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Il partito del Sud?

Inviato:
26/07/2009, 17:47
da ranvit
Da repubblica.it :
Brunetta: "Dico no se la sua missione deve essere quella di ricattare il resto della politica"
La Russa: "Mezzogiorno emergenza nazionale". Alemanno: "Non servono schegge impazzite"
Il Pdl contro il partito del Sud "E' solo un favore a Borghezio"
ROMA - "Dico no al partito del Sud, se la sua missione deve essere quella di ricattare il resto della politica, per avere più risorse e spenderle male". Renato Brunetta, diretto come suo solito, stronca così la discussione su un partito del Sud federato all'interno dello stesso Pdl. Un tema che agita il centrodestra che deve fare i conti con le pulsioni sempre più "autonomiste" dell'Mpa del governatore siciliano Raffaele Lombardo e con i "ribelli" del Pdl guidati Gianfranco Miccichè.
Scossoni che il governo avverte. E che, dentro l'esecutivo, si cerca di fronteggiare. Anche con durezza. "Che esista da sempre un problema meridionale è indubbio - spiega Brunetta - ma la questione è affrontare con fermezza i nodi di una classe dirigente e politica inadeguata. Inutile o sterile fare del facile campanilismo o peggio farsi prendere dalla facile retorica sui luoghi comuni del Mezzogiorno". Venendo all'attualità politica per Brunetta il problema è chiaro: "Se si tratta di avere piu' soldi e spenderli male allora dico di no. Se questi movimenti politici si formano per ricattare il resto della politica, per avere più risorse e spenderle male allora non li vedo con favore".
Disco rosso anche da parte del sindaco di Roma, Gianni Alemanno che da un aparte si dice favorevole ad un ministro per il Mezzogiorno, dall'altra però avverte: "Il confronto deve restare nel Pdl. Non c'è bisogno di fare uscire schegge impazzite fuori dal nostro partito". Mentre Ignazio La Russa vede il rischio frammentazione: "Secondo La Russa la questione del Sud deve diventare "emergenza nazionale, ma se si mettono in contrasto le ragioni del Sud con quelle del Nord, secondo quanto sembrerebbe voler fare un Lombardo o altri, il Sud farebbe la parte del vaso di coccio, dando spazio alla Lega non di Bossi, che è su un altro livello, ma a quella dei Borghezio: sarebbe un passo indietro rispetto a quello che è il percorso nazionale del Popolo della Libertà". Il titolare della Difesa, però, non nega i problemi del Mezzogiorno e invita il centrodestra "ad accendere di più i riflettori su quello che stiamo facendo per il Sud".
Un fuoco di fila che, però, non sembra spaventare i sostenitori del "partito del Sud". "Nella manovra anticrisi non c'è neppure una riga per il Mezzogiorno, hanno perfino cancellato anche quel poco che c'era sul Ponte. Se il decreto non sarà modificato la scissione del Pdl sarà inevitabile e nascerà 'Forza Sud'" taglia corto Miccichè, in un'intervista a Il Sole 24 Ore. Duri i toni del sottosegretario che punta il dito contro il "il governo della Lega". Sono pronti all'addio i dissidenti, ma avvertono: "Non siamo noi ad andarcene, ci stanno buttando fuori". Berlusconi è avvertito.
(26 luglio 2009)
Cresce la rivolta dei "sudisti"?

Inviato:
26/07/2009, 17:50
da ranvit
Da repubblica.it :
Allo studio grandi opere, fiscalità di vantaggio, turismo e nuova Cassa per il Mezzogiorno
Il Cavaliere ha una cartellina con tutte le lamentele degli altri ministri contro il capo del Tesoro
Cresce la rivolta dei "sudisti" "Berlusconi deve agire subito"
di FRANCESCO BEI
ROMA - Cresce la pressione su Berlusconi perché cambi strada in fretta e "faccia qualcosa, qualsiasi cosa, ma presto". E non si parla della vita privata del premier, ma della strategia dell'esecutivo. Carmelo Briguglio, siciliano di fede finiana, la riassume così: "Nel partito è scoppiata la questione meridionale". Il Pdl, in effetti, appare un cantiere in pieno fermento. Mille iniziative, con un comune denominatore: bloccare la "trazione leghista" che ha fin qui condotto l'azione del governo, ridimensionare lo strapotere del ministro dell'Economia, "dare la sveglia" al Cavaliere.
