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E' in gioco un'intera generazione

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

E' in gioco un'intera generazione

Messaggioda Sandra Zampa il 31/12/2010, 17:33

Cari amici del Forum di Perlulivo.it,
l’anno che tra poche ore entrerà a far parte del passato, ci lascia un Paese più povero, più solo e più lacerato. Nell’impossibilità di fare in questa sede un bilancio del 2010, mi limiterò a far cenno a un paio di recentissimi eventi politici.

La mobilitazione degli studenti, la legge Gelmini, e il piano nazionale per l’Infanzia che il governo ha silenziosamente licenziato dopo aver sforato anche i tempi supplementari. Tutto ciò è avvenuto nel clima politico e sociale che ho richiamato e in uno scenario economico-finanziario difficilissimo. Non servono indagini per capire quel che sentiamo tutti. Anche semplicemente guardando a ciò che accade nella società attorno a noi. Siamo un Paese diviso e contrapposto su tutto.

Ma elementi di speranza proprio nei giorni scorsi non sono mancati. Mi riferisco alla straordinaria mobilitazione degli studenti, pacifica e piena di dignità che si è tenuta il 22 dicembre e che è culminata nell’incontro con il Presidente Napolitano. Si temeva una seconda drammatica giornata di guerriglia e, invece, dalle strade di Roma, è arrivata una lezione per tutti coloro che sono in grado di intenderla.

E’ alla politica, quella vecchia, mercantile o degli “accordi” mai trasparenti, che, più di tutto, parlano quei giovani. A loro che sono il nostro futuro e che vengono privati del futuro dal sistema, ha saputo parlare il Presidente Napolitano mentre nell’aula del Senato andava in scena una seconda grottesca puntata della politica parlamentare: protagonista principale la leghista Rosy Mauro, immancabile fiore verde fissato al petto per proclamare un’identità che separa dagli altri.

Dopo le grottesche immagini della Camera nel giorno della sfiducia mancata, popolate dagli immancabili corrotti (i corruttori esistono solo grazie ai corrotti), è stata approvata la legge Gelmini che oggi il Presidente Napolitano restituisce con osservazioni critiche e con la raccomandazione a dar vita a “un costruttivo confronto con tutte le parti interessate”.

Quel confronto che il PD ha chiesto e sollecitato in ogni occasione ma che, a riprova della debolezza del governo, la ministra Gelmini ha rifiutato. Quel confronto che il Presidente Napolitano ha invece voluto con gli studenti, a testimonianza della forza della democrazia che non teme conflitti e diversità nelle opinioni, negli orientamenti e nelle culture.

Con il suo gesto nei confronti degli studenti, con le parole di commento pronunciate in diverse recenti occasioni ed anche con le osservazioni con cui ha promulgato la legge di riforma dell’Università italiana, Napolitano ha ribadito che occorre investire nel sapere e nella realizzazione di quella società della conoscenza se si vuol costruire un futuro per l’Italia e i suoi giovani. La spesa per l’istruzione e ricerca è inchiodata a un livello tra i più bassi (4.5%) d’Europa.

Ciò nonostante, a stare ai dati del rapporto Ocse Pisa, le scuole statali continuano a battere quelle private per efficienza e qualità. Si tratta di “un sistema migliore ma con meno risorse” segnalano gli autori dell’indagine Ocse. Per questo la ministra Gelmini avrebbe dovuto dare un segnale e non lasciare che le politiche scolastiche, universitarie e della ricerca fossero determinate dal suo collega Tremonti.

Ma a loro che importa? Un minimo di uguaglianza nelle opportunità non è nei loro obiettivi politici. Peccato che così si impoverisca tutto il Paese. Il sapere è un bene diffuso che crea ambienti nei quali nascono idee, imprese, attività positive e occasioni di crescita per tutta la società.

Lo sa bene Giovanni Zamboni, docente dell’Ateneo di Bologna, che ha speso davvero gran parte della sua vita professionale a favore dei giovani studenti o laureati impegnati nella ricerca. E’ a lui che vorrei lasciare il commento alla legge Gelmini segnalandovi il testo integrale di un suo scritto http://www.sandrazampa.it/wp-content/uploads/2010/12/Zamboni20101223.pdf pubblicato (con qualche taglio) da un autorevole quotidiano nazionale immediatamente a ridosso del voto al Senato. Infine vorrei condividere una riflessione sul Piano nazionale dell'Infanzia varato dal governo: un piano insoddisfacente e del tutto privo di risorse economiche. Una promessa mancata e un occasione perduta con gravissime rispercussioni. E' noto infatti come attorno al tema dell'Infanzia ruotino una serie di problemi che investono tutto il sistema Paese, direi anzi il futuro stesso del nostro Paese.

