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A scuola di democrazia

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

A scuola di democrazia

Messaggioda soniadf il 12/07/2010, 17:43

Qualche giorno fa è comparso sull’Unità un bel commento di Marco Simoni sulla crescita della diseguaglianza in alcuni paesi occidentali.
“La legittimità delle nostre democrazie non si è mai poggiata solamente sul dato procedurale, sul diritto di voto e sul rispetto della legalità, ma è sempre stata sostenuta anche da risultati considerati, certo migliorabili, ma nel complesso equi. Quanta disuguaglianza sia tollerabile dalle nostre democrazie è una domanda a cui è preferibile non cercare una risposta empirica” dice Simoni.
In effetti, una delle conseguenze ineliminabili della democrazia dovrebbe essere il benessere diffuso.
Quand’è che si rompe il patto sociale? Quando il tacito accordo per cui tutti possono aspirare a migliorare la propria condizione viene meno, e una larga maggioranza si vede privata dei benefici prodotti da quel sistema sociale, anzi è ridotta a fare da stampella ai benefici della minoranza, quasi un elemento necessario di debolezza per sostenere la forza di pochi privilegiati.
Basti pensare all’estrema mossa finanziaria della crisi: immettere i debiti dei poveri nel circuito borsistico, monetizzando per sé la disperazione degli altri.
Se la democrazia non produce mobilità sociale e redistribuzione del reddito non è più che un vuoto formalismo, con regole inadeguate per il bene comune.
Troppe volte si è sentito difendere le ragioni dell’impresa, come se l’impresa fosse di per sé stessa al servizio della comunità. L’impresa salvaguarda il profitto del capitale, cercando anche di ridurre il reddito del lavoro, in quanto costo di produzione. E’ una logica legittima, ma non è al servizio della comunità, che pure costituisce il sistema di mercato in cui quell’impresa opera, un sistema sociale che le mette a disposizione infrastrutture, regole, sicurezza.
Il patto sociale che scaturisce da istituzioni politiche democratiche dovrebbe riequilibrare il brutale rapporto di forza che si instaura nel processo di produzione della ricchezza, cercando di limitare la crescita esponenziale di potere in capo a un unico attore. Quindi, leggi antitrust, garanzie sindacali, regole trasparenti su credito e finanza, ecc. ecc.
Se la disuguaglianza aumenta invece che diminuire significa che le stesse istituzioni fanno acqua, la democrazia è a rischio esattamente come i posti di lavoro scomparsi alla Eutelia, un’impresa nata per moltiplicare profitti e non per produrre ricchezza. La ricchezza è comunitaria, il profitto è particolare. Questa è una distinzione che pochi paiono cogliere quando chiedono di tutelare le imprese, la cui produzione di ricchezza passa per il lavoro e il capitale, e sono utili alla comunità solo quando garantiscono entrambi i fattori della produzione e non solo uno.
Garantire i redditi da lavoro è importante quanto garantire i profitti, perché solo queste garanzie congiunte sostengono un patto sociale democratico. L’odierno tasso di redistribuzione è tanto pericolosamente squilibrato da rivelare già una penosa maschera democratica di molti stati occidentali.
Diritti attenuati, società pietrificate, depressioni economiche, affabulazioni mediatiche di una realtà scollata sono solo il ricordo di una democrazia compiuta.
In quanto ai politici e agli intellettuali, si fa presto a capire da che parte stanno. C’è chi teorizza addirittura che la disuguaglianza è nell’ordine delle cose o è la volontà di Dio o che è il risultato delle diverse abilità. Ma per favore, se il mio stipendio è indecente dipende da tutto quello che mi sta intorno, e non dalle mie capacità.


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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda ranvit il 12/07/2010, 18:03

C'è molto di condivisibile ma, premesso che si tratta di un'analisi ormai vecchia come il cucco perchè ripetuta mille e mille volte da cani e porci (....nel senso buono del termine), l'alternativa?

