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I nostri soldati in Afganistan.

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

I nostri soldati in Afganistan.

Messaggioda antonio bianco il 18/09/2009, 19:34

Abbiamo mandato i nostri ragazzi ad occupare un paese straniero.
L' alibi di soldati di pace non può reggere se i nostri alleati sono li per sparare sugli "insorti".
Ci siamo mai chiesti come ci vedono gli afgani? Forse molti di loro ci odiano come i leghisti odiano gli immigrati anche se disarmati.
Un saluto a tutti.
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Re: I nostri soldati in Afganistan.

Messaggioda pianogrande il 19/09/2009, 15:41

In Afghanistan c'è una guerra del tipo si vis pacem .....
I Talebani avevano il potere, coltivavano vivai di terroristi ed erano tiranni sanguinari in nome di Dio (pare che Dio venga usato molto di più a sostegno di sanguinarie dittature che non per prospere democrazie).
"L'occidente" (USA in testa) è intervenuto dopo l'11 settembre considerandolo il paese aggressore di un alleato.
E' intervenuto per due principali motivi:
- per debellare un regime nemico (e la sua produzione di terrorismo internazionale)
- per riportare, in quel paese, la democrazia

Il secondo motivo si è rivelato sempre meno credibile (direi risibile) visto che il portatore principale di democrazia era il torturatore Bush.
Altrettanto legittimamente, entro pochissimo tempo, avrebbero dovuto partire schiere di armati per riportare la democrazia a Guantanamo e sugli aerei dove si praticavano gli "interrogatori".

In parole povere, i soldati sono lì per proteggere il mondo e gli afghani dai talebani.
Così li dovrebbe vedere il mondo esterno.
Come li vede la popolazione locale?
Dipende sopratutto da un fattore non sempre valutato nella giusta misura e cioè quanto la popolazione e le sue gerarcihe "vere" sia nemica dei talebani.
Se a questo aggiungiamo i civili morti a causa di azioni militari dei "protettori" il quadro non mi sembra molto roseo.
Ci sono sicuramente altre strade oltre a quella militare (ad integrazione se non altro).
Vengono perseguite con la stessa fermezza?
Questo ci sobbiamo domandare.
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Re: I nostri soldati in Afganistan.

Messaggioda mario il 19/09/2009, 22:17

Siamo andati lì a portare la democrazia.
Ultimamente Il 40% (credo) della popolazione è andato a votare, sfidando i talebani e fidandosi di noi.
Tra costoro molte donne col volto scoperto.
Se ce ne andiamo quel 40% verrà ammazzato.
Si tornerà alla lapidazione delle ragazze. Alle peggiori barbarie.
Non possiamo infischiarci di tutto ciò.
Alle missioni internazionali (di polizia non di guerra) non si aderisce per poi scappare ai primi morti.
Noi italiani all’estero siamo considerati come tanti berlusconi. Dei cialtroni inaffidabili.
Ritirarci significherebbe confermare tale opinione.
Non ci possiamo permettere di compromettere certe relazioni internazionali, importanti ai fini dello sviluppo e dell’aiuto reciproco.
Certe relazioni significano commesse per le nostre industrie.
L’Italia ha necessità di forze armate che difendano i nostri convogli marittimi, le nostre comunità all’estero, le nostre industrie in terra straniera, i metanodotti sottomarini ecc.
Qualsiasi decisione sull’Afganistan da parte dell’Italia dovrà essere presa insieme agli altri paesi che costituiscono la missione.
Non possiamo prendere decisioni unilaterali.
Gli Americani tengono in Afganistan 65.000 soldati e 75.000 mercenari.
Anche noi forse dovremmo ritirare parte dei nostri soldati dando il corrispettivo alla polizia afgana perchè provveda in proprio. Con quello che noi spendiamo per 1000 soldati potremmo pagare 50.000 poliziotti afgani.
Che sia la polizia afgana a sparare sui terroristi, Non la nato (o chi per lei).
La missione internazionale deve sopratutto gestire ospedali, costruire scuole, acquedotti, università, promuovere lo sviluppo economico.
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Re: I nostri soldati in Afganistan.