Sono in gioco la nostra capacità di esprimere, di qui a qualche hanno, una società matura e pronta alle sfide del domani, una società nella quale sia salda l'idea di solidarietà, unità, pacifica convivenza. Ciò che oggi sarà investito sui nostri bambini e sugli adolescenti, ci sarà restituito in termini di competitività, di pace, di prosperità. Uno Stato che non cura i propri bambini non è uno Stato civile.

I nostri giovani, i bambini e gli adolescenti sono il nostro futuro, ma su di loro il governo non investe risorse. Tagli alla scuola, tagli ai servizi, tagli alle prospettive, in definitiva, per il futuro dei nostri figli.

Una scelta in contro corrente rispetto ai Paesi d'Europa e agli Stati Uniti che invece investono sul futuro dei giovani e dei bambini, consapevoli che il destino delle Nazioni sarà presto nelle loro mani. Non v'è alcuna veduta prospettica rispetto al domani, manca una progettazione seria e concreta per realizzare autentiche politiche di integrazione.

In Bicamerale Infanzia, di cui sono capogruppo per il Partito Democratico, abbiamo predisposto una mozione, approvata dalla Camera, a tutela dei bambini non accompagnati perché davvero troppe sono le lacune di questo governo nelle politiche per l'integrazione, ancor più drammatiche e odiose quando si tratta di minori stranieri.

L'assenza di una adeguata copertura finanziaria rende il Piano nazionale per l'Infanzia una pura e semplice operazione di facciata, aggravata dai tagli per oltre 3 miliardi di euro sottratti alle politiche sociali ed educative nel prossimo triennio, al netto dei tagli delle risorse per i comuni. Anche la Conferenza Stato Regioni ha espresso parere non favorevole. Anci, Upi e i rappresentanti della giustizia minorile, hanno avanzato numerosi rilievi e osservazioni: dall’assenza di un sistema di monitoraggio alla necessità di indicare i livelli di assistenza, alla totale assenza di risorse, all’insufficienza delle azioni del diritto, alla partecipazione civica e sociale dei minori.

Eppure anche i drammatici fatti di cronaca di questi ultimi mesi segnano l'urgenza di interventi a protezione dell'infanzia e dell'adolescenza: la caccia xenofoba allo straniero che la Lega invoca non è e non può rappresentare una risposta.

Sottrarre alla scuola pubblica le risorse significa privarla del suo ruolo sociale, ruolo che personalità come Aldo Moro avevano ben intuito già sessant'anni fa. I portoni della scuola, per questo governo, dovrebbero chiudersi alle spalle degli alunni sempre prima a scapito dei bambini e dei ragazzi, soprattutto dei figli delle famiglie che non possono permettersi i costi di attività a pagamento. Cosa resta a questi ragazzi? La strada. In Italia mancano vere strategie per contrastare l'abbandono scolastico, per sconfiggere la piaga del lavoro minorile che insiste sul nostro territorio nazionale in modo non trascurabile, manca la volontà di realizzare politiche che prevengano il disagio giovanile che può cominciare dai primi anni di scolarizzazione e di inserimento nella comunità dei pari.

Tutto è affidato alle famiglie, alla loro capacità di far fronte ai problemi, alle loro risorse economiche e culturali. Le tutele economiche per le fasce più deboli sono ridotte al minimo: un genitore costretto a seguire il proprio figlio in cura presso gli ospedali d'eccellenza, quali il nostro Policlinico universitario, percepisce dallo Stato un assegno di circa 400 euro a fronte della perdita del proprio salario. E chi non potrà permetterselo, che farà? Rinuncerà alle migliori cure per il proprio figlio?

Eppure la Convenzione sui Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, promulgata dall'ONU nel 1989 e ratificata dal nostro Parlamento nel 1991, sancisce, con gli articoli 24 e 25, che a tutti i bambini spetta uguale diritto alla salute.

Sono molteplici gli aspetti che intersecano e che rendono complesso il tema della cura dell'Infanzia. Affrontare tutto questo esige rigore, alto senso dell'etica, rispetto per chi è più indifeso e debole. Le battute, di pessimo gusto, del Presidente del Consiglio, non sono solo una questione di stile e non alludono solo alle scelte personali di chi ci governa.

