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sul riformista una provocazione

Discussioni e proposte, prospettive e strategie per il Paese

sul riformista una provocazione

Messaggioda carlo gualtieri il 23/05/2008, 19:39

già, l'articolo praticamente dice che se questa é l'opposizione che fa e farà il PD, tanto vale allora fare la grande coalizione...
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carlo gualtieri
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Re: sul riformista una provocazione

Messaggioda franz il 23/05/2008, 20:49

Ciao Carlo,
puoi postare qui l'articololo, cosi' lo condividiamo e lo discutiamo insieme?

Ciao,
Franz
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Re: sul riformista una provocazione

Messaggioda carlo gualtieri il 23/05/2008, 20:55

Se questa è l'opposizione meglio la grande coalizione
Di Roberto Gualtieri
La messa a punto operata la settimana scorsa dal Partito democratico su questioni cruciali come l'analisi del voto, il pluralismo interno e il rapporto tra "vocazione maggioritaria" e alleanze, non sembra avere finora investito il problema centrale con cui il Pd dovrà misurarsi nei prossimi mesi: la definizione di un profilo dell'opposizione a Berlusconi coerente con l'ambizione a costruire una credibile alternativa di governo al centrodestra. Di fronte al forte impatto politico del primo Consiglio dei ministri e dei provvedimenti in esso annunciati, è emerso infatti con chiarezza il rischio che un'"opposizione dialogante" fortemente incentrata sull'azione di contrappunto dei vari "ministri ombra" nei confronti dei singoli provvedimenti dei loro omologhi al governo risulti pericolosamente inadeguata. Traducendosi da un lato in una scarsa capacità di condizionamento verso un esecutivo che dispone in parlamento di una maggioranza assai ampia, e dall'altro in una potenziale subalternità nei confronti dell'agenda politica del centrodestra poco compatibile con l'affermata "vocazione maggioritaria" e "bipolare" del Pd.

Colpisce a questo proposito che nel prospettare i caratteri dell'"opposizione diversa" e del dialogo con Berlusconi, i massimi dirigenti del Partito democratico abbiano fatto riferimento all'atteggiamento assunto del Pci togliattiano di fronte al primo centro-sinistra (Bettini) e al dialogo fra Moro e Berlinguer (Veltroni). L'opposizione dialogante del 1962 e la solidarietà nazionale infatti non nascevano solo da un significativo grado di convergenza programmatica, ma erano anche la conseguenza di una particolarità del sistema politico italiano che fortunatamente è superata da tempo: l'impossibilità di dare vita a una normale democrazia dell'alternanza a causa del ruolo peculiare del Pci, che in virtù della sua originale natura e del suo parziale riformismo aveva "occupato" gran parte dello "spazio" politico ed elettorale delle socialdemocrazie senza disporre (per i persistenti legami politici con l'Unione Sovietica e per l'irrisolto profilo ideologico) della corrispettiva legittimazione a governare. Quello che non convince insomma non è tanto il paragone, pure piuttosto insolito, tra Berlusconi e Aldo Moro o quello tra Berlusconi e Fanfani, ma il riflesso condizionato che porta esponenti di una generazione politica formatasi nell'epoca del tramonto della cosiddetta "prima repubblica" a proiettare sul Pd le vicende e l'esperienza del comunismo italiano.

In una moderna democrazia dell'alternanza in cui per di più, anche grazie alla meritoria scelta del Pd di abbandonare l'antiberlusconismo ideologico, è venuta meno la delegittimazione reciproca, non c'è infatti spazio né per l'"opposizione diversa" né per la "solidarietà nazionale": o si fa l'opposizione per preparare l'alternativa di governo o si realizza una grande coalizione. E ciò non per ragioni astratte, ma perché essendo scomparse (nel mondo occidentale) le robuste fratture ideologiche e di classe che hanno segnato la politica novecentesca, la riproposizione di una condizione di subalternità politica quale quella che il Pci sperimentò negli anni settanta porterebbe con sé il rischio concreto di un assorbimento "molecolare" delle forze rappresentate dal Pd nell'orbita della maggioranza. Se dunque le proposte del Partito democratico sono solo "emendative" dell'impianto dell'agenda del centrodestra e dei provvedimenti che da essa derivano, è non solo lecito ma anche doveroso, come avviene in molti paesi europei, impostare il dialogo a partire dalla proposta di una grande coalizione tra Pd e Pdl, cioè di uno scambio politico trasparente finalizzato ad affrontare in modo consensuale e condiviso i principali problemi del paese. Altrimenti, e sembra questo il caso, sarebbe più utile evitare di inseguire i singoli provvedimenti e i singoli annunci del governo e, fatta salva la normale fisiologia della dialettica parlamentare (che ovviamente vive anche di accordi e di convergenze), concentrare la propria azione nella costruzione di una piattaforma alternativa nel parlamento e nel paese, facendola poggiare sulle fondamenta di una opposizione tanto netta quanto seria e rigorosa.

Un'impostazione più rigorosa dei rapporti con la maggioranza sui temi del governo consentirebbe anche di affrontare in modo più limpido il dialogo sulle riforme costituzionali ed elettorali, che richiede anch'esso, con ogni evidenza, una messa a punto che ne precisi gli obiettivi e i confini. Un conto è infatti una opportuna convergenza su una razionalizzazione del parlamentarismo nel quadro dei risultati a cui si era giunti (in modo largamente consensuale) nella scorsa legislatura. Altro sarebbe fuoriuscire (formalmente o de facto) da questo orizzonte, perché ciò porrebbe immediatamente un duplice problema di legittimità: quello di un parlamento che per effetto del combinato disposto del premio di maggioranza, della soglia di sbarramento e della scelta di Pdl e Pd di correre (parzialmente) da soli non ha la legittimazione sufficiente per sovvertire gli esiti del referendum costituzionale del 2006, e quella di un gruppo dirigente che non dispone di un mandato congressuale per uscire dal perimetro fissato dalle bozze Violante e Bianco. Anche su questo fronte le prossime settimane costituiranno un banco di prova decisivo, a partire dalla discussione sulla riforma della legge elettorale europea. Che consentirà agevolmente al Partito democratico di misurare l'effettiva disponibilità al compromesso del centrodestra e di precisare il proprio ruolo di fronte all'opinione pubblica contrastando con forza l'assurda pretesa di privare per l'ennesima volta i cittadini del diritto di scegliere i propri rappresentanti.



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