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Come uscire dalla crisi?

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Come uscire dalla crisi?

Messaggioda flaviomob il 06/10/2010, 10:29

I nipotini di Hoover
di Silvano Andriani
La recente riunione dei G20 a Francoforte, che ha avallato la scelta europea dell’austerità, ha suscitato il diffuso timore che la stretta dei bilanci pubblici in tutti i paesi avanzati possa mandare di nuovo in recessione l’economia mondiale. Timori condivisi da Obama, che, tuttavia, deve fare fronte in casa propria all’offensiva dei nipotini di Hoover, che evidentemente sono disseminati in tutto il mondo, e che ritengono che le crisi si curano con l’austerità.

Si sprecano, naturalmente, le assicurazioni che l’austerità deve essere coniugata con la crescita, ma nessuno ci dice come. Solo il Governatore della Bce, Trichet, che non si capisce chi abbia nominato speaker della politica economica comunitaria, ci assicura genericamente che “… politiche che ispirano fiducia favoriscono e non ostacolano la ripresa economica”. Altri hanno sostenuto più chiaramente che l’annuncio di politiche fiscali “responsabili” indurrebbe i privati ad aumentare consumi ed investimenti e con ciò a sostenere la ripresa. Si tratta di una stanca riesumazione della “teoria della aspettative razionali” che furoreggiò nei decenni liberisti.

Ora, a parte il fatto che quella teoria nei suoi quasi 40 anni di vita non è stata mai seriamente verificata, a parte il fatto che, se davvero le politiche economiche dei trascorsi decenni – promesse di riduzione della pressione fiscale, politiche monetarie e creditizie lassiste - hanno generato delle aspettative, queste, alla prova dei fatti, si sono rivelate decisamente irrazionali, immaginare che, mentre si bloccano o si tagliano retribuzioni e pensioni, si aumentano le imposte, cresce la paura dei licenziamenti, la gente abbia voglia di aumentare i consumi e gli imprenditori gli investimenti ci vuole una bella fantasia.
C’è poi la teoria dello spiazzamento: la crescita dei deficit pubblici, si sostiene, finisce con l’assorbire le risorse finanziarie esistenti e con ostacolare gli investimenti privati, che potrebbero invece ripartire se si riducono i deficit pubblici. Recenti dati Ocse ci informano che, in seguito all’incertezza generata dalla crisi ed alla conseguente caduta della domanda privata, il risparmio nei paesi avanzati è aumentato di tre trilioni di dollari e non sa dove collocarsi. C’è un eccesso di risparmio e dunque nessuno spiazzamento. Se le imprese non investono non è per mancanza di quattrini, ma perché le banche non fanno credito per i ben noti motivi e, soprattutto, in quanto la capacità produttiva inutilizzata è tanta e le prospettive di domanda deprimenti.

Più concreta è l’altra ipotesi, quella che l’Europa possa avvantaggiarsi per la svalutazione dell’euro. Ciò sta già avvenendo: l’indebolimento dell’euro è già in corso e lo stentato 1% di crescita previsto quest’anno per l’Europa deriva tutto dalla crescita delle esportazioni. Soprattutto stanno aumentando le esportazioni tedesche e con esse aumenta l’attivo strutturale della bilancia dei pagamenti germanica che si era dopo la crisi fortemente ridotto. E' un modo per fregare i vicini: ed in effetti la ripresa Usa, che l’anno scorso è stata a sua volta trainata dalle esportazioni, con il rafforzamento del dollaro sta rapidamente rallentando ed il Fondo Monetario Internazionale ha già espresso il timore che ciò possa preludere al rallentamento dell’intera economia mondiale.

Il deficit della bilancia dei pagamenti Usa, da tempo ritenuto la principale distorsione dell’economia mondiale, che si era fortemente ridotto a causa della crisi, sta ora nuovamente aumentando. In risposta Obama ha costituito una commissione ad alto livello con l’obbiettivo di trovare il modo di raddoppiare le esportazioni statunitensi in cinque anni ed uno dei componenti la commissione ha già avvertito che ciò non potrà realizzarsi senza una svalutazione del dollaro. La sterlina si sta già svalutando. Il rischio che si diffondano i tentativi di operare sui cambi per aumentare la propria competitività e scaricare su altri il peso della recessione diventa così forte e ciò potrebbe rafforzare le tendenze protezioniste.

D’altro canto, una ripresa europea trainata dalle esportazioni favorirebbe quei paesi che storicamente hanno puntato sulle esportazioni, Germania, Olanda, Finlandia e finirebbe con l’accentuare le divergenze con i paesi più deboli dell’area euro e le difficoltà a gestire la moneta unica. Aggraverebbe anche gli squilibri mondiali, visto che la Germania ha un attivo strutturale di bilancia dei pagamenti che non ha da invidiare quello cinese e che andrebbe ridotto per riequilibrare l’economia mondiale.

La scelta dell’austerità rischia dunque di innescare, se non proprio quella che Krugman ha chiamato “ la terza depressione”, terza dopo quelle successive alle crisi finanziarie del 1876 e del 1930, una stagnazione di tipo giapponese, che è già durata venti anni. In tal caso anche l’obbiettivo di ridurre i deficit fallirebbe per la inevitabile riduzione delle entrate: il debito pubblico in Giappone ha superato il 200% del Pil.