Esse recano una ferita gravissima a coloro che vivono in condizioni di sfruttamento, alle giovanissime donne e alle bambine oggetto di sopruso e violenza, a tutte le madri in ansia per la sorti delle proprie figlie. La leggerezza con cui certe frasi vengono buttate nell'agone mediatico rischiano di inficiare il delicato lavoro di educare le giovani generazioni, a partire dai bambini, al rispetto di sé e degli altri, alla comprensione del mondo e delle proprie possibilità. Non si tratta di moralismi, è in gioco un'intera generazione che dovrà fare i conti con problemi complessi e gravi e che va educata, tutelata, rispettata, a cominciare da chi rappresenta le nostre Istituzioni.

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Re: E' in gioco un'intera generazione

Messaggioda pianogrande il 31/12/2010, 18:15

Vado giù duro.
Ho imparato, dalla esperienza di vita, che meno si conta, meno si ha potere, più i discorsi vengono belli, facili e nobili.

Questo, purtroppo, vale anche per il Presidente Napolitano.
Persona che io stimo ma dalla quale (dalla carica più che dalla persona) non mi aspetto grandissime cose sul fronte della scuola (perché non ha quei poteri).

Vale anche per i partiti di opposizione (onorevole Ssandra Zampa compresa).

Con una differenza fondamentale, però.

Il Presidente della Repubblica ha un ruolo ben preciso e definito e le sue responsabilità e la sua immagine non gli permettono di agitarsi più di tanto.
Il ruolo della opposizione è invece un ruolo di fatto.
Il ruolo della opposizione può situarsi su una scala da zero a ..... da verificare volta per volta.

Allora, da un esponente della opposizione non accetto, da tempo, bei discorsi.
Da un esponente della opposizione vorrei (voglio! Porco cane!) sentire cose fatte e (chissà mai!) risultati ottenuti.

Ripeto: opposizione di fatto.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: E' in gioco un'intera generazione

Messaggioda Iafran il 01/01/2011, 15:14

Sandra Zampa ha scritto: Tutto ciò è avvenuto nel clima politico e sociale che ho richiamato e in uno scenario economico-finanziario difficilissimo. Non servono indagini per capire quel che sentiamo tutti. Anche semplicemente guardando a ciò che accade nella società attorno a noi. Siamo un Paese diviso e contrapposto su tutto.


E' troppo ricorrente la frase che "Siamo un Paese diviso e contrapposto su tutto".
Con questa, si fa un grande torto a coloro che vogliono dai Parlamentari una politica per l'intera popolazione e che, di fatto, vengono equiparati a coloro che sfruttano questa situazione "politica" per il proprio tornaconto, oltraggiando le leggi, la Costituzione e offendendo gli altri.
I cittadini onesti vogliono essere differenziati dai disonesti, e non vogliono sentire, soprattutto dai propri eletti, l'accettazione di un dato di fatto, che fa tanto comodo ai loro avversari politici.
Bisogna rimuovere, almeno, dalle menti (sopratutto dei propri rappresentanti) questa (frase) che sembra la bandiera di "ineluttabilità" che vogliono imporre i berluscones!
Il Paese è nelle mani di "masnadieri"! Coloro che lo riconoscono e che si oppongono e che condannano questo "loro modo" di fare "politica" dovrebbero in ogni occasione "dire pane al pane e vino al vino": il "politically correct" vale per avversari politici degni di stima e capaci di intendere e di volere il "politically correct", non vale per opporsi ai "masnadieri" e agli approfittatori della galanteria altrui!
A cosa servano gli Auguri se non riusciamo a districarci bene dalla tela di un ragno così "costruttore"?
I cittadini onesti fanno il loro dovere a ... recarsi alle urne, i loro eletti facessero altrettanto.
Ultima modifica di Iafran il 07/01/2011, 0:38, modificato 1 volta in totale.
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Re: E' in gioco un'intera generazione

Messaggioda flaviomob il 02/01/2011, 13:55

I nostri giovani dovrebbero lasciare in massa il paese, già al termine degli studi superiori, per lavorare o studiare all'estero. Ce lo meriteremmo. L'Italia imploderebbe in pochissimi anni, senza i contributi dei più giovani il sistema pensionistico salterebbe. I ragazzi dovrebbero andare già all'università negli altri paesi europei, dove esiste ancora la civiltà, dove chi studia viene aiutato e sostenuto dallo stato, sia nel pagamento della retta universitaria, sia a sostenere le spese di vitto e alloggio. Nel mondo del lavoro viene garantita formazione, riqualificazione, sussidi di disoccupazione. In Svezia i sindacati rimborsano persino le ore di lavoro perse per scioperare. I giovani dovrebbero lasciare in massa questo paese: la penisola potrebbe così affondare, purificarsi e riemergere finalmente scevra di generazioni di irresponsabili, corrotti, indegni, affamatori della propria prole.


