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In attesa del ritorno della democrazia

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

Re: In attesa del ritorno della democrazia

Messaggioda Myosotis il 04/12/2009, 1:53

pierodm il ieri, 12:58

L'epicentro di questo argomento, per una volta almeno, sta nel titolo: la democrazia(...) può evidentemnte esistere una democrazia che non è democratica. Un concetto del genere - paradossale, se preso alla lettera - significa che si deve rivedere la definizione di democrazia, ossia che si deve uscire da una definizione puramente formale e istituzionale.



Cosa è la Democrazia per la gente comune. Per le casalinghe come me che non c'hanno una boccata d'aria di mera solitudine intellettuale se non a quest'ora, quando la stanchezza cede il passo alla nostra indiana capacità di cogliere gli aspetti essenziali dell'esistenza.
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Re: In attesa del ritorno della democrazia

Messaggioda franz il 04/12/2009, 9:20

pierodm ha scritto:Ma esiste un ulteriore piano di discorso, in questo senso, che mette in discussione i valori essenziali che le istituzioni, e che lo stesso diritto, sono chiamati a realizzare, senza i quali la democrazia è solo apparente, o solo formale.
Ma in questi ultimi (ormai tanti) anni una riflessione del genere si tende a sfuggirla, preferendo cercare risposte e soluzioni al dilemma solo sul piano "tecnico", ossia sul piano di una manutenzione delle forme istituzionali che sembrano tradire per inefficienza o obsolescenza il proprio compito.

L'ulteriore piano del discorso è decisamente un piano difficile ed arduo, in cui pochi possono cimentarsi.
Immagino quindi che data l'inadeguatezza dell'attuale classe politica, fedele specchio di un paese altrettanto inadeguato a discutere di queste cose, sia scontato dirottare le risposte sul piano tecnico formale (anzi, pensando alla porcata di Calderoli, sul piano odontotecnico). Non lo fanno per cattiveria ma perché di piu' non possono arrivarci.
Ma non vedo nulla per ora all'orizzonte che dia speranze migliori. In fondo scontiamo l'ignoranza diffusa dovuta ad un sistema scolastico ed educativo di infimo ordine, unito al senso di smarrimento legato al crollo delle ideologie dogmatiche, che almeno davano una confortante falsa sicurezza.

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Re: In attesa del ritorno della democrazia

Messaggioda pierodm il 04/12/2009, 11:02

Ma non vedo nulla per ora all'orizzonte che dia speranze migliori. In fondo scontiamo l'ignoranza diffusa dovuta ad un sistema scolastico ed educativo di infimo ordine.

Certamente c'è un problema di livello complessivo della cultura e della società italiana, anche in rapporto con la politica.
Ma non credo che il concetto esposto da Franz, sopra citato, centri la questione di quello che abbiamo definito "l'ulteriore livello".
L'analisi, la discussione, lo studio dei diversi "ulteriori livelli" dei problemi sociali, politici, esistenziali non ha sofferto di particolare crisi, quando avveniva in un contesto sociale nel quale esisteva un analfabetismo di massa, vale a dire un'Italia - e non solo l'Italia - contadina e in tante zone ancora relegata ai costumi feudali.
Insomma, esistono livelli di approfondimento e di studio, di discussione, che non sono mai stati "popolari", e che per loro natura sono destinati a manifestarsi negli ambienti della cultura più specializzata, similmente a quanto avviene per esempio nel caso della ricerca scientifica.
Ciò non significa che non esista un rapporto tra cultura "alta" e cultura popolare o di massa, ma si tratta di un rapporto indiretto, osmotico - ovviamente in riferimento ai livelli di cui parliamo, perché ad altri livelli il rapporto è assai più evidente e immediato - che ha tempi e forme di trasmissione che rappresentano fenomeni anch'essi oggetto di studio e di approfondimento.
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Re: In attesa del ritorno della democrazia

Messaggioda ranvit il 04/12/2009, 11:42

Credo che questo articolo letto su Nuvole.it s'incastra bene in queste riflessioni :