Messaggioda franz il 19/09/2009, 22:42

antonio bianco ha scritto:Ci siamo mai chiesti come ci vedono gli afgani?

A detta di vari osservatori gli italiani sono ben visti dalla popolazione.
Non dai talebani e dai terroristi.
I talebani sono 20-30mila circa.
Gli afghani sono 28 milioni.

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Re: I nostri soldati in Afganistan.

Messaggioda franz il 19/09/2009, 22:58

pianogrande ha scritto:E' intervenuto per due principali motivi:
- per debellare un regime nemico (e la sua produzione di terrorismo internazionale)
- per riportare, in quel paese, la democrazia

Come per l'Iraq la democrazia non era un obiettivo dichiarato. I militari hanno ben altri obiettivi.
Che i politici e la stampa abbiano poi enfatizzato, ad uso del pubblico di casa, il tema della democrazia, è altra cosa.
"Scopo ufficiale dell'invasione (operazione enduring freedom) è di distruggere al-Qāʿida, negando la possibilità di circolare liberamente all'interno dell'Afghanistan attraverso il rovesciamento del regime talebano". Da notare che alcuni paesi arabi partecipano all'operazione con basi logistiche e truppe.

La guerra è fatta per vincerla ed ha come risultato la deposizione di un regime.
Se lo si sostituisse con un altro regime, apriti cielo!
Se si cerca di iniziare un percorso democratico è molto meglio. Un percorso lungo anni. Ma non puo' essere l'obiattivo di una guerra, altrimenti se cosi' fosse l'ONU dovrebbe fare altrettanto con tutte le dittature.
Poi per quanto riguarda l'Afghanistan, mi pare del tutto improprio parlare di "riportare" la demcrazia perché non c'è mai stata, prima del 2004. Prima la monarchia, poi i sovietici, poi i talebani.

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Re: I nostri soldati in Afganistan.

Messaggioda pianogrande il 19/09/2009, 23:37

Mi sembra che, grosso modo, siamo abbastanza daccordo compreso il "riportare" che deve essermi scappato e che veniva già contraddetto dal dubbio che le gerarchie vere fossero così nemiche dei talebani.
A me interessa molto la seconda parte del discorso.
Che cosa si fa oltre alle azioni militari.
Per sconfiggere i taliban bisogna fargli terra bruciata ma politicamente e socialmente oltre che militarmente.
Per questo c'è bisogno sia di chi "aiuta le vecchiette ad attraversare la strada" che di chi chiuda o faccia chiudere i rubinetti degli armamenti e dei finanziamenti.
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Re: I nostri soldati in Afganistan.

Messaggioda franz il 20/09/2009, 9:53

pianogrande ha scritto:A me interessa molto la seconda parte del discorso.
Che cosa si fa oltre alle azioni militari.
Per sconfiggere i taliban bisogna fargli terra bruciata ma politicamente e socialmente oltre che militarmente.
Per questo c'è bisogno sia di chi "aiuta le vecchiette ad attraversare la strada" che di chi chiuda o faccia chiudere i rubinetti degli armamenti e dei finanziamenti.

In effetti gli italiani sono apprezzati dalla popolazione afghana proprio perché hanno fatto tanto oltre le operazioni militari.
Anzi di operazioni militari non ne hanno praticamente fatte. Il contingente per prima cosa è stato piazzato in una zona relativamente tranquilla (o almeno lo era all'inizio) e quindi pur avendo la missione pochi fondi hanno potuto gestire la costrizione di strutture civili (ponti scuole, ambulatori). Ricordo che il primo attentato agli italiani è avvenuto durante la cerimonia di inaugurazione di una di queste strutture, che veniva affidata ai civili. Ora che i talebani hanno ricevuto, da circa un anno, i rinforzi del terroristi kamikaze in fuga dall'Iraq, le cose sono un poco cambiate e la situazione è diventatata calda ovunque nel paese. Il contrasto militare è diventato piu' duro. Nella zona pachistana adiacente all'afghanistan, la valle dello Swat, appena liberata dagli occupanti talebani tramite un'operazione militare, si è scoperto che i talebani avevano distrutto tutte le scuole (solo le loro coraniche vanno bene) e quindi i ragazzi e le ragazze non potevano ritornare a scula, per mancanza di edifici (150 scuole distrutte). In un conflito in cui i confini sono incerti e cambiano spesso di giorno e di notte, dedicarsi alla costruzione di opere civili che poi vengono distrutte di notte è decisamente sconveniente. Il contrasto militare ed il controllo del territorio diventano prioritari.
Ovviamente c'è la possibilità di abbandonare la popolazione al suo destino, come predica Bossi.

