da pierodm il 09/05/2009, 2:30
Già, la lotta. E chi se la ricordava più, la lotta.
Brutta cosa la lotta: antiestetica, scomposta, e poi fa perdere tempo, distoglie dalla "politica", e ti pare che uno si possa mettere seduto a scrivere duecento pagine di programma elettorale tutto sudato, dopo aver fatto "la lotta"?
Ah, fortunati quei paesi in cui tutti i cittadini lindi e pinti vanno al lavoro la mattina, poi a pattinare e fare due pallette a tennis, e poi a teatro la sera, ogni tanto un referendum per decidere il colore delle carrozze dei treni, sui quali i pendolari discutono amabilmente se sia meglio l'aliquota dell'1,4 o dell'1,8% di aumento sul prelievo fiscale: cazzo, questa sì che è politica, questa sì che è civiltà.
In duecento anni la politica è stata lotta ovunque: non sempre cruenta, ma dura, incessante.
La politica democratica, s'intende. Dove c'erano le autocrazie, le dittature non c'era lotta: c'erano lunghi decenni di silenzio, e poi le esplosioni, le rivolte.
La lotta è l'essenza della politica liberale e democratica, almeno fin quando è durata l'idea (inoppugnabile, evidente) che ognuno difendeva il suo "opposto interesse".
Recentemente si è fatta strada e ha trovato accoglienza l'idea neo-medievale della coincidentia oppositorum: la formula per cui esiste un sistema, un assetto in cui tutti ci guadagnano e nessuno ci rimette, chi rimane fuori è per colpa sua, e quelli totalmente dimenticati che entrano nell'inquadratura solo come fuggitivi o come cadaveri non entrano però nella contabilità e quindi non fanno storia.
E' stato trovato, così, il modo di togliere di mezzo la parte scomoda della democrazia: perché rompere i coglioni con "la lotta", invece che impegnarsi da bravi figlioli per tenere puliti i giardinetti, e lavorare sodo per mille lire al mese, una mogliettina giovane e carina.
Ma a qualcuno viene in mente - viaggiando pigramente accomodato in quel bel vagone del treno democraticamente dipinto - che forse dietro a quella "decenza" dei governi è annidata la crisi prossima ventura, o che tanta pace sia dovuta a qualche secolo di massacri e di sfruttamento di interi sub-continenti, o magari più semplicemente che un buona parte di quella decenza è il prodotoo delle lotte di dieci, venti, cinquanta, cento anni?
Chi predica una democrazia - e un liberalismo - "pacifici", fatti di minuetti ed eleganti concertazioni tra uguali, non si accorge che svuota la democrazia e il liberalismo della loro forza: la coscienza individuale della "propria condizione", in nome dell'adesione "imbelle" ad un sistema socio-economico che sostituisce quella che nei regimi totalitari è la sottomissione al "culto dello stato".