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Franceschini: pronti a votare con i finiani

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Franceschini: pronti a votare con i finiani

Messaggioda franz il 04/07/2010, 10:31

La convergenza con i deputati ribelli del Pdl potrebbe esserci già in Commissione
Franceschini: pronti a votare con i finiani
Il capogruppo del Pd: il ddl Intercettazioni è sbagliato, faremo di tutto per ostacolarlo e limitare i danni


ROMA - Pur di fermare o quanto meno di attenuare gli effetti del ddl sulle intercettazioni il Partito democratico è disposto anche a votare a favore di emendamenti presentati da deputati finiani che andassero nella direzione di un miglioramento della legge. Lo ha fatto sapere il capogruppo del Pd, Dario Franceschini, che ha confermato che il suo gruppo «è pronto ad una dura battaglia parlamentare per impedire l'approvazione di una legge che limita la libertà di stampa e pregiudica la possibilità di contrastare con efficacia i reati della criminalità organizzata».

«LIMITARE I DANNI» - Ed è proprio per questo motivo che i democratici presenteranno «emendamenti in grado di eliminare le parti più pericolose del provvedimento». «Ma lavoreremo, come è nostro dovere - ha aggiunto Franceschini -, per limitare i danni prodotti dalle norme introdotte. Anche per questo, sin dai lavori della Commissione, potremo votare a favore di quegli emendamenti presentati dai deputati finiani che tendono a migliore il testo o contenerne i danni».


03 luglio 2010(ultima modifica: 04 luglio 2010)
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Re: Franceschini: pronti a votare con i finiani

Messaggioda franz il 04/07/2010, 10:36

Ho sentito critiche, dagli stessi finiani, affermare che questa mossa di franceschini invece di aiutare i finiani li mette in difficoltà, dando la sponda alla BB (Banda Bassotti) e quando parla di tradimento di Fini. Tuttavia se anche nella Lega qualche cosa si muove (vedere "Quel buco nero del quale non si parla" di Scalfari) piu' sotto, la possibilità di far cadere l'impalcatura di governo della BB è la piu' vicina da due anni a questa parte.

Ciao,
Franz
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Quel buco nero del quale non si parla

Messaggioda franz il 04/07/2010, 10:37

Quel buco nero del quale non si parla
di EUGENIO SCALFARI

NONOSTANTE il "ghe pensi mi" detto da Berlusconi nella sua doppia dichiarazione al Tg1 e al Tg5 dell'altro ieri, è sensazione generale che il blocco politico di centrodestra si stia sfaldando. I segnali più chiari vengono addirittura dalla Lega: Bossi solidarizza con il severo monito di Napolitano concernente la legge sulle intercettazioni e ha posto solidi paletti contro l'ipotesi d'uno scioglimento anticipato delle Camere.
Fini dal canto suo ha confermato che quella legge, per come è uscita dopo il voto di fiducia al Senato, non è accettabile. Casini nell'intervista data oggi al nostro giornale respinge i pressanti inviti che gli vengono rivolti per rientrare nello schieramento di centrodestra.

Infine cresce il livello dello scontro sulla manovra economica tra le Regioni e il ministro dell'Economia.
Giulio Tremonti ha deciso di aumentare l'Irap per tutte le Regioni meridionali che hanno un bilancio della sanità in sfacelo, ma usare proprio l'Irap per ripianare quel buco nero avrebbe un effetto dirompente sul costo del lavoro proprio in quei territori in cui la disoccupazione e in particolare quella giovanile è già arrivata a livelli insostenibili. E qui i durissimi interventi critici della Marcegaglia e di tutta la Confindustria.
Tutto ciò avviene a pochi giorni di distanza dalla sentenza di condanna a sette anni di reclusione di Marcello Dell'Utri per associazione mafiosa. La gravità politica di quella sentenza è stata rapidamente archiviata, eppure essa ha rivelato un retroterra impossibile da sottacere. Perciò sarà proprio questo l'oggetto delle mie odierne riflessioni.

