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La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

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La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

Messaggioda annalu il 28/11/2009, 16:13

MARCELLO SORGI
IL MALE MINORE TRA DUE VIE D'USCITA

No, non è un normale intervento da arbitro, quello di ieri del Quirinale. Se il Presidente della Repubblica ha ritenuto di mettere nero su bianco i rischi dello scontro istituzionale tra governo e magistratura, vuol dire che la situazione è ormai al limite. E non solo perché per tutto il giorno, oltre ad alcune dubbiose anticipazioni di stampa, son continuate a circolare voci (smentite solo in serata da Palazzo Chigi) su un avviso di garanzia per Berlusconi, da parte delle procure che indagano sugli attentati mafiosi del 1993. Piuttosto, Napolitano deve essersi convinto che in entrambe le trincee - giudiziaria e politica - la fase dell’ammasso delle munizioni era conclusa, e ci si preparava a far fuoco.

Ora, che a questo stiano pensando i magistrati, non è dato sapere con certezza.

Ma un certo lavorio, dal momento in cui la Corte Costituzionale ha tolto a Berlusconi la protezione del lodo Alfano, è evidente.

Cosa invece sia avvenuto nel campo di Berlusconi, è fin troppo chiaro. Nel giro di pochi giorni, Berlusconi ha ribaltato il quadro che lo vedeva assediato, isolato e inerte. La novità è che lo ha fatto, diversamente da quanto tutti - amici e nemici - si aspettavano, non ribaltando il tavolo, sollevando il popolo del centrodestra, o facendo un’altra mossa a sorpresa, come fu due anni fa il famoso salto sul predellino della Mercedes a Piazza San Babila.

Al contrario, il premier s’è mosso esclusivamente sul terreno della politica, con una serie di passi cadenzati. Primo, lo studiato e paziente silenzio con cui s’è lasciato trafiggere per giorni e giorni da Fini, anche dopo aver stipulato con lui un sofferto accordo sul «processo breve», che il presidente della Camera aveva subito rimesso in discussione. Secondo, la verifica dell’alleanza con Bossi, rinsaldata oltre ogni livello di sicurezza, con la concessione della doppia candidatura alla guida di Piemonte e Veneto. Terzo, l’oneroso armistizio con Tremonti, la cui linea economica di rigore e di chiusura a ogni ipotesi di taglio delle tasse (comprese quelle dello stesso premier), e a ogni richiesta sulle dotazioni dei ministeri, è passata, con l’avallo di Berlusconi, praticamente senza eccezioni. Quarto, una volta chiusi gli steccati, stavolta prima che i buoi si dessero alla fuga, la resa dei conti interna nel Pdl.

Siamo appunto all’ormai famoso pomeriggio di giovedì, in cui il Cavaliere, al cospetto del gruppo dirigente del Popolo della Libertà, traccia una linea netta sul tavolo, per stabilire chi è dentro e chi fuori dal partito. Di riunioni così, tanto per essere chiari, non se ne vedevano dai tempi della Prima Repubblica, quando appunto i leader dei partiti di governo, messi in difficoltà dalle correnti, gettavano in campo tutto il loro peso, per misurarsi con i contestatori interni.
Così, quando Berlusconi ha messo in votazione tutti i temi più controversi, compresi quelli avanzati quotidianamente da Fini e dalla sua pattuglia di dissidenti - dal processo breve alla giustizia all’immigrazione -, e quando, alla fine dei conteggi, il suo ruolo di leader è uscito confermato da un fortissimo consenso interno, tutti i presenti hanno cominciato a chiedersi quale sarebbe stata la sua prossima mossa.

La strategia berlusconiana prevede due possibilità. Se le procure dovessero veramente inquisire il premier per mafia, sulla base delle accuse dei pentiti, la reazione del centrodestra sarà durissima. Il Cavaliere non lo ha detto a voce alta, per evitare che finisse sui giornali, ma la risposta potrebbe perfino arrivare a dimissioni in massa di tutti i parlamentari di maggioranza, per far sciogliere il Parlamento e arrivare a nuove elezioni politiche. Elezioni a cui si andrebbe in uno scenario da scontro istituzionale e sull’onda di una campagna in cui Berlusconi chiederebbe voti contro la magistratura che ha attaccato il governo che gode dell’appoggio della maggioranza degli elettori.