I^ PARTE
Il ritorno della plutocrazia*
di Enrico Melchionda

Ormai sono in pochi a negare che i regimi democratici stiano attraversando una crisi senza precedenti, o siano quanto meno esposti a sfide assai ardue da superare. Naturalmente, si tratta di sfide e problemi ben diversi da quelli che nella prima metà del Novecento condussero, in determinati paesi, alla tragedia dei fascismi. Questa volta la malattia è diversa, ma non meno grave. Anzi, per certi versi essa appare ancora più insidiosa, se non altro perché si presenta ovunque, fin dentro il cuore di quelli che siamo abituati a considerare i baluardi del mondo sviluppato e della cultura liberaldemocratica, gli stessi che seppero fronteggiare sia la sfida della democratizzazione rivolta ai regimi liberali "monoclasse", e resistere così alla reazione fascista, sia la sfida comunista, a cui risposero con la dichiarazione della guerra fredda e con l’istituzione dei moderni sistemi di welfare state.

Oggi le sfide con cui si devono confrontare le liberaldemocrazie sono altre: la globalizzazione che svuota le vecchie sovranità nazionali e rende difficile il controllo delle élite, il multiculturalismo che minaccia le omogeneità identitarie delle popolazioni, le comunicazioni di massa che stravolgono la partecipazione e l’informazione politica dei cittadini, il fondamentalismo e il terrorismo internazionale che rovesciano sulle comunità politiche occidentali e sui loro equilibri istituzionali tutta la rabbia e la disperazione accumulata dai popoli dominati. Sfide che si presentano, inoltre, in un contesto in cui non c’è più l’antagonista sovietico a fare da contraltare e da stimolo per gli stati capitalistici sviluppati, favorendo una qualche armonizzazione degli interessi in campo internazionale come all’interno delle singole società nazionali.

Tra le varie modalità con cui queste sfide si presentano politicamente, ve ne sono alcune che destano particolare preoccupazione. L’attenzione degli studiosi si è per lo più rivolta, negli ultimi anni, ai fenomeni del populismo, o del direttismo, e dell’antipolitica, che convergono nel minare gli aspetti rappresentativi e liberali dei regimi democratici. Ritornano qui le tematiche evocate a suo tempo da Tocqueville e dai padri del liberalismo, quando parlavano del rischio della “tirannia della maggioranza” e della necessità di limitarne il potere. Una chiave di lettura che viene riproposta oggi, alla luce delle nuove tendenze plebiscitarie e delle manipolazioni dell’opinione pubblica favorite dalla crisi delle strutture di rappresentanza e dall’amplificazione del potere mediatico, e che coglie indubbiamente processi reali. Ma c’è un’altra chiave di lettura che comincia a farsi strada e che, pur non essendo in contrasto con quella dominante, delinea una spiegazione diversa, quanto ad approccio e implicazioni, della crisi della democrazia. Mi riferisco alla problematica della plutocrazia.

Il concetto di plutocrazia ha una storia che andrebbe ripercorsa attentamente, perché mai come in questo caso si metterebbe in luce il legame di continuità che può esistere tra parole, nozioni e realtà. Non è questa la sede per farlo, ma può essere utile richiamarne almeno qualche passaggio. Cominciando dall’origine del concetto, che di solito si fa risalire – come per i più importanti concetti politici – all’antichità, forse a causa della sua etimologia inequivocabile (dal greco ploutokratía, composto di plôutos "ricchezza" e -kratía "potere"), ma che in realtà fu usato assai raramente in quell’epoca e comunque mai in maniera sistematica e teoricamente perspicua. Infatti il termine si è diffuso solo in epoca moderna, e in ambito anglosassone, trovando una naturale collocazione negli Stati Uniti dal XIX secolo in poi. Furono i movimenti populista e progressista di fine Ottocento, in particolare, ad adottare con insistenza e a diffondere ampiamente la critica della plutocrazia, che ritenevano dominasse la scena politica americana attraverso una forte collusione tra politici di partito e uomini d’affari. Una critica che, pur ottenendo scarsi risultati pratici, se non quelli di una certa moralizzazione e di un drastico (e definitivo) indebolimento dei partiti, sedimentò tuttavia un sentimento durevole, anche se quasi sempre marginale, e soprattutto una ben definita immagine della politica americana che ha resistito sino ad oggi.