Così ieri è nato il Pdl-Sicilia - con il supporto di numerosi finiani come lo stesso Briguglio o Fabio Granata - con l'intenzione di arrivare a una formazione sul modello della Csu bavarese. C'è poi il partito del Sud di Gianfranco Micciché; c'è la Fondazione Polo Sud, lanciata da Amedeo Laboccetta e altri 25 parlamentari Pdl, che ha già aperto sedi a Napoli, Bari e Catanzaro. Senza contare l'alleanza per il Sud di Raffaele Lombardo o il "progetto Lazio" di Mario Baccini.
L'allarme è alto in vista dell'autunno, quando la crisi economica scaricherà i suoi effetti negativi sull'occupazione, e la tensione nell'esecutivo sta salendo. La prova generale di quello che potrebbe accadere la si è avuta mercoledì scorso alla direzione del Pdl. A porte chiuse, alla presenza del premier, per la prima volta il dissenso contro il ministro "nordista" dell'Economia è esploso da più parti senza remore. "Tremonti - è l'accusa di uno dei meridionalisti - ha svolto dei passaggi sul Mezzogiorno non solo culturalmente inadeguati, ma al limite dell'offesa. L'abbiamo contraddetto in molti: una cosa che a lui dà molto fastidio non essendoci abituato".
Uno dei più scatenati contro Tremonti è stato il ministro per gli affari regionali, Raffaele Fitto, che si propone nel governo come il regista della "jacquerie" meridionalista. Contrario al partito del Sud di Micciché, Fitto ne condivide tuttavia le ragioni di fondo e lo ha spiegato a più riprese al premier. Il risultato di questo "accerchiamento" ha prodotto l'annuncio di un futuro "Piano per il Sud", che dovrebbe concentrarsi su una decina di grandi opere, finanziate anche grazie ai fondi FAS, il rilancio della fiscalità di vantaggio, lo sblocco di risorse per il turismo, una centrale di investimenti per il Sud (la suggestione è quella di replicare la vecchia Cassa per il Mezzogiorno).
"Intendiamoci - ha confidato Fitto ai suoi - il Piano ancora non c'è, è un'intenzione. Ma c'è la consapevolezza di Berlusconi che vada riempito di contenuti veri". Insomma Fitto al momento pare convinto di aver raddrizzato la barca: "Per far diventare l'annunciato "Piano Sud" il fulcro programmatico del governo - è il suo ragionamento - c'era bisogno intanto che Berlusconi scendesse in campo in prima persona. E questo l'ha fatto: è un passo avanti". L'obiettivo di Fitto e dei tanti che, nel governo, la pensano come lui (da Alfano a Prestigiacomo, da Brunetta a Bondi, fino a Gianni Letta) è far sì che il timone della futura azione verso il Mezzogiorno resti saldamente in mano a palazzo Chigi. "Con l'idea di una cabina di regia - obietta un altro avversario di Tremonti - il ministro dell'Economia tenta la sua solita tattica: imbrigliare il problema per mesi senza affrontarlo". Stavolta invece l'ala meridionalista è decisa a non farsi distrarre, avendo individuato un varco per spezzare l'egemonia tremontiana. E il "varco" sarebbe proprio il presidente del Consiglio, sempre più insofferente per il protagonismo del "geniale Giulio". Racconta un ministro: "Prima dell'ultima riunione di governo sono andato a protestare con il presidente per l'ennesima beffa che ho subito da Tremonti e Berlusconi mi ha stoppato subito: "vedi questa cartellina?" mi ha detto, "ecco, qui raccolgo tutte le lamentele dei tuoi colleghi verso di lui. E oggi alle cinque l'ho convocato per tirargli le orecchie". Durante l'incontro, riferisce la stessa fonte, il Cavaliere teneva sulla scrivania un quotidiano con la faccia di Tremonti in prima pagina e il titolo malizioso: "Sub-premier".
