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perché la mitezza è ancora una virtù

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

perché la mitezza è ancora una virtù

Messaggioda trilogy il 14/10/2010, 8:40

Bobbio, perché la mitezza è ancora una virtù
L'attualità delle riflessioni del filosofo su un atteggiamento all'apparenza impolitico
GUSTAVO ZAGREBELSKY

http://www3.lastampa.it/cultura/sezioni ... tp/357202/

La forza è (nel senso che sempre così è stato, anche se non è detto che sempre così sarà) la «virtù» della politica. La mitezza, invece, è una virtù sociale.

Così, si distingue politica e società. I caratteri dell'una e dell'altra possono divergere, anche radicalmente, gli uni dagli altri. Ma è davvero così? Possiamo immaginare una società mite sotto un governo violento? Oppure, al contrario, una società violenta e un governo mite? A me pare che no, non possiamo. Non possiamo immaginare questa separazione. Ogni forma di governo, cioè ogni forma di esercizio della funzione politica, corrisponde a una sostanza sociale. Così, se vogliamo una politica democratica, dobbiamo volere anche una società democratica.

Se vogliamo imporre un governo dispotico, cioè basato sulla violenza, occorre che la società sia a sua volta violenta, che vi sia una contrapposizione tra chi sta su e chi sta giù, che ci sia pre-potenza nei rapporti sociali. Forma (politica) e sostanza (sociale) sono strettamente collegate, l'una retroagisce nell'altra. Una società non democratica, per esempio basata sullo sfruttamento di una parte a opera dell'altra, produrrà politica non democratica, anche se le forme sono democratiche (ad esempio, se esistono partiti, elezioni, associazioni, eccetera) e la politica non democratica sosterrà i caratteri non democratici della società. Non si può separare. Così, di conseguenza, mi pare un errore fuorviante quello di tanti «ingegneri costituzionali» che si occupano di «regole» ma ignorano, come se non c'entrasse, la materia sociale che in queste regole dovrebbe scorrere.

In altri termini, le virtù sociali (come i vizi) sono diffusive di sé. Se la storia del mondo ci dice che la politica non è (mai stata) mite, non è perché non lo possa essere, ma perché le società sono state violente. È la storia dei rapporti umani, siano essi politici che sociali, che ha sempre mancato di quelle virtù che raccogliamo sotto il nome di mitezza. Chi vuole promuoverla effettivamente, deve operare e socialmente e politicamente.

Un'ultima, capitale domanda rimanda al «guai ai miti», espressione che troviamo nel testo di Bobbio. Da giurista, la formulo così: se violenza e sopraffazione s'abbattono sui miti di questo mondo, quid iuris? La questione, naturalmente, non riguarda il diritto in senso legale. Riguarda il sentirsi moralmente «in diritto»? «In diritto» di reagire con gli stessi mezzi, tradendo la propria mitezza, o «in dovere» di subire, restandole fedeli ad ogni costo?

Innanzitutto, osserviamo che la mitezza non è propriamente una virtù reciproca, come la tolleranza, che è una virtù vicina alla mitezza, la quale non può vivere o, meglio, non lasciare vivere se non è ricambiata. «Il mite non chiede, non pretende alcuna reciprocità: la mitezza è una disposizione verso gli altri che non ha bisogno di essere corrisposta per rivelarsi in tutta la sua portata. Come del resto la benignità, la benevolenza, la generosità, la bienfaisance, tutte virtù sociali ma nello stesso tempo unilaterali (non sembri una contraddizione: unilaterali nel senso che alla direzione dell'uno verso l'altro non corrisponde un'eguale direzione, eguale e contraria, del secondo verso il primo. “Io ti tollero se tu mi tolleri”. E invece: “Io custodisco ed esalto la mia mitezza - o la mia generosità o la mia benevolenza - nei tuoi riguardi indipendentemente dal fatto che tu sia altrettanto mite - o generoso o benevolente - con me”). La tolleranza nasce da un accordo e dura quanto dura l'accordo. La mitezza è una donazione e non ha limiti prestabiliti».