* * *

Io non credo che quella parte della sentenza della Corte d'appello di Palermo che ha messo Dell'Utri fuori causa per quanto riguarda le stragi del 1992-93 sarà ribaltata da altri tribunali e da altre investigazioni.
So bene che sono al lavoro da diversi ma convergenti punti di vista il tribunale di Caltanissetta, quello di Firenze e la stessa Procura di Palermo; è al lavoro la Commissione antimafia presieduta dal senatore Pisanu; indagano reparti specializzati di Carabinieri e Guardia di finanza ed anche giornalisti capaci e dotati di memoria storica e di collaudate relazioni informative.

Ma non credo che questo lavoro sboccherà in una accertata verità giudiziaria. Bisognerebbe poter disporre di documenti e di testimonianze coperti da segreto, sprofondati in qualche fossa e in qualche buco nero talmente profondi da precludere un risultato giudiziariamente inoppugnabile.

Può darsi naturalmente che questa mia previsione si riveli sbagliata. Come cittadino non so se augurarmelo o temerlo.

Ma mi sono convinto dopo attenta riflessione che la sentenza della Corte d'appello di Palermo che ha condannato Dell'Utri sia comunque arrivata all'accertamento d'una terribile verità, trasformando ciò che era una ipotesi in una certezza giudiziaria che accomuna, attraverso la mediazione di Dell'Utri ma non soltanto, la Cupola di Cosa Nostra e Silvio Berlusconi per un periodo di vent'anni, un arco di tempo che abbraccia l'intera carriera imprenditoriale del "signore" di Arcore, la nascita del suo successo nel settore immobiliare, poi in quello televisivo, poi in quello commerciale, da Milano 2 fino a Fininvest, senza soluzione di continuità.

Vale ovviamente per Dell'Utri e quindi per l'intera fattispecie giudiziaria la presunzione di innocenza ancora in piedi in attesa del giudizio della Cassazione. Il quale tuttavia riguarderà soltanto questioni di legittimità e non di merito. Non si può escludere l'ipotesi che la Suprema Corte - come è nei suoi poteri - ravvisi errori di legittimità che affidino ad un'altra Corte d'appello il compito di un nuovo giudizio.

Tutto ciò è ancora possibile. Ma allo stato dei fatti una prima certezza sul merito è stata acquisita e confermata in due gradi di giurisdizione con dovizia di testimonianze e riscontri.

Quanto a Berlusconi, che nel processo di Palermo ha rifiutato di rispondere nonostante fosse citato come semplice testimone, non è mai riuscito a fornire una credibile spiegazione alternativa ai finanziamenti con i quali intraprese la sua scalata imprenditoriale. La presenza di capitale riciclato di origine mafiosa, il ruolo della Banca Rasini, dotata di un unico sportello a Milano ma di solidi agganci con società-fantasma situate a Lugano e in altri paradisi fiscali, la nebulosa mai chiarita delle ventisei società fiduciarie che si spartirono le quote di Fininvest, infine la presenza di personaggi mafiosi nel più intimo "entourage" berlusconiano, sono fatti sui quali la sentenza di Palermo ha fornito una concretezza di tale solidità e coerenza che dovrebbero provocare un dibattito politico e storico di amplissime dimensioni.

Al centro di questo dibattito c'è il ruolo di Marcello Dell'Utri. Ruolo finanziario, organizzativo, politico, a fianco di Silvio Berlusconi dai primi anni Settanta fino ad oggi. Giuseppe D'Avanzo nel suo articolo di martedì scorso di commento alla sentenza di Palermo ha ricordato quali sono stati i due angeli custodi di Berlusconi lungo tutto quel periodo: Cesare Previti e appunto Marcello Dell'Utri.

Il primo condannato con sentenza definitiva per corruzione di magistrato, il secondo colpito ora in appello per associazione mafiosa. Entrambi gli angeli custodi e le condanne che li riguardano coprono un periodo che precede l'ingresso in politica di Berlusconi: fatti antichi che hanno tuttavia costituito la premessa necessaria anche se non sufficiente del successo politico berlusconiano.