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Come e perché restare a Kabul

Messaggioda franz il 20/09/2009, 14:08

IL COMMENTO
Come e perché
restare a Kabul

di EUGENIO SCALFARI


Dopo i giorni del dolore per i sei ragazzi della Folgore uccisi a Kabul dai terroristi talebani e i quattro feriti, arriva il momento della riflessione politica sulla situazione in Afghanistan e in tutta l'Asia di mezzo dove convivono con rapporti squilibrati l'India, il Pakistan, l'Iran, la Russia e le Repubbliche nate dalla dissoluzione dell'Urss, la Turchia, i curdi, l'Iraq, Israele, il Libano, la Siria, l'Egitto, l'Arabia Saudita, la Libia.

È una fetta di mondo piena di petrolio, di gas e di molte altre ricchezze naturali; la cerniera di raccordo geopolitico tra l'Europa e l'Asia orientale ed è anche lo spazio dove le tensioni politiche hanno raggiunto il culmine, dove il terrorismo internazionale ha i suoi santuari, dove la violenza impera esplodendo in guerre locali con altissima pericolosità. Bernardo Valli, Federico Rampini, Guido Rampoldi e Lucio Caracciolo hanno chiaramente delineato nei giorni scorsi questo inquietante scenario che non manca di riflettersi sulla politica di ciascun paese europeo e soprattutto in quella della potenza mondiale cui spetta la leadership dell'Occidente e le connesse responsabilità.

Quanto all'Italia, siamo uno degli Stati fondatori dell'Unione europea, membro della Nato fin dalla sua fondazione. Le tensioni che agitano l'Asia di mezzo si riflettono quindi anche su di noi, preoccupano il governo, coinvolgono la pubblica opinione.

E questo è tanto più vero nel momento in cui le bare avvolte nel tricolore tornano in patria con il loro carico di vite spezzate, di dolore, di lacrime e di dignitosa fierezza, come già avvenne ai tempi di Nassiriya che sembrano lontani ma avvennero in circostanze analoghe e a causa di quelle stesse tensioni che hanno armato la bomba di Kabul.

Otto anni sono passati da l'11 settembre delle Torri Gemelle. Nuovi lutti si sono accumulati. Nessun problema è stato risolto. Un tempo si morì per Danzica. Oggi si deve morire per Karzai?

* * *

A leggere i commenti di queste ore parrebbe che il tema da chiarire per il nostro governo, per l'opinione pubblica e per i nostri soldati in missione in Afghanistan sia di natura lessicale: la nostra è una missione di pace oppure di guerra? Bisogna sciogliere questo dilemma per poi decidere il da fare. Così scrivono i giornali e così pensano molti politici. Ma è un errore. Viene consapevolmente usato per guadagnar tempo. Poiché non esiste una ricetta miracolosa per uscire dalla trappola afgana e poiché l'umore popolare tende al brutto, si solleva un problema che non esiste se non come diversivo.

Che cosa c'è da chiarire che non sia chiarissimo fin dall'inizio? Smantellato otto anni fa a suon di bombe il regime talebano dell'emiro Omar e del suo ispiratore Bin Laden, gli Stati Uniti decisero di restare in Afghanistan insieme ad un contingente di truppe Nato con due distinte ma convergenti missioni militari. Quella americana denominata "Enduring Freedom" (rafforzare la libertà) e quella Nato chiamata "Peace Keeping", mantenere la pace. Anche qui un rebus lessicale per nascondere un diverso ruolo militare e politico.