Al di là dello scarso realismo che ha la scelta dell’austerità un altro interrogativo si pone: se, riducendo i deficit pubblici, si punta su un rilancio dei consumi e dei conseguenti investimenti privati, che tipo di sviluppo si auspica per il futuro? Sembrerebbe uno sviluppo simile a quello passato, ora entrato in crisi. E poiché di quel modello di sviluppo trainato dalla crescita dei consumi privati il motore è stato l’indebitamento delle famiglie e delle banche che ha raggiunto livelli insostenibili come si dovrebbe finanziare la crescita dei consumi in futuro?

Il problema del modello di sviluppo esiste, tuttavia, anche per i sostenitori della necessità di continuare con gli stimoli fiscali e con politiche monetarie espansive. Lo sviluppo dei decenni passati ha accumulato grandi squilibri nell’economia mondiale, ne è conseguita la formazione di eccessi di capacità produttiva, soprattutto nel campo dei beni di consumo e delle abitazioni, e difetti di capacità in altri campi, come l’energia, l’alimentazione, la cura del territorio, la sanità, le infrastrutture. La rivoluzione tecnologica è stata orientata di conseguenza, mentre enormi potenzialità di ricerca e di innovazione in altri campi sono state inadeguatamente alimentate. Il semplice sostegno quantitativo della domanda non risolve il problema degli squilibri e può ulteriormente alimentarli. Del resto, dopo l’esplosione della bolla tecnologica, anche Bush ha utilizzato il deficit spending e una politica monetaria molto espansiva per contrastare la recessione, ma, inserite nel solito modello di sviluppo, tali politiche hanno generato un’altra bolla speculativa. Stimolo fiscale e politica monetaria espansiva vanno usati invece come leva per cambiare il modello di sviluppo.

Commentando su Financial Times del 9/7 la decisione di Obama, M. Spence, premio Nobel per l’economia nel 2001, dopo avere ricordato che “… una tendenza al sottoinvestimento in infrastrutture ha lasciato l’economia meno competitiva di come potrebbe essere. Il tema del prezzo dell’energia è stato ignorato causando sottoinvestimenti nelle infrastrutture urbane e nei trasporti”, conclude che “… la nuova commissione per le esportazioni, annunciata ieri, è un passo nella giusta direzione, ma una mossa più coraggiosa è necessaria: una larga partnership pubblico privato per investire in quelle parti dei beni in competizione dove esistono opportunità per i paesi avanzati di essere competitivi. L’obbiettivo deve essere di creare posti di lavoro ad alta intensità di capitale che abbiano un livello di produttività confacente a paesi avanzati ad alto reddito”. Qui si sta parlando di un nuovo modello di sviluppo e di politiche industriali ed è un approccio che riguarda tutti i paesi avanzati.

Quale modello di sviluppo? Un nuovo ciclo di sviluppo sarà sostenibile se non sarà più trainato da una crescita dissennata di consumi privati, ma da un poderoso e prolungato flusso di investimenti diretto a fare compiere un salto di qualità all’apparato produttivo ed a potenziare la produzione di beni pubblici – messa in sicurezza e valorizzazione del territorio e dell’ambiente, infrastrutture e trasporti, energia, formazione, sanità, sicurezza, giustizia - che migliori le condizioni del vivere civile ed aumenti l’efficienza del sistema.

L’aumento del tasso di risparmio dovrebbe diventare sistematico, ma il problema sarà di trasformare le maggiori risorse finanziarie verso investimenti confacenti col nuovo modello di sviluppo. Una tale svolta non sarà realizzata dai mercati. Spetta agli Stati produrre una visione dello sviluppo confacente con le potenzialità, le risorse e le vocazioni di ciascun paese ed adottare politiche e avviare progetti in grado di generare e mobilitare in quella direzione risorse private e pubbliche. Una coalizione per l’innovazione dovrebbe perciò formarsi non solo sull’individuazione dei nuovi bisogni prioritari e delle conseguenti strategie di investimento, ma anche sui meccanismi distributivi e sugli incentivi confacenti con un nuovo tipo di sviluppo.

Si potrebbe dire, in termini teorici, che si tratta di combinare un approccio keynesiano con uno shumpeteriano. Si tratta, da una parte, di essere consapevoli della necessità di una politica della domanda, non solo per i tempi di crisi, tipo deficit spending, ma di tipo sistematico. Questo vuol dire mettere in campo un modello distributivo che risulti non solo più giusto, ma anche funzionale alla qualità ed alla stabilità dello sviluppo desiderato, in grado anche di generare un livello adeguato della domanda interna senza che sia necessario fare crescere il livello dell’indebitamento pubblico e privato, cosa possibile come dimostra l’esperienza dei “ trenta anni gloriosi” successivi alla seconda guerra mondiale. Una tale distribuzione il mercato non è in grado di generarla da se, come dimostra l’esperienza degli ultimi trenta anni, e deve perciò essere orientata politicamente. D’altra parte si tratta di avere consapevolezza che crisi di questa portata, che segnano la fine di un modello di sviluppo e di un ciclo tecnologico impetuoso ma distorto da una distorta distribuzione del reddito, comportano una inevitabile “ distruzione creatrice” e che si tratta di rafforzarne la componente creativa con politiche dirette a favorire modifiche strutturali che sostengano il passaggio ad un nuovo modello di sviluppo e ad un nuovo ciclo tecnologico.