Se invece i pm scelgono di frenare, magari solo per cercare testimonianze più convincenti di quelle emerse fin qui, il premier chiamerà la sua maggioranza in Parlamento ad approvare a passo di carica, prima il processo breve, poi la riproposizione del lodo Alfano sotto forma di legge costituzionale. Anche in questo caso l’eco di questa campagna, stavolta solo parlamentare, è destinata a ripercuotersi nella corsa per le Regionali. Che in prospettiva, sondaggi alla mano, e grazie anche al riavvicinamento con Casini, il Cavaliere vede abbastanza in discesa. Delle Regioni in mano al centrosinistra, infatti, le due del Nord, Piemonte e Liguria, stando al voto delle Europee, potrebbero passare al centrodestra. Nel Lazio, dove ancora pesa lo scandalo Marrazzo, le possibilità di accordo tra Udc e Pd sono ridotte al lumicino. In più, mentre il Pdl ha in Renata Polverini una candidata forte alla carica di governatore, il centrosinistra non ha ancora fatto la sua scelta. In Puglia, le divisioni tra l’attuale governatore Vendola e il suo aspirante successore Emiliano, spingono a favore del centrodestra. E anche la Campania è incerta: ma se il Pdl piange con Cosentino, il Pd, dopo l’era Bassolino, ha ben poco da festeggiare.

Delle due strade - lo scioglimento semirivoluzionario delle Camere, con le dimissioni di massa dei parlamentari, o il proseguimento, pur tormentato, della legislatura, in cui tuttavia le Regionali rappresenterebbero l’ultimo appuntamento elettorale previsto - è evidente che il Quirinale considera la seconda il male minore. Ed è proprio per scongiurare la prima, che ieri Napolitano è entrato in scena. Il suo messaggio era rivolto al premier, per cercare di tenerlo a freno. Ai giudici, perché si tolgano dalla testa di buttare giù il governo con un avviso di garanzia. Ma sotto sotto, anche all’opposizione, che in una situazione tragica come questa non ha ancora deciso quale ruolo giocare.

lastampa.it, 28/11/2009
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Re: La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

Messaggioda annalu il 28/11/2009, 16:17

INCHIESTA - Il peso del ricatto al premier della famiglia di Brancaccio
sembra legato all'inizio della sua storia di imprenditore
Sono i soldi degli inizi del Cavaliere
l'asso nella manica dei fratelli Graviano

Più che un eventuale avviso di garanzia per le stragi del '93, il premier dovrebbe
temere il coinvolgimento da parte delle cosche sulle storie di denaro affari e politica
di ATTILIO BOLZONI e GIUSEPPE D'AVANZO

Soldi. Soldi "loro" che non sono rimasti in Sicilia, ma "portati su", lontano da Palermo. "Filippo Graviano mi parlava come se fosse un suo investimento, come se la Fininvest fossero soldi messi da tasca sua". Per Gaspare Spatuzza, da qualche parte, la famiglia di Brancaccio ha "un asso nella manica". Quale può essere questo "jolly" non è più un mistero. Per i mafiosi, che riferiscono quel che sanno ai procuratori di Firenze, è una realtà il ricatto per Berlusconi che Cosa Nostra nasconde sotto la controversa storia delle stragi del 1993. Nell'interrogatorio del 16 marzo 2009, Spatuzza non parla più di morte, di bombe, di assassini, ma del denaro dei Graviano. E ha pochi dubbi che Giuseppe Graviano (che chiama "Madre Natura" o "Mio padre") "si giocherà l'asso" contro chi a Milano è stato il mediatore degli affari di famiglia, Marcello Dell'Utri, e l'utilizzatore di quelle risorse, Silvio Berlusconi.

Il mafioso ricostruisce la storia imprenditoriale della cosca di Brancaccio, con i Corleonesi di Riina e Bagarella e i Trapanesi di Matteo Messina Denaro, il nocciolo duro e irriducibile di Cosa nostra siciliana.
È il 16 marzo 2009, il mafioso di Brancaccio racconta ai pubblici ministeri del "tesoro" dei Graviano. "Cento lire non gliele hanno levate a tutt'oggi. Non gli hanno sequestrato niente e sono ricchissimi".