E’ dagli Stati Uniti che il concetto di plutocrazia arrivò, per una breve e incerta vita, nel continente europeo. Esso, ostacolato dal radicamento delle teorie marxiste, che davano conto a loro modo del fondamento economico del potere politico, ebbe in Europa minore fortuna. Solo nei primi decenni del Novecento andò diffondendosi, per merito degli studiosi élitisti e realisti (ivi compresi Weber e Gramsci), specialmente ad opera dell’ultimo Pareto, secondo il quale “Il reggimento dei popoli occidentali, che si dice democratico, è in realtà quello di una plutocrazia democratica, che inclina ora alla plutocrazia demagogica” (il passo è del 1920, ma il concetto fu ulteriormente sviluppato nel suo Trasformazione della democrazia). Com’è noto, il termine finì poi per essere incorporato, e in definitiva bruciato, dal fascismo e dal nazismo. Nella loro ideologia, a parte le qualificazioni anti-semite, la plutocrazia era identificata con le liberaldemocrazie, soprattutto con il modello americano, e affiancata al bolscevismo in un dualismo che talora veniva fatto risalire alla stessa matrice “giudaica”, ma che in ogni caso voleva accreditare l’immagine del fascismo come terza via propriamente “europea”.

Non meraviglia, quindi, che dopo la guerra e l’affermazione dell’egemonia americana in Europa la parola stessa diventasse un tabù. Bisognerà aspettare gli effetti dell’ondata di mobilitazione degli anni sessanta per ritrovarne traccia nel discorso politico e politologico. Il tentativo più serio, da questo punto di vista, verrà fatto dal pioniere della nuova scienza politica europea, Maurice Duverger, che nel suo libro più anomalo (Janus, les deux faces de l’Occident, 1972) criticava, da una posizione radicale ma non marxista, i regimi liberaldemocratici, definiti come “plutodemocrazie”. In questo modo, lo studioso francese andava a ricongiungersi con un filone politico-sociologico che già da qualche tempo aveva rimesso in campo un tentativo analogo negli Stati Uniti. Mi riferisco alla scuola cosiddetta neo-élitista, il cui “manifesto” può essere considerato The Power Elite di Wright Mills, ma che si dispiegava in una serie di ricerche diverse (vi possiamo far rientrare anche studiosi come Schattschneider e Lowi), la cui linea comune stava nella critica dell’ideologia pluralista, considerata puramente apologetica, e nella risposta alla domanda Who Rules America?, che dà il titolo a due bei libri di G. William Dohmoff e più o meno esplicitamente è: la plutocrazia.
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Re: In attesa del ritorno della democrazia

Messaggioda ranvit il 04/12/2009, 11:43

II^ PARTE

Negli ultimi anni il concetto di plutocrazia sta vivendo una nuova fioritura, tanto in America quanto in Europa, e sembra che stia perfino acquisendo, del tutto spontaneamente, una maggiore connotazione rispetto al passato. Lo ritroviamo sempre più di frequente sia nel linguaggio politologico che in quello politico e giornalistico. Certo, esso continua ad essere in una certa misura il distintivo delle culture marginali che se ne ritengono storicamente depositarie, cioè dei nostalgici del populismo americano e dell’estrema destra europea, non solo di ascendenza fascista (è il caso del leghismo italiano), che tra l’altro ha cercato di rinverdire il proprio strumentario sostituendo nuovi aggettivi (es: mondialista) a quelli che accompagnavano classicamente il concetto (giudaica, massonica). Ma ultimamente ha fatto il suo ingresso anche nel linguaggio e nella cultura di sinistra, nei partiti e nei movimenti. Oggi negli Stati Uniti i paladini della lotta contro la plutocrazia sono Ralph Nader e vari esponenti del partito democratico. E in Italia, sulla spinta del fenomeno Berlusconi, hanno iniziato a preoccuparsi del problema uomini politici tutt’altro che radicali come Giuliano Amato, mentre storici come Salvadori riscoprono in questo senso gli scritti del sociologo liberale americano William G. Sumner. Comunque la sensibilità verso il tema della plutocrazia sembra aver trovato il suo terreno più fertile nell’ambito dei nuovi movimenti, a cominciare da quelli no global e pacifisti, che si oppongono alla globalizzazione neoliberista e alle sue implicazioni sia in campo politico-sociale che nell’ambito delle relazioni internazionali.

