Da repubblica.it :
Seconda giornata dei lavori alla Nuova Fiera di Roma, parla il leader di An
Al centro dell'intervento le riforme, l'immigrazione, la laicità delle istituzioni
Congresso Pdl, il giorno di Fini
"Serve una stagione costituente"
Attacco alla legge sul biotestamento: "E' da Stato etico"
di MASSIMO RAZZI
ROMA - Gianfranco Fini scalda decisamente la seconda giornata del congresso Pdl e il primo a capirlo è Silvio Berlusconi. Il presidente della Camera ha appena finito un discorso alto e non facile in cui ha riproposto i temi duri della società multietnica e ha attaccato esplicitamente il testo sul testamento biologico approvato dal Senato, la sala esplode in un lungo applauso con sventolio di bandiere e Silvio (mai lasciare la scena a un altro) si materializza sul palco accanto a Gianfranco: lo abbraccia, lo bacia e urla nel microfono: "Anche per spazzare le malignità e le malizie sul fatto che io e Gianfranco non ci si voglia bene...".
Gianfranco, in realtà, si era già placato ieri cogliendo i segnali di pace contenuti nel lungo e noioso discorso del leader: il riferimento alle intuizioni unitarie di Pinuccio Tatarella, il "no" al pensiero unico, l'idea che non si tratta di uno scioglimento di An in Fi, ma della fusione di due storie dignitose con un lungo cammino (15 anni) già in comune. Le cose, insomma, che Fini voleva sentirsi dire e che gli hanno permesso un intervento tutto sui temi che il presidente della Camera ha fatto decisamente suoi: qualità della democrazia e riforme istituzionali (da fare insieme all'opposizione), assetto economico (con i tre patti: generazionale, capitale-lavoro e Nord-Sud) e disegno dell'Italia del futuro multietnica, multireligiosa con i quali deve fare i conti (e non scontrarsi) chiunque voglia governarla.
Ma già prima di Fini, gli interventi della mattinata avevano mostrato un congresso più vivo rispetto all'orrendo torpore di ieri fasciato nel culto della personalità berlusconiana. Almeno si sono sentite voci qua e là diverse, qua e là in grado di porre qualche problema all'assise congressuale e al partito che sta nascendo.
Schematizzando, intanto, si può dire che (nonostante Fini) la differenza tra quelli di An (finiani in particolare) e gli ex di Forza Italia si sente e come. Gli interventi si potrebbero assegnare all'una o all'altra schiera anche senza ascoltare i nomi. In genere, gli ex di An puntano l'attenzione sul "no" al pensiero unico, sulla necessità del dibattito interno, sulla pari dignità politica e culturale, sulla necessità del dibattito interno. Gli ex forzisti, invece (con debite eccezioni) tendono più a rimarcare i successi e il ruolo di un partito "che non è di destra, non è di sinistra" ma è "popolo" e, in quanto tale, si sovrappone esattamente al Paese con buona pace di quelli che non la pensano come loro.
Tre interventi, comunque, hanno segnato la mattinata prima di Fini. Quello di Maria Stella Gelmini che ha chiarito (semmai qualcuno non lo avesse ancora capito) che lei ce l'ha con chi pensa (insegnanti? genitori? studenti?) che "la scuola appartenga alla sinistra". A scanso di equivoci il ministro conferma che "un'epoca è finita". Quale? Quella di chi ha sempre considerato la scuola come un luogo dove "alimentare ideologie vecchie e bocciate dalla storia". Insomma, via la sinistra (ma anche i sindacati di sinistra) dalla scuola, altrimenti ci pensa il ministro.
Anche Brunetta pensa a tutti, a cominciare dai guasti del Paese che "vanno affrontati a muso duro". Anche lui ce l'ha con i sindacati e le burocrazie parassitarie contro le quali annuncia addirittura "la lotta di classe". Brunetta, comunque, ammette che "siamo sfigati, perché ogni volta che andiamo al governo c'è la crisi" e che "non siamo perfetti. Anzi, siamo pieni di difetti, ma siamo rivoluzionari".
Un altro che pone qualche problema al congresso (come si fa ai congressi veri) è Fabrizio Cicchitto. Lui, dovendosi occupare di organizzazione e della formazione delle liste per le prossime elezioni europee e amministrative, sa benissimo che problemi ce ne sono e ce ne saranno. E lo dice con una certa chiarezza. Poi, difendendo le battute di Berlusconi sulle modifiche dei regolamenti parlamentari, afferma: "Non è un attacco al Parlamento, ma un modo per rispondere all'antipolitica".
Di riforme, si diceva, ha parlato moltissimo Fini. Il presidente della Camera, sgomberato il terreno dal problema dei rapporti col premier, è partito sul suo terreno. Quello di una "qualità della democrazia" che chiama importanti cambiamenti anche costituzionali (soprattutto sulla seconda parte della Carta fondamentale) che andranno fatti con l'opposizione. "Una frande stagione costituente", l'ha definita il presidente della Camera. Qui Fini invita a "stanare" l'avversario "dormiente e incapace di scegliere", ma si capisce che in lui c'è anche l'ansia di evitare che certe cose siano fatte a colpi di mano. Chiaro, comunque, il suo disegno di cambiamento: Parlamento con la Camera federalista e più spazio per il potere esecutivo. Questa volta, però, visto che Berlusconi ha rinfoderato le armi, Fini non solleva la questione del controllo parlamentare sull'esecutivo.
Poi, Fini ha lanciato i tre patti sull'assetto economico. Quello generazionale e quello tra Nord e Sud sono patrimonio ormai comune di tutte le forze sociali; quello tra capitale e lavoro (insieme all'economia sociale) viene dal pantheon ideologico della destra, ma va detto che Fini cerca di coniugarlo con tocchi di modernità e riconoscendo la necessità di cambiare profondamente il capitalismo per uscire dalla crisi mondiale.
Poi, come domenica scorsa, la parte più avanzata del suo discorso. Quella che disegna un'Italia con tanti "cittadini di colore e di religione diversi dai nostri", quella che invita a non aver paura del diverso e a capire bene che "prima di tutto una persona è un bambino e un malato e solo dopo un extracomunitario", quella che parla esplicitamente di "laicità dello Stato".
In fondo (Fini dice proprio "in cauda venenum") una freccia avvelenata: "Siamo sicuri che il testo approvato al Senato sia laico? Quando si impone un precetto per legge, siamo più vicini allo Stato etico che allo Stato laico". La battuta è pesantissima per le recenti scelte del Pdl a Palazzo Madama e pone qualche problema visto che c'è ancora il passaggio alla Camera dove Fini presiede e dove ci sono molti deputati finiani. Ma il congresso, ormai, applaude qualsiasi cosa e Fini è travolto dall'ovazione.
Si continua per tutto il giorno. Nel pomeriggio parla Schifani. Più tardi, forse, Tremonti.
(28 marzo 2009