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Re: E' in gioco un'intera generazione

Messaggioda cardif il 02/01/2011, 16:14

flaviomob ha scritto:affamatori della propria prole.

permettimi una correzione: "della prole degli altri"
Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: E' in gioco un'intera generazione

Messaggioda flaviomob il 11/01/2011, 2:25

La Riforma Gelmini e la fine della Storia dell’Università di massa


Ha ragione Mariastella Gelmini a celebrare l’approvazione della sua riforma dell’Università come “la fine del Sessantotto”. Con questa espressione però la ministro non intende quello che ogni buon conservatore associa al cosiddetto Sessantotto: antiautoritarismo, antimilitarismo, liberazione sessuale, rottura della morale borghese, equilibrio nel conflitto tra capitale e lavoro.

No, per Mariastella Gelmini il Sessantotto rappresenta innanzitutto un aborrito “egualitarismo”, da combattere con le armi dello sfuggente concetto di “meritocrazia” che la nuova legge si propone di incarnare. La Riforma di oggi è “la fine del Sessantotto” in quanto fine di quel fattore cardine di coesione e perequazione sociale rappresentato dall’Università di massa che Berlusconi e Tremonti, attraverso Gelmini, si erano promessi di eliminare.

di Gennaro Carotenuto

L’equilibrio tra capitale e lavoro raggiunto dalle socialdemocrazie europee si protrasse per tutto il decennio successivo finché il primo, con la spallata thatcheriana, non prevalse sul secondo. La svolta neoliberale e neoconservatrice, che in Italia prese la forma simbolica della “marcia dei 40.000” prima e del berlusconismo poi, oggi, trent’anni dopo, è tra i fattori che stanno determinando la caduta di coesione sociale che è alla base dell’eclisse dell’Occidente. La Riforma Gelmini approvata oggi dal Senato è quindi epocale perché è il compimento di un lungo percorso che rompe in Italia un altro equilibrio fondamentale: quello tra la Costituzione, che ancora elementi, come il diritto allo studio, di forte perequazione sociale in un’economia di mercato, e gli interessi delle classi dirigenti. Gli ottimati pensano di incarnare il “merito” per censo e con Gelmini hanno l’occasione, nel tardo neoliberismo incarnato dal governo Berlusconi, di rafforzare e rinnovare privilegi antichi. Quindi, al contrario di quanto dice il ministro, solo i figli dei farmacisti continueranno a fare i farmacisti, i figli degli architetti gli architetti e i figli dei baroni… i baroni. Ciò perché la riforma Gelmini rappresenta la caduta dell’architrave democratico della nostra società rappresentato dall’Università di massa come percorso di ascensione sociale prima precluso ai più, poi dalla fine degli anni ‘60 aperto a tutti (che roba Contessa!), da oggi di nuovo ristretto.

I numeri parlano chiaro. Alla metà degli anni ‘60 gli studenti universitari in Italia erano 400.000. Oggi sfiorano i due milioni. Riscontriamo dati simili per tutti i nostri paesi di riferimento, la Francia, la Germania, la Gran Bretagna. Nell’Europa occidentale, nel quarantennio che ci separa dal “maggio francese” il numero delle persone che hanno potuto spendere sul mercato del lavoro un titolo universitario è quadruplicato. Ovvero: con l’Università di massa i figli del popolo vanno all’Università, senza Università di massa i figli del popolo, anche i capaci e i meritevoli, ne sono esclusi.

Prima di proseguire, allora, è bene che il lettore si interroghi se i propri studi universitari sarebbero stati possibili se fosse nato una generazione prima. Basta interrogarsi sulla propria classe sociale di provenienza e sul percorso formativo dei propri genitori per avere un’approssimazione di risposta. Basta dare un’occhiata al registro del personale docente universitario, in particolare dei 27.000 ricercatori. Altro che “parentopoli”! Nella maggior parte dei casi troverete cognomi umili (vogliamo dire proletari?) che per la prima volta nella storia accedono alla docenza universitaria. Lo stesso l’Università di massa ha garantito in altri campi, dalla medicina all’avvocatura. Che l’operaio abbia visto il proprio figlio dottore non vuol dire che i dottori di oggi siano migliori di quelli di ieri. Vuol dire che lo studiare come privilegio elitario, sia pure in un contesto dove permangono mille problemi, è stato abbattuto da quell’Università egualitaria della quale oggi Gelmini rivendica lo scalpo.