L’immagine della società internazionale che si ricava dai documenti e dai discorsi dei no global è quella un po’ semplificata di un sistema dominato dalle imprese multinazionali: una “corporatocrazia”. La stessa immagine, del resto, viene usata efficacemente per descrivere il cuore di questo sistema, cioè gli Stati Uniti. Non è difficile, in effetti, evidenziare in quale misura quella che si presenta come una democrazia liberale sia stata corrotta dalla politica delle corporation (corporate money politics). Basta pensare al ruolo del denaro nelle campagne elettorali, in cui vincono i candidati che spendono di più (nel 94% dei casi al Congresso), in cui il costo per essere eletti è mediamente di 900 mila dollari per la Camera, di quasi 5 milioni per il Senato e di ben 186 milioni per la presidenza. Basta considerare il trattamento speciale che ottengono dai parlamentari le aziende e i gruppi di interesse in cambio di finanziamenti elettorali. Basta guardare all’attuale amministrazione, voluta fortemente dal big business, eletta a dispetto del voto popolare e composta da persone legate a filo doppio con le grandi corporation, se non proprio loro espressione diretta.

Insomma, pur limitandosi a questi pochi indicatori, la definizione di plutocrazia sembra adattarsi perfettamente al sistema politico americano. Vista da questo punto di vista, la crisi della democrazia assume una luce ben più inquietante di quanto si evinca dagli approcci di tipo liberale a cui accennavo all’inizio. Quel che mi sembra più proficuo di questa chiave di lettura, è che essa ci libera da una prospettiva tutto sommato conservatrice, in cui si tratterebbe semplicemente di difendere le garanzie e gli equilibri giuridico-istituzionali oggi minacciati (anzitutto dal potere mediatico) per ristabilire l’assetto genuinamente democratico prodotto a suo tempo dalla miracolosa congiunzione fra sovranità popolare e costituzionalismo liberale. Al contrario, la categoria di “plutocrazia” ha il merito di richiamare la grande acquisizione teorica dell’élitismo in modo tale da supportare l’analisi realistica dello stato e delle tendenze dei regimi liberaldemocratici con una critica della democrazia. Questa sarebbe davvero una novità.

Detto questo, non bisogna nascondersi, naturalmente, i limiti cui va incontro un approccio del genere. Il concetto di plutocrazia non dà conto della relazione complessa che sussiste tra potere politico e sistema socio-economico (classi). Non a caso esso può essere confuso con un marxismo semplicistico, come quello che si riassume nella formula del governo “comitato d’affari della borghesia”, mentre è del tutto estraneo al marxismo scientificamente più avvertito, com’è stato ad esempio quello di matrice althusseriana. Eppure, non è necessariamente incompatibile con quest’ultimo, a condizione di saper distinguere a quale livello della scala di astrazione il concetto si collochi. Quello di “plutocrazia” è infatti un concetto molto empirico, che definisce una data forma del potere politico dell’élite dominante, dando conto di un certo tipo di classe politica e del suo reclutamento, di un certo tipo di rapporti effettivi tra politica e interessi, di un certo tipo di strutturazione e dislocazione dei poteri tra le varie istituzioni e organizzazioni politiche, ecc. Questo vuol dire, in altre parole, che non tutti i regimi liberaldemocratici sono plutocratici, ma lo sono quelli che vedono un intervento diretto delle imprese nel processo di governo e di reclutamento del personale politico.