(26 luglio 2009)
Re: Il partito del Sud?

Inviato:
26/07/2009, 17:52
da ranvit
Con un Pd quasi inesistente cominciano i distinguo al'interno del centrodestra....
Vittorio
Re: Il partito del Sud?

Inviato:
26/07/2009, 22:24
da pierodm
Brunetta ha ragione. quello finiscono per essere i "partiti federali radicati nel territorio".
Peccato però che un'obiezione analoga non valga per la Lega, che ricatta e dirotta esattamente come si tema che farebbe un "partito del sud".
Re: Il partito del Sud?

Inviato:
26/07/2009, 23:22
da pianogrande
Si cominciano a vedere i risultati di un governo leghista; la spaccatura all'interno del governo stesso.
Portando le cose all'estremo e cioè continuando a far comandare la lega, il risultato non potrà essere che due governi.
Altro che due partiti!
Per accorpare AN al nostro Silvio è bastato issarsi sul mitico predellino.
Per riunire l'Italia?
In Sicilia va in scena l’opera dei pupi

Inviato:
28/07/2009, 11:28
da ranvit
dal corriere.it :
Dal «patto del pistacchio» alla sfida autonomista, ormai è «tutti contro tutti»
Silvio-Carlomagno, ribelli e traditori
In Sicilia va in scena l’opera dei pupi
Alfano e Schifani nel mirino dei «contestatori». Miccichè guida i rivoltosi. La cautela di Dell’Utri
2009 - Nasce l’alleanza tra Gianfranco Micciché (Pdl) e il governatore della Sicilia Raffaele Lombardo sulla nuova giunta regionale e il partito del Sud
Chi sia Nofriu e chi Virticchiu, chi Rusidda e chi Peppinino non è facile da stabilire. Perché, certo, Luigi Pirandello fa dire al cornuto Ciampa «pupi siamo, caro Signor Fifì! Lo spirito divino entra in noi e si fa pupo. Pupo io, pupo lei, pupi tutti ». Ma perfino un 'oprante' straordinario come Mimmo Cuticchio faticherebbe a calare Lombardo e Micciché, Dell'Utri e Martino e gli altri Paladini di Trinacria in rivolta nel nome del Sud nei panni di questo o quel personaggio. Poche volte, però, la politica siciliana ha dato l'impressione come oggi di seguire gli antichi copioni della grande opera dei Pupi. Quella dove va in scena 'la più invisibile delle guerre invisibili'.
Dove Beltramo e Malagigi, Cladinoro e Gandellino, 'agìti' dal puparo che invisibile li sorregge, si muovono avanti e indré in un tale strepito di grida e sbattere di spade da spingere gli spettatori a sentirsi 'arizzari li carni'. Dove si affollano momenti epici: «Cadde Grandonio / ed or pensar vi lasso / alla caduta qual fu quel fraccasso / Levosse un grido tanto smisurato...». Dove non sai mai fino a che punto l'eroe sia davvero un eroe e il traditore davvero traditore. L'unica parte certa è quella che i ribelli siciliani di quella che era la Casa delle Libertà hanno cucito addosso a Silvio Berlusconi. La parte di «Carrumagnu cu lu pugnu chiusu », cioè Carlomagno col pugno chiuso. Onorato sì, perché potentissimo. Ma avaro. Così tirchio da non volerne sapere di scucire quei famosi fondi europei per le aree sottosviluppare «che spettano al mezzogiorno ». Da avere abolito l'Ici, stando all'accusa dell'economista Gianfranco Viesti, «togliendo un miliardo e mezzo alle infrastrutture di Sicilia e Calabria». Da avere finanziato tutte le misure anticrisi «togliendo soldi al Sud» per un totale, secondo lo Svimez, di 18 miliardi. Di qui la rivolta, che non si placa. E che divide il centro-destra isolano come mai prima. Da una parte, additati dai rivoltosi quasi come fossero dei traditori al pari dell'odiato Gano di Magonza, ecco quelli che dicono che no, non è vero che il governo è succubo della Lega Nord e non è proprio il caso di creare problemi e addirittura minacciare secessioni. Come Renato Schifani, il presidente del Senato che sei anni fa scommetteva su un futuro trionfale ('Nel 2006 consegneremo al Paese un nuovo Mezzogiorno: il Mezzogiorno del benessere') e oggi è così inviso a Raffaele Lombardo da subire a fine maggio l'affronto più insolente: il mancato invito da parte del Governatore ('Minchia, m' u scurdai...') alla cena offerta a Napolitano in visita.
