Prodi: "Gli Stati siano arbitri del mercato..."

Gli Stati siano arbitri del mercato e cooperino per isolare i paradisi fiscali.
Mercato, etica e necessità - Ecco perchè non tornerà il dominio dello Stato
di Romano Prodi, Il Messaggero,25 maggio 2009
La crisi economica non ha cambiato solo le cose ma ha cambiato anche le teste. A cominciare da quelle degli economisti e dei politici. Per anni ci era toccato di leggere che il mercato era un regolatore perfetto, capace sempre di ritornare in equilibrio e che lo Stato non solo doveva essere meno invasivo possibile (cosa che ho sempre condiviso) ma che dovesse anche regolare il meno possibile (cosa che ho sempre combattuto).
Poi è successo quello che è successo e i governi, a cominciare dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, hanno dovuto gettare palate di soldi nelle banche e nelle imprese in difficoltà. Molto privato è perciò diventato pubblico e mi sono trovato in dibattiti e discussioni nelle quali serpeggia la paura di uno sbandamento in senso opposto, verso uno stato onnipresente.
A mio parere questo non avverrà perché non esiste nel mondo alcun paese che abbia scelto in modo deliberato di ritornare verso un dominio dello Stato nell’economia.
Persino nei sei o sette paesi che ancora si definiscono comunisti il processo di affiancare alle imprese pubbliche un crescente numero di imprese private prosegue regolarmente, seppuere rallentato dalla crisi economica.
Anche in Cina e in Viet Nam, dove il grande sviluppo economico si è fondato soprattutto su un allargamento del mercato, non appaiono all’orizzonte cambiamenti nella politica economica adottata negli ultimi anni.
Siamo cioè di fronte a fenomeni di pubblicizzazione avvenuti per necessità e non per dottrina: nessuno mette in discussione il ruolo del mercato come fondamento del sistema economico.
Lo Stato è stato costretto ad intervenire per avere mancato alla sua funzione di regolatore e di controllore, rendendo quindi possibile una continua e grave violazione dell’etica degli affari. Ed è proprio questa mancanza di etica che è alla base della profonda crisi economica in cui ci troviamo ora.
Una mancanza di etica che è stata messa in rilievo soprattutto nei confronti di alcune banche internazionali senza scrupoli, che hanno inondato i mercati mondiali di titoli che esse sapevano essere senza valore, ma che è stata condivisa anche da chi aveva l’obbligo di sorvegliare il corretto funzionamento dei mercati. Le società di “rating,” che esistono solo per dare la garanzia che i titoli immessi nel mercato corrispondono a quanto viene dichiarato, hanno regolarmente dato la tripla A (che sarebbe il dieci e lode) anche alle banche che sono poi fallite poche settimane dopo.
E la stessa mancanza di senso della propria missione hanno dimostrata alcune banche centrali, a cominciare da quella degli Stati Uniti.
La prima condizione perché lo Stato possa ritirarsi dalla proprietà delle imprese è quindi quella che esso eserciti la funzione di arbitro e regolatore del mercato, impedendone le deviazioni e gli eccessi che sono alla base dell’attuale disastro.
Serve poco consolarci per il fatto che nel nostro paese queste deviazioni siano state meno intense che in altri: il mercato è ormai globale e le sue malattie si diffondono ancora più rapidamente della febbre suina.
La seconda condizione per fare riprendere dignità al mercato è quindi quella di iniziare finalmente una stretta collaborazione fra le diverse autorità statuali aumentando in modo progressivo il ruolo e la forza degli organismi internazionali. La lotta contro gli stati senza regole e i paradisi fiscali è la migliore difesa del mercato.
Per fugare del tutto la paura di uno Stato onnipotente bisogna che si verifichi una terza condizione, che nascano nuovi e sani protagonisti della vita economica . Troppe volte le privatizzazioni sono state impedite, ritardate o sono state fatte male per la mancanza di sani ed efficienti protagonisti privati Passare dalle mani di uno Stato eccessivamente influente nell’economia per cadere nelle mani di imprenditori fasulli o di fondi di investimento pronti solo a fuggire non appena si presenti l’occasione di profitto non è certo un grande guadagno per noi e per i nostri figli.
Cominciamo quindi a preparare la ripresa con nuovi contenuti etici, con nuove iniziative e con una nuova politica economica, senza paura dei comunisti, perché ormai non ci sono più.