Davvero? Non ha limiti prestabiliti? E se chi ha potere su di noi ci costringe a essere violenti, cioè ci priva della possibilità d'esercitare la nostra mitezza? D'accordo: la mitezza non è una virtù reciproca. Ma ha pur tuttavia bisogno di un «ambiente» nel quale possa esistere. Possiamo immaginare, senza cadere nel ridicolo, discorsi di mitezza in un campo di sterminio. Tutti gli ambienti sono compatibili con la mitezza? Auschwitz lo era? Quando, per sopravvivere, siamo costretti ad essere violenti e spietati, perfino nei confronti dei nostri più prossimi, amici, familiari, compatrioti, esseri umani in genere, e anche al di là della cerchia degli umani, nei confronti degli esseri viventi, della natura vivente, che cosa dobbiamo fare? La mitezza illimitata non si trasformerebbe allora in un vizio: un vizio che ne è la prosecuzione, ma che è pur sempre un vizio: imbecillità, passività, ignavia, apatia, irresponsabilità e perfino connivenza e corresponsabilità? I moralisti, a partire dall'ammonimento dell'Ecclesiaste 7, 16 («Non esser troppo scrupoloso né saggio oltre misura. Perché vuoi rovinarti?») hanno sempre messo in guardia rispetto all'eccesso nella virtù. «Noli effici iustus multum», dice Sant'Agostino nel Commento al Vangelo di Giovanni, vedendo nella sproporzione della virtù un atto d'orgoglio attraverso il quale passano i vizi. Noli effici mitis multum, potremmo dire noi. Il «lasciare gli altri essere quello che sono», che abbiamo visto essere una definizione propria della mitezza, in questi casi non si trasformerebbe, per eccesso di virtù, in un lasciare che gli altri facciano di noi quello che noi non siamo, che ci trasformino in violenti o in correi dei violenti? L'inerzia, in questo caso, contro la prima apparenza, non sarebbe allora proprio un peccato d'omissione contro la mitezza?

I teorici della nonviolenza distinguono tra non violenza attiva e passiva e non giustificano quella passiva. La nonviolenza deve essere attiva per appartenere alla virtù della mitezza. Ma, con questa distinzione non si supera lo scoglio. Affinché essa possa essere attiva, cioè produttiva d'effetti benefici, occorre per l'appunto che esista un ambiente non totalmente degradato dalla violenza, nel quale il mite possa far vedere e valere, almeno come un piccolo bagliore nel buio, le proprie ragioni.

Quando la società si fa violenta, quando la politica si alimenta di questa violenza e a sua volta l'alimenta creando divisioni, esclusioni, inimicizie, ingiustizie, sopraffazione, e paura, davanti al mite due strade si aprono: perseverare nella mitezza lasciandosi sommergere dalla violenza, oppure contraddirla per il momento, combattendo contro i violenti, scendendo cioè sul loro stesso piano. La prima opzione è quella della speranza: la speranza nella Provvidenza divina che, alla fine di tutto, farà prevalere il bene sul male, o la speranza nella natura fondamentalmente buona degli esseri umani, una natura che lavora da sé per liberarsi delle scorie che la rendono cattiva. In entrambi i casi, la vittoria dei miti sarebbe assicurata, anche se non sappiamo quando, già su questa terra, secondo la promessa evangelica. Ma se non si ha questa speranza e la si considera un rifugio solo consolatorio? Allora anche i miti non disdegneranno di uscire dalla loro indole profonda e indossare quella dei loro nemici. Si tratta di combattere una buona battaglia che, nei risultati sperati, non contraddice affatto ma ribadisce la loro fedeltà alla mitezza. Quando ciò accadesse, quando ciò accadrà, bisognerebbe, bisognerà temere l'ira dei miti.

Una volta, fu chiesto al professor Bobbio in che cosa egli avesse speranza. La speranza è una virtù teologale, fu la risposta. Solo i credenti possono averla. Gli altri, tra cui lui stesso, devono fare affidamento sulle proprie forze e in queste porre le proprie laiche virtù (Congedo, in De senectute e altri scritti autobiografici, Torino, Einaudi, 1996, pp. 107-108). Sulla premessa di questa risposta, non avrei dubbi nel dire che anche lui sarebbe stato dalla parte di quanti pensano che, superato il limite, miti o non miti che si sia, si deve cessare di subire e passare all'azione.
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Re: perché la mitezza è ancora una virtù