O Angelino Alfano, lui pure quella sera «dimenticato» (insieme al sindaco Diego Cammarata e al presidente dell'Ars Francesco Cascio) ma soprattutto imputato dai ribelli di essere «più vicino ad Arcore che ad Agrigento» fin da quando lasciò trapelare una confidenza che oggi gli viene rinfacciata sulla sera in cui aveva conosciuto il Cavaliere. Il quale, per fargli un complimento, gli avrebbe detto: «Ma davvero lei è siciliano? La sento parlare in italiano... ». O ancora il coordinatore del Pdl isolano Giuseppe Castiglione, presidente della Provincia di Catania, che aveva stretto con Schifani e Alfano ('Renatino e Angelino', li chiamano i nemici) il 'patto del pistacchio' e non aveva fatto mistero di puntare alle europee alla mitica soglia (poi clamorosamente fallita) del 51%, che avrebbe consentito al partito di mettere in riga Lombardo e perciò bollato da Gianfranco Micciché come «un farabutto che racconta minchiate a Berlusconi». Per non dire di Totò Cuffaro, che spara sì contro il Nord dicendo che «Malpensa vale dieci Casse del Mezzogiorno » e che i fondi per le aree sottosviluppate «sono finiti al Parmigiano e non alla vite», ma si è schierato contro ogni ipotesi del partito del Sud ('Un grande flop') e in ogni caso pare avere oggi un obiettivo solo: farla pagare a Lombardo. Reo d'avere detto di volere 'decuffarizzare' la Sicilia. Al che 'Vasa vasa' sibilò gelido: «Non è più mio amico». Dove quel 'più' sottolineava un odio che manco Mandricardo verso Orlando dopo la morte di Manilardo.
Quanto a Silvio «Carlomagno» Berlusconi, i ribelli che si agitano sulla scena con sbatacchiar di spade e quelli che se ne stanno apparentemente un po' in disparte come Marcello Dell'Utri che forse più di tutti, a ragione o a torto, sembrerebbe adatto alla parte del puparo, pare non accettino su tutte due cose. Una è il modo in cui ha liquidato i problemi posti come frutto di inquietudini di uomini frustrati e insoddisfatti, una parte che Antonio Martino (che per anni ha sbandierato di avere 'la tessera numero 2 di Forza Italia' e oggi appare malinconicamente ai margini) e Gianfranco Micciché (il quale aveva a suo tempo puntato al posto di governatore mettendo per iscritto che 'nessun sogno potrà essere oggetto di trattativa, altrimenti diventa incubo') respingono con stizza. L'altra è l'uso di «due pesi e due misure» verso gli alleati. Se il Cavaliere rivendica il diritto di decidere a Roma o a Milano come vanno spesi i soldi dei Fas destinati al Sud, perché mai la tanto sbandierata bontà del federalismo dovrebbe valere per il Nord leghista e non per il Mezzogiorno? Eppure dietro le minacce, gli strappi, le ricuciture, gli avvertimenti, le manovre, resta anche agli osservatori più attenti l'impressione di qualcosa di non detto. Qualcosa che sfugge... Come se i protagonisti usassero il 'paccaglio', quel linguaggio incomprensibile ai non iniziati usato un tempo dai pupari per rappresentare storie 'proibite' di ribellione contro lo Stato senza mettere tutti in allarme. Così come sfuggono i 'tempi' di questa strepitosa vicenda politica e umana che sta andando in scena. Il ciclo completo dei 'Paladini', una volta, durava 555 giorni.