Mercato, etica e necessità - Ecco perchè non tornerà il dominio dello Stato
di Romano Prodi, Il Messaggero,25 maggio 2009
La crisi economica non ha cambiato solo le cose ma ha cambiato anche le teste. A cominciare da quelle degli economisti e dei politici. Per anni ci era toccato di leggere che il mercato era un regolatore perfetto, capace sempre di ritornare in equilibrio e che lo Stato non solo doveva essere meno invasivo possibile (cosa che ho sempre condiviso) ma che dovesse anche regolare il meno possibile (cosa che ho sempre combattuto).
Poi è successo quello che è successo e i governi, a cominciare dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna, hanno dovuto gettare palate di soldi nelle banche e nelle imprese in difficoltà. Molto privato è perciò diventato pubblico e mi sono trovato in dibattiti e discussioni nelle quali serpeggia la paura di uno sbandamento in senso opposto, verso uno stato onnipresente.
A mio parere questo non avverrà perché non esiste nel mondo alcun paese che abbia scelto in modo deliberato di ritornare verso un dominio dello Stato nell’economia.
Persino nei sei o sette paesi che ancora si definiscono comunisti il processo di affiancare alle imprese pubbliche un crescente numero di imprese private prosegue regolarmente, seppuere rallentato dalla crisi economica.
Anche in Cina e in Viet Nam, dove il grande sviluppo economico si è fondato soprattutto su un allargamento del mercato, non appaiono all’orizzonte cambiamenti nella politica economica adottata negli ultimi anni.
Siamo cioè di fronte a fenomeni di pubblicizzazione avvenuti per necessità e non per dottrina: nessuno mette in discussione il ruolo del mercato come fondamento del sistema economico.
Lo Stato è stato costretto ad intervenire per avere mancato alla sua funzione di regolatore e di controllore, rendendo quindi possibile una continua e grave violazione dell’etica degli affari. Ed è proprio questa mancanza di etica che è alla base della profonda crisi economica in cui ci troviamo ora.
Una mancanza di etica che è stata messa in rilievo soprattutto nei confronti di alcune banche internazionali senza scrupoli, che hanno inondato i mercati mondiali di titoli che esse sapevano essere senza valore, ma che è stata condivisa anche da chi aveva l’obbligo di sorvegliare il corretto funzionamento dei mercati. Le società di “rating,” che esistono solo per dare la garanzia che i titoli immessi nel mercato corrispondono a quanto viene dichiarato, hanno regolarmente dato la tripla A (che sarebbe il dieci e lode) anche alle banche che sono poi fallite poche settimane dopo.
E la stessa mancanza di senso della propria missione hanno dimostrata alcune banche centrali, a cominciare da quella degli Stati Uniti.
La prima condizione perché lo Stato possa ritirarsi dalla proprietà delle imprese è quindi quella che esso eserciti la funzione di arbitro e regolatore del mercato, impedendone le deviazioni e gli eccessi che sono alla base dell’attuale disastro.
Serve poco consolarci per il fatto che nel nostro paese queste deviazioni siano state meno intense che in altri: il mercato è ormai globale e le sue malattie si diffondono ancora più rapidamente della febbre suina.
La seconda condizione per fare riprendere dignità al mercato è quindi quella di iniziare finalmente una stretta collaborazione fra le diverse autorità statuali aumentando in modo progressivo il ruolo e la forza degli organismi internazionali. La lotta contro gli stati senza regole e i paradisi fiscali è la migliore difesa del mercato.
Per fugare del tutto la paura di uno Stato onnipotente bisogna che si verifichi una terza condizione, che nascano nuovi e sani protagonisti della vita economica . Troppe volte le privatizzazioni sono state impedite, ritardate o sono state fatte male per la mancanza di sani ed efficienti protagonisti privati Passare dalle mani di uno Stato eccessivamente influente nell’economia per cadere nelle mani di imprenditori fasulli o di fondi di investimento pronti solo a fuggire non appena si presenti l’occasione di profitto non è certo un grande guadagno per noi e per i nostri figli.
Cominciamo quindi a preparare la ripresa con nuovi contenuti etici, con nuove iniziative e con una nuova politica economica, senza paura dei comunisti, perché ormai non ci sono più.