Questo è il tema del dibattito che tuttavia stenta ad avviarsi. Perché? Qual è l'elemento frenante che spinge su un binario morto un tema essenziale per comprendere quanto è accaduto in Italia nel corso di un ventennio che ha gettato le basi della situazione politica tuttora in corso?

* * *

Questa domanda ci porta direttamente al cuore dell'azione di governo di questi due anni: l'occupazione completa della Rai, la legge bavaglio sulla stampa, la messa sotto accusa della magistratura e la riforma che approderà nei prossimi giorni in Parlamento, gli insulti quotidiani contro la Corte Costituzionale degradata ad organo fazioso e politicizzato, l'intento di abolire l'obbligatorietà dell'azione penale trasformando di fatto i magistrati della pubblica accusa in funzionari del governo.

Questa politica ha un senso e una lucida coerenza se la si mette in rapporto con i vent'anni che precedono l'ingresso dell'imprenditore Berlusconi nell'agone politico.

Il controllo della Rai e la legge bavaglio servono a impedire che il pubblico sia informato di quanto realmente è accaduto e accade. Per sviare l'attenzione del pubblico si usa un diversivo: quello di contrapporre all'articolo 21 della Costituzione che tutela la libertà di stampa l'articolo 15 che tutela la privatezza delle persone: due principi che potrebbero facilmente integrarsi e che vengono invece contrapposti affinché il secondo prevalga sul primo o almeno lo elida.

Basterebbe infatti, come più volte abbiamo proposto, affidare ad un collegio di magistrati l'esame preliminare delle intercettazioni eliminando quelle che riguardano soggetti estranei ai reati perseguiti e occasionalmente ascoltati. Basterebbe questa semplice e doverosa cautela per risolvere la questione, lasciando tutto il resto inalterato. Ma non è questo che vuole il potere berlusconiano ed è stupefacente vedere l'avallo che gli viene dato su questo delicatissimo tema da intellettuali che si professano liberali mentre offrono le loro firme per un'operazione palesemente liberticida.

L'altro punto cruciale riguarda il progetto di abolire l'obbligatorietà dell'azione penale. Ricordate il film Z-L'orgia del potere che raccontò il regime dei colonnelli greci? Uno dei protagonisti di quel film era un giudice istruttore decisamente apolitico ed anzi di idee conservatrici, il quale scoprì le malefatte della "cricca" dei colonnelli e non ebbe tregua fino a quando non accertò la verità.

Ne parlò anche Paolo Barile per sostenere la necessità dell'azione penale obbligatoria, unica vera salvaguardia dell'indipendenza del pubblico ministero: "Senza l'obbligatorietà, il pubblico ministero cessa di essere un magistrato indipendente e diventa un semplice funzionario al servizio del governo o, nel migliore dei casi, del Parlamento".

La dipendenza dal Parlamento era ipotizzata da Barile come un'ipotesi accettabile, se i deputati fossero stati eletti dal popolo. Ma non lo sono. La legge elettorale "porcellum" affida al governo in via esclusiva la scelta dei candidati, inseriti in liste bloccate. Ogni tentativo da parte delle opposizioni di modificare quella legge è fin qui caduto nel nulla.

Questo significa che il potere esecutivo ha smantellato completamente l'autonomia del potere legislativo e le sue funzioni di controllo. Il Parlamento è ormai ridotto ad una camera di registrazione dei voleri del principe. Come se non bastasse una maggioranza clonata, si aggiunge la decretazione d'urgenza ormai diventata normalità e il potere di ordinanza che sfugge perfino al vaglio del presidente della Repubblica.

