Dal momento che gl’interrogativi di Pertini non hanno smosso i tarpani dalle loro circonvoluzioni, riprendo il problema da un altro lato: la distinzione tra “ciò a cui gli uomini sono interessati” e “ciò che è nell’interesse degli uomini”.
Il problema nella sua forma più semplice: possiamo dire che la libertà è inerente all’uomo in se stesso?
Tenderei a dire di no.
Sappiamo bene che la coercizione può fare dell’uomo un robot, ma abbiamo imparato anche che si può diventare robot spontaneamente e allegramente.
Tutto ciò non può essere dimenticato o sottovalutato quando, con tanta faciloneria e superficialità si parla di liberalismo e democrazia.
Tutto ciò è insomma assai lontano dall’idea ottocentesca di un pubblico con una sua articolata opinione.
L’idea dell’opinione pubblica rappresenta l’interfaccia dell’idea magica del mercato in economia.
Là un mercato pronto per la libera concorrenza degl’imnprenditori, qui un pubblicocomposto da gruppi di persone intente a discutere.
Come il prezzo è il risultato di una contrattazione anonima tra soggetti astratti e intercambiabili, così l’opinione pubblica è il risultato del libero ragionare di ognuno e del contributo di ciascuno alla formazione del grande coro.
Secondo questa concezione dell’opinione pubblica, dovremmo immaginare “il popolo” che, reso edotto dei problemi, passa a discuterli e formula punti di vista, i quali – organizzati – passano poi a confrontarsi. Da questo confronto un punto di vista esce “vincitore”.
Sono questa le immagini della democrazia che vengono usate come normali giustificazioni del potere.
Penso che dovremmo tutti riconoscere che una descrizione del genere ha più della bella favola che di un’utile approssimazione alla realtà: le grandi questioni che giungono a determinare il destino dell’uomo, e anche quelle che riguardano la qualità della sua vita, non vengono sollevate e discusse da alcun pubblico.
L’idea di una società basata su differenti pubbliche opinioni non corrisponde ad uno stato di fatto, ma è, al contrario, la dichiarazione retorica di un ideale e la pretesa di far passare una legittimazione mistificante per “fatto”.
Ma di tutto questo – e di tutto ciò che ne deriva – non si può, anzi non “si deve” parlare: romperebbe il giocattolo, non solo e non tanto dei vecchi arnesi conservatori, ma soprattutto dei neofiti del liberismo fideistico.