L’Università di massa della quale si celebra il funerale era figlia della lotta generazionale e di classe per permettere ai molti di sfuggire sia a un lavoro subalterno che a una subalternità culturale. Tale destino subalterno aveva cominciato ad essere superato quando la costruzione delle nazioni dopo la Rivoluzione francese aveva teorizzato e praticato l’educazione di massa come passaggio ineludibile per il benessere della società. In Italia però, con la riforma Gentile, della quale Gelmini si considera erede, in epoca fascista, l’avviamento al lavoro subalterno di chi non apparteneva alla classe dirigente era rigidamente incanalato fin dalla pre-adolescenza e solo nel periodo dell’odiato Sessantotto le masse ruppero gli argini e conquistarono il diritto a studi e carriere superiori.

Certo, l’ultimo quarantennio ha mostrato tutte le difficoltà della costruzione di un modello democratico di Università. Gli studenti che provengono dalla classe lavoratrice beneficiano di meno opportunità e stimoli di quelle offerte dalle famiglie borghesi. Hanno in casa biblioteche meno capienti, hanno fatto meno viaggi, visitato meno musei. Sono stati meno sorretti nelle difficoltà e più portati all’abbandono degli studi. Allo stesso modo un’Università che ha bisogno di circa centomila docenti tra strutturati e precari non può garantire lo stesso livello medio di didattica di un’università elitaria. I saperi di massa si sono per loro stessa natura massificati e in qualche caso sviliti. Arrivano alla laurea studenti con basi culturali traballanti che faranno ben poco con il “pezzo di carta”. Ciò non è un bene ma l’unica alternativa sostenibile, come sa per esempio il cancelliere Angela Merkel, è continuare a investire in educazione, borse di studio, aiuti, che permettano di liberare le forze di ragazzi altrimenti destinati all’abbandono. Alla logica del “merito” teorizzato da Gelmini e supportato dal taglio del 90% delle borse di studio, che comporta lo stigma del “demerito”, va contrapposta la logica del sostegno a chi ne ha bisogno come unica possibilità di progresso della società.

E’ vero, l’Università di massa è piena di sclerosi e di malfunzionamenti, difetti, sprechi e si basa su un modello piramidale dove il servilismo rende di più del pensiero critico. Ma la risposta non può essere quella neo-elitaria della Gelmini e di Francesco Giavazzi, mai osteggiata seriamente dal centro-sinistra. Valgano due dettagli per tutti: il citato taglio anticostituzionale del 90% delle borse di studio e l’allungamento di ulteriori sei anni del precariato per accedere ai ruoli universitari. Questo domani porterà ad un ingresso molto oltre la soglia dei 40 anni. Chi ne sarà colpito non saranno i figli della classe medio-alta, che possono con crescente difficoltà pagare, o quelli della classe dirigente, che già oggi vanno a studiare all’estero come nella miglior tradizione dei paesi sottosviluppati.

Chi ne sarà naturalmente colpito saranno quegli studenti vittime del “demerito indotto” dalle loro condizioni sociali e che si interrogano quotidianamente se vale la pena continuare a studiare rispetto ai sacrifici che ciò comporta. Chi si beneficerà dell’allungamento ulteriore del precariato universitario voluto dalla Gelmini con i contratti da ricercatore a tempo determinato, saranno i figli di professori, i figli della classe dirigente. E’ questa la vera parentopoli! La vera parentopoli, la parentopoli sociale rafforzata dalla Gelmini, è quella del classismo del quale è intrisa la vita universitaria a ogni livello e del quale se ne comprendono i meccanismi solo dall’interno. Lo scandalo non si gioca sui cento metri piani di un concorso più o meno combinato. Si gioca sulla lunga distanza di una maratona dove i capaci e i meritevoli, anche se in testa alla corsa, vengono costretti ad abbandonare per mancanza di acqua prima di un traguardo posto ogni giorno più lontano.