"Non si fidano di nessuno, hanno costruito in questi vent'anni un patrimonio immenso". Per Gaspare Spatuzza, due più due fa sempre quattro. Dopo il 1989 e fino al 27 gennaio 1994 (li arrestano ai tavoli di "Gigi il cacciatore" di via Procaccini), Filippo e Giuseppe decidono di starsene latitanti a Milano e non a Palermo. Hanno le loro buone ragioni. A Milano possono contare su protezioni eccellenti e insospettabili che li garantiscono meglio delle strade strette di Brancaccio dove non passa inosservato nemmeno uno spillo. E dunque perché? "E' anomalissimo", dice il mafioso, ma la chiave è nel denaro. A Milano non ci sono uomini della famiglia, ma non importa perché ci sono i loro soldi e gli uomini che li custodiscono. I loro nomi forse non sono un mistero. Di più, Gaspare Spatuzza li suggerisce. Interrogatorio del 16 giugno: "Filippo ha nutrito sempre simpatia nei riguardi di Silvio Berlusconi e Marcello Dell'Utri, (...) Filippo è tutto patito dell'abilità manageriale di Berlusconi. Potrei riempire pagine e pagine di verbale [per raccontare] della simpatia e del... possiamo dire ... dell'amore che lo lega a Berlusconi e Dell'Utri".
"L'asso nella manica" di Giuseppe Graviano, "il jolly" evocato dal mafioso come una minaccia - sostengono fonti vicine all'inchiesta - non è nella fitta rete di contatti, reciproche e ancora misteriose influenze che hanno preceduto le cinque stragi del 1993 - lo conferma anche Spatuzza - , ma nelle connessioni di affari che, "negli ultimi vent'anni", la famiglia di Brancaccio ha coltivato a Milano. E' la rassicurante condizione che rende arrogante anche Filippo, solitamente equilibrato. Dice Gaspare: "[Filippo mi disse]: facceli fare i processi a loro, perché un giorno glieli faremo noi, i processi".

Nella lettura delle migliaia di pagine di interrogatorio, ora agli atti del processo di appello di Marcello Dell'Utri, pare necessario allora non farsi imprigionare da quel doloroso 1993, ma tenere lo sguardo più lungo verso il passato perché le stragi di quell'anno sono soltanto la fine (provvisoria e sfuggente) di una storia, mentre i mafiosi che hanno saltato il fosso - e i boss che hanno autorizzato la manovra - parlano di un inizio e su quell'epifania sembrano fare affidamento per la resa dei conti con il capo del governo.

Le cose stanno così. Berlusconi non deve temere il suo coinvolgimento - come mandante - nelle stragi non esclusivamente mafiose del 1993. Può mettere fin da ora nel conto che sarà indagato, se già non lo è a Firenze. Molti saranno gli strepiti quando la notizia diventerà ufficiale, ma va ricordato che l'iscrizione al registro degli indagati mette in chiaro la situazione, tutela i diritti della difesa, garantisce all'indagato tempi certi dell'istruttoria (limitati nel tempo). Quando l'incolpazione diventerà pubblica, l'immagine internazionale del premier ne subirà un danno, è vero, ma il Cavaliere ha dimostrato di saper reggere anche alle pressioni più moleste. E comunque quel che deve intimorire e intimorisce oggi il premier non è la personale credibilità presso le cancellerie dell'Occidente, ma fin dove si può spingere e si spingerà l'aggressione della famiglia mafiosa di Brancaccio, determinata a regolare i conti con l'uomo - l'imprenditore, il politico - da cui si è sentita "venduta" e tradita, dopo "le trattative" del 1993 (nascita di Forza Italia), gli impegni del 1994 (primo governo Berlusconi), le attese del 2001 (il Cavaliere torna a Palazzo Chigi dopo la sconfitta del '96), le più recenti parole del premier: "Voglio passare alla storia come il presidente del consiglio che ha distrutto la mafia" (agosto 2009).