Cinquecentocinquantacinque giorni di colpi di scena, passioni, tradimenti, duelli e carneficine. Auguri. Ma va detto: forse sarebbe più facile capire la «limpidezza cristallina » di questa «seria battaglia autonomista » se anche di questi tempi non avessero continuato a uscire sui giornali locali notiziole come quella di qualche giorno fa. L'assunzione da parte della Regione di 160 precari per vigilare 24 ore su 24 il traffico dei quattro sottopassi pedonali della circonvallazione palermitana: 40 assunti a sottopasso...
Gian Antonio Stella
28 luglio 2009
De Rita : Una nazione in corso

Inviato:
28/07/2009, 11:30
da ranvit
Dal corriere.it :
Una nazione in corso
Negli ultimi dieci giorni due argomenti sono esplosi nel dibattito sociopolitico italiano: il rinnovato interesse per il sottosviluppo del Sud con evidenti tentazioni ad un meridionalismo tutto politico e rivendicativo; e la frustrazione di dover constatare, anche in relazione alla progettata celebrazione del 150˚anniversario dell’Unità, che siamo in piena dis-unità, in una nazione profondamente divisa.
Si tratta di due argomenti di fatto ricorrenti nella nostra faticosa ricerca di identità nazionale e che ritornano sempre collegati fra di loro, fin da quando i padri nobili del meridionalismo presero i l dualismo fra Nord e Sud come la frattura, antica e futura, della nazione italiana.
Non sono del tutto convinto che questo abbinamento porti a risultati utili e felici, forse dovremmo cominciare a distinguerli. Nell’abbinamento si annidano infatti dei regressivi pericoli di psicologia collettiva; il pericolo di veder esasperati i riferimenti di radicale distinzione etnica e culturale (la superiorità del pensiero meridiano o quella dell’ideologia della tecnica e del fare); il pericolo di una contrapposizione che tende ad accentuarsi per le tonalità di linguaggio di coloro che ne parlano, sia in termini di lamento che di voluto disinteresse, con immotivati sconfinamenti nel reciproco disprezzo; il pericolo soprattutto che la polemica pro e contro il Sud rappresenti alla fine il campo di giudizio e di condanna dell’unità italiana.
Troppo facile, viene da pensare leggendo i giornali degli ultimi giorni, attribuire alle difficoltà di rapporto fra Nord e Sud tutte le spinte a interpretare l’Italia come divisa, disunita, sull’orlo della secessione. Più difficile, ma forse più utile è invece riprendere il discorso sul modo stesso in cui abbiamo costruito l’Italia, prima e dopo l’unificazione formale del 1870. Devo al riguardo dire, anche se risulterò in infima minoranza, che sono meno pessimista dei tanti profeti della disunità. Ho letto troppe volte «L’Italiano » di Giulio Bollati per non essere convinto che l’unità nazionale è un processo di lunga durata, «un essere in corso d’essere».
Due sono i fattori che erano alla base e che ancora operano in tal processo: da un lato la unica lingua e dall’altro la ricca diversità territoriale. Non dimentichiamo che Petrarca e Dante cominciarono a scrivere in italiano cinquecento anni prima dell’unificazione; non dimentichiamo che i nostri attuali riferimenti linguistici correnti vengono dai grandi scrittori della lingua (dal perfezionista Manzoni ai raffazzonati libretti di Verdi); non dimentichiamo che negli ultimi decenni siamo stati unificati dalla lingua, scolastica, giornalistica o televisiva che fosse; e non dobbiamo quindi sorprenderci se oggi la lingua, l’italiano, è una enorme forza unificante e in «corso d’essere».