Non so quale sia la strada per contrastare un sistema plutocratico. Ma, se vogliamo attestarci sull’esperienza passata, forse un’indicazione ci può venire dal confronto tra il modello americano e quello europeo del Novecento. Da essi emerge l’importanza del ruolo dei partiti di massa. Mentre il loro smantellamento in America ha aperto la strada alla plutocrazia, la partitocrazia europea del secondo dopoguerra consentì alle classi subordinate di bilanciare in qualche misura il potere del denaro, ottenendone benefici concreti non indifferenti. Purtroppo oggi, per ragioni che non è possibile esporre in questa sede, rimane ben poco di questo modello. Anche l’Europa sembra essersi incamminata verso il modello plutocratico, con il nostro paese a fare da battistrada. Può darsi che alla fine si prenda un’altra strada, che difficilmente potrà essere quella di un ritorno al passato, ma se è davvero alla democrazia che ci si vorrà ispirare dovrà essere di sicuro una strada ancora una volta contrassegnata dalla partecipazione e dalla rappresentanza del popolo.

*da “Nuvole” n.23, dicembre 2003
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Re: In attesa del ritorno della democrazia

Messaggioda Iafran il 04/12/2009, 12:56

franz ha scritto:
pierodm ha scritto: Ma esiste un ulteriore piano di discorso, in questo senso, che mette in discussione i valori essenziali che le istituzioni, e che lo stesso diritto, sono chiamati a realizzare, senza i quali la democrazia è solo apparente, o solo formale.
Ma in questi ultimi (ormai tanti) anni una riflessione del genere si tende a sfuggirla, preferendo cercare risposte e soluzioni al dilemma solo sul piano "tecnico", ossia sul piano di una manutenzione delle forme istituzionali che sembrano tradire per inefficienza o obsolescenza il proprio compito.

L'ulteriore piano del discorso è decisamente un piano difficile ed arduo, in cui pochi possono cimentarsi.
Immagino quindi che data l'inadeguatezza dell'attuale classe politica, fedele specchio di un paese altrettanto inadeguato a discutere di queste cose, sia scontato dirottare le risposte sul piano tecnico formale (anzi, pensando alla porcata di Calderoli, sul piano odontotecnico). Non lo fanno per cattiveria ma perché di piu' non possono arrivarci.
Ma non vedo nulla per ora all'orizzonte che dia speranze migliori. In fondo scontiamo l'ignoranza diffusa dovuta ad un sistema scolastico ed educativo di infimo ordine, unito al senso di smarrimento legato al crollo delle ideologie dogmatiche, che almeno davano una confortante falsa sicurezza.

Penso che il sistema scolastico ed educativo di infimo ordine sia una conseguenza del voluto, quasi imposto, senso di smarrimento legato al crollo delle ideologie dogmatiche. Forse i livelli di approfondimento e di studio, di discussione, che non sono mai stati "popolari", e che per loro natura sono destinati a manifestarsi negli ambienti della cultura più specializzata (pierodm) sono stati abbandonati da quegli "adepti" che li coltivavano per le opportunità di prestigio, anche in una ristretta minoranza, che esse potevano riservare.
Questi particolari adepti, forse, hanno accolto quasi con un senso di liberazione il crollo delle ideologie dogmatiche e si sono lasciati coinvolgere in un nuovo modo di fare politica.

Poteva anche andare bene, se ci fosse stato uno scenario sociale diverso in Italia!

Le analisi, sui temi (impegnativi ma basilari) di pierodm, penso che facciano bene a tutta la classe politica italiana, a quella capace di soprassedere sul contingente momento "politico" proposto dai nostri cosiddetti governanti. Per non riconoscere loro quello che non hanno: il rispetto dello "Stato di diritto".
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Re: In attesa del ritorno della democrazia

Messaggioda pierodm il 04/12/2009, 13:18

Ovviamente, concordo con l'articolo postato da Ranvit, che ripropone in una forma limpida e rigorosa molti degli argomenti che in questi anni ho di volta in volta cercato di esporre io stesso - tra parentesi, vorrei però suggerire a Ranvit di fare tesoro dell'articolo, se non ha voglia di accordare la stessa attenzione a chi, su questo forum, oltre al sottoscritto, sostiene le stesse cose contenute nell'articolo.