Mandate in avanscoperta, non contraddette o isolate dai boss, le "seconde file" della cosca - manovali del delitto e della strage al tritolo - hanno finora tirato dentro il Cavaliere e Marcello Dell'Utri come ispiratori della campagna di bombe, inedita per una mafia che in Continente non ha mai messo piede - nel passato - per uccidere innocenti. Fonti vicine alle inchieste (quattro, Firenze, Caltanissetta, Palermo, Milano) non nascondono però che raccogliere le fonti di prove necessarie per un processo sarà un'impresa ardua dall'esito oggi dubbio e soltanto ipotetico. Non bastano i ricordi di mafiosi che "disertano". Non sono sufficienti le parole che si sono detti tra loro, dentro l'organizzazione. Non possono essere definitive le prudenti parole di dissociazione di Filippo Graviano o il trasversale messaggio di Giuseppe che promette ai magistrati "una mano d'aiuto per trovare la verità". Occorrono, come li definisce la Cassazione, "riscontri intrinseci ed estrinseci", corrispondenze delle parole con fatti accertabili. Detto con chiarezza, sarà molto difficile portare in un'aula di tribunale l'impronta digitale di Silvio Berlusconi nelle stragi del 1993.

Questo affondo della famiglia di Brancaccio sembra - vagliato allo stato delle cose di oggi - soltanto un avvertimento che Cosa Nostra vuole dare alla letale quiete che sta distruggendo il potere dell'organizzazione e, soprattutto, uno scrollone a uno stallo senza futuro, che l'allontana dal recupero di risorse essenziali per ritrovare l'appannato prestigio.

Il denaro, i piccioli, in queste storie di mafia, sono sempre curiosamente trascurati anche se i mafiosi, al di là della retorica dell'onore e della famiglia, altro non hanno in testa. I Graviano, dice Gaspare Spatuzza, non sono un'eccezione. Nel loro caso, addirittura sono più lungimiranti. Nei primi anni novanta, Filippo e Giuseppe preparano l'addio alla Sicilia, "la dismissione del loro patrimonio" nell'isola. Spatuzza (16 giugno 2009): "Nel 1991, vendono, svendono il patrimonio. Cercano i soldi, [vogliono] liquidità e io non so come sono stati impiegati [poi] questi capitali, e per quali acquisizioni. Certo, non sono restati in Sicilia". I Graviano, a Gaspare, non appaiono più interessati "alle attività illecite". "Quando Filippo esce [dal carcere] nell'88 o nel 1989, esce con questa mania, questa grandezza imprenditoriale. I Graviano hanno già, per esempio, le tre Standa di Palermo affidate a un prestanome, in corso Calatafimi a Porta Nuova, in via Duca Della Verdura, in via Hazon a Brancaccio". Filippo - sempre lui - si sforza di far capire anche a uno come Spatuzza, imbianchino, le opportunità e anche i rischi di un impegno nella finanza. Le sue parole svelano che ha già a disposizione uomini, canali, punti di riferimento, competenze. "[Filippo] mi parla di Borsa, di Tizio, di Caio, di investimenti, di titoli. (...). Mi dice: [vedi Gaspare], io so quanto posso guadagnare nel settore dell'edilizia, ma se investo [i miei soldi] in Borsa, nel mercato finanziario, posso perdere e guadagnare, non c'è certezza. Addirittura si dice che a volte, se si benda una scimmia e le si fa toccare un tasto, può riuscire meglio di un esperto. Filippo è attentissimo nel seguire gli scambi, legge ogni giorno il Sole 24ore. Tiene in considerazione la questione Fininvest, d'occhio [il volume degli] investimenti pubblicitari. Mi dice [meraviglie] di una trasmissione come Striscia la notizia. Minimo investimento, massima raccolta [di spot], introiti da paura. "Il programma più redditizio della Fininvest", dice. Abbiamo parlato anche di Telecom, Fiat, Piaggio, Colaninno, Tronchetti Provera, ma la Fininvest era, posso dire, un terreno di sua pertinenza, come [se fosse] un [suo] investimento, come se fossero soldi messi da tasca sua, la Fininvest".

E' l'interrogatorio del 29 giugno 2009. Gaspare conclude: "Le [mie] dichiarazioni non possono bruciare l'asso [conservato nella manica] di Giuseppe" perché "il jolly" non ha nulla a che spartire con la Sicilia, con le stragi, con quell'orizzonte mafioso che è il solo paesaggio sotto gli occhi di Spatuzza. Un mese dopo (28 luglio 2009), i pubblici ministeri chiedono a Filippo in modo tranchant dove siano le sue ricchezze. Quello risponde: "Non ne parlo e mi dispiace non poterne parlare".