Basta prendere atto del modo in cui sempre più si esprime e comunica il popolo, con un declino rapido e quasi inatteso di quel primato del dialetto che pure aveva sostenuto le più aggressive ipotesi di secessione. Vince la lunga durata dell’italiano, con tutto quel che ciò comporta in termini di identità collettiva.
La seconda forza dell’unificazione in corso d’essere è quello della ricchezza dell’articolazione territoriale. Scriveva il Sismondi intorno al 1845 che «l’Italia è diventata non una nazione ma un semenzaio di nazioni, in cui ogni città fu un popolo libero e repubblicano». Secoli di unificazione statalista, centralizzata, burocratica hanno offuscato quella convinzione, ma non hanno potuto cancellarne la base fenomenologica. Ed oggi l’Italia ha ripreso il cammino di quella articolata concezione della «nazione semenzaio di nazioni ». Può spiacere che su quel cammino si ritrovino sindacati di territorio, leghe, movimenti, partiti, lobbismi localistici; ma non sfugge a nessuno che si tratta di una «dialettica sullo stesso libro», un essere diversamente partecipi di un sommerso processo di unificazione. Siamo destinati a restare e diventare una nazione plurima al di là del termine «federalismo» mal consumato nei decenni, da Gioberti e Rosmini fino alla recente legge sul federalismo fiscale.
Siamo quindi una nazione in corso di essere, che si costruisce sulla lunga durata di due radici: una lingua forte e di tutti ed un semenzaio di nazioni che continuano a cercare faticose convergenze (anche nelle discussioni sui fondi FAS o sul finanziamento delle opere pubbliche). Sono le radici che portano, secondo una famosa frase di Martin Buber; e le nostre hanno superato la prova, dimostrando che avevano torto coloro che pensavano di «fare l’Italia senza gli italiani» e che lavoravano su nobili opzioni socioistituzionali calate dall’alto (un’unica PA, un’unica scuola, un’unica sanità, ecc.) che oggi sembrano a tanti le macerie di un’unità non compiuta. Se le ponessimo a base delle celebrazioni del 2011, finiremmo per dover trarre un bilancio a dir poco frustrante; usiamole invece, tali celebrazioni, per riscoprire come e quanto le radici ci portino nel tempo, in un processo unificante sotterraneo ma di grande potenza.
Giuseppe De Rita
28 luglio 2009
Il parlamento del Sud?

Inviato:
28/07/2009, 18:45
da ranvit
da repubblica.it :
Il partito di Lombardo oggi non ha partecipato alla votazione sul dl anticrisi
e l'onorevole Iannaccone conferma quanto anticipato già nei giorni scorsi
L'Mpa rilancia la questione meridionale
"Tempi maturi per Parlamento del Sud"
"Se il governo non cambierà rotta saremo costretti ad assumere posizioni ben più radicali"
Domani vertice Berlusconi-ministri per definire il piano del governo per il mezzogiorno
ROMA - Dopo il "Parlamento del Nord" della Lega, è in vista il "Parlamento del Sud" del Movimento per le autonomie di Raffaele Lombardo. "Di concreto per il Sud abbiamo visto ben poco. Siamo convinti che la questione meridionale vada posta con maggiore efficacia e determinazione, utilizzando nuovi strumenti: sono maturi i tempi per dar vita a un Parlamento del Sud", ha affermato Arturo Iannaccone, responsabile del dipartimento Welfare e Sanità dell'Mpa, confermando quanto anticipato già nei giorni scorsi. Pur essendo parte della maggioranza di governo, oggi i rappresentanti del movimento fondato da Lombardo non hanno partecipato al voto finale della Camera sul dl anticrisi e ora anticipano che potrebbero non firmare la risoluzione di maggioranza sul Dpef, presentandone anzi una propria.