Col passar del tempo però la realtà ha chiarito il rebus lessicale: le truppe Usa e Nato hanno lo stesso compito di combattere i terroristi e aiutare i civili a rientrare nella normalità della vita quotidiana. Una duplice missione di guerra e di pace. Che cosa c'è da chiarire? Quando si inviano forze militari in un paese con il compito di mantenere la pace, ciò significa che la pace non c'è. A nessuno verrebbe in mente di spedire militari a presidiare la pace in Svizzera.

In Afghanistan c'è una guerra. Asimmetrica. Contro il terrorismo. Noi usiamo i carri armati, i blindati, gli aerei. Loro le mine, la guerriglia, i kamikaze. Loro si muovono e tendono imboscate. Noi pattugliamo ad occhi aperti e nervi tesi. Portiamo cibo, aiuti, occasioni di lavoro, ospedali alla popolazione civile, con una mano sulla mitragliatrice. Aspettiamo sperando che la trappola quel giorno non scatti. Che quel giorno il kamikaze non si faccia esplodere. Bernardo Valli ha ricordato il "deserto dei tartari". È esattamente ciò che avviene in Afghanistan ed anche a Islamabad e dintorni, a Bagdad e dintorni, a Beirut e dintorni, a Tel Aviv e dintorni. In tutta l'area del Medio Oriente. E dintorni.

Perciò non c'è niente da chiarire. Si tratta di questo.

* * *

Tutt'al più, dicono al ministero della Difesa, si potranno cambiare le regole di ingaggio. Altra trappola lessicale, utile a confondere le menti e sviarle dal tema principale.

Anzitutto non ci sono regole d'ingaggio italiane ma regole Nato alle quali ciascun contingente militare deve conformarsi e che possono essere cambiate soltanto con una decisione della Nato. Ma, competenze istituzionali a parte, non c'è nessuna regola da cambiare: in una guerra asimmetrica tra forze militari regolari e terroristi, i terroristi hanno l'iniziativa, le forze regolari reagiscono. Che altro si può fare?

Le SS e la Wehrmacht durante l'ultima guerra avevano regole d'ingaggio (chiamiamole impropriamente così) che prevedevano la rappresaglia. In via Rasella a Roma, dopo l'attentato, furono uccisi alle Fosse Ardeatine i prigionieri ebrei e antifascisti che con l'attentato non avevano nulla a che vedere. Rappresaglia pura e semplice. Interi paesi furono devastati sull'Appennino emiliano, in Val d'Ossola, sulle montagne piemontesi e liguri, perché avevano ospitato partigiani e disertori.

In Afghanistan accade che molti civili vengano uccisi da bombardamenti mirati a colpire covi di terroristi. E' un fatto grave, che accresce la sfiducia e la tensione ed infatti i comandi militari Usa e Nato si scusano per quegli errori. Ma non si tratta di rappresaglia.

Vogliamo cambiare le regole d'ingaggio e introdurre il concetto di rappresaglia? Contro chi? Possiamo farlo? L'Occidente democratico può adottare norme di questo genere?

Basta porre la domanda per conoscere la risposta. Ma al di là della rappresaglia che altro si può escogitare per render più efficaci le regole d'ingaggio? Dobbiamo reagire quando ci attaccano, cioè quando il nemico si manifesta e viene allo scoperto. E che altro si può fare se non questo? Senza dire che quando il nemico è un kamikaze, ci ha già pensato lui ad autoeliminarsi.

* * *

Bossi vuole che i soldati italiani tornino a casa. Anche Di Pietro ha inalberato lo slogan del ritiro. L'anima populista dell'opposizione. Senza capire che questi slogan puramente velleitari non fanno che aumentare i rischi per i nostri militari: se la presenza italiana in Afghanistan diventasse incerta, gli assalti dei terroristi si concentrerebbero contro il nostro contingente per affrettarne la partenza. Annunci di questo genere, specie quando provengono da una forza di governo come la Lega, sono non solo irresponsabili ma delinquenziali. Il ritiro d'una forza militare da un teatro di operazioni non si annuncia mai; se si deve fare si fa e lo si dice dopo che il ritiro è avvenuto.