Ora, per raccapezzarci meglio in questo labirinto, si deve ricordare che i legami tra Marcello Dell'Utri e i paesani di Palermo non sono una novità. Come non sono sconosciuti gli incontri - nella metà degli anni settanta - tra Silvio Berlusconi e la créme de la créme di Cosa Nostra (Stefano Bontate, Mimmo Teresi, Tanino Cinà, Francesco Di Carlo). Né sono inedite le rivelazioni sulla latitanza di Gaetano e Antonino Grado nella tenuta di Villa San Martino ad Arcore, protetta dalla presenza di Vittorio Mangano, capo del mandamento di Porta Nuova (il mafioso, "che poteva chiedere qualsiasi cosa a Dell'Utri", siede alla tavola di Berlusconi anche nelle cene ufficiali, altro che "stalliere"). Nella scena che prepara la confessione di Gaspare Spatuzza, quel che è originale è l'esistenza di "un asso" che, giocato da Giuseppe Graviano, potrebbe compromettere il racconto mitologico dell'avventura imprenditoriale del presidente del consiglio.

Con quali capitali, Berlusconi abbia preso il volo, a metà degli settanta, ancora oggi è mistero glorioso e ben protetto. Molto si è ragionato sulle fidejussioni concessegli da una boutique del credito come la Banca Rasini; sul flusso di denaro che gli consente di tenere a battesimo Edilnord e i primi ambiziosi progetti immobiliari. Probabilmente capitali sottratti al fisco, espatriati, rientrati in condizioni più favorevoli, questo era il mestiere del conte Carlo Rasini. Ma è ancora nell'aria la convinzione che non tutta la Fininvest sia sotto il controllo del capo del governo.

Molte testimonianze di "personaggi o consulenti che hanno lavorato come interni al gruppo", rilasciate a Paolo Madron (autore, nel 1994, di una documentata biografia molto friendly, Le gesta del Cavaliere, Sperling&Kupfer), riferiscono che "sono [di Berlusconi] non meno dell'80 per cento delle azioni delle [22] holding [che controllano Fininvest]. Sull'altro 20 per cento, per la gioia di chi cerca, ci si può ancora sbizzarrire". Sembra di poter dire che il peso del ricatto della famiglia di Brancaccio contro Berlusconi può esercitarsi proprio tra le nebbie di quel venti per cento. In un contesto che tutti dovrebbe indurre all'inquietudine. Cosa Nostra minaccia in un regolamento di conti il presidente del consiglio. Ne conosce qualche segreto. Ha con lui delle cointeressenze antiche e inconfessabili. Le agita per condizionarne le scelte, ottenerne utili legislativi, regole carcerarie più favorevoli, minore pressione poliziesca e soprattutto la disponibilità di ricchezze che (lascia intuire) le sono state trafugate. In questo conflitto - da un lato, una banda di assassini; dall'altro un capo di governo liberamente eletto dal popolo, nonostante le sue opacità - non c'è dubbio con chi bisogna stare. E tuttavia, per sottrarsi a quel ricatto rovinoso, anche Berlusconi è chiamato a fare finalmente luce sull'inizio della sua storia d'imprenditore.

Il Cavaliere dice che si è fatto da sé correndo in salita senza capitali alle spalle. Sostiene di essere il proprietario unico delle holding che controllano Mediaset (ma quante sono, una buona volta, ventidue o trentotto?). E allora l'altro venti per cento di Mediaset di chi è? Davvero, come raccontano ora gli uomini di Brancaccio, è della mafia? È stata la Cosa Nostra siciliana allora a finanziarlo nei suoi primi, incerti passi di imprenditore? Già glielo avrebbero voluto chiedere i pubblici ministeri di Palermo che pure qualche indizio in mano ce l'avevano.

Quel dubbio non può essere trascurabile per un uomo orgoglioso di avercela fatta senza un gran nome, senza ricchezze familiari, un outsider nell'Italia ingessata delle consorterie e prepotente delle lobbies.