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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 12/07/2010, 18:53

cresce la disugialianza -meglio precisare- perché c'è la crisi ecnomica. Ne abbiamo già discusso in passato.
La crisi economica riduce la ricchezza (a livello mondiele nel 2009 abbiamo avuto meno PIL del 2008) e riduce le possibilità di ridistribuzione. Condivido pienamente: "L’impresa salvaguarda il profitto del capitale, cercando anche di ridurre il reddito del lavoro, in quanto costo di produzione. E’ una logica legittima, ma non è al servizio della comunità, che pure costituisce il sistema di mercato in cui quell’impresa opera, un sistema sociale che le mette a disposizione infrastrutture, regole, sicurezza." ma preciso che non è che le imprese prendano gratis le infrastrutture le regole, la sicurezza. Le imprese pagano imposte e contributi (quelli a loro carico). Diciamo che oggi lo stato si prende la metà della ricchezza nazionale, per fare tutte quelle cose (spesso molto male, come si puo' constatare osservando lo stato di scuola, sanità, giustizia, sicurezza, ricerca). Le imprese sono spinte dalla competizione. Se altre aziende trovano sistemi produttivi che implicano meno costi (anche di personale) tutte cercheranno di farlo, per non essere tagliate fuori. Ma se riescono ad essere vive, pagheranno salari e imposte. Il problema pero' qui non è solo la crisi economica, che arriva di taanto in tanto, periodicamente (ed ha effetti anche salutari sull'economia) ma la crisi della democrazia, la crisi della politica, di cui si parla ormai da anni, decenni. E mi pare una cosa costante. Lei c'è sempre ...siamo noi ad attenzionalra di tanto in tanto. Ovviamente quando c'è una crisi economica molti nodi, anche politici, vengono al pettine.

Anche gli stipendi (netti) indecenti. Considerando che la collettività, tra spese pazze, sprechi, pessimi servizi, volontà di ridistribuzione a volte ben fatta a volte no, si prende la metà anche del misero stipendio, io direi che quel "tutto ciò che ci sta attorno" ha fondamentalmente un nome: lo stato, la politica, le decisioni collettive. Comprendo che chi ha sempre visto lo stato come cosa positiva, il baluardo da conquistare eroicamente per poterci piantare la bandiera (rossa, bianca, nera) quello che dico suona come un'eresia, tuttavia quando si attinge al 50% delle risorse, dando poco o niente in cambio, lo stato puo' essere visto anche come un vampiro, che succhia le risorse (il sangue) di tutti ... ovviamente a fin di bene (e chi mai dirà che lo fa per il malessere generale?). E da qui nasce a mio avviso quel disagio antipolitico (pericoloso) che si chiama crisi della democrazia. Stati elefantiaci che strozzano l'economia (finanziare un debito pubblico che supera il PIL è un modo per uccidere l'economia, perché non si finanziano piu' le attività produttive) mettono in crisi sia l'economica che la politica stessa e diventano espressioni di caste autoreggenti, come le calze della Brambilla.

Ebbene alla chiusura della mia filippica (che non potro' seguire a lungo, dato che sono in partenza per le ferie - le prime dopo 3 anni ) mi associo alla richiesta di Ranvit: alternative?
Voce del verbo: embhé, ora che lo sappiamo, cosa si fa?
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda soniadf il 12/07/2010, 19:09

Perchè parlate di alternative? Qui si tratta di ripristinare i meccanismi della democrazia, di percorrere strade redistributive, non di correre in soccorso degli imprenditori fasulli o incapaci. Le imprese tedesche pagano il triplo il lavoro di cui si dotano perchè competono sull'innovazione e non sulla riduzione del costo del lavoro, che costituisce anche una componente importante della domanda e connota lo standard economico del loro mercato. Non cerchiamo un'alternativa alla democrazia, ma la sua realizzazione pratica, le strade virtuose che portano alla riduzione delle tariffe per migliorare la competitività, al ripristino della legalità, unica condizione per garantire la concorrenza. Vorrei far notare a Franz che anche operai e dipendenti pagano le tasse in cambio di qualche garanzia e di qualche diritto.

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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda ranvit il 12/07/2010, 19:21

Credo che qui nessuno abbia pensato alle alternative alla democrazia.

C'è un'analisi che critica l'attuale forma istituzionale-economica....mi pare di capire non solo italiana...

Allora la domanda è : c'è un sistema migliore di quello attuale?

