Tv, le ragioni di Fazio e Saviano
e un utile gesto di sensibilità
«Vieni via con me» e i comitati pro vita
Fabio Fazio e Roberto Saviano Per affrontare un tema così delicato non basta certo un'animosa seduta del Consiglio d'amministrazione della Rai, bisogna calarsi nel profondo delle nostre coscienze. Com'è noto, giovedì il Cda di Viale Mazzini ha approvato un ordine del giorno per consentire alle associazioni pro vita di replicare nell'ultima puntata del programma di Fazio e Saviano. Una decisione alla quale i due conduttori di Vieni via con me hanno risposto con un secco «no».
Nella seconda puntata, infatti, il racconto di Roberto Saviano, dedicato a Piergiorgio e Mina Welby, e l'elenco scandito da Beppino Englaro e Fabio Fazio sono stati letti come una campagna contro i movimenti pro life. Di qui la pressante richiesta di un diritto di replica.
Se affrontiamo la vicenda su questioni di principio, alla fine tutti hanno ragione e tutti hanno torto.
Per una questione di principio Fazio e Saviano hanno spiegato che la richiesta è irricevibile: «Concedere un cosiddetto diritto di replica alle associazioni pro vita, significherebbe avallare l'idea, inaccettabile, che la nostra trasmissione sia stata pro morte». La tesi degli autori di Vieni via con me, ribadita dal direttore Ruffini, è che sfidare il tabù della morte non significa necessariamente essere a favore della morte. E aggiungono un dettaglio linguistico di non poco conto: «Un programma di racconti, come il nostro, non ha la pretesa né il dovere né la presunzione di rappresentare tutte le opinioni. Non siamo un talk-show, non siamo una tribuna politica». E questo è vero. Tuttavia, la giustificazione regge fino a un certo punto perché, comunque, il diritto di replica è stato concesso al ministro Maroni (il quale, per altro, ha collezionato una modesta figura, costringendo malamente le sue ragioni dentro un format). Questo significa che esistono cittadini cui si deve rispetto e altri che si possono ignorare? Le leggi del genere tv devono valere per tutti.
Per una questione di principio, le associazioni pro life hanno sostenuto che deve aver voce anche chi cura amorevolmente le persone che si trovano in una condizione di grave fragilità, «ma che sono persone che vivono e che hanno bisogno di essere incoraggiate e di riconoscere il valore della vita anche in quella terribile condizione», come ha sostenuto il ministro Maurizio Sacconi. Molte famiglie, è vero, affrontano situazioni drammatiche nel più totale silenzio: ogni giorno accudiscono un loro familiare colpito da qualche malattia invalidante, curano un figlio in coma, accarezzano il volto di un padre o di una madre i cui occhi sembrano non riconoscere più quell'affetto supremo. Tutto vero, tutto giusto.
Tuttavia, c'è da chiedersi una cosa: se la trasmissione avesse avuto uno scarso seguito di audience, si sarebbero elevate così tante voci a esigere il diritto di replica? L'animosità con cui molti reclamano una presenza in video non deriva forse dallo strepitoso successo che la trasmissione ha avuto? E
come mai, in tanti anni, politici e professionisti che adesso si schierano nella battaglia non sono mai riusciti a fare una trasmissione che desse degnamente voce a quanti ora la reclamano? Penso soprattutto agli autori, ai presentatori, ai dirigenti che su Raiuno e Raidue si proclamano cattolici, a parole, ma da tempo immemorabile sono fortemente impegnati in programmi di vergognosa banalità, capaci solo di lavarsi la coscienza in mille modi. Il tema sul «fine vita» è così delicato che possiamo solo rivolgerci alla sensibilità di Fabio Fazio, Francesco Piccolo, Roberto Saviano e Michele Serra perché trovino il modo di raccontare questa immensa tragedia, magari sacrificando qualcosa dei loro principi autoriali.
Aldo Grasso
27 novembre 2010
http://www.corriere.it/politica/10_nove ... aabc.shtml