Berlusconi, in occasione del processo di primo grado contro Marcello Dell'Utri, avrebbe potuto liberarsi di quel sospetto con poche parole. Avrebbe potuto dire il suo segreto; raccontare le fatiche che ha affrontato; ricordare le curve che ha dovuto superare, anche le minacce che gli sono piovute sul capo. Poche parole con lingua secca e chiara. E lui, invece, niente. Non dice niente. L'uomo che parla ossessivamente di se stesso, compulsivamente delle sue imprese, tace e dimentica di dirci l'essenziale. Quando i giudici lo interrogano a Palazzo Chigi (è il 26 novembre 2002, guida il governo), "si avvale della facoltà di non rispondere". Glielo consente la legge (è stato indagato in quell'inchiesta), ma quale legge non scritta lo obbliga a tollerare sulle spalle quell'ombra così sgradevole e anche dolorosa, un'ombra che ipoteca irrimediabilmente la sua rispettabilità nel mondo - nel mondo perché noi, in Italia, siamo più distratti? Qual è il rospo che deve sputare? Che c'è di peggio di essere accusato di aver tenuto il filo - o, peggio, di essere stato finanziariamente sostenuto - da un potere criminale che in Sicilia ha fatto più morti che la guerra civile nell'Irlanda del Nord? Che c'è di peggio dell'accusa di essere un paramafioso, il riciclatore di denaro che puzza di paura e di morte? Un'evasione fiscale? Un trucco di bilancio? Chi può mai crederlo nell'Italia che ammira le canaglie. Per quella ragione, gli italiani lo avrebbero apprezzato di più, non di meno. Avrebbero detto: ma guarda quel bauscia, è furbissimo, ha truccato i conti, gabbato lo Stato e vedi un po' dove è arrivato e con quale ricchezza!

D'altronde anche per questo scellerato fascino, gli italiani lo votano e gli regalano la loro fiducia. E dunque che c'è di indicibile nei finanziamenti oscuri, senza padre e domicilio, che gli consentono di affatturarsi i primi affari?

E' giunto il tempo, per Berlusconi, di fare i conti con il suo passato. Non in un'aula di giustizia, ma en plein air dinanzi all'opinione pubblica. Prima che sia Cosa Nostra a intrappolarlo e, con lui, il legittimo governo del Paese.
La Repubblica(28 novembre 2009)
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Re: La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

Messaggioda lucameni il 28/11/2009, 19:24

sto leggendo l'edizione aggiornata di "L'odore dei soldi", tutto basato, come alcuni di voi sapranno, su solida documentazione giudiziaria e non solo.
Il punto sta proprio come dice l'articolo. In fondo però è cosa nota.
"D' Alema rischia di passare alla storia come il piu' accreditato rivale di Guglielmo il Taciturno" (I. Montanelli, 1994)
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Re: La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

Messaggioda Stefano'62 il 28/11/2009, 21:43

Ho appena ascoltato,mio malgrado,il TG1;
era tanto che non capitava,per lo stesso motivo per cui dopo questa,passerá parecchio prima che lo ascolti ancora.....
berlusconi,il nostro pdc,quello per intenderci che considera eroi i mafiosi omertosi,ha appena finito di dire che gli piacerebbe mettere le mani addosso a tutti coloro che diffamano l'Italia facendo films o libri sulla mafia.
Glissando sulla mancanza di strumenti intellettivi atti a far capire a lui e ai suoi simili,che caso mai l'Italia é diffamata dai mafiosi e da chi li considera eroi......
chiedo ai più esperti di legge:questo non é un avvertimento mafioso ?
o come minimo apologia di reato ?
Stiamo parlando infatti di gente minacciata di morte dalla mafia,e lui si permette di dire una cosa del genere ?
Ma le Istituzioni non dicono niente ?
Ce n'é a sufficienza per una dichiarazione ufficiale di Napolitano,e per spingere bersani ad aderire al noB day.
Io sono davvero stufo e disgustato,e dico chiaramente che non considereró di votare nessun partito politico che non metta al PRIMO posto la necessitá di trascinare quel delinquente dinanzi a un Giudice,se necessario in manette,a spiegare e dimostrare a tutti noi,il motivo per cui non dovremmo rinchiuderlo
in galera.
Ultima modifica di Stefano'62 il 28/11/2009, 21:47, modificato 1 volta in totale.
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Re: La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

Messaggioda ranvit il 28/11/2009, 21:43

Insomma...... tutto sommato e comunque andranno le cose, mi sembra un buon momento : o Berlusconi distrugge la Mafia o veceversa la Mafia distrugge Berlusconi....
In entrambi i casi mi sembta che le cose si mettono bene....considerando il momento ed il nulla rappresentato dal Cs!