Messaggioda Robyn il 14/10/2010, 10:51

Secondo me non bisogna mai porsi come contraltare a chi provoca.Quella di porsi come contraltare porta ad una crescita delle estreme e la relativa radicalizzazione che è pericolosa per la democrazia e per esempio berlusconi prima và via è meglio è perche provoca la crescita delle ali estreme e la radicalizzazione.Quelli che provocano la crescita degli estremismi vanno bloccati in partenza non gli và permesso nessun ingresso in politica.Se ci si pone in contraltare si finisce per fare il gioco di chi provoca e ci si radicalizza ciao robyn
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Re: perché la mitezza è ancora una virtù

Messaggioda trilogy il 14/10/2010, 22:03

Ciao Robyn, hai notato che nella discussione sui "fascisti rossi" ci sono 103 interventi, qua dove si parla di "mitezza" c'è solo il tuo. Parallelamente, se non sbaglio, sei praticamente l'unico, che nell'altra discussione non è intervenuto in favore della "mitezza". :mrgreen: Grande Robyn!
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Re: perché la mitezza è ancora una virtù

Messaggioda flaviomob il 14/10/2010, 23:28

Esiste il precedente della rivoluzione non violenta nell'India di Gandhi, con cui si è raggiunta l'indipendenza dalla Gran Bretagna. Funziona, però, se accompagnata dalla disobbedienza civile di massa...


"Dovremmo aver paura del capitalismo, non delle macchine".
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Re: perché la mitezza è ancora una virtù

Messaggioda ranvit il 15/10/2010, 9:52

flaviomob ha scritto:Esiste il precedente della rivoluzione non violenta nell'India di Gandhi, con cui si è raggiunta l'indipendenza dalla Gran Bretagna. Funziona, però, se accompagnata dalla disobbedienza civile di massa...




A me questao mito della rivoluzione non violenta di Ghandi mi sembra tanto una....boiata pazzesca!
Mi permetterei di dire che la GB ritenne maturo il tempo di darsi una calmata. Cosa del resto che fece a cascata in tutti i Paesi del Commonwealth.
Naturalmente questo non toglie che sia preferibile, nel "maneggiare" le vite e le storie dei popoli, procedere per gradi , piuttosto che con sistemi radicali e violenti.

Vittorio
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: perché la mitezza è ancora una virtù

Messaggioda franz il 15/10/2010, 10:26

Robyn ha scritto:Secondo me non bisogna mai porsi come contraltare a chi provoca.Quella di porsi come contraltare porta ad una crescita delle estreme e la relativa radicalizzazione che è pericolosa per la democrazia e per esempio berlusconi prima và via è meglio è perche provoca la crescita delle ali estreme e la radicalizzazione.Quelli che provocano la crescita degli estremismi vanno bloccati in partenza non gli và permesso nessun ingresso in politica.Se ci si pone in contraltare si finisce per fare il gioco di chi provoca e ci si radicalizza ciao robyn

In effetti il mite non farebbe mai (per definizione) un'escalation con un aggressivo.
Il riferimento pero' qui andrebbe fatto con l'altro thread, quello sulla strana aria di violenza in giro.

Sul fatto che la mitezza sia una virtu' (come sosteneva Gesu') ho qualche dubbio.
La mitezza è un comportamento che tutto sommato possiamo definire innato, esattamente come l'aggressività.
Poiché non siamo tutti uguali, per peso, altezza, soma, comportamento, ci saranno persone piu' miti e persone piu' aggressive. E lo stesso ritroviamo negli animali. Se la mitezza o l'aggessività fossero un portato unicamente genetico, non sarebbe una virtu' la prima ed una colpa la seconda. Nessuno colpevolizza il leone che mangia le sue prede. Parimenti lodare l'agnello è molto ingenuo. Se invece - come credo - influisce anche l'ambiente (per esempio quello familiare) anche qui non vedo virtu' o colpe perchè meriti e demeriti dipenderebbero dal contesto. Possiamo parlare di virtu' o di colpa solo se il comportamento (mite o arrogante) è deciso razionalmente. Cosa che credo riguardi pochi casi.

Interessante è che in etologia si studiano gli equilibri tra membri di una stessa specie tra miti ed aggressivi.
Dawkins ha riassunto gli studi in molti sui libri descrivendo questi equilibri come molto simili a equilibri di Nash e spiegando perché non si arriva mai ad una poplazione totalmente mite o totalmente aggressiva, ma ad un mix che è studiabile matematicamente. Nell'ambito di questi studi è emerso che tra miti e aggressivi si instaurano varie strategie e che quella dominante è del tipo "rendere il colpo" (vedere tit-for-tat) mentre una ipotetica "porgi l'altra guancia" sarebbe assolutamente perdente. Nel senso che se prevale una strategia che prevede la collaborazione con chi collabora e di non collaborare con chi è aggressivo, questi ultimi si riducono, mentre il buonismo del porgere l'latra guancia ha il difetto di incrementare il numero di aggressivi nella popolazione.