Mi fa particolarmente piacere, nel dettaglio, la citazione di Wright Mills, ossia di un autore che negli ultimi anni mi è capitato di ricordare spesso, nella sua qualità di critico della democrazia liberale ante litteram - vale a dire in epoca ben precedente a quella attuale, e dunque non sospettabile di posizioni estemporanee.

Naturalmente non pretendo che l'articolo sia preso come una sorta di "rivelazione" da parte dei molti che in questi anni si sono slanciati su posizioni freneticamente moderniste, ma mi aspetto almeno un minimo di riflessione: in linea generale, per quanto riguarda la discrasia tra teoria e pratica delle istituzioni liberali, e l'obsolescenza di alcune di queste a fronte delle trasformazioni socio-economiche.
Nemmeno ad un livello più specifico, però, mancano le ragioni per riflettere.
Per esempio, sulla natura e sulla funzione dei partiti, o sulla loro trasformazione in entità talmente leggere da essere evanescenti, a favore di una prevalenza della democrazia diretta che viene vista come una specie di apoteosi della democrazia stessa.
Ma non voglio arpeggiare ulteriormente sui vari temi toccati nell'articolo, che si spiegano perfettamente da se stessi.
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Re: In attesa del ritorno della democrazia

Messaggioda cardif il 04/12/2009, 14:03

Fran e pierodm, mi avete tolto le parole di bocca riguardo ad "ignoranza diffusa dovuta ad un sistema scolastico ed educativo di infimo ordine, che costituisce un problema di livello complessivo della cultura e della società italiana, anche in rapporto con la politica"
Nella classifica mondiale delle MBA ce ne sono 4 della Spagna (la prima all'8^ posto) e 3 della Cina; una sola dell'Italia: la Bocconi al 48 posto.
Sto studiando il resto che avete scritto.
cardif
Ma mo' mi so' capito bene?
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Re: In attesa del ritorno della democrazia

Messaggioda franz il 04/12/2009, 14:30

Iafran ha scritto:Penso che il sistema scolastico ed educativo di infimo ordine sia una conseguenza del voluto, quasi imposto, senso di smarrimento legato al crollo delle ideologie dogmatiche.

Mi sembra molto difficile.
Io crollo delle ideologie dogmatiche è fatto recente (a spanne 20 anni) mentre i fattori educativi accumulati nella popolazione riguardano persone che vivono anche 80 anni (l'età mediana in Italia è di 43,3 anni). Il tuo discorso sarebbe sostenibile se parlassimo dei giovani ma questi sono solo il 15% della nostra popolazone e non votano. Appare chiaro che chi oggi vota è in stragrande maggioranza cresciuto e maturato prima del suddetto crollo.
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Re: In attesa del ritorno della democrazia

Messaggioda Iafran il 04/12/2009, 16:41

franz ha scritto:
Iafran ha scritto:Penso che il sistema scolastico ed educativo di infimo ordine sia una conseguenza del voluto, quasi imposto, senso di smarrimento legato al crollo delle ideologie dogmatiche.

Mi sembra molto difficile.
Io crollo delle ideologie dogmatiche è fatto recente (a spanne 20 anni) mentre i fattori educativi accumulati nella popolazione riguardano persone che vivono anche 80 anni (l'età mediana in Italia è di 43,3 anni). Il tuo discorso sarebbe sostenibile se parlassimo dei giovani ma questi sono solo il 15% della nostra popolazone e non votano. Appare chiaro che chi oggi vota è in stragrande maggioranza cresciuto e maturato prima del suddetto crollo.

Hai ragione. L’ho associato a quest’ultimo periodo. Quello precedente ha risentito, poi, dalle vicende postbelliche … la storia ci dice che non ci sono mai stati i presupposti sociali e politici per una programmazione serena del nostro futuro.
I Decreti Delegati, che hanno prodotto qualcosa a livello di partecipazione e di democrazia, sono del 1974.
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