Vittorio
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Re: La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

Messaggioda trilogy il 28/11/2009, 23:19

la cosa interessante, in questa vicenda, è che la campagna di anticipazioni su un possibile avviso di garanzia a Berlusconi per le stragi di mafia, è stata lanciata da Il giornale e Libero, due quotidiani che lavorano per lui.Il tutto per giustificare il voto sulla legge porcata di prescrizione biennale che gli sta tanto a cuore

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Re: La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

Messaggioda antonio bianco il 28/11/2009, 23:39

Napolitano ha bloccato l'avviso di garanzia preparato dai giudici antimafia a Berlusconi, pena la "guerra civile" scatenata dai berluschini.
Il messaggio "forte e chiaro" trasmesso da Libero e Il Giornale.
Sarà stato un bene? Chissa?
Il guaio è che la politica non è autosufficiente a risolvere i propri problemi, lasciando alla magistratura il pericoloso compito di ristabilire l'ordine precostituito.
La sinistra colpevole quanto i gli ignavi berluschini!
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Re: La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

Messaggioda pierodm il 29/11/2009, 20:07

Cosa ci aspetta?
Ci aspettano tempi grami, sebbene non radicalmente diversi da quelli di sempre.

Per spiegarmi meglio, devo rifarmi a quello che mi capita di dire fin dai primi tempi della travolgente cavalcata politica di Berlusconi.
Il problema vero non è il Cavaliere, ma il suo elettorato. Grosso modo, lo stesso elettorato che nei decenni precedenti aveva votato la DC e certi pertititini che seguivano l'esempio della Dc sul piano del clientelismo e della corruzione, oltre che nella notorietà delle malefatte delle loro amministrazioni locali e di certi personaggi dotati di larghe preferenze elettorali.
Quella classe politica, insomma, per la quale Montanelli diceva di votare "turandosi il naso".
Con Berlusconi la novità è che quell'elettorato è venuto allo scoperto, ed è passato dall'essere una maggioranza silenziosa all'essere maggioranza aggressiva e arrogante, e che invce di turarsi il naso è passato a respirare la puzza con aria deliziata.

Fuori di metafora, con Berlusconi non si è inventato niente - né l'affarismo spregiudicato, né la collusione tra affarismo e politica, né il disprezzo per il senso dello stato e per l'interesse comune, presso la cultura diffusa e prevalente nella società - ma tutte qusti disvalori si sono semplicemente sdoganati, e sono stati portati a dignità di ideologia politica, ad elemento di propaganda a favore di un personaggio politico.
In questo senso, mi ha colpito la precisazione che siano stati i giornali "di famiglia" ad evocare il prossimo arrivo di un avviso di garanzia per collusione mafiosa: un annuncio che, a a regola di bazzica, dovrebbe bastare a distruggere una carriera politica, o almeno a incrinarne la stabilità, non a favorirla o a rafforzarla presso l'elettorato.

Ora, se questo è l'elettorato come lo stiamo vedendo apertamente da anni, cosa aspettarci per il futuro?
Possiamo sbizzarrirci a ipotizzare un secondo Berlusconi, o magari secondi e terzi Sbardella e Bono Parrino, Tanassi e Gaspari, Mannino e Pillitteri, Forlani e Cossiga. Il meglio della prima e della seconda repubblica, insomma.

Con l'aggravante che non esiste più l'argine - la foglia di fico, in una certa misura ipocrita e patetica - della "egemonia culturale della sinistra", vale a dire una zona franca nella quale almeno riporre la speranza di un'alternativa, oltre che la deterrenza retorica di valori "costituzionali".
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Re: La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

Messaggioda ranvit il 29/11/2009, 22:05

Condivido al 100% quanto dice pierodm......ma in totale disaccordo su quanto NON dice : le responsabilità.

Vittorio
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Re: La Mafia e Berlusconi: cosa ci aspetta?

Messaggioda pianogrande il 29/11/2009, 23:54

Insomma.
Altro che vaccinarsi da Belrusconi come sosteneva l'ottimo Montanelli.
Gran parte del popolo italiano deve vaccinarsi da sé stesso.
Porco cane!
Deve diventare autoimmune.
Roba da "guerra civile".
Fotti il sistema. Studia.
pianogrande
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