"Non si tratta più soltanto di rappresentare le rivendicazioni delle popolazioni meridionali sulle quali grava il peso enorme del divario economico con il Nord del Paese - ha spiegato Iannaccone - ma di rispondere alla necessità di far emergere una nuova classe dirigente che sia intensamente caratterizzata dalla dimensione culturale, valoriale e dalla consapevolezza delle enormi difficoltà economiche del Mezzogiorno. Il Parlamento del Sud deve assolvere a questa funzione, coniugando la dimensione politica e la specificità tecnico-economica della questione meridionale".
"Se il governo non cambierà rotta e se il meridione sarà ancora penalizzato dalle scelte maturate nel chiuso del Consiglio dei ministri, il Sud con il suo Parlamento - ha concluso Iannaccone - sarà costretto ad assumere posizioni ben più radicali".
Oggi la direzione federale del Movimento per le autonomie ha nominato i coordinatori (tutti parlamentari) che assumono provvisoriamente la guida dell'Mpa e le competenze statutarie nelle quattro regioni meridionali che in primavera verranno chiamate alle urne per le elezioni regionali: Campania (dove andrà Giovanni Pistorio), Basilicata (Luciano Sardelli), Puglia (Elio Belcastro) e Calabria (Carmelo Lo Monte).
E proprio per definire il piano del governo per il Sud, domani si terrà un vertice tra Berlusconi e i ministri interessati dal progetto. Secondo indiscrezioni, in mattinata il premier vedrà Giulio Tremonti (Economia), Altero Matteoli (Infrastrutture), Raffaele Fitto (Affari regionali), Claudio Scajola (Sviluppo economico) e Stefania Prestigiacomo (Ambiente).
(28 luglio 2009)
Re: Il partito del Sud?

Inviato:
28/07/2009, 23:49
da pianogrande
Bossi voleva fare il parlamento del nord non mi ricordo più dove.
Questi parassiti del sud, il parlamento del sud l'hanno fatto subito.
La sede? Montecitorio e palazzo madama.
In questo parlamento, che va allargandosi, Berlusconi è in assoluta minoranza.
E' vero. Perché le cose cambino davvero deve succedere qualcosa di veramente rivoluzionario e, forse, sta succedendo.
Se non ricordo male, anche il PD voleva fare il partito del nord, quello del centro e quello del sud.
A forza di spaccare l'Italia per fare posto a tutti gli aspiranti ad una fettina di potere, ci sarà poi davvero bisogno del federalismo (quello vero) se vogliamo ancora essere definiti una nazione.
Forse, tra i tanti inganni di questo sciagurato governo, anche lo strapotere del berlusca era un enorme inganno.
Lui ha fatto il buffone intanto che altri si spartivano la torta?
Re: Il partito del Sud?

Inviato:
29/07/2009, 11:01
da ranvit
Da ilmattino.it :
La discussione sul presunto partito del Sud, che in questi giorni tiene banco nel dibattito politico, gira tutta attorno a un punto: la spesa pubblica. Riducendo all’osso la valanga di statistiche si può concludere che il divario tra le regioni del Nord e quelle Sud, in termini di spesa pro-capite complessiva dello Stato e degli enti locali, è stabilmente attorno ai venti punti. Lo squilibrio c’è ed è aggravato dal fatto che la coperta dei fondi disponibili, in tempi di crisi, è sempre più corta.
