Quello che sta avvenendo in queste ore al Senato della Repubblica è a dir poco sconvolgente: la prima Assemblea legislativa del Parlamento,guidata come fosse una mandria di buoi da una presidenza a dir poco inadeguata al ruolo, ha sfornato per quasi una decina di minuti una serie di delibere fra loro contraddittorie e soprattutto non tutte in linea con l’indirizzo del governo che pure era presente in aula attraverso la persona del ministro competente.
Nessuno dei membri del governo e ancor meno della maggioranza (ma c’era il numero legale?) ha osato contrastare l’irruenza della presidente di turno, forse perche personaggio temuto per i suoi stretti legami con il grande capo leghista ( vero, camerata Gasparri?).Fin qui lo spettacolo che, trasmesso su tutti i media , si commenta da sé e la dice lunga sulla qualità e la preparazione della classe politica che abbiamo in Parlamento.Ma la cosa più grave è quanto è avvenuto nella notte e sta accadendo in queste ore.
A quanto pare il presidente Schifani,sentiti i capigruppo (?), ha annullato le votazioni di ieri e promesso che si procederà alla rivotazione degli emendamenti non in linea con la volontà del governo.Con questa decisione, se attuata, viene introdotto un principio in base al quale la maggioranza potrebbe, ogni volta che le pare opportuno, far ripetere le votazioni che non si sono concluse secondo i suoi desideri: basterà inscenare in aula qualche piazzata per metterne in dubbio l’esito sgradito.
Eppure gli strumenti procedurali che permettano di ovviare anche a cinque minuti di follia (sempre possibili…) ci sono : lasciar decadere il provvedimento, produrre emendamenti o sub-emendamenti che limitino gli effetti di una decisione ritenuta sbagliata e soprattutto la strada maestra del rinvio all’altro ramo del Parlamento (uno dei pochi vantaggi offerti dal bicameralismo perfetto…).
Seguire una di queste procedure comporta però il pagamento di un pedaggio politico:il rinvio a dopo natale dell’approvazione della legge in questione.Mai sia! Meglio calpestare quel che resta della sovranità del Parlamento.