In questo senso le riflessioni sulla mitezza come categoria filosofico morale (virtu') secondo me lasciano il tempo che trovano e mi pare piu' interessante il filone etologico comportamentale. Quelle ci dicono come veramente dobbiamo comportarci, cosa dobbiamo fare, per ridurre l'aggressività, anche se probabilmente non riusciremo mai ad eliminarla del tutto.

Franz
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Re: perché la mitezza è ancora una virtù

Messaggioda Iafran il 15/10/2010, 12:41

franz ha scritto:Interessante è che in etologia si studiano gli equilibri tra membri di una stessa specie tra miti ed aggressivi.

Fra due specie diverse, per esempio fra il pavone e il tacchino in combattimento, avviene qualcosa che non ci parla affatto di questi due termini né tanto meno del rispetto dell'avversario (valide all'interno della specie per la sua conservazione, previo atteggiamento di sottomissione): il tacchino, anche se indubbiamente più forte, finisce quasi sempre per avere la peggio, perché l'altro è più agile e "abile" nella strategia, iniziando la lotta per primo a colpi di sperone (colpi bassi!).
Tale comportamento viene recepito dal tacchino come un gesto sleale e si arrende, pur essendo nel pieno delle forze, perché gli attacchi improvvisi non rientrano nel codice della propria specie. Il pavone non comprendendo questo segno di sottomissione continua a colpire l'avversario inerme, il quale più è percosso più assume un atteggiamento di prostrazione.

Fra gli uomini, una buona regola di cavalleria (che non ha niente a che fare con "cavallieri" e "cavalierato" nostrano) è lottare senza trucchi (un'infamia) e rispettare l'avversario (quello che Francesco Ferrucci si aspettava da Maramaldo).

Franz, che dici: il nostro Professore ha avuto restituito il rispetto che aveva per "amici" ed avversari (classica la stretta di mano a chi gli "aveva fatto le scarpe" con tutti i mezzi leciti ed illeciti), o era fuori dal nostro "mondo e modo" di intendere e di fare "politica" ... che ha portato, come conseguenza, un fior fiore di "bananieri" al governo?
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Re: perché la mitezza è ancora una virtù

Messaggioda trilogy il 15/10/2010, 15:27

Robyn dice una cosa molto importante,... Se ci si pone in contraltare si finisce per fare il gioco di chi provoca e ci si radicalizza... è la base delle moderne teorie di negoziazione.

franz ha scritto:
Dawkins (..) Nell'ambito di questi studi è emerso che tra miti e aggressivi si instaurano varie strategie e che quella dominante è del tipo "rendere il colpo" mentre una ipotetica "porgi l'altra guancia" sarebbe assolutamente perdente. Nel senso che se prevale una strategia che prevede la collaborazione con chi collabora e di non collaborare con chi è aggressivo, questi ultimi si riducono, mentre il buonismo del porgere l'altra guancia ha il difetto di incrementare il numero di aggressivi nella popolazione.
Franz


non identificherei mitezza, con porgere l'altra guancia, ma al contrario con il raggiungere uno scopo senza far ricorso alla forza. Per il resto posso condividere. Metto questo pezzo su Bobbio, più tardi lo commento.
ciao
trilogy

