere alla tentazione di abbandonarsi a un’aziendale logica del profitto, che svuota di valore tutto ciò che non ha un immediato riscontro pratico, auspicando una ben congegnata società di tecnici che conoscono a meraviglia il particolare del loro ingranaggio e perdono di vista il meccanismo globale del funzionamento del sistema, in una frustrante catena di montaggio. Perché questo è il messaggio che rischia di passare.
Nella “Città della scienza” vagheggiata da Galileo, gli abitanti erano tutti parte della comunità culturale della “Repubblica delle lettere”. È troppo ardito ambire a una realtà così perfetta, ma è giusto almeno rivendicare con fermezza, in una società sempre più in balia del tecnicismo, l’importanza delle discipline umanistiche. Nella formazione di un individuo capace di uno sguardo critico sulle cose, nello sviluppo di un migliore spirito di adattamento alle prove dell’esistenza. Per di più questi studi, che «guidano l’adolescenza, dilettano la vecchiezza, abbelliscono i momenti favorevoli, offrono rifugio e sollievo in quelli avversi», come spiegava Cicerone nella sua magistrale difesa del poeta Archia, riservano anche una più materiale sorpresa. Per la gioia dei genitori terrorizzati dalla scelta dei figli di iscriversi a facoltà umanistiche, infatti, secondo il 62% dei Direttori del personale, i laureati in lettere e filosofia sono i più adatti a ricoprire posizioni manageriali. Parlano di «maggiore apertura mentale».