Sbagliano dunque gli studenti che temono la “privatizzazione” dell’Università. In Italia tutte le privatizzazioni si sono sempre fatte con soldi pubblici e non è questo il caso. Il progetto continentale, che possiamo far partire dal “processo di Bologna” del 1999 è quello della dismissione dell’Università di massa per preservarne solo gli spazi elitari. E’ quello di un’Università che autoriducendosi esce dalla sfera del diritto allo studio per entrare nel mercato come “public company” e dalla quale pertanto sono espulsi quelli che nell’Università cercavano un luogo per sfuggire ad un destino sociale di subalternità. Nel 2020, quando la riforma Gelmini sarà a pieno regime e il blocco del turn-over avrà impedito la sostituzione dei quadri entrati in ruolo nei primi anni ‘80, l’Università pubblica avrà docenti solo per 5-600.000 studenti con la conseguente espulsione dei tre quarti degli studenti attuali. Un bel risparmio per il quale oggi incroceranno i calici Gelmini, Giavazzi e Tremonti.

È un risparmio che nasconde il disinvestimento nel paese nel suo complesso che torna ad essere identificato nella propria classe dirigente escludendo tutte le altre. La riforma Gelmini accelera dunque un processo che costituisce un salto indietro (graduale, mascherato) di 50 anni, ai numeri dei primi anni ‘70, nel quale un numero limitato di clienti-studenti troveranno soddisfazione alle loro esigenze di imprenditoria individuale. Tutto il resto, tutto quanto non smerciabile, sapere critico, cultura, dovranno essere marginalizzati in piccole nicchie perché, per i criteri di economicità e di profitto con i quali funzionerà l’Università “public company” non c’è posto per loro come non c’è posto per quelle classi popolari e medio-basse che in questi 40 anni avevano beneficiato dell’Università in un processo di ascensione sociale.

Il problema è che se il modello su cui si basa la Riforma Gelmini poteva essere vendibile 15 o 20 anni fa, al momento di auge del modello neoliberale, è palesemente antistorico oggi che la crisi ne mette a nudo l’impraticabilità. Oggi chiunque ha avuto occasione di confrontarsi con gli studenti sa che questi non lottano per sfuggire solo ad un destino subalterno ma anche per sfuggire ad un modello di sviluppo capitalista che ha eretto la precarietà come nuova, più avanzata e più pervasiva forma di costringerli a tale subalternità nonostante gli studi universitari. Se oggi un titolo universitario non garantisce più progressione sociale la risposta del governo è quella di indurre a rinunciare all’educazione superiore chi acquisirebbe un titolo svalutato. Al contrario la richiesta degli studenti è di una politica che riqualifichi e renda nuovamente spendibili tali titoli.

Venti anni fa si poteva ancora far finta di non esserne coscienti, ma oggi è evidente che la precarietà non è solo un miglior modo di controllo sociale, di coercizione sindacale e di massimizzazione degli utili ma anche l’unica maniera di creare lavoro che questo modello di sviluppo riesce a concepire. Paesi come l’India, in grado di laureare 700.000 ingegneri l’anno, sanno che dai grandi numeri si può scremare l’eccellenza. L’Italia (e pezzi dell’Europa) sta scegliendo un cammino opposto, convogliando decrescenti risorse su numeri via via più ristretti che tornano a coincidere con le élite tradizionali. Dal rifiuto della riforma Gelmini all’ “intuizione” di un destino subalterno e precario che ha portato gli studenti, a Londra come a Parigi come a Roma, a scendere in piazza, all’elaborazione di un modello alternativo di Università e di società che rimetta al centro, in una società dei saperi rivalorizzati, la lotta all’esclusione, il passo è ancora lungo. Per colmarlo ci vorrebbe la politica.

Gennaro Carotenuto su http://www.gennarocarotenuto.it


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Re: E' in gioco un'intera generazione

Messaggioda Manuela il 11/01/2011, 13:54

In tutto il lunghissimo - decisamente troppo lungo per il ritmo di Internet - post dell'onorevole Zampa, non c'è una parola di autocritica per le responsabilità della parte cui appartiene.
Se il suo intento era di farci sapere quanto brutta sia la situazione generale, stia pur certa che noi, che non godiamo dei benefit da parlamentare, lo sappiamo anche meglio di lei; se era invece di farci sapere quanto sia cattiva la destra, può essere certa che lo abbiamo sperimentato per più di 10 lunghissimi anni in cui la sinistra (il centrosinistra, il centro-sinistra, ecc.ecc.) non ha saputo trovare un modo decente per contendere il governo del paese. Peggio, non ha saputo contrastare in alcun modo la cultura clerico-fascista che ci sta opprimendo da tutte le parti. Non ha saputo modernizzarsi, non ha saputo fare una credibile proposta per dare un futuro a quei giovani di cui, a parole, tanto ci si preoccupa.
Che senso ha questo post, se non il farci toccare con mano quanto sia gonfia di parole e poverissima di contenuti l'attuale classe dirigente di una sinistra (centrosinistra, centro-sinistra, ecc.ecc.) che non riesce nemmeno più a trovare per sé una definizione? Una classe dirigente fallimentare, di cui llberarci il prima possibile, per poter avere qualche speranza di ricominciare, più liberi e leggeri.
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Re: E' in gioco un'intera generazione