Ma la domanda è legittima: perché stiamo in Afghanistan? Non certo per difendere Karzai. Per portare la democrazia a Kabul? Sarebbe desiderabile una democrazia a Kabul, un paese ordinato, i diritti civili instaurati (non ci sono mai stati), la schiavitù delle donne abolita, più istruzione, un'economia che non sia basata solo sulla coltivazione dell'oppio, un commercio che non venda solo la droga, i signori della guerra privati del loro potere. E soprattutto il terrorismo talebano disarmato e stroncato.

Vasto programma. Se andasse tutto molto bene questi encomiabili obiettivi sarebbero raggiunti nel 2030. Più dopo che prima. Bisognerà dunque ridurre il "target" e accontentarsi di stroncare il terrorismo. Ma anche questo obiettivo non è dietro l'angolo e finora passi avanti non ci sono stati, ci sono stati semmai passi indietro.

Soldati, blindati, aerei, corpi scelti, sono necessari ma assolutamente non sufficienti. Ci vogliono soldi. Investimenti. Programmi che aiutino l'artigianato locale, l'agricoltura, i servizi, i consumi, il reddito. Non spiccioli ma uno sforzo massiccio. Lo stesso che ci vorrebbe in Palestina. Non affidato a Karzai o alle tribù guerriere ma al volontariato internazionale e alle comunità locali. Ai villaggi, alle città, agli artigiani.

Senza questo sforzo non si va da nessuna parte e se l'Italia vuole avere una sua politica dentro la Nato, dentro l'Unione europea e con l'alleato americano, è questo che deve proporre e chiedere ed è a questo sforzo, oltre che a quello militare, che deve partecipare.

Tutto il resto è chiacchiera inutile quando non è chiacchiera mortalmente dannosa.

Post scriptum. Sul Foglio di ieri ho letto la rubrica "Andrea's version" che è l'angolo più gustoso di quel giornale. Fa l'elenco dei sei paracadutisti caduti a Kabul, tutti nati nelle regioni del Sud e del Centro d'Italia e così conclude: "Che c... gliene frega alla Lega d'una questione squisitamente meridionale?".

Non si può dir meglio e questa è purtroppo la nostra miseranda situazione con la Lega che è il solo vero motore del nostro deplorevole governo.

(20 settembre 2009)
http://www.repubblica.it
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Re: I nostri soldati in Afganistan.

Messaggioda pianogrande il 20/09/2009, 14:45

Condivido l'articolo di Scalfari.
Anche quello dell'informazione è un "fronte" importantissimo su cui combattere.
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Re: I nostri soldati in Afganistan.

Messaggioda pagheca il 21/09/2009, 8:33

sono da sempre contrario con l'impostazione che e' stata data all'intervento in Afghanistan. E qui dico intervento, e non guerra, che e' solo una possibile opzione. Non con la possibilita' di un'intervento.

Ma trovo patetico chiedere il rientro "dei nostri ragazzi" (!) quando ne vengono ammazzati 6, e non prima o dopo.

La guerra e' guerra e se ci scappano 6 morti, o anche 150, ma non 10.000 o 1.000.000 come quando la guerra la si faceva senza pensare fosse una specie di videogame per adulti, non vedo perche' questo debba influire sulla determinazione di chi questa guerra l'ha appoggiata e voluta. Vi prego non prendetemi a male, leggete bene quello che ho scritto. Il punto e' che quando si accetta una certa logica bisogna accettarne anche le conseguenze e semmai fare di tutto per aumentare le probabilita' di successo limitando i rischi fin dove e' possibile.

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Ultima modifica di pagheca il 21/09/2009, 10:28, modificato 1 volta in totale.
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