* * *

La conclusione è questa: quando un imprenditore che ha subìto fin dall'inizio della sua carriera un condizionamento e una soggezione mafiosa durata almeno vent'anni, conquista il potere, il suo obiettivo non può essere altroché quello di blindarlo, affievolendo tutti i contropoteri di garanzia e di libera informazione, asservendo il Parlamento attraverso una legge elettorale vergognosa, smontando l'indipendenza della magistratura, intimidendo la Corte Costituzionale, infine degradando la pubblica accusa retrocedendola dal ruolo giurisdizionale a quello di un'avvocatura che opera su commissione.

Questo è il quadro. La sentenza di condanna di Marcello Dell'Utri ne illustra le premesse e ne spiega la logica evoluzione. Per fortuna c'è ancora qualche giudice, c'è ancora un'opposizione, c'è ancora qualche giornale ad impedire che la democrazia si spenga sotto una cappa di piombo. E c'è un presidente della Repubblica che fa fino in fondo quello che deve fare.

Gli elementi per combattere una buona battaglia ci sono dunque tutti.

(04 luglio 2010)
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Re: Franceschini: pronti a votare con i finiani

Messaggioda ranvit il 04/07/2010, 12:34

E, per quanto riguarda la Lega, c'è dell'altro :

http://www.ilgiornale.it/interni/quei_p ... comments=1

Quei padani dissidenti che inquietano Bossi
di Paolo Bracalini

Tutto, in fondo, ruota attorno a Varese, terra originaria del leghismo, dove nel 1984 nasce ufficialmente la Lega Lombarda e dove invece adesso si consuma un braccio di ferro che aspetta solo il momento per trasformarsi in una resa dei conti, probabilmente dopo l’estate, o forse mai se il partito riuscirà a risolverla prima che scoppi, chiudendosi nel suo proverbiale guscio.
Il problema è che le metafore mineralogiche usate venerdì all’uscita del consiglio federale del Carroccio («granitico», «monolitico», «compatto»), descrivono solo una parte della verità sugli equilibri nel partito, certamente forte ma non privo di tensioni, anzi. Per capirci qualcosa bisogna tornare a un passaggio (abbastanza enigmatico) del discorso di Bossi a Pontida, due domeniche fa. «Quando scelsi di fare l’accordo con la Liga veneta - disse il leader dal palco -, molti in Lombardia e in Piemonte, soprattutto della zona del lago maggiore, dell’Insubria, si misero a urlare, “Bossi ha tradito l’Insubria”. Ci sono ancora quegli squallidi personaggi lì, oggi fanno un giornale, hanno anche un’associazione culturale. In realtà cercano sempre di rientrare nella Lega, di inquinare la Lega, chiedendo dei posti».
Con chi ce l’aveva Bossi? E perché un attacco così duro proprio in occasione di Pontida, in un momento tanto delicato per ben altre questioni, dal caso Brancher, alle quote latte, al federalismo in dirittura di arrivo? Qualcuno più addentro nelle cose padane ha individuato tre possibili soggetti a cui Bossi poteva verosimilmente riferirsi con quelle parole: l’associazione culturale varesina «Terra Insubre», che produce anche una omonima rivista trimestrale; la «Libera compagnia padana», altra associazione culturale (zona Lago Maggiore) che pubblica studi e quaderni padani, e che fa capo a Gilberto Oneto, storico delle «etnie» settentrionali; e infine il gruppo dei fuoriusciti (ma rientrati) della Lega riconducibile all’ex direttore di Telepadania, il varesino Max Ferrari.
Evidentemente, per trovare spazio in un discorso tanto importante come quello del ventennale di Pontida, la questione non dev’essere di così poco conto. Che le cose stiano così è confermato dalle indiscrezioni che fuoriescono dal superblindato vertice di via Bellerio, e che sembrano confermare il quadro descritto qualche giorno fa dal Giornale, su un dissidio tra - visto che di correnti è vietato parlare - aree divergenti, componenti alternativi, centri di potere distinti dentro il Carroccio.
Al di là delle frasi di rito e dei temi minori discussi (i commissariamenti di alcune sedi marginali, la riedizione di una segreteria politica nazionale come auspicato da Castelli), il vero nodo della discussione è stato Varese, centro della galassia leghista-lombarda (in competizione con la fortissima Bergamo, che esprime più sindaci ma meno colonnelli e maggiori). Da una parte dei «federali» presenti all’assemblea è stata posta la questione di «Terra Insubre», i cui 2.500 iscritti e vertici - innocui cultori di archeologia e storia celtica come il presidente Marco Peruzzi, un ingegnere che non ha mai fatto politica - starebbero inoculando chissà quali pericolosi germi dentro la Lega. Stessa richiesta per l’ex direttore di Telepadania Max Ferrari, nel frattempo rientrato nella Lega come socio sostenitore (e non ancora «socio militante» con diritto di voto...). «Vanno cacciati», ha chiesto qualcuno. La richiesta è stata però respinta dai colonnelli varesini, Maroni e Giorgetti, ma anche da Bruno Caparini, padre del deputato Davide e uomo molto ascoltato da Bossi. «Questi sono dei bravi ragazzi che si interessano di cultura» avrebbe detto Maroni per «discolpare» Terra Insubre e gli altri, essendo lui stesso - come peraltro anche Reguzzoni e Giorgetti - un iscritto dell’associazione. Ma allora perché tanta importanza nel consiglio federale a una questione che sembra solo una bega locale? Intanto perché Varese non è un posto qualsiasi per la Lega lombarda.
Poi, in ballo, c’è il rinnovo del segretario nazionale della Lega, che attualmente è Giorgetti, ma in scadenza. C’è chi - sospetta qualcuno - vorrebbe indebolire quell’area di riferimento (a cui si può ricondurre proprio Terra Insubre) per scalare quella ambita posizione e poi ridefinire i giochi per il dopo Bossi. «Non c’è nessuna divisone tra Maroni e Calderoli, è una invenzione dei giornali» hanno ribadito i vertici leghisti l'altroieri. In effetti la linea di frattura nella Lega passa su tutta un’altra linea, perché tra i vecchi colonnelli non c’è affatto aria di antagonismo. Da altri parti invece sì, però, e nemmeno poca.
Il 60% degli italiani si è fatta infinocchiare votando contro il Referendum che pur tra errori vari proponeva un deciso rinnovamento del Paese...continueremo nella palude delle non decisioni, degli intrallazzi, etc etc.
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Re: Franceschini: pronti a votare con i finiani