Messaggioda pierodm il 12/01/2011, 13:40

10 lunghissimi anni in cui la sinistra (il centrosinistra, il centro-sinistra, ecc.ecc.) non ha saputo trovare un modo decente per contendere il governo del paese. Peggio, non ha saputo contrastare in alcun modo la cultura clerico-fascista che ci sta opprimendo da tutte le parti. Non ha saputo modernizzarsi, non ha saputo fare una credibile proposta per dare un futuro a quei giovani di cui, a parole, tanto ci si preoccupa.

Vero. Tutto giusto. Ma...
Ma credo che non siamo per niente d'accordo su cosa significhi "modernizzarsi".
E su dove ha sbagliato nel non saper contrastare la cultura clerico-fascista, e "chi" ha sbagliato: si fa presto a dire centro-sinistra, e non è per nulla ininfluente quel trattino tra i due termini, visto che negli anni si è fatta sempre più acida la polemica verso quella che è considerata da alcuni la sinistra massimalista e giacobina, sia interna sia esterna al PD.

A me sembra - tanto per dirne una - che in questo genere di discorsi ci sia una specie di convitato di pietra, del quale ci si dimentica e che invece avrebbe molti significati: la componente cattolica-moderata, più o meno equamente divisa tra correnti centriste del PD e partiti centristi esterni al PD, ossia l'UDC e dintorni - stessa radice culturale, stessi valori conclamati, come ben si vede anche dalle migrazioni avvenute, dalla BInetti a Cicciobello Rutelli.
Ci si può aspettare un contrasto serio alla cultura clerico-fascista da parte di chi con quella cultura o partito ha governato per alcuni anni, e ancora si appresta a stipulare patti più o meno chiari di "pacificazione"?
E ci siamno dimenticati dei mal di pancia, dei distinguo, dei bizantinismi troppe volte avanzati dalla corrente "moderata" della coalizione di centro-sinistra contro ciò che veniva definito giustizialismo, demonizzazione di Berlusconi, massimalismo, etc?
Naturalmente queste responsabilità - storiche oltre che contingenti - nulla tolgono alle responsabilità di una sinistra incerta e molliccia, "ponziopilatesca" la definisce Flores D'Arcais, che ha buttato nel cestino la propria tradizione, la propria cultura e i propri valori di riferimento senza averne elaborati altri, limitandosi a raccattarne qua e là frammenti sparsi e scompagnati.

Io credo che sia questa la ragione che fa dire a Pianogrande e altri ciò che dicono sui "bei discorsi" - che a me non sembrano nemmeno tanto "belli", ma piuttosto una stanca eco di sentimenti deboli e afoni: una confusione di idee che ha l'effetto, come dice Pasolini, di "togliere forza al cuore e calore ai sentimenti", e poco importa se il singolo parlamentare sia o non sia di per sé "appassionato", perché in politica la passione personale conta se corrisponde ad un valore di gruppo, ad una forza culturale, se non di partito.
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Re: E' in gioco un'intera generazione

Messaggioda cardif il 12/01/2011, 16:51

Piero ha scritto:
"... "bei discorsi" ... responsabilità di una sinistra incerta e molliccia, ... che ha buttato nel cestino la propria tradizione, la propria cultura e i propri valori di riferimento senza averne elaborati altri, limitandosi a raccattarne qua e là frammenti sparsi e scompagnati."