Naturalmente l'attuale è certamente da migliorare...per esempio come tu dici : "Qui si tratta di ripristinare i meccanismi della democrazia, di percorrere strade redistributive....". (Lasciamo perdere il resto della frase..."...non di correre in soccorso degli imprenditori fasulli o incapaci").

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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda pianogrande il 12/07/2010, 19:29

Una precisazione banale e superflua.
Non è che per avere il diritto di dire che una cosa non va bisogna avere in mano l'alternativa.
Intanto siamo d'accordo che non va.
E' già un passo avanti verso l'alternativa.
Berlusconi, ad esempio, ci tiene tantissimo a darci da bere che è una genio al lavoro per il nostro benessere e non ci chiede di trovargli una alternativa.

Quindi, incazzarsi e dire che così non va bene (e perché, magari) ha un suo notevole valore.

L'alternativa vera sarebbe una rivoluzione (difficilmente non violenta) per rovesciare questo sistema di potere.
Questa soluzione allegra soffre più che mai della domanda posta da ranvit (e poi?).

Conviene quindi sintonizzarsi su canali più tranquilli.

Costruire un sistema di potere più rivolto verso il bene comune (per bene intendo una situazione dove stiamo un po' meglio tutti da contrapporre ad una situazione dove stanno benissimo in pochissimi).

Questo richiede una maturazione della società a tutti il livelli.
Si può lavorare per questo e realizzarlo entro la prossima era geologica (il tuttobene).

Nel frattempo, al nostro livello (scusate se mi permetto di inquadrare), si va su cose di piccolo calibro e di breve termine che, messe insieme, qualche risultato lo producono.
Informarsi ed incazzarsi, informare e fare incazzare, protestare e lottare, accodarsi al meno peggio, pensare e discutere, cercare, insomma, giorno per giorno, di mettere all'opera la nostra piccola influenza.

Se lo facessimo tutti non sarebbe un fallimento continuo come è ora.
Ecco perché i potenti voglio i mezzi di comunicazione, vedono l'istruzione come il fumo negli occhi ed accusano ad ogni alzata di sopracciglia, di sovversivismo, disfattismo, comunismo .......

Tutto è, poi, migliorabile.
Fotti il sistema. Studia.
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda ranvit il 12/07/2010, 19:42

Certo, non sempre è necessario, per lo meno in prima battuta, avere l'alternativa.

Ma quando si ripetono analisi sui mali dell'attuale sistema.....con le stesse parole e concetti ripetuti milioni di volte da decenni, allora....

Nel caso specifico poi, immagino che siamo tutti d'accordo sul fatto che le cose debbano migliorare....specialmente in Italia.
Ma allora tanto vale passare direttamente alla proposta di soluzioni...


Naturalmente poi, se uno ha solo bisogno di sfogarsi....va bene, non c'è problema.

Vittorio
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda franz il 12/07/2010, 20:08

soniadf ha scritto:Perchè parlate di alternative? Qui si tratta di ripristinare i meccanismi della democrazia, di percorrere strade redistributive, non di correre in soccorso degli imprenditori fasulli o incapaci. Le imprese tedesche pagano il triplo il lavoro di cui si dotano perchè competono sull'innovazione e non sulla riduzione del costo del lavoro, che costituisce anche una componente importante della domanda e connota lo standard economico del loro mercato.

Certo ... non serve correre in soccorso di imprenditori veri e capaci (il contrario di fasulli o incapaci), perché nelle condizioni normali, non hanno bisogno di soccorso alcuno. Certo che se lo stato ostacola l'impresa, tutti - anche i capaci - chiedono allo stato aiuti, o anche solo di rimuovere gli ostacoli (privilegi, esenzioni).
soniadf ha scritto:Non cerchiamo un'alternativa alla democrazia, ma la sua realizzazione pratica, le strade virtuose che portano alla riduzione delle tariffe per migliorare la competitività, al ripristino della legalità, unica condizione per garantire la concorrenza. Vorrei far notare a Franz che anche operai e dipendenti pagano le tasse in cambio di qualche garanzia e di qualche diritto.