Messaggioda pianogrande il 04/07/2010, 14:28

Tutta questa situazione (queste "robe", direbbe Tremonti) mi fanno pensare a Tito ed alla "ex Yugoslavia".
Adesso che l'immagine pubblica ed internazionale di Berlusconi si sta più che appannando, tutte le inimicizie e tutti i disaccordi sopiti vengono a galla.
Se pensiamo che quello che sta innegabilmente succedendo a Berlusconi sta succedendo anche a Bossi ed al papa, arriviamo alla conclusione che il sistema di potere italiano sta per subire uno scossone determinante.
Fa benissimo il PD ad inserirsi in questo processo prima di perdere l'ennesimo treno.
Altrettanto deve fare l'opinione pubblica con i non pochi mezzi (la rete per prima) che ha a disposizione.
Il momento culminante (il finale travolgente) sta arrivando?
Fotti il sistema. Studia.
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Re: Franceschini: pronti a votare con i finiani

Messaggioda franz il 04/07/2010, 15:35

pianogrande ha scritto:Tutta questa situazione (queste "robe", direbbe Tremonti) mi fanno pensare a Tito ed alla "ex Yugoslavia".

Vero ma inquietante, visto che la ex Yugoslavia è appunto "EX" e si è dissolta in vari stati e che anche da noi, proprio nelle provincie di Como e Varese non manca chi vede con favore (al 75%) l'adesione alla vicina confederazione. La quale ovviamente non solo fa orecchi da mercante per naturale approccio diplomatico ma anche perché sa di prendersi non poche grane.
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