Una tale svolta richiede la rottura con l’ortodossia per quanto riguarda la politica economica. Ma non solo: ancora più importante sarà un cambiamento culturale che faccia da base al mutamento dello stile di vita delle persone e dei popoli. Ogni modello di sviluppo incorpora un sistema di valori. Nel modello sostenuto dal pensiero unico le figure centrali sono i consumatori ed i proprietari. La Thatcher, che ripetutamente ha affermato che la società non esiste ed esistono solo gli individui, cantò vittoria quando potè annunciare che il numero degli azionisti aveva superato quello degli iscritti ai sindacati. Lo sviluppo doveva così essere trainato dai consumi privati, ma il titolo per partecipare alla distribuzione del maggior reddito prodotto era non il lavoro e l’impegno continuo a migliorarne la qualità, ma l’astuta gestione dei beni patrimoniali. E poiché la maggior parte della popolazione non era in grado di concorrere a quell’aumento le disuguaglianze sono aumentate e la crescita dei consumi ed il mantenimento del consenso sono stati ottenuti con la continua crescita del debito delle famiglie, favorita da politiche monetarie costantemente espansive e garantito dall’aumento inflazionato del valore dei beni patrimoniali che è alla base delle varie bolle speculative che con crescente violenza sono scoppiate negli ultimi venti anni.

Uno stile di vita edonistico in quella che è stata definita “ società del desiderio” e comunque appiattito sul presente ha orientato i comportamenti delle imprese e delle persone, prodotto un eccesso di beni di consumo ed il deperimento di beni pubblici a partire dall’ambiente. Tale andazzo deve essere rovesciato. In un nuovo modello di sviluppo lo stile di vita andrebbe orientato a guardare di più al futuro, a richiedere alle persone un impegno continuo a migliorare le propria professionalità ed a realizzare le proprie capacità. Anche la governance delle imprese andrebbe riorientata di conseguenza. Ciò richiederebbe un sostanziale cambiamento del sistema di incentivi ed un potenziamento dei beni pubblici che possa sostenere l’impegno delle persone e delle imprese. Il tasso di risparmio dovrebbe aumentare non per paura, ma per capacità di guardare al futuro ed i mezzi finanziari da esso derivanti andrebbero orientati a finanziare le nuove strategie di investimento.

Nel mezzo della crisi degli anni’70, che nacque dal conflitto tra i paesi industrializzati, che avevano già conseguito livelli di consumo e di benessere rilevanti, ed i paesi arretrati venditori di materie prime, Enrico Berlinguer già propose un cambiamento del modello di sviluppo. Sbagliò la scelta del nome, giacchè la parola austerità aveva ed ha un significato consolidato che non può essere modificato ed il contenimento dei consumi privati in società come le nostre non vuol dire stare peggio, se nel frattempo migliora l’offerta di beni pubblici e si riduce l’incertezza. Ma quello che lui proponeva era il passaggio ad un tipo di sviluppo meno alimentato da consumi privati e più dal potenziamento dei beni pubblici, compresa la tutela dell’ambiente. La risposta vincente a quella crisi, quella liberista, andò nella direzione opposta, quella di inglobare anche i paesi emergenti nel paradigma consumista indicendoli ad adottare modelli di sviluppo trainati dalle esportazioni. E siamo arrivati al punto che paesi ancora poveri hanno alimentato la crescita insensata dei consumi di paesi ricchi non solo con l’esportazione di beni a bassissimo costo, ma anche prestando loro quattrini per acquistarli. Ora che questo modello è in crisi sarebbe oggettivamente più forte la proposta di un modello alternativo.

Vi è poi il problema dell’enorme debito accumulato dai paesi avanzati. Il Fmi ha finalmente cominciato a formulare una classifica dell’instabilità nella quale non si tiene conto solo del debito pubblico di ciascun paese, ma del debito totale: somma del debito pubblico, di quello delle famiglie e di quello delle imprese. Adottando questo criterio paesi a più alta instabilità risultano Usa, Inghilterra, Spagna, Portogallo, paesi dai quali la crisi è nata o che da essa sono stati più pesantemente colpiti e che, tuttavia, con i criteri dell’ancora vigente “ patto di stabilità” europeo, parametrato solo sul debito pubblico, risultano tra i paesi più stabili in quanto caratterizzati da un debito pubblico inferiore alla media anche se afflitti da un enorme debito privato. La prima conclusione dovrebbe essere che è necessario cambiare il “ patto di stabilità” parametrandolo non al solo debito pubblico, ma al debito totale, al tasso di risparmio, alla situazione della bilancia dei pagamenti . Qui ciò che stupisce è che da parte italiana, neanche da sinistra è mai venuta una proposta a cambiare il patto di stabilità in tale direzione.

Il livello del debito totale è comunque enorme, secondo i dati citati va da un massimo di circa quattro volte il Pil negli Usa ad un minimo, si fa per dire, di circa due volte per il paesi più virtuosi, Finlandia e Germania. Si tratta di un record storico. Riferendosi a questa realtà, l’introduzione di un rapporto speciale sul debito pubblicato in The Economist del 26/6/10 così conclude: “Questo rapporto speciale sosterrà che, per il mondo sviluppato, il modello finanziato dal debito ha raggiunto il suo limite. La maggior parte delle opzioni per fare i conti con l’eccesso di debito sono impalatabili. Come è già stato visto in Grecia ed in Irlanda, ciascun governo dovrà trovare la propria via per ridurre il peso. La battaglia tra i debitori ed i creditori può essere lo scontro determinante della prossima generazione”.