Soniadf

Vero, ... vorrei far notare a Soniadf che ci sono operai e dipendenti prprio perché ci sono imprese. Possono esistere imprese senza dipendenti (le ditte individiali senza dipendneti) ma non dipendeti senza ditte.
E ci sono imprese perché ci sono capitali (da investire) lavoratori (che fanno le cose) e dirigenti (per organizzare ed ottimizare). Fin qui tutto bene, fino a quando non viene qualcuno che ti chiede il pizzo (mafia, camorra e n'drangheta) e qualcuno che ti chiede un pizzo ancora piu' grande (pari al 50% del tuo fatturato) a cui non ti puoi sottrarre se non in due modi: uno legale (emigrare) e l'altro illegale (evadere). Non esistono, a mia conoscenza, alternative alla democrazia ma essa è diversa di paese in paese ed è nettamente perfettibile. In Italia sembra difficile innestare questo processo di perfettibilità perché è tutto bloccato. I conservatori prevalgono.

Franz
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda pierodm il 12/07/2010, 20:39

Se si legge bene - ossia senza la presunzione di aver già capito e sentenziato - quello che ha scritto Sonia, appare chiaro che il problema non è quello di inventare un'alternativa al sistema democratico, ma di regolare, fare della buona manutenzione al sistema stesso.
E'vero: cani e porci dicono le stesse cose (tutte quelle dette in questa discussione)da decenni: l'importante è ascoltare da uomini e non da scimmie. In fondo la politica - tutta, perfino quella che ha l'ambizione di sostenere le dittature, le monarchie e le tribù sciamaniche - si occupa di tanto in tanto, diciamo una volta ogni qualche secolo, d'inventare "alternative" epocali, ma s'impegna giorno per giorno per migliorare quello che esiste, per chiedersi in modo diretto o indiretto in definitiva la stessa domanda di Simoni, ripresa da Sonia: fino a che punto un sistema può degenerare - se degenera - senza crollare, senza diventare un'altra cosa, senza perdere la propria ragion d'essere?
Uno dei punti caldi di questo processo è che non tutti hnno la medesima percezione su tale degenerare, o sui settori che stanno degenerando: a parte gl'interessi contrapposti, di chi nella sua breve vita se ne frega della degenerazione purché gli torni di vantaggio, è anche una questione di sinceri punti di vista.
Si può infatti distorcere il proprio pensiero fino ad annodarlo su se stesso, per convincersi e convincere che la degenerazione è niente di più che una semplice evoluzione, o anche che si tratta di una questione di età (i giovani, scapestrate teste calde), o alzarae un bel polverone per dire che comunque cent'anni fa si stava peggio e altra roba del genere.

A margine, vorrei comunque precisare che questo genere di problematiche non le ho mai sentite sollevare da cani e porci, ma le ho spesso invece sentite commentate in modo ottuso. Forse ho conosciuto cani sbagliati e frequentato porci ignoranti.
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Re: A scuola di democrazia

Messaggioda soniadf il 12/07/2010, 21:29

Tornando all’origine del discorso, io volevo solo sottolineare come ormai le diseguaglianze economiche sono esattamente sovrapponibili alla carenza di diritti democratici, come la democrazia politica non possa esistere senza la democrazia economica. Ed è facile individuare chi va verso la costruzione di regole che favoriscono la democrazia economica e chi si adopera per perpetuare meccanismi distorsivi del mercato. Quello che non capisco è questo giustificazionismo ad oltranza per condotte economiche antisociali, quando persino le imprese hanno di recente introdotto il cosidetto “Bilancio Sociale”, che è una vaga forma di rendiconto sull’impatto della propria impresa sul tessuto sociale che la ospita.
Lo stato democratico dovrebbe sostenere l’intero quadro in una sorta di equilibrio che favorisca gli interessi di tutti e mitighi lo strapotere di alcuni.
Da questi principi primitivi, noti nei porcili e nei canili di tutto il mondo, siamo arrivati a un governo che favorisce l’illegalità, che vara provvedimenti a favore dei potenti, ecc. ecc., e trova sempre qualcuno disposto a metterla sul piano della legittimità dei profitti, del business is business, del pareggio di bilancio, della supertassazione. Che c’entra?

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