Sono d'accordo sul coro a troppe voci e su una certa inconsistenza. Però questo secondo me è un valore. Il confronto tra opinioni diverse di uomini liberi può produrre effetti positivi. Non credo che sia positivo il pensiero unico inculcato dal capo ai suoi sostenitori, soldatini allineati e coperti, incapaci di analisi critica. E se qualcuno dissente viene messo fuori (dalla Tiziana Parenti a Fini, per esempio). I ministri di oggi mi sembrano piuttosto avvocati difensori con un unico cliente che personalità dal pensiero libero. Mi sembra che seguano un corso per dire tutti le stesse cose.
Al Corso Buenos Aires di Milano, ex città da bere, ho visto un'autovettura della polizia municipale fermarsi di botto, scenderne quattro in divisa e correre verso un uomo di colore che vendeva delle borse poggiate sul marciapiede. Un poliziotto ha inseguito il venditore che fuggiva, ma abbastanza lentamente tanto da non raggiungerlo. Gli altri tre
rubavano (di che altro si trattava?) con molta fretta le borse lasciate a terra e le caricavano nel cofano della vettura comunale. E con altrettanta fretta sono risaliti in macchina e se ne sono andati. Per me una cosa vergognosa.
Ho letto l'articolo su L'Espresso di questa settimana sul trattamento, sempre a Milano, riservato ai rom, anche a quelli di nascita italiana.
Ho visto, in pieno giorno, un uomo orinare nell'aiuola spartitraffico di una strada, parzialmente nascosto dalle macchine in sosta e da un cartellone pubblicitario. Ho visto una ragazza, vicina ad altri ragazzi, orinare di sera in un'aiuola poco illuminata.
Questa è, oggi, la realtà offerta dall'amministrazione comunale di destra di Arciboldi (detta Moratti) e di De Corato, ben attenta, però, agli appalti dell'expo. Mi sembra diventata la città da orinare. E non mi piace.
E se poi facesse così pure una amministrazione di sinistra, bè allora è l'Italia che mi farebbe pena.
Oggi io non condivido l'idea degli esponenti del PD della grande coalizione, da Vendola a Fini, contro un sol uomo, per esempio. Ma comunque preferisco l'aria che complessivamente si respira a sinistra.
Bando alle ideologie ma sto a sinistra, anche se c'è confusione.
Ma mo' mi so' capito bene?
cardif
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Re: E' in gioco un'intera generazione

Messaggioda flaviomob il 12/01/2011, 18:39

Mi dai lo spunto per ricordare una notizia - vergognosa - di qualche giorno fa. Altro che capitale morale, capitale dell'immondizia culturale e politica. Che schifo!

Fonte: www.redattoresociale.it

Gli alunni della scuola elementare li avevano appesi agli alberi con delle corde. Bonora, guardia ecologica e consigliere della Lega: “Sugli alberi non si può attaccare nulla”. Protestano l’associazione Amici del Parco Trotter e il consiglio d’istituto

MILANO – Non c’è pace per gli auguri multilingue in via Padova. Dopo la vicenda delle luminarie (allestite, poi smontate per ordine dell’assessore Cadeo e infine rimontate dopo le proteste e il dietro front della Moratti), lo scontro si sposta nel vicino parco Trotter. Poco prima di Natale i bambini della scuola elementare del Parco avevano infatti scritto gli auguri in tante lingue appendendoli agli alberi con delle corde. Ieri pomeriggio le guardie ecologiche le hanno in parte rimosse, abbattendole con una lunga asta. “Sugli alberi non si può attaccare nulla -spiega Umberto Bonora, che oltre a essere una guardia ecologica è anche consigliere di Zona 2 della Lega Nord-. Più che auguri sembravano una carnevalata”.

Per l’associazione Amici del Parco Trotter e per il consiglio d’Istituto si tratta di un sopruso. “Facciamo presente che le scritte sono appese con una cordicella sottile che non nuoce minimamente al tronco dell’albero” sottolinea Lella Trapella, presidente dell’Associazione. Che gli alberi non abbiano subito danni lo ammettono anche le guardie ecologiche: “Sì danni non ce ne sono, ma il regolamento è chiaro. Inoltre avranno appoggiato al tronco una scala per mettere le scritte così in alto e anche questo è vietato. Alla scuola invieremo una multa ingente, che ora non sono ancora in grado di quantificare”, aggiunge Umberto Bonora. L’Associazione Amici del Parco Trotter vuole portare la vicenda nel Consiglio di Zona 2. “Stiamo scrivendo a tutti i consiglieri una lettera di protesta -dice Lella Trapella- Le guardie ecologiche si occupino piuttosto degli edifici del Parco che stanno andando in rovina, si adoperino perché il Comune se ne prenda cura, anche questo è ambiente”.

Prima che essere un parco pubblico il Trotter è un parco scolastico. “L’area verde ha funzioni didattiche e fino alle 16.30 è chiusa al pubblico proprio perché appartiene alla scuola -afferma Dino Barra, presidente del Consiglio d’Istituto-. Pertanto l’intervento delle guardie ecologiche costituisce un’interferenza nell’attività didattica. I bambini e gli insegnanti sono i primi a voler tutelare questi alberi, tanto che hanno anche realizzato dei cartelli in cui si spiega le diverse specie arboree presenti”. (dp)

riportata da http://www.migrantitorino.it/?p=10909


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