Se ci si chiede in che direzione sono andate finora le scelte fatte non ci sino dubbi: a favore dei creditori, cioè dei più ricchi. Quando si sostiene che le banche non possono fallire e vengono salvate con denaro pubblico, che Stati come la Grecia non possono ristrutturare il loro debito per non causare perdite alle banche ed ai ai risparmiatori e vanno salvati con denaro pubblico, che il tasso di inflazione accettabile non può essere elevato, anche se ciò viene ora proposto perfino dal direttore del dipartimento economico del Fmi con altri economisti, si sta scegliendo di onorare fino in fondo il debito accumulato anche se i crediti corrispondenti sono il frutto di un meccanismo distorto ed anche di comportamenti speculativi. Allora l’austerità può apparire una scelta inevitabile dalla quale saranno colpiti non solo i debitori, ma anche i contribuenti che sono chiamati a pagare il conto ed i giovani che lo pagheranno per molti anni futuri.

In pratica pagherà la società nel suo complesso, visto che l’esperienza ci dice che situazioni di eccesso di indebitamento possono portare a lunghe fasi di depressione o stagnazione necessarie per smaltire il debito. Già negli anni ’30 il più grande economista statunitense dell’epoca, Irving Fisher, spiegò la grande depressione con la “ debt deflation theory”, come deflazione causata dall’eccesso di debito. Da quella situazione gli Usa e gli altri paesi industrializzati uscirono solo in seguito all’impetuoso sviluppo e soprattutto alla forte inflazione successivi alla seconda guerra mondiale. L’inflazione allora colpì i risparmiatori, ma aiutò le giovani generazioni impegnate a ricostruire i propri paesi.

Anche su un tema come questo bisognerebbe riflettere se si vuole aprire la strada ad un nuovo modello di sviluppo.

http://www.sinistrainrete.info/politica ... -di-hoover

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La Cina ora scappa dai titoli Usa, Geithner pessimista
di Francesco Piccioni

Era nominata sottovoce, evocata con il timore reverenziale che si deve provare davanti a una «bomba atomica». Ora la miccia è stata accesa. Il flusso di capitali verso gli Stati Uniti è drasticamente calato nel mese di aprile, segnando un saldo positivo di appena 11,2 miliardi di dollari. Un'inezia, per un paese abituato da anni a vedere affluire mensilmente tra i 50 e i 70 miliardi di capitali freschi, orientati verso i «super.sicuri» titoli di stato a lungo termine o verso il più rischioso mercato azionario (Wall Street). Solo a marzo erano entrati 55,4 miliardi in più di quanti ne erano usciti.
Stavolta i titoli del tesoro detenuti da investitori internazionali sono diminuiti di 44,5 miliardi di dollari. E per la prima volta sono diminuiti quelli in possesso della Cina, ormai il primo creditore degli Usa. E solo pochi giorni fa Pechino aveva chiesto al governo Usa di «garantire la sicurezza degli investimenti cinesi» in America. Si tratta della prima manifestazione concreta di un'intenzione che - insieme a Russia, Giappone, Brasile, India - era già stata espressa in modo chiaro: «differenziare gli investimenti» e cercare un'alternativa al dollaro come moneta di riserva globale. Ma anche Russia e Giappone hanno agito, in aprile, nello stesso modo, sia pure su cifre minori. La Cina, del resto, deve fare i conti con una sistematica riduzione degli investimenti esteri sul proprio territorio (-17,8% rispetto al 2008), che la costringono a far rientrare quel che serve per alimentare una crescita tuttora fortissima (intorno all'8% annuo).

Questa fuga, per gli Usa, è però di eccezionale gravità: dall'acquisto di titoli di stato dipende infatti la possibilità di rifinanziare il crescente debito pubblico, stressato dalla necessità di intervenire per salvare le banche «troppo grandi per fallire». L'affidabilità di questo debito, già dubbia, potrebbe a questo punto essere messa seriamente in discussione dalle società di rating, costringendo il tesoro usa a offrire rendimenti ancora più alti (e più costosi per le casse pubbliche).

Lo stesso segretario al Tesoro, Tim Geithner, è apparso ieri molto preoccupato sugli sviluppi futuri dell'economia Usa. «Siamo di fronte a sfide enormi», «c'è ancora parecchia strada da fare», «è ancora troppo presto per parlare di uscita dalla crisi», e «la disoccupazione potrebbe aumentare anche in presenza di una ripresa, che probabilmente sarà più lenta di quanto ci si aspetti». E questo anche se «ora i rischi di aggravamento sono più bassi», dopo gli interventi di sostegno. E' vero che il Fondo monetario internazionale ha rivisto per la prima volta, dopo mesi, al rialzo le stime sull'andamento Usa: -2,5% quest'anno (prima era previsto -2,8) e +0,7 nel 2010 (prima si pensava a 0). Ma questo segnale di speranza di è scontrato con l'indice manifatturiero Empire State, calato a -9,1, mentre ci si attendeva che restasse intorno a un comunque negativo -4,5.

Dall'Europa, contemporaneamente, è arrivato l'allarme della Bce sulle svalutazioni che le banche dovranno ancora effettuare a causa dei «titoli tossici» rimasti nei loro bilanci: 283 miliardi di euro, che si andranno ad aggiungere ai 366 già registrati dall'inizio della crisi finanziaria. Le borse mondiali, che da tre mesi crescevano in attesa miracolistica della «ripresa», non l'hanno presa affatto bene: hanno perso tutte mediamente il 3%.

http://www.sinistrainrete.info/crisi-mo ... pessimista


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Re: Come uscire dalla crisi?

Messaggioda flaviomob il 09/10/2010, 0:47

Farla finita con questa Europa
Vladimiro Giacchè
La commissione europea ci propone la sua idea di “governo economico” per l’Europa. Tommaso Padoa-Schioppa sul Corriere della Sera del 3 ottobre la riassume così:

“L’impianto è questo: le regole di bilancio restano quelle del Patto di stabilità, ma il debito pubblico (sotto il 60 per cento) – finora trascurato – assurge alla stessa importanza del deficit (sotto il 3); si rafforzano i meccanismi di controllo e le sanzioni; alla disciplina di bilancio si aggiunge una politica di correzione e prevenzione degli squilibri macroeconomici; si fa più autonomo il potere della Commissione e più difficile il boicottaggio del Consiglio”.

Il commento di Padoa-Schioppa è piuttosto salomonico (o pilatesco, a seconda dei punti di vista):

Le proposte sono complesse e occorre guardarsi dai giudizi affrettati… Una condanna immediata sarebbe un errore…
Bocciare la proposta non spianerebbe la strada verso l’impianto giusto, verso il vero governo europeo; aumenterebbe solo la cacofonia attuale. Se accolte e applicate al meglio, le regole e le procedure proposte potranno rafforzare… la disciplina degli orchestrali e l’autorità del direttore.

Tremonti, dal canto suo, è serafico:

Non temiamo le nuove regole. Siamo in zona di sicurezza (dichiarazioni del 30 settembre)

Francamente, è difficile condividere la cautela dell’ex ministro del Tesoro e la tranquillità di quello in carica. Perché la proposta avanzata dalla Commissione europea chiede ai Paesi il cui debito superi il 60% del pil di ridurlo del 5% l’anno. In caso contrario sono previste sanzioni.

Che cosa significherà questo per l’Italia l’ha spiegato molto bene Superbonus sul “Fatto Quotidiano” del 3 ottobre:

l’Italia ha un rapporto debito/Pil del 118 per cento. Quindi un eccesso di debito del 58 per cento, ossia 1044 miliardi di euro di debito in più di quello che sarebbe consentito dal nuovo patto di stabilità. In queste condizioni il governo dovrebbe varare una manovra di 55 miliardi per il solo 2011.

Se così stanno le cose, “una condanna immediata” di queste proposte non solo non sarebbe “un errore”, come crede Padoa-Schioppa, ma sarebbe l’unica cosa sensata.

Per diversi motivi:

1. Spostare ora l’accento sul debito, modificando il Patto in essere (che fu negoziato dai negoziatori italiani con molta cura per evitare tagliole di questo genere – che del resto avrebbero reso impossibile la partecipazione dell’Italia all’Euro), è scorretto e sembra fatto con l’intenzione di spostare l’attenzione da alcuni Paesi oggi nell’occhio del ciclone ad altri.

Un esempio per tutti: l’Irlanda a fine anno avrà un deficit del 32%, a causa dei salvataggi bancari che sono costati tra i 40 e i 50 miliardi di euro. Però lo stock del suo debito è (per ora) di poco superiore al 60% del pil. L’Italia, invece, ha un deficit del 5% (essenzialmente perché il pil è diminuito), ma un debito del 118%. Chi stia peggio lo dicono i rendimenti dei rispettivi titoli di Stato a 10 anni: 6,6% l’Irlanda e 3,9% l’Italia. Per i cervelloni di Bruxelles (e di Berlino), però, la cura più da cavallo spetterebbe all’Italia.

2. Le cifre di cui stiamo parlando sono tali da rendere privo di senso ogni negoziato (è chiaro infatti che non sarebbero meno folli manovre da 30 o 40 miliardi l’anno).

3. Correzioni di bilancio come quelle che si produrrebbero in diversi Paesi europei (non soltanto l’Italia, ma anche Grecia, Belgio e – sia pure in misura inferiore – Francia e Portogallo) se il nuovo Patto entrasse in vigore, farebbero vivere a questi Paesi lo stesso crollo delle attività produttive che sta sperimentando la Grecia grazie alla misure draconiane imposte contestualmente al “salvataggio” di qualche mese fa (che in realtà non fu un salvataggio della Grecia, ma delle banche tedesche e francesi che possedevano la gran parte dei titoli di Stato greci).

4. I tagli alla spesa pubblica (cioè ai servizi e alle prestazioni sociali, all’assistenza, alle pensioni) approvati nei mesi scorsi in molti Paesi dell’Unione Europea, che in totale si aggirano sui 300 miliardi di euro, sono già tali da rendere molto probabili effetti deflattivi e di depressione dell’economia “stile anni Trenta” (ne ho parlato in un articolo sul “Fatto Quotidiano” del 30 maggio scorso). Se a questo si aggiungessero ulteriori sforbiciate alla spesa pubblica la probabilità diventerebbe certezza. E qui va ricordato che gli Stati fuori norma sul debito sono ormai la maggioranza nell’Unione, visto che in media il rapporto debito/Pil si aggira intorno all’80%.

5. Infine, politiche come quelle proposte, in una situazione in cui è in corso una guerra valutaria fatta di svalutazioni competitive (si parla molto della Cina, ma sono soprattutto gli Stati Uniti che stanno facendo di tutto per svalutare la loro valuta, mettendo tra l’altro a dura prova i loro tradizionali buoni rapporti con il Giappone), hanno il solo effetto di rendere l’euro sopravvalutato, facendo un regalo a chi oggi fuori dell’Europa vuole svalutare, e colpendo le esportazioni europee.

E allora? Allora bisogna dire no, e opporsi con ogni mezzo a questa follia molesta.

E forse anche smetterla di considerare l’Unione Europea come un feticcio intangibile e un destino ineluttabile. Soprattutto quando chi la dirige, nella sua cecità ideologica, si pone in contrasto così stridente con gli interessi dei popoli europei. Che oggi di tutto hanno bisogno, meno che di una manovra “lacrime e sangue” su scala continentale.

http://www.sinistrainrete.info/neoliber ... sta-europa
(articolo de Il Fatto Quotidiano)


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Re: Come uscire dalla crisi?

Messaggioda franz il 09/10/2010, 9:44

Tutto molto interessante. Ma il succo è che la logica tedesca (la politica del rigore) ha dimostrato di essere vincente.
Quindi politica del rigore sarà. E politica del rigore puo' essere fatta, senza fare carneficina sociale.
Soprattutto in Italia, dove la socialità a mio avviso è assolutamene carente, si devono fare sforzi per eliminare sprechi, rendite di posizione, corporazioni, clentele. E bisogna considerare che probabilmente una buona metà del personale statale è perfettamente inutile una volta che eliminassimo gran parte della burocrazia e delle migliaia di leggi inutili e stupide che bloccano la crescita economica del paese ed inducono migliaia di aziende a delocalizzare.

La Svezia negli ultimi 15 anni ha ridotto il debito pubblico portandolo da oltre il 70% del PIL all'attuale 42.3%
Vedere: http://www.google.com/publicdata?ds=jnh ... ico+svezia
Non ci risultano casi di macelleria sociale, malgrado il fatto che ci sia stata una certa alternanza di governo tra destra e sinistra. Le previsioni di crescita svedese sono oggi al 4.5% (superiori mi pare a quelle tedesche, che sono cira la metà).

La Svizzera ha ridotto in 10 anni il suo debito pubblico dal 54% al 40% del PIL. Non ne aveva bisogno (era già sotto il 60% indicato come parametro per una eventuale adesione alla UE. Il welfare svizzero è ancora oggi uno dei migliori del mondo, esporta il 42% del PIL (prima della crisi era il 50%). Produce ed esporta cosi' tanti beni che ha sul suo territorio il 22% di lavoratori stranieri con salari tra piu' elevati in termini PPP di tutto il mondo.

Mi fermo qui con questi due esempi quasi opposti (tra liberalismo moderato e socialdemocrazia liberalizzata)
La Svezia ha ridotto il suo debito pubblico del 30% in 15 anni, la Svizzera del 14% in 10 anni.
E' quindi possibile ridurre il debito del 1.5 ... 2% all'anno coniugando rigore, produttività, competitività.

Invece negli ultimi 10 anni il debito pubblico UE è passato dal 70% all'85% (+1.5% all'anno) con una concatenazione tra debitori che fa si' che se uno cade, c'è un catastrofico effetto domino.

Vedere http://www.banknoise.com/wp-content/upl ... ustom1.jpg

Spesa pubblica fuori controllo, deficit e debito, inasprimento fiscale, non producono altro una dilatazione dei tempi della crisi. Invece di durare poco ed essere severa, dura il triplo ma è forse leggermente piu' soft. Tuttavia un'industria puo' sopportare 6 mesi di crisi o un anno (anche grazie agli ammortizzatori sociali), ma non tre di fila. Se la crisi è troppo lunga, le industrie cominciano a morire o a spostarsi dove invece c'è crescita.

Domenica scorsa RAI3 con Iacona su Presa Diretta ha fatto vedere alcuni imprenditori italiani in "gita" in Svizzera, per vedere concretamente le condizioni per aprire un'attività (costo del terreno, della costruzione, tempi della burocrazia, imposte, agevolazioni, logistica). Non è solo fiscalità bassa: è anche poca burocrazia, tempi rapidi, stabilità (mentre le cose in Italia continuano a cambiare, senza pero' migliorare mai).
Chi non ha visto il servizio, lo veda ora. Sono 15 minuti e ne vale la pena.

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Vi assicuro che quella è solo la cima dell'iceberg.

Da vedere anche il sito http://www.impresecheresistono.org/

Franz
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Re: Come uscire dalla crisi?

Messaggioda Iafran il 09/10/2010, 10:20

franz ha scritto:E' quindi possibile ridurre il debito del 1.5 ... 2% all'anno coniugando rigore, produttività, competitività.

Si, lo potrebbe essere anche in Italia, se si facesse piazza pulita del malaffare (della mafia) nella società e ... nelle istituzioni!
E' la scoperta "dell'acqua calda", lo so, ma gli altri Paesi non ne soffrono come ne soffre l'Italia, con tutti i risvolti sociali, economici e morali.
A dire che gli altri Paesi sono anche senza ... Vaticano in casa!
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Re: Come uscire dalla crisi?

Messaggioda trilogy il 09/10/2010, 12:49

flaviomob ha scritto:Farla finita con questa Europa
Vladimiro Giacchè


Flavio, in quell'articolo mancano un paio di elementi importanti per valutare le proposte in fase di negoziato.

1. A giugno del 2013 scade l'Efsf (European Financial Stability Facility) da 440 miliardi, il fondo che è stato creato per sostenere i paesi a rischio default all’apice della crisi greca
La Germania vorrebbe creare un meccanismo europeo permanente di salvataggio dei paesi a rischio di default. Per fare questo occorre modificare il Trattato di Lisbona, che proibisce a qualsiasi stato della Ue di assumersi i debiti di un altro paese. Il Regno Unito è fermamente contrario ad ipotesi del genere
Per rendere accettabile e far funzionare un meccanismo del genere, occorre inserirlo in un quadro di di controlli preventivi e periodici congiunti dei bilanci e delle politiche di spesa e sanzioni severe per i paesi che violano i patti Ue . Questo permetterebbe di confinare gli interventi di salvataggio, compresa la possibilità di ristrutturare il proprio debito pubblico, in casi di situazioni estreme e imprevedibili.

2. Il secondo elemento è lo spostamento dell’accento sul debito rispetto al deficit, come nota Padoa Schioppa. Il motivo però credo sia differente da quello che evidenzia. Il problema centrale è che i debiti complessivi degli Stati sovrani del pianeta hanno raggiunto livelli senza precedenti. Gli Stati sono in competizione tra loro per finanziare questi debiti, e a loro volta sono in competizione con le imprese che devono attrarre i fondi per coprire le loro passività e fare investimenti. La ripresa economica è ancora molto precaria in Europa, Stati uniti e giappone. In Cina è in parte drogata dalla speculazione immobiliare e da alcuni investimenti pubblici di dubbio ritorno. Se si tornasse in recessione, il sistema economico globale correrebbe il rischio di saltare sul debito sovrano. Per questo le banche centrali stanno in pratica monetizzando il debito. Cioè stampano carta per acquistare titoli di debito sul mercato, (Quantitative Easing) una politica dagli esiti poco prevedibili nel medio lungo termine. I mercati finanziari hanno un po’ paura dei possibili sviluppi questa manovra e stanno comprando da mesi metalli preziosi a tonnellate, e si accodano alle manovre della FED speculando sul debito pubblico USA. In questo modo i rendimenti dei titoli sono scesi su livelli mai visti, probabilmente siamo in presenza di una bolla speculativa destinata a scoppiare.

La mappa interattiva dei debiti sovrani:
http://buttonwood.economist.com/content/gdc
Ultima modifica di trilogy il 09/10/2010, 13:01, modificato 1 volta in totale.
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Re: Come uscire dalla crisi?

Messaggioda franz il 09/10/2010, 12:56

Iafran ha scritto:
franz ha scritto:E' quindi possibile ridurre il debito del 1.5 ... 2% all'anno coniugando rigore, produttività, competitività.

Si, lo potrebbe essere anche in Italia, se si facesse piazza pulita del malaffare (della mafia) nella società e ... nelle istituzioni!
E' la scoperta "dell'acqua calda", lo so, ma gli altri Paesi non ne soffrono come ne soffre l'Italia, con tutti i risvolti sociali, economici e morali.
A dire che gli altri Paesi sono anche senza ... Vaticano in casa!

Non vorrei ripetermi e ricominciare una discussione già fatta.
È chiaro che bisogna sconfiggere le cose che elenchi (e anche molto di piu', comprese quelle aziende, quei settori privati e pubblici, quelle istituzioni che si sono adeguate ed adagiate a seguire quell'andazzo). Ed è chiaro che altri paesi non soffrono come l'Italia (anche se mafie sono presenti in Russia, Giappone, america latina ... non sono un nostro unicum). Vero che il Vaticano lo abbiamo solo noi ma altri hanno di peggio, con certo islamismo dogmatico e fanatico.
Ma chiarito che tutto questo è vero, non vorrei che tutto sommato certi discorsi si trasformassero in autogiustificazioni per non cambiare. "Abbiamo le mafie, la casta, il vaticano, la sfiga di montezuma, la maledizione di tutanchamon, le emorroidi. Quindi cambiare è difficile, ... non prendetevela con noi."
No. Cambiare è sempre possibile. Lo dimostrano Russia e Cina, che sono riusciti a cambiare da una mostruosità enorme come quella delle economie pianificate. Per quanto difficile, dobbiamo dire "yes, we can!".

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Re: Come uscire dalla crisi?

Messaggioda Iafran il 09/10/2010, 16:12

franz ha scritto:
Iafran ha scritto:
franz ha scritto:E' quindi possibile ridurre il debito del 1.5 ... 2% all'anno coniugando rigore, produttività, competitività.

Si, lo potrebbe essere anche in Italia, se si facesse piazza pulita del malaffare (della mafia) nella società e ... nelle istituzioni!
E' la scoperta "dell'acqua calda", lo so, ma gli altri Paesi non ne soffrono come ne soffre l'Italia, con tutti i risvolti sociali, economici e morali.
A dire che gli altri Paesi sono anche senza ... Vaticano in casa!

Ma chiarito che tutto questo è vero, non vorrei che tutto sommato certi discorsi si trasformassero in autogiustificazioni per non cambiare. "Abbiamo le mafie, la casta, il vaticano, la sfiga di montezuma, la maledizione di tutanchamon, le emorroidi. Quindi cambiare è difficile, ... non prendetevela con noi."
No. Cambiare è sempre possibile.

Si, che si può cambiare, ma il marciume che c'è in Italia rende "fatuo" qualsiasi discorso organico e oggettivamente apprezzabile.
Dovrebbero essere, allora, le persone di malaffare (quelle che in qualche modo, se non del tutto, "governano" la nostra società) ad accettare tesi politiche che sovvertirebbero una situazione che loro stessi hanno creato per i loro interessi?
Un "autocastigo mafioso"?
Non voglio sembrare rassegnato (quello che non sono), stavolta bisogna investire nella "costruzione" della base sociale.
"Gli italiani ancora non sono fatti", e gli esempi che hanno davanti (in politica e nell'imprenditoria "collegata") fanno molta scuola in ben altra direzione, che non ad educare per l'interesse della società.
Il "si salvi chi può" parlerebbe in qualche modo ancora di solidarietà, il tempo attuale invece è quello di "mors tua vita mea".
Potrei sbagliarmi, ma vedrei per prima "il pulpito da dove proviene la predica" e poi ... le idee politiche proposte.
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Re: Come uscire dalla crisi?

Messaggioda franz il 09/10/2010, 18:25

Iafran ha scritto:Si, che si può cambiare, ma il marciume che c'è in Italia rende "fatuo" qualsiasi discorso organico e oggettivamente apprezzabile.
Dovrebbero essere, allora, le persone di malaffare (quelle che in qualche modo, se non del tutto, "governano" la nostra società) ad accettare tesi politiche che sovvertirebbero una situazione che loro stessi hanno creato per i loro interessi?
Un "autocastigo mafioso"?
Non voglio sembrare rassegnato (quello che non sono), stavolta bisogna investire nella "costruzione" della base sociale.
"Gli italiani ancora non sono fatti", e gli esempi che hanno davanti (in politica e nell'imprenditoria "collegata") fanno molta scuola in ben altra direzione, che non ad educare per l'interesse della società.
Il "si salvi chi può" parlerebbe in qualche modo ancora di solidarietà, il tempo attuale invece è quello di "mors tua vita mea".
Potrei sbagliarmi, ma vedrei per prima "il pulpito da dove proviene la predica" e poi ... le idee politiche proposte.

Inizierei dalla consapevolezza che un cambiamento è necessario (e forse qui nel paese ci siamo, in maggioranza) e poi di quale cambiamento. Poi se questa consapevolezza viene dal basso, ci saranno per forza cavallieri pronti a cavalcare questo cavallo. Forse anche troppi. Bisognerà stare attenti. Ma io guarderei alle forze sane che questa nazione ha.
Ogni partito, ogni movimento ha una parte sana ed un bel po' di zavorra corporativa.
Teme di perderla e quindi di perdere voti ma a mio avviso se tutti mollano la zavorra, poi è piu' facile trovare una coalizione "ripulita" che sia credibile ed a cui non possiamo dire "da che pulpito vien la predica".

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Re: Come uscire dalla crisi?

Messaggioda Iafran il 09/10/2010, 21:59

franz ha scritto:Inizierei dalla consapevolezza che un cambiamento è necessario (e forse qui nel paese ci siamo, in maggioranza) e poi di quale cambiamento. Poi se questa consapevolezza viene dal basso, ci saranno per forza cavallieri pronti a cavalcare questo cavallo. Forse anche troppi. Bisognerà stare attenti. Ma io guarderei alle forze sane che questa nazione ha.
Ogni partito, ogni movimento ha una parte sana ed un bel po' di zavorra corporativa.
Teme di perderla e quindi di perdere voti ma a mio avviso se tutti mollano la zavorra, poi è piu' facile trovare una coalizione "ripulita" che sia credibile ed a cui non possiamo dire "da che pulpito vien la predica".

Concordo in pieno.
La base forse sente questa "consapevolezza", l'ha anche sostenuta ma "cavalieri interessati" ne hanno minato tante volte la credibilità. Questi "cavalieri" vogliono avere solo "scudieri e servi".
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Re: Come uscire dalla crisi?

Messaggioda franz il 10/10/2010, 9:22

Iafran ha scritto:Concordo in pieno.
La base forse sente questa "consapevolezza", l'ha anche sostenuta ma "cavalieri interessati" ne hanno minato tante volte la credibilità. Questi "cavalieri" vogliono avere solo "scudieri e servi".

Già, e visto che i posti di cavalliere sono pochi, molti si mettono in fila temporaneamente, come servi e scudieri.
In attesa del loro turno.
Ma alla fine non vorrei che si arrivasse alla conclusione, che noi dalla crisi non ci usciamo mai.
Penso che la crisi finirà (da sola malgrado tutto e malgrado incaute poliitche che l'hanno peggiorata) e l'Itlaia riprenderà il solito andazzo, non in crisi ma nemmeno in rigogliosa crescita. Vivacchiando.

Franz
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