(..)In un fine saggio del 1993, Elogio della mitezza (ultima edizione Nuova Pratiche editrice, 1998), Norberto Bobbio analizza il significato di questa virtù. Riferisco qualche sua espressione: «Il mite è l’uomo di cui l’altro ha bisogno per vincere il male dentro di sé». «La mitezza – dice Bobbio citando Carlo Mazzantini – è l’unica suprema “potenza” (...) che consiste “nel lasciar essere l’altro quello che è”». È il contrario della protervia e della prepotenza. Il mite «non entra nel rapporto con gli altri con il proposito di gareggiare, di confliggere, e alla fine di vincere». Ma la mitezza non è remissività: mentre il remissivo «rinuncia alla lotta per debolezza, per paura, per rassegnazione», il mite invece «rifiuta la distruttiva gara della vita» per un profondo «distacco dai beni che accendono la cupidigia dei più», per mancanza di quella vanagloria che spinge gli uomini nella guerra di tutti contro tutti, «per una totale assenza della puntigliosità (...) che perpetua le liti anche per un nonnulla». Il mite non è neppure cedevole, come chi ha accettato «la regola di un gioco in cui alla fine c’è uno che vince e uno che perde». «Attraversa il fuoco senza bruciarsi, le tempeste dei sentimenti senza alterarsi, mantenendo la propria misura, la propria compostezza, la propria disponibilità». Ecco quel «potere su di sé» di cui abbiamo già sentito. Continua Bobbio più oltre: «Il mite può essere configurato come l’anticipatore di un mondo migliore». Egli «non pretende alcuna reciprocità: la mitezza è una disposizione verso gli altri che non ha bisogno di essere corrisposta per rivelarsi in tutta la sua portata». «Amo le persone miti (...) perché sono quelle che rendono più abitabile quasta “aiuola”». La mitezza è «una scelta metafisica, perché affonda le radici in una concezione del mondo che non saprei altrimenti giustificare». Ma oggi è anche «una scelta storica: consideratela come una reazione alla società violenta in cui siamo costretti a vivere». Bobbio quindi conclude: «Identifico il mite con il nonviolento, la mitezza con il rifiuto di esercitare la violenza contro chicchessia». Però, nel pessimismo cui lo porta la sua coscienza morale confrontata con la realtà, prosegue subito: «Virtù non politica, dunque, la mitezza. O addirittura, nel mondo insanguinato dagli odii di grandi (e piccoli) potenti, l’antitesi della politica». Tanto che sopra aveva scritto, rovesciando audacemente la beatitudine che stiamo ascoltando: «Guai ai miti: non sarà dato loro il regno della Terra». Poiché, diceva, «la mitezza non è una virtù politica, anzi è la più impolitica delle virtù».(..)
http://www.ilfoglio.org/308/Beati_i_mit ... olenti.htm
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Re: perché la mitezza è ancora una virtù

Messaggioda franz il 15/10/2010, 15:53

Iafran ha scritto:
franz ha scritto:Interessante è che in etologia si studiano gli equilibri tra membri di una stessa specie tra miti ed aggressivi.

Fra due specie diverse, per esempio fra il pavone e il tacchino in combattimento, avviene qualcosa che non ci parla affatto di questi due termini né tanto meno del rispetto dell'avversario (valide all'interno della specie per la sua conservazione, previo atteggiamento di sottomissione): il tacchino, anche se indubbiamente più forte, finisce quasi sempre per avere la peggio, perché l'altro è più agile e "abile" nella strategia, iniziando la lotta per primo a colpi di sperone (colpi bassi!).

Parlavo dei conflitti E STRATEGIE COMPORTAMENTALI all'interno della stessa specie.
Tra specie diverse avviene di tutto. anche notevoli casi di cooperazione (come l'uccello che pulisce i denti al coccodrillo o all'ippopotamo ed i vari pesci pulitori che entrano nelle fauci dei pesci grandi, che li lasciano fare).
Iafran ha scritto:Franz, che dici: il nostro Professore ha avuto restituito il rispetto che aveva per "amici" ed avversari (classica la stretta di mano a chi gli "aveva fatto le scarpe" con tutti i mezzi leciti ed illeciti), o era fuori dal nostro "mondo e modo" di intendere e di fare "politica" ... che ha portato, come conseguenza, un fior fiore di "bananieri" al governo?

Non lo so. Dovremmo chiederlo a lui.
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Re: perché la mitezza è ancora una virtù

Messaggioda franz il 15/10/2010, 16:00

trilogy ha scritto:non identificherei mitezza, con porgere l'altra guancia, ma al contrario con il raggiungere uno scopo senza far ricorso alla forza.

Un attimo. il raggiungere uno scopo senza far ricorso alla forza lo riferisci alla mitezza oppure al porgere l'altra guancia?
Ed in entrambi i casi, se il comportamento è orientato ad un fine, ad uno scopo, è veramente una virtu' oppure solo tattica e strategia? Da quello che Bobbio dice, essendo la mitezza impolitica non puo' essere tattica o strategia quindi non ha uno scopo da raggiungere. È scelta metafisica e basta. Non è finalizzata.

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