Ma si può misurare la spesa pubblica soltanto attraverso criteri quantitativi? È giusto chiedere più risorse quando si sprecano? A ben guardare i dati, per esempio, si scopre che una parte della differenza è assorbita dal costo del personale pubblico che nel Mezzogiorno è molto più alto, anche perché tra precari, lavoratori socialmente utili, personale reclutato con varie forme di sussidi, nel Sud si è formato un vero ceto sociale. Parassitario, clientelare, indisponibile a qualsiasi offerta di lavoro fondata sul criterio della mobilità. È solo un esempio che dovrebbe far riflettere sul vero punto di debolezza di questa vertenza nel nome degli interessi delle popolazioni meridionali: nel Sud la spesa pubblica è quasi sempre a pioggia, inefficace e inefficiente. Dunque indifendibile.
Certo, non esiste un’esclusiva meridionale allo spreco con le casse dello Stato, dell’Europa e delle amministrazioni locali; quando si tratta di gettare i soldi pubblici dalla finestra l’Italia è molto più unita di quanto possa sembrare. Eppure, da meridionali, dobbiamo riconoscere che se oggi i conti non tornano é anche perché abbiamo collezionato un elenco troppo lungo di spese inutili. Nel Nord aspettano da anni la Brebemi, un asse viario strategico per le imprese e per i lavoratori che devono raggiungere le fabbriche; nel Sud il cantiere stradale più simbolico è la via crucis della Salerno-Calabria. Doveva costare 2,9 miliardi di euro; adesso non basteranno 10 miliardi di euro. Intanto, in queste zone non esiste un’impresa (dico una) per la fornitura del calcestruzzo che sia in regola con la legge e sessanta aziende, subappaltatori locali, hanno appena ricevuto la revoca del certificato antimafia: la malavita nel Sud è in prima fila quando si tratta di spartirsi appalti pubblici. A Brescia il termovalorizzatore lo hanno costruito quindici anni fa, in Campania nello stesso arco di tempo un fantomatico Commissariato per l’emergenza dei rifiuti ha ingoiato due miliardi di euro, con i quali di impianti di smaltimento della spazzatura se ne potevano costruire sette. In Sicilia sono stati finanziati una decina di progetti per nuovi aeroporti, in Calabria invece si sono specializzati nella costruzione di dighe dove non arriva l’acqua. A Palermo spendono quasi 4 miliardi di vecchie lire per un parco di auto ecologiche, che pochi anni dopo rivendono per 100 euro ciascuna; a Bari con i fondi europei si pagano i costi del Giornale del piano strategico dell’area metropolitana.
Arrivano le classifiche sulle università e scopriamo che nella prima parte, tra le più virtuose, ci sono quelle del Nord, nella seconda, nel girone degli spreconi, compaiono invece gli atenei del Sud. E lo stesso divario riguarda gli ospedali, le scuole, gli asili, la fornitura dei servizi pubblici.
Fino a quando la classe dirigente meridionale, e non mi riferisco solo a quella politica, non diventerà più responsabile e meno parassitaria, qualsiasi battaglia in Parlamento o attraverso le interviste sui giornali, dovrà fare i conti con un tallone d’Achille che rischia di renderla poco credibile oppure di ridurla a una lotta di potere per la gestione dei soldi pubblici.
Quanto poi allo sbocco politico della vertenza, gli scontenti all’interno della maggioranza potrebbero dare un contributo molto importante all’evoluzione, ancora troppo nebulosa, del Pdl.
Il federalismo fiscale ormai è una realtà, e già oggi la quota di tributi gestiti dagli enti locali supera il 20 per cento del totale: ci sono, dunque, i presupposti anche di politica economica per immaginare un partito federalista, organizzato con una forte autonomia territoriale. Un partito nel quale il Sud avrebbe tutto da guadagnare, perché una maggiore responsabilità locale, e non solo l’esercizio del potere, rappresenterebbe un volano per l’affermarsi di nuova classe dirigente e di una democrazia più solida, in grado di crescere dal basso e non di alimentarsi soltanto attraverso i meccanismi oligarchici della cooptazione. Questa sarebbe una bella battaglia per il Mezzogiorno, e anche un’occasione per avere le carte più in regola quando bisogna sedersi ai tavoli dove si decide il percorso geografico della spesa